Birmania a novembre 2004

Abbiamo organizzato tutto dall’Italia, contattando via internet un tour operator birmano che da subito è stato preciso, puntuale e affidabile; non ha lasciato margini alla contrattazione sul prezzo, per altro molto vicino a quanto da noi calcolato sulla base dei prezzi di voli-hotel-auto citati dall’indispensabile Lonely Planet. … in...
Scritto da: negropaolele
birmania a novembre 2004
Partenza il: 26/11/2004
Ritorno il: 12/12/2004
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Abbiamo organizzato tutto dall’Italia, contattando via internet un tour operator birmano che da subito è stato preciso, puntuale e affidabile; non ha lasciato margini alla contrattazione sul prezzo, per altro molto vicino a quanto da noi calcolato sulla base dei prezzi di voli-hotel-auto citati dall’indispensabile Lonely Planet.

… in realtà, leggendo gli ultimi racconti su questo sito, abbiamo visto che abbiamo incontrato tutti la guida… chissà se era sempre lui o se tutte le guide si fanno chiamare così?… forse non è importante.

Abbiamo speso in due circa 3000 euro, di cui 1000 per i voli fino a Yangoon (ricerca fortunata di un’occasione con Qatar, 3 ore di volo in più, ma una differenza di 800 euro sul totale), 1800 per il tour con un’agenzia locale (hotel per 15 notti, auto, autista, 2 voli interni e 1 traghetto; no guida turistica, pasti esclusi… Cambio col dollaro favorevolissimo!), 200 per tutti i pasti, tenendo conto che negli alberghi la cena costa circa 10$ a persona, nei ristorantini birmani 2 o 3$.

Arriviamo a Yangoon il 26.11.04, quando già è buio; Kyaw ci aspetta all’uscita dall’aeroporto, ci porta all’hotel concordato (Panorama – dignitoso, un po’ rumoroso) e immediatamente ci dà le “istruzioni per l’uso” del Myanmar: cambiare il denaro (accettano volentieri Euro) al mercato nero, non prendere gli autobus (vi sfido ad usarli tenendo conto che riportano esclusivamente il numero in caratteri locali e non in numeri arabi!!!!), ma tranquilli a passeggiare ovunque anche di notte, chè nessuno ci aggredirà per rubarci denaro o documenti.

27 novembre visitiamo Yangoon e le sue pagode. A piedi, senza guida. Non si può mancare la Swedagon paya, merita arrivare verso le 16.00 e rimanerci fino al tramonto, alle 18.00; il bello di queste due ore è vedere la luce che cambia e vedere le persone che vivono la pagoda come un giardino, un cortile, un piazza.

28 novembre andiamo a Kyaiktyho. Chilometri di landa desolata e povera, piantagioni di caucciù, pescatori, capanne… sembra un po’ Africa subsahariana..

Ci avviciniamo alla montagna e torna la vegetazione; dobbiamo scendere dalla nostra auto alla base della montagna. Di lì in avanti ci porterà un camion che fa servizio lungo l’unica strada. Salite e discese nella giungla, su asfalto, tutto in prima ridotta, motore che grida di dolore e paura (anche noi un po’)… ma è normale così, va bene così.

Il camion scarica tutti 1 ora a piedi sotto la pagoda (conviene viaggiare leggeri, magari lasciando il resto del bagaglio in hotel a Yangoon); a Kyaiktyho è indispensabile avere l’albergo prenotato, ci sono poche sistemazioni per gli occidentali (il Golden Rock Hotel è in buona posizione e offre un buon trattamento). Golden Rock bellissima al tramonto e all’alba. Anche qui il bello è restare e vivere un po’ il posto; tra l’altro, esplorando con un po’ di calma scoprirete il 2° ingresso alla pagoda (solo a piedi, non per turisti stranieri)… ci vendono cappelli di lana orrendi, pop corn dolci buonissimi e troverete tanti ristorantini economici, puliti, ottimi (tocca fidarsi di quel che si vede e si annusa nelle pentole… capirsi è impossibile, le salse sono dense… e profumatissime).

28 novembre: Scendiamo da Kyaiktyho con un altro camion… Il meccanismo è incomprensibile, ma non importa, perché c’è sempre qualcuno gentile e/o volenteroso che ti trova un posto… Addirittura ti rincorrono per ricordarti i bagaglio che hai dimenticato sul cassone del camion… Ritorniamo a Yangoon via Bago, andate a vedere tutto, soprattutto una pagoda con 4 buddha enormi seduti.

Le pagode, secondo noi, spesso non sono particolarmente belle dal punto di vista architettonico, ma imperdibili sono sempre l’atmosfera e le persone del luogo. Ci si deve togliere le scarpe e le calze, poi tutto è possibile: giocare a calcio coi bimbi, contrattare merci, pregare, riposarsi, dormire, mangiare, chiacchierare, fotografare… L’indomani a Heho in aereo, per avvicinarci a Kalaw e al lago Inle. Kalaw è nello stato Shan, chiediamo di fare una passeggiata in montagna di ½ giornata; la guida ci fa conoscere una famiglia che ci accoglie e ci racconta le tradizioni della tribù. Ci offrono il tè, non ci vendono nulla, ci lasciano nel cuore la sensazione di una dignità profonda, di un’umanità che il “nostro mondo” non conosce più. Anche la cittadina di Kalaw merita una passeggiata (vi si trova l’unico internet point a prezzo ragionevole di tutta la birmania: 3$ a minuto). Stiamo una notte solamente, forse meritava un trekking più lungo…

Poi Inle. Un luogo di favola, visitiamo Indein, dove troviamo il mercato dei 5 giorni, poi il monastero dei gatti (più che per i micetti, merita per il tramonto), la fabbrica della seta (seta cinese e colori tedeschi!!!!; prodotti bellissimi; dà da pensare il fatto di vedere piccole vecchine che filano… altro che pensione!).

A Inle si è molto preda del turismo gestito dalle compagnie… non si possono condurre autonomamente le barche e i barcaioli capiscono ciò che hanno voglia di capire, tuttavia il lago è talmente quieto, le persone così belle, il territorio intorno così intatto che si può davvero tollerare di essere trattati un po’ come polli da spennare. In alcuni momenti, in alcuni luoghi più appartati sembra di essere a Venezia 2000 anni fa… Di notte, nell’albergo-palafitta, si sentono i pesci saltare nell’acqua sotto il letto, di giorno si vedono le mamme che insegnano ai bambini a nuotare prima che a camminare (giacchè ruzzolare giù dalla palafitta o dalla canoa è un attimo!).

Dopo due notti a Inle, ci trasferiamo a Mandalay in auto (11 ore attraverso le montagne … Da non ripetere, passare assolutamente dalla pianura, oppure volare). Sul tragitto Pindaya, grotte, pagode nella piana, alberi baniani enormi, mercato.

Mandalay meriterebbe almeno 3 giorni.

1 per Mingun e il tramonto sulla mandalay Hill +1 per le 3 capitali (Inwa, Amarapura e Sagaing) + 1 per il palazzo reale di Mandalay e le pagode intorno.

Noi abbiamo solo due giorni, trascuriamo il palazzo reale (che vediamo dalla finestra dell’albergo – Sedona -… una favola!).

A Mandalay facciamo un incontro importante. Ci avvicina un monaco, con cui scambiamo qualche parola; ci fa vedere dall’alto (dalla Mandalay Hill) il carcere, ci racconta che le gemme e il legno birmano sono svenduti ai cinesi, che l’economia birmana è in ginocchio, che solo i ricchi (vicini al governo militare) hanno accesso alle comunicazioni internazionali.

Ci dice che ogni turista straniero è business per il governo. Ci dice anche che però è importante che i turisti continuino a venire in Birmania, vedano, guardino e raccontino ciò che accade. E aggiunge: non perché questo possa cambiare la storia, ma perché è importante per le persone che si sappia la verità, qualunque essa sia… Proprio perché la storia non sia tradita.

Da non perdere Mingun (se non sei lì non ti rendi conto dell’enormità della costruzione e del terremoto che l’ha distrutta), né le altre 3 capitali, soprattutto una bella passeggiata sul ponte di Amarapura (finchè regge!), una col calesse a Inwa (monastero in tek intarsiato) e una alla “pagoda-tettona bianca” di Sagaing.

Da Mandalay prendiamo il traghetto per Bagan (quello per turisti… Dopo l’incontro col monaco vediamo con più chiarezza la differenza tra ciò che si offre ai turisti e ciò che è disponibile ai birmani… un po’ ci sentiamo imbarazzati, poi la “scorza occidentale” ci aiuta… l’alternativa sarebbero 20 ore su panche in legno… con 9 ore riusciamo a mettere a tacere ogni scrupolo e la nostra coscienza… vergogna!).

Arriviamo a Bagan (Bagan Hotel), l’albergo è un sogno, in riva al fiume e con un paio di antiche pagode all’interno. Il sogno continua pedalando nella campagna e visitando le tantissime pagode… tutte un po’ uguali, ma tutte un po’ magiche. Ci sembra consigliabile visitare le “maggiori” e poi lasciar andare la curiosità… così può capitare di arrivare in qualche tempio deserto, senza venditori o turisti; almeno tre notti e due giornate piene di vagabondaggio tra le pagode.

Il sogno finisce all’improvviso, quando, chiacchierando con qualche passante, si scopre che fino a 15 anni fa quei luoghi erano le case degli abitanti della zona, fatti sgomberare in una settimana e sollecitati a fucile spianato. Si capisce allora come mai le pagode sono sporche di fuliggine o di calce sui muri… erano abitate. Ora, invece, sono il parco divertimenti dei turisti. … che fare? Guardiamo, compriamo le cose che ci offrono le donne (in realtà spesso ci vengono offerti doni, magari un fiore), raccontiamo dell’Italia e ascoltiamo della Birmania, della vita della popolazione e di quanto possa essere diversa la vita lontano da casa.

Da Bagan si torna a Yangoon in aereo; l’aereo arriva da Mandalay, incontriamo uomini d’affari che ci raccontano dei loro business coi cinesi… ci dicono che tanto, se non ci fossero loro, ci sarebbe qualcun altro. Il ragionamento non fa una grinza, è la realtà; per un attimo, seppur in volo, crolliamo al suolo e realizziamo che il mondo è una giungla…E che siediamo (per fortuna?) dalla parte dei predatori.

Questioni personali di coscienza a parte, che ciascuno vive un po’ come è capace e come decide, abbiamo voluto scrivere questo racconto perché abbiamo pensato che fosse importante riconoscere e premiare la professionalità di Kyaw (e dei birmani in genere) e, soprattutto, che potesse essere importante fare la nostra piccola parte di solidarietà con il popolo birmano che con tanto calore e disponibilità ci ha accolto nel suo territorio e nelle sue case e che, in cambio, ci ha chiesto solamente di testimoniare la sua realtà, non con la speranza che così qualcosa possa cambiare, ma con il desiderio che la sua realtà non sia dimenticata o cancellata. Il popolo birmano non chiede di essere sottratto al proprio destino, è pronto a viverlo fino in fondo, senza aspettarsi che qualcuno faccia l’impossibile contro forze potenti; è un atteggiamento di grande dignità. Ciò che da turisti possiamo portare là sono i nostri occhi e la nostra possibilità (a loro negata) di raccontare una storia vissuta.



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