Pagode al chiaro di luna

La Birmania è ancora un angolo di mondo poco globalizzato e quando si parte conviene accantonare carte di credito e cellulari ed accettare eventuali inconvenienti legati al cattivo funzionamento di luce elettrica e telefoni. Non sono certo questi aspetti in grado di scoraggiare un viaggio in un paese affascinante, dove l’isolamento...
Scritto da: giubren
pagode al chiaro di luna
Partenza il: 27/10/2006
Ritorno il: 13/11/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
La Birmania è ancora un angolo di mondo poco globalizzato e quando si parte conviene accantonare carte di credito e cellulari ed accettare eventuali inconvenienti legati al cattivo funzionamento di luce elettrica e telefoni. Non sono certo questi aspetti in grado di scoraggiare un viaggio in un paese affascinante, dove l’isolamento internazionale causato dall’embargo rende la popolazione locale particolarmente curiosa e disponibile verso gli stranieri. E’ senz’altro la gente del posto a lasciare un ricordo indelebile, sempre disponibile e sorridente, anche quando, dopo un’estenuante contrattazione, si decide alla fine di non acquistare nulla. Gli autisti di taxi e carrozzelle sono sempre gentili e professionali e lo stesso discorso vale per il personale di alberghi e agenzie di viaggio. Tutto questo rende estremamente facile organizzarsi da soli, non ci sono mai situazioni in cui ci si senta in pericolo e nemmeno si incontrano grossi problemi di comunicazione, visto che l’inglese – talvolta a livello rudimentale – è piuttosto conosciuto dai locali.

A causa della censura, molti server su internet sono oscurati per cui l’uso della email è limitato. Mi è stato possibile però prenotare dall’Italia almeno i voli interni con l’affidabile compagnia Air Mandalay con una agenzia indicata dalla guida e pagando i biglietti una volta arrivato sul posto. Le tariffe applicate in genere sono più convenienti rispetto a quelle del sito internet della compagnia (si risparmia almeno il 10%). Forse sarebbe ancora più economico fare tutto sul posto, ma così si evita il tutto esaurito.

Per prenotare gli alberghi invece le email non hanno quasi mai avuto successo, per cui ho preferito telefonare di volta in volta, organizzando un servizio taxi per farci venire a prendere agli aeroporti.

Il tasso di cambio attuale è di 1300 kiats per 1 USD: se appena arrivati propongono meno, è meglio cambiare poco e poi, anche presso un grande albergo, cercare un tasso più favorevole. Non ho trovato grosse differenze di cambio tra la capitale e il resto del paese, per cui credo sia inutile riempirsi di kiats a Rangoon.

Nel corso del viaggio, abbiamo quasi sempre optato per alloggi di media categoria (20 – 25 USD a notte) anche se, per avere una stanza migliore, conviene considerare le offerte dai 30 USD in su.

Abbiamo fatto molta attenzione al cibo, che effettivamente risulta poco digeribile anche quando siamo andati in ottimi ristoranti specializzati in cucina locale: in previsione di ciò, abbiamo portato dall’Italia scatolette e barrette energetiche che sono state provvidenziali nel superamento dei momenti “critici” e che ci hanno permesso di superare rischi di intossicazioni alimentari.

Il nostro è stato un itinerario classico Rangoon – Heho – Mandalay – Bagan – Rangoon in 15 giorni utilizzando 4 voli interni (240 USD a persona). Il risparmio di tempo è stato notevole e ci ha consentito di visitare tutto con calma, includendo anche siti meno turistici. La condizione delle strade infatti non è delle migliori e per raggiungere località che in linea d’aria sembrano vicine occorrono varie ore di macchina. Il tempo è stato ottimo: verso la fine di ottobre infatti finisce il monsone per cui c’è meno rischio di mal tempo. C’è stato un vero e proprio nubifragio una sera a Mandalay, ma poi il giorno successivo è tornato il sole… Meno male che il nostro volo non partiva quella sera… Siamo tornati in Italia con volo della Qatar Airways con scalo a Doha stracarichi di bagagli a mano che, fortunatamente, siamo riusciti a portare a bordo e a sistemare tranquillamente nelle comode cappelliere dell’aeromobile.

Rangoon (o come oggi è stata ribattezzata, Yangon) è una sonnolenta capitale asiatica, soprattutto se la si dovesse paragonare con quelle dei paesi vicini. I grandi palazzi coloniali sulla Strand Road rimangono a ricordare i fasti dell’epoca britannica, ma oggi sembrano quasi in stato d’abbandono, molto probabilmente anche per la recente decisione del regime di spostare i ministeri in una città posta a 500 km più a nord e che forse diventerà a breve il nuovo centro politico del paese. Il vecchio centro storico quindi è piuttosto malinconico, se si pensa che un tempo questa zona doveva rappresentare l’equivalente del Bund di Shanghai. Anche il traffico è meno intenso per cui risultano decisamente più vivaci i quartieri popolari più a nord, attorno alla Sule Paya.

Tra i vari edifici decadenti e sbiaditi, sorge lo Strand Hotel. Questo luogo, in epoca coloniale, era considerato tra i più lussuosi dell’impero britannico, essendo dotato di tutti i confort allora disponibili (luce elettrica e ventilatori). I suoi costruttori sono gli stessi del mitico Hotel Raffles di Singapore. Recenti restauri, eseguiti con buon gusto (vera rarità per questo paese…) l’hanno restituito al suo originario splendore, tuttavia è quasi sempre vuoto per i suoi costi proibitivi. I clienti affollano soprattutto i suoi ristoranti, in particolare lo Strand caffè che rappresenta una vera e propria oasi per i turisti, offrendo sollievo dall’afa oltre che dalla cucina locale.

La Sule Paya è la prima delle tantissime pagode che abbiamo visitato. Più del monumento in sé, pesantemente rimaneggiato, ricordiamo volentieri l’incontro con delle simpaticissime studentesse che si sono avvicinate per praticare il loro inglese, ma poi siamo stati noi a fare esercizio di lingua birmana, con loro grande divertimento. A breve distanza sorge il Bogyoke Aung San Market (ex Scott market). L’impatto visivo è notevole per i turisti, dal momento che l’artigianato birmano è strepitoso, tuttavia è meglio procedere agli acquisti nelle città dove si producono i vari articoli visto che sono migliori sia la qualità che i prezzi.

Shwedagon Paya: è probabilmente la pagoda più visitata di questo paese e ci siamo tornati anche alla fine del nostro tour. Nel complesso si tratta di un monumento spettacolare, dove la popolazione locale, monaci e turisti si ritrovano a girare in attorno al grande zedi rilucente d’oro, tuttavia i restauri, le tinteggiature a colori sgargianti la fanno apparire troppo tirata a lucido ed eccessivamente artificiale. Purtroppo interventi di questo tipo sono stati fatti in tutti gli edifici religiosi del paese (o comunque sono in via di completamento) e i mosaici a vetro e le piastrelle colorate da bagno anni ‘60 stanno dando un aspetto kitch a questi luoghi che un tempo dovevano essere pieni d’atmosfera. Alla fine del viaggio, ho dovuto constatare che gli interventi sulla Shwedagon sono forse quelli meglio eseguiti… si dice che, nel restaurare i vecchi monumenti religiosi, si acquistino meriti nelle prossime vite. E’ la stessa fervente religiosità dei birmani ad aver compromesso il fascino dei loro monumenti, ma forse anche il regime militare al potere ha notevoli responsabilità in tutto questo. Non c’è molto da aggiungere anche per il grande Buddha reclinato dove valgono le stesse considerazione di prima.

Abbiamo alloggiato al Beauty Land I (dove erano in corso lavori di ampliamento) per 22 USD a notte in una stanza molto grande. Il posto è tranquillo e forse preferibile al Beauty Land II (dove siamo stati al ritorno da Bagan) che ha stanze claustrofobiche. Da Rangoon, abbiamo fatto l’escursione di una giornata a Bago (Pegu) che dista circa un’ora e mezza di macchina. E’ una cittadina tranquilla e piacevole con vari monumenti da visitare con un biglietto d’ingresso unico di 10 USD. Il grande zedi che svetta sulla città è della Shwemawdaw Paya, di dimensioni non inferiori alla Shwedagon e, rispetto a quest’ultima, decisamente meno affollata. Il grande Buddha Shwethalyaung reclinato è più bello di quello di Rangoon, anche se piange il cuore nel vedere come è adesso rispetto alle fotografie ingiallite di inizio ‘900. Il luogo che c’è più rimasto impresso è il monastero Kha Khat , al quale siamo giunti durante l’ora del pasto dei monaci. Di recente è stato scoperto il luogo dove sorgeva il grande palazzo dei re di Pegu. Erano rimasti solo i grandi pali di teak che un tempo reggevano l’immensa struttura, ma il regime ha avviato e portato a termine la ricostruzione della sala del trono e della sala dell’udienze. Sicuramente questo intervento risulta meno discutibile rispetto ad altri interventi simili in altre città.

Lago Inle: sicuramente la zona più affascinante del paese, anche per la possibilità di visitare i bellissimi luoghi nelle sue vicinanze. Appena scesi dall’aereo, ci aspettava il nostro autista che dall’aeroporto di Heho (in 2 ore) ci ha portato a visitare le grotte di Pindaya prima di portarci a Nyanugshwe. La strada per arrivare è molto bella ed attraversa delle foreste di pini e campi coltivati. Ogni tanto non abbiamo resistito dalla tentazione di fermarci per immortalare le scene bucoliche dei contadini a lavoro.

In questo luogo ameno, decisamente spettacolare visto dal basso, è oggi stato costruito un ascensore per risparmiare le fatiche dell’ascesa nell’ultimo tratto non raggiungibile con le auto (…), ma sono gli interni delle grotte a deludere per i consueti “interventi di restauro”: le centinaia di statue sono state tutte dipinte con sgargiante vernice dorata con fondo rosso.

Il sito di Kakku è molto più suggestivo: si trova nel territorio dell’etnia Pa-o e si deve essere necessariamente accompagnati da una guida locale. Più di 700 piccoli stupa ricoprono una collinetta e creano una vera e propria foresta di pinnacoli. Alcune zone del sito sono “restaurate”, ma anche la guida ci ha confermato che preferirebbe che tutto fosse lasciato nel suo stato attuale. La strada per arrivare a Kakku è costeggiata dalle case Pa-o, costruite in stile tradizionale con bambù intrecciato a motivi geometrici . A Nyaungshwe, sul lago Inle, abbiamo pernottato inizialmente all’Hotel Amazing Nyaungshwe (38 USD a notte con un’ottima qualità-prezzo). Da visitare c’è lo Shan palace, l’ultima residenza di principi Shan rimasta ancora in piedi e la grande pagoda Yadana Man Aung (purtroppo anch’essa restaurata e dunque diversa dall’affascinante descrizione che ne fanno le guide). Da non perdere il piccolo monastero dalle finestre ovali, situato un po’ in periferia.

Al lago Inle abbiamo dedicato 2 giorni (una barca con guidatore costa 15 USD tutto il giorno).

Nella zona, occorre verificare il calendario dei mercati in quanto ruotano ogni 5 giorni nelle varie cittadine ed occorre alzarsi presto al mattino perché le attività iniziano a diminuire già verso le 11:00. Abbiamo visitato il mercato ai piedi della pagoda Indein oltre a quello di Nan Pam: entrambi regalano una vera e propria fantasmagoria di colori, etnie ed odori – una vera e propria gioia per i sensi e l’obiettivo. Il resto della giornata si trascorre nella visita delle varie pagode sul lago e dei villaggi a palafitte degli Intha, l’etnia che abita questa zona e che realizza sorprendenti orti e giardini galleggianti. Mandalay: l’antica ed ultima capitale della monarchia birmana spodestata dagli inglesi. Orwell diceva che di magico conservava solo il nome e che fosse una città piena di sole e di polvere – oggi forse aggiungerei anche il traffico. La città è molto estesa ed occorre un bel po’ di tempo per andare da una parte all’altra. Meglio dunque servirsi dei piccoli taxi blu che comunque sono più costosi rispetto Rangoon. Tra i monumenti più suggestivi, sicuramente va annoverata la statua del Buddha Mahamuni colma di gioielli d’oro e pietre preziose ed oggetto di profonda venerazione. Le mura del palazzo reale compongono un vasto quadrilatero che un tempo ospitava i palazzi reali in legno di teak, purtroppo andati completamente distrutti durante la seconda guerra mondiale durante i combattimenti tra giapponesi e britannici. Oggi il regime ha provveduto alla sua ricostruzione anche se chiaramente le suppellettili sono irrimediabilmente perdute. Per avere un’idea di come dovessero presentarsi gli antichi palazzi, basterà recarsi al Monastero Shwenandaw: un tempo la costruzione si trovava all’interno del recinto ma un re decise di farlo smontare e posizionarlo dove ora si trova. Gli intagli e le decorazioni fanno apparire i fregi flamboyants dei tetti come intricati merletti…È solo in queste vecchie costruzioni lignee che è ancora possibile riassaporare le antiche atmosfere di un tempo, soprattutto nei bui interni dove spesso i monaci pregano o impartiscono lezioni ai bambini.

Nelle sue immediate vicinanze sorgono gli altri templi degni di nota della città: il Kuthodaw (conosciuto quale il libro più grande del mondo) e il Sandamani.

Nei dintorni di Mandalay si visitano le altre antiche capitali reali: Sagaing: in cima alla omonima collina, si ammira un bel panorama sul fiume Irrawady e sulle colline circostanti letteralmente punteggiate di pagode.

Ava: poco rimane dell’antica città, visto che i suoi edifici vennero smontati e ricostruiti nella nuova capitale. I vari siti si raggiungono con le carrozze trainate da cavalli, per cui lo stesso spostamento è di per se affascinante. In una vegetazione lussureggiante, si arriva prima ad un grande monastero di teak pieno d’atmosfera e poi si visitano una torre pendente (ultimo residuo del palazzo reale), un tempio in rovina e un monastero in mattoni. Amarapura: abbiamo limitato la visita al ponte di teak lungo un chilometro tornando indietro con la barca per meglio ammirare lo splendido tramonto da cartolina. Mingun: si raggiunge con la barca e si impiega circa un ora. La grande Paya incompiuta pare che sia la pila di mattoni più grande del mondo. Si può salire in cima per ammirare il panorama circostante. Anche gli altri templi della città sono altrettanto belli e meritano una visita.

Bagan: l’antica capitale birmana, distrutta dall’invasione dei mongoli, è tra le meraviglie del sud est asiatico. Pagode di mattoni rossi si estendono a perdita d’occhio in un ansa del fiume Irrawady in mezzo alla vegetazione. Le case ed il palazzo reale, costruiti in legno di teak, sono ormai scomparsi perciò sono rimasti i soli edifici religiosi. La giunta militare ha quasi ultimato la ricostruzione del palazzo del re che, assieme all’ingombrante sagoma del museo, rovina non poco il panorama all’interno della “old town”. Bagan è un meraviglioso sito da esplorare con calma, vista la sua estensione. Abbiamo deciso di alloggiare al Thande Hotel nella città vecchia e la scelta si è rilevata ottima: le stanze economiche costano 28 USD e si può usufruire della bella piscina e soprattutto della splendida vista sul fiume durante la prima colazione a buffet. Alloggiare nella “old town” permette di iniziare la visita in bicicletta, in quanto si è vicini ai templi principali. Il giorno successivo abbiamo continuato il nostro giro in carrozza, raggiungendo i templi più lontani come quelli del villaggio di Minanthu, noti per i bellissimi affreschi. Il nostro cocchiere si è rivelato gentilissimo e professionale e di sera ci ha anche portato a Niaung-oo, zona più turistica e piena di buoni ristoranti. Il percorso in carrozza la sera, con la luna che illumina le sagome appuntite delle pagode, è l’immagine più suggestiva che conserverò di questo paese. Stranamente il regime vieta di salire in cima alle costruzioni principali per cui i panorami possono ammirarsi soprattutto nelle pagode minori ma altrettanto meritevoli di essere visitate, pur non essendo segnalate sulle guide.

Buon viaggio in Birmania da Giuseppe & Gabriella



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