Tour in moto della Sicilia non classica

Sizilien treffen 2014 in solitaria
Scritto da: Tony51
Partenza il: 27/05/2014
Ritorno il: 02/06/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
Il tour lo facciamo con una moto BMW R1150R Rockster edition 80 pilota e passeggero, con le 2 borse laterali, il top-case 35l. e la borsa da serbatoio.

Il giro prevede 2 giorni per raggiungere/tornare dall’isola in traghetto da Napoli a Palermo e 6 di percorrenza sulle strade della Sicilia.

Il giro lo facciamo in senso orario da Palermo verso Messina e oltre….

Partiamo da Roma nel pomeriggio di martedì 27/5/2014 per imbarcarci a Napoli alle 19,00. Il traghetto salpa alle 20,30 e raggiunge Palermo alle 6,00 del mattino.

1° giorno

Appena sbarcati sosta caffè al Bar Bristol (mitico appuntamento di chi sbarca e parte da Palermo). Il cielo è coperto la temperatura fresca si parte per Cefalù sulla SS113 attraverso i centri abitati di Bagheria, Alatavilla, Termini Imerese. A Cefalù ci accoglie la città col suo traffico paralizzato (ore 8,00!) breve visita del centro storico caffè davanti alle torri della Cattedrale e si parte per Castelbuono. Pochi Km dopo Cefalù sulla destra prendiamo la SS 286 e ci inoltriamo sulle Madonie. La strada è bellissima con fondo abbastanza buono, curve dolci e tutto intorno la vegetazione primaverile. Un tripudio di fiori colorati ai bordi della strada erba alta con gialle ginestre. Il cielo si apre e si fa forza il sole tiepido. Ci fermiamo a Castelbuono è un comune di vetuste memorie sito nel territorio di Palermo e rientrante nel Parco delle Madonie, ci fermiamo davanti alla Chiesa Madre, sembra che fosse un tempo adibita a moschea. In alto sopra noi c’è il Castello dei Ventimiglia, nato nel 1316 per volere del conte Francesco I. Noi non lo visitiamo. Sulla piazza si sono fermati anche 2 ragazzi stranieri che si stanno girando la Sicilia a piedi. Ripartiamo per Geraci Siculo e Gangi.

Arrivati a Gangi il cui centro è rigorosamente pedonale, posteggiata la moto acquistiamo delle bellissime ciliegie dall’immancabile camioncino adibito a frutteria posteggiato alle porte della città. Gangi è un piccolo comune della provincia di Palermo, sito in un’area abitata sin dalla preistoria. Il centro urbano, che risale al 1.200, è sormontato da un castello che racconta di incontri e di successioni, di cambi di signorie e di trasformazioni. Da visitare il Castello dei Ventimiglia ( XIII-XIV Sec.). Appartenne alla famiglia dei Ventimiglia fino al 1625 anno in cui venne in possesso della Famiglia Graffeo e qualche anno dopo della famiglia Valguarnera, successivamente l’edificio rimase in stato di abbandono, utilizzato come carcere, finché non entrò in possesso della famiglia Milletarì la quale,ancora oggi ne mantiene la proprietà ma solo di una parte, essendo la rimanente ritornata in possesso di un ramo cadetto della famiglia Ventimiglia. Il Palazzo Bongiorno qui una gentile ragazza ci fa da guida spigandoci le origini e i numerosi affreschi che decorano le pareti ed i soffitti. Costruito dalla famiglia Buongiorno, intorno al 1754-55. Le volte delle sale sono state affrescate dal pittore romano Gaspare Fumagalli e dal suocero di questi , il palermitano Pietro Martorana. Il Palazzo Comunale ( XIX Sec.) Il Palazzo Comunale, sede del Municipio, è sorto nel 1800, si affaccia sulla Piazza del Popolo, posto lateralmente al Corso Umberto I, si erge di fronte la Torre Normanna. In Piazza del Popolo, all’angolo tra il Palazzo Comunale e il muraglione che la delimita a monte, vi è la nota “ Fontana del Leone” donata ai gangitani nel 1931 dall’allora podestà Cav Gioacchino Mocciaro. La Chiesa Madre (XII-XIII sec. ) All’interno, a tre navate, si trovano “Il Giudizio Universale”(1629) pregevole dipinto di Giuseppe Salerno (Detto Lo Zoppo di Gangi) le statue lignee del Quattrocchi gli affreschi di Michelangelo Salvo e del De Caro, il battistero e l’acquasantiera in marmo di bottega gaginiana, provenienti dall’antico monastero di Gangivecchio. La Chiesa della Catena (XIII-XIV sec.) e la Chiesa di San Cataldo (XII-XIII sec.) All’interno altre statue lignee del Quattrocchi ed il dipinto dello zoppo di Gangi “ Il supplizio dei quaranta martiri”. Il cielo si copre ancora e quindi si riprende la strada verso Nicosia.

A Sperlinga entriamo nel centro storico e senza entrare guardiamo il castello in parte scavato in una gigantesca mole di arenaria dai Siculi a partire dal XII secolo a.C., e in parte costruito sulla stessa roccia intorno all´anno Mille. Molto affascinante. Arrivati a Nicosia il cielo è terso e il sole illumina la bellissima piazza dove posteggiamo. Nicosia è una cittadina siciliana in provincia di Enna che conta quasi 15000 abitanti e sorge oltre i 700 metri d’altezza. Fondata probabilmente dai Greci, questa città ha visto nei secoli e nei millenni avvicendarsi sul suo suolo popoli diverse, che di volta in volta hanno lasciato tracce del loro passaggio e testimonianze della loro presenza: i Romani per primi e poi gli Arabi, gli Svevi, i Normanni, gli Aragonesi e i Borboni. Sicuramente però la città è attestata su documenti ufficiali dal 1062. Nicosia nel Medioevo dovette la sua importanza anche al fatto che era la terza città demaniale della Siclia e che nel 1209 venne nominata Civitas Costantissima da Federivo II.Nel 1700 poi vi si contavano 24 baroni e 2 marchesi, oltre al numero spropositato di chiese per una città di queste dimensioni: 84, sei conventi e quattro monasteri. Visitiamo la Chiesa di Santa Maria della Scala risalente al XIII secolo, sorge probabilmente su di una ancora più antica moschea. Oltre alle chiese e ai palazzi molto suggestivo è proprio l’impianto dei vicoli cittadini, che si inerpicano verso i quattro colli che fanno da vertici del territorio di Nicosia. Inoltre la città è caratterizzata anche dalle decorazione sulle facciate degli edifici fatte con pietre locali, gialle e grigie, intagliate finemente. Il castello, situato sulla rocca più alta di Nicosia e risalente al periodo normanno. La cattedrale di San Nicolò con il suo soffitto ligneo, risalente al momento di passaggio tra XIV e XV secolo, caratteristico perché interamente dipinto con motivi sacri, profani o totalmente aniconici su modello forse delle decorazioni arabe. Chiediamo ad un signore dove pranzare vista l’ora e ci consiglia un ristorante pochi Km fuori Nicosia. Pranzo in compagnia dei capo-cantiere ANAS, ottima pasta alla Norma e caponata coi fiocchi, prezzo contenuto. La strada Nicosia Mistretta è un delirio tutta avvallamenti e cantieri sterrati, con mezzi pesanti che ti affumicano e impolverano. Arriviamo sulla costa e attraversato Capo d’Orlando arriviamo a Gioiosa Marea dove pernottiamo all’hotel Avalon Sikani spendendo uno Smartbox notte di charme. Cena in hotel causa pioggia che avendo minacciato tutto il giorno finalmente si sfoga.

2° giorno

Ci svegliamo col cielo nerissimo. Colazione abbondante e buona. Ci mettiamo in sella sotto la pioggia indossando le tute da pioggia. Ci dirigiamo verso Tindari. Fatti pochi km ci fermiamo sotto un balcone perchè la pioggia è davvero eccessiva. Appena diminuisce l’intensità si riparte e si raggiunge il santuario di Tindari dove il sole sfonda le nubi e ci offre una breve tregua. Gran parte della fama internazionale di Tindari ruota intorno al celebre Santuario della Madonna Nera, il cui nome deriva dal particolare simulacro dedicato alla figura della Vergine. Il Santuario è sito all’estremità orientale del promontorio di Tindari, affacciato sulle coste a dirupo sul mare, lì dove un tempo sorgeva l’antica acropoli. La costruzione nel santuario risale a molti secoli addietro, e già nel XVI secolo si registra una distruzione perpetrata da pirati algerini, seguita poi da un’ altrettanto repentina ricostruzione. Qualche foto ai laghetti e siamo pronti per le gole dell’Alcantara. Imbocchiamo la più bella strada della Sicilia la SS 185 qualche km dopo Tindari sulla destra, l’incrocio non è affatto ben visibile e un poco incasinato. La strada sale con curve bellissime fondo stradale buono anche se bagnato. Raggiungiamo Novara di Sicilia e ci inerpichiamo per la montagna che raggiunge gli oltre 1200m. Sembra di essere in alta montagna d’inverno la pioggia e tenue ma subentra la nebbia, a modo suo il paesaggio è suggestivo con boschi di conifere. Appena svalichiamo cambia tutto, il sole ci attende e ci asciuga fino a Francavilla di sicilia. Facciamo un salto alle gole dell’Alcantara ma non è il caso di risalire il fiume visto il tempo comunque freddo. Ritorniamo sui nostri passi fino all’incrocio che porta a Castiglione di Sicilia. Dopo una serie di curve in una strada panoramica raggiungiamo il centro della città, è posto su una collina che domina la sponda sud del fiume Alcantara. Castiglione si presenta dunque come un tipico centro d´altura, con le case disposte lungo un ripido pendio. Nel punto più alto si confrontano le sedi del potere civile e religioso. La visita al centro storico può iniziare dalla via Regina Margherita, che con il suo lastricato lavico conduce a piazza Lauria: qui, la semplice costruzione del Municipio, d’inizio Novecento, sorge sul luogo dell´antico Peculio, che consentiva la sopravvivenza dei cittadini negli anni delle carestie. Si arriva in salita a un´altra piazzetta, intitolata a Sant’Antonio, in uno dei quartieri più antichi di Castiglione, quello dei Cameni. Qui si trova la chiesa di Sant’Antonio, la cui costruzione ha avuto inizio nel 1601. e qui si trova pure uno splendido ristorante con tavoli sulla piazza nel quale pranziamo. Antipasto della casa, altra caponata stupenda, pasta alle sarde e canolo per dolce il tutto annaffiato con rosso dell’Etna. Rifocillati si riparte per Randazzo, Bronte e Adrano. La strada è asciutta e il sole domina il cielo ma non fa caldo!!. Raggiungiamo Randazzo attraverso la SS 120. Randazzo è di fondazione bizantina fu fortezza militare di rilievo nella guerra del Vespro; nel 1282 base militare di Pietro I d’ Aragona cui si deve la porta aragonese che si osserva tra i resti delle mura militari. E’ tra i paesi che meglio conservano l’aspetto medievale per essere stato sempre risparmiato dall’attività del vulcano: le distruzioni più serie le ha subite nel corso dell’ultima guerra mondiale quando la sua posizione strategica che ne aveva favorito. Oltre alle fortificazioni e alle chiese, numerosi sono i palazzi signorili, tra i quali il palazzo Scala la casa Spitaleri; i resti del palazzo Lanza del ‘400; il palazzo Finocchiaro (ex Clarentano) degli inizi deI ‘500. A Randazzo prendiamo un caffè giriamo per le stradine del centro guardando i palazzi e le Chiese poi ci dirigiamo a Bronte. Bronte è un territorio di straordinaria bellezza, che giace alle pendici occidentali dell’ Etna e viene lambito dal Parco dell’omonimo vulcano e da quello dei Nebrodi, per non citare le Forre laviche del Simeto e il Parco dell’Alcantara, altro importante corso d’acqua. Le costruzioni sono orrende e la città è impraticabile dal caos del traffico e dalla mancanza di indicazioni stradali. Giriamo su è giù per le strade seguendo le indicazioni del castello di Nelson. Il Castello dei Nelson è certo oggi il monumento più significativo e visitato dai turisti entro i confini dell’area brontese. La costruzione, nota anche come Ducea, è in realtà di origine assai più antiche della venuta di Nelson in Sicilia, poiché è stato fondato dalla regina Margherita di Navarra nel XII secolo quale abbazia benedettina dedicata alla Madonna. La stessa sovrana vi andò a dimorare nell’ultima parte della sua vita, accrescendone il prestigio attraverso le sue ingenti ricchezze. Come ogni altro edificio di così grande antichità, il Castello è indissolubilmente legato alle vicende di Bronte e Maniace nel corso dei secoli, e quello che oggi resta di un così grande passato consiste dei ruderi della chiesa medievale, di cui permangono le navata e la celebre icona mariana che secondo la leggenda sarebbe stata dipinta da S.Luca in persona, oltre allo splendido portico gotico-normanno. Interessante osservare che tutto attorno a Bronte e paesi limitrofi la campagna è adibita alla coltivazione del pistacchio, solo in Turchia ho avuto modo di vedere questa pianta. Ci dirigiamo verso Adrano. Adrano è senz’altro tra i paesi etnei più interessanti in quanto consente di osservare nei resti e monumenti del suo territorio il susseguirsi degli insediamenti dall’età preistorica a quella greca e medievale. In epoca normanna é una fortezza come testimonia il castello a pianta quadrilatera eretto nel secolo XI. Il castello ospita oggi l’Archivio storico, la Pinacoteca, il Museo dell’artigianato e soprattutto il Museo archeologico con ricche testimonianze dell’addensamento di abitati sulle pendici dell’Etna in età preistorica. Tra gli altri monumenti, il grande complesso dell’ ex monastero di Santa Lucia (oggi ospita una scuola) del 1596 (ma fondato nel 1158) con l’annessa chiesa riedificata nel 1775 (all’interno tele di Rapisardi e della scuola di Olivio Sozzi); il monastero cinquecentesco che oggi ospita l’ospedale, di fronte al quale é il teatro Bellini con facciata liberty; la Chiesa Madre (Assunta), di origine normanna ma rifatta posteriormente (all’interno tele e sculture del ‘400 e del ‘500). La città ci affascina e decidiamo di dormire quì. Il problema è che in città non ci sono alberghi alcuni sono nella cittadina vicina a qualche km. Dopo una lunga consultazioni co alcuni uomini del posto attenimo l’indirizzo del B&B Patty’s House. Vero B&B, dormiamo in una camera della famiglia che ci ospita. Altro problema è quello della cena, non ci sono trattorie ne pizzerie ne niente per mangiare, solo arancini ai bar!! Un ragazzo ci indica una pizzeria spedy-pizza take-way. Ceniamo con una una buona margherita mangiata su uno sgabello dentro la pizzeria in mezzo ai clienti che aspettavano la pizza da portare a casa.

3° giorno

Si parte per raggiungere Calascibetta. Prendiamo la SS 121 attraverso Regalbuto, Agira e Leonforte per arrivare a Calascibetta. La strada è panoramica col fondo sporco e rovinato, è oramai una costante delle strade di non grande traffico in Sicilia. Arrivati a Regalbuto una vigilessa ci sconsiglia assolutamente di percorrere il tratto fino ad Agire e ci indica la strada da percorrere, andare a Catenanuova e poi con l’autostrada raggiungere Enna. Arrivati a Catenanuova percorriamo la SS 192 che fiancheggia l’autostrada, una strada direi di campagna con mezzi agricoli tutta coperta di terra ma affascinante. Arrivati a Calascibetta saliamo fino al centro su per le ripide stradine, ci fa da guida col suo scooter uno dei medici condotti della città. Calascibetta è un comune della provincia di Enna, da cui dista solo 6 km, sospeso sui Monti Erei a circa 700 m d’altitudine con i suoi 4700 abitanti. Il borgo nasce nel 1602 per volontà del conte Ruggiero d’Altavilla, che qui fece erigere un castello fortificato che potesse essere sfruttato come base difensiva grazie anche alla favorevole posizione geografica. Questo ha conferito alla città un aspetto medievale, benché sia stata danneggiata gravemente dal terremoto del 1693 come molti alti centri della Sicilia orientale. Il santo patrono è san Pietro Apostolo, intestatario insieme alla Vergine Assunta della Chiesa Madre, il cui nucleo originario risale al XIV secolo. Data la veneranda età, l’edificio sacro ha subito vari rimaneggiamenti nel corso del tempo, al punto da alterarne l’aspetto originario: la facciata principale, ad esempio, presenta decorazioni risalenti al Cinquecento. Vari i tesori custoditi al suo interno: dal Coro ligneo finemente intagliato al fonte battesimale cinquecentesco, nonché un prezioso reliquario. Calascibetta è anche uno dei principali bacini archeologici della Sicilia centrale. Qui infatti gli uomini hanno vissuto da età molto antiche. Il sacro, la natura e l’antico s’incrociano in questa località della provincia ennese, il cui primo richiamo è proprio esercitato dalla suggestiva locazione, vero e proprio fondale scenografico di un centro tutto da scoprire. Visitiamo la Chiesa madre, ci prendiamo un caffè nella piazza centrale della città e vista l’insistenza della vigilessa saliamo in moto e ce ne andiamo verso Pergusa. La nostra destinazione è Aidone. Imbocchiamo la SS 561 e attraversiamo Pergusa poi prendiamo la SS 117bis verso Piazza Armerina. La strada e bella larga e dal fondo buono, in un attimo arriviamo all’incrocio per Aidone che prendiamo e raggiungiamo la città. Il nostro interesse è richiamato dagli scavi di Morgantina. Perocrrendo una strada stretta che si snoda attraverso la campagna arriviamo agli scavi. Gli unici visitatori sono stranieri. Gli scavi sono coperti dall’erba alta che deve essere tagliata dal Comune e non lo ha ancora fatto. Si perde con questo un certo fascino. Ripartiamo con l’obiettivo di raggiungere Licata per il pranzo. La strada ad alto scorrimento lo permette per cui in un ora siamo alla periferia di Gela che saltiamo percorrendo una strada secondaria con indicazione Licata percorso ciclistico. Alle 14.00 siamo a Licata e pranziamo al ristorante la Madia in pieno centro. Il pranzo è fantastico e restiamo a tavola fino alle 16,30 poi breve giro per la città, al porto e ci dirigiamo verso la Scala dei turchi ad Agrigento. Oltrepassiamo la valle dei templi, Agrigento, Porto Empedocle e seguendo le indicazioni turistiche arriviamo alla spiaggia attraverso la quale si raggiunge la famosissima Scala dei turchi. Il sole è basso e da dove arriviamo noi la scala e controluce per cui non ha lo splendore che ci aspettavamo ma appena iniziamo a salire la suggestiva parete rocciosa che si erge a picco sul mare, nota come Scala dei Turchi, allora risplende tutto il suo chiarore. Questo nome rimanda immediatamente al mare, poiché indica le passate incursioni dei pirati saraceni, genti di etnia araba e, pertanto, turca nell’immaginario collettivo. La Scala è costituita di marna, una roccia calcarea e argillosa la cui caratteristica principale è il colore bianco. Una volta raggiuntane la sommità, lo sguardo ha modo di spaziare sul bellissimo golfo agrigentino fino a Capo Rossello. Nonostante il numero di turisti che in alto numero la visita annualmente, la Scala dei turchi ha mantenuto un aspetto quasi selvaggio, dal profilo aspro e irregolare, ma non per questo sprovvisto di curve e linee dolci.

Così il suo profilo ondulato e scanalato, proprio a guisa di scala, la rende quasi unica nel suo genere, e viene spesso accostata ad un’altra tipologia costiera assai simile, ma di conformazione geologica differente: il sito di Pamukkale in Turchia, sede delle celebri cascate di sale.

Ci rimettiamo in marcia per raggiungere Sciacca e trovarvi un alloggio per la notte.

Arrivati a Sciacca siamo immarmellati nel traffico super caotico del centro per cui alla prima occasione scendiamo al porto. Chiedendo indicazioni ad alcuni abitanti ci viene indicato l’hotel Melqart un albergo nuovo e molto bello ma con di fronte un rudere di archeologia industriale (vecchio mulino Saccense). Troviamo una stanza utilizzando la raccomandazione del proprietario un simpatico imprenditore del posto che di lavoro vende il ghiaccio e tutti i surgelati. Appassionato di motori offre ai motociclisti un trattamento di favore. Assieme a noi alloggiano un gruppo di vespisti del Vespa Club di Agira. Non ceniamo visto il pranzo luculliano e dopo una passeggiata per il porto andiamo a nanna.

4° giorno

Da Sciacca partiamo per Menfi e Castelvetrano. Arriviamo a Menfi e le strade sono chiuse causa il mercato del sabato, dopo un po di deviazioni raggiungiamo il centro della città vecchia. Caffè passeggiata per il corso e si parte per Castelvetrano passando per Serralonga. Arriviamo a Castelvetrano, posteggiata la moto entriamo nel sistema delle piazze affollate di ragazzini. Castelvetrano è un piccolo comune in provincia di Trapani che si estende sulla costa sud occidentale dell’isola siciliana. Un paese tanto antico quanto affascinante che porta con sé i segni del passato più remoto ed orgoglioso lo mostra al mondo. Le origini di Castelvetrano si fanno risalire a quel periodo nel quale si avevano tutte le trasformazioni sociali in seguito alla dominazione normanna. La vera identità della città si definisce nel XIII secolo, nel 1299, quando Federico III concede questo terreno a Tomaso da Lentini dei Tagliavia.

È da quel momento che la storia della città di incrocia con quella dei Tagliavia che diventeranno una famiglia potente e prestigiosa e trasformeranno Castelvetrano nella patria principale dei loro feudi e delle loro baronie. A conferma del paese di Castelveterano c’è anche la costruzione della chiesa di San Gandolfo nel 1412 e cinquanta anni dopo sorse la chiesa di Santa Maria di Gesù.

Nella seconda metà del ‘400 la baronia entrò in possesso di Nino III Tagliavia che si stabilì con dimora fissa a Castelveterano la quale conobbe il massimo splendore sotto la sua guida. Tra la fine del Xv secolo e l’inizio del XVI ci fu una grandissima espansione tanto che nel 1522 Carlo V elevò Castelveterano a Contea e nel 1564 Filippo II a Principato. In questi anni si assistette anche all’edificazione delle chiese di San Domenico, del Carmine, della Madrice, di Santa Lucia e dell’Annunziata o Badia. Altro momento di grande splendore per questa città si ebbe sotto il dominio di Carlo d’Aragona un attivo protagonista della politica siciliana dell’epoca che apportò numerosi cambiamenti sociali: 1549 fece fondare il Monte di Pietà per assistere i poveri e bisognosi della città, tra il 1543 e il 1549 costituì la Compagnia dei Bianchi un oratorio all’interno della chiesa di Sant’Antonio Abate per la cura degli infermi, snellì l’amministrazione della città e diede inizio alla costruzione di opera idrica molto importante per l’epoca, completata solo nel 1615.

Molte sono le opere da ammirare sparse per la città di Castelvetrano.

Tra le architetture religiose più importanti: Chiesa Madre, Chiesa di San Domenico, Chiesa di San Giovanni Battista, Chiesa del Purgatorio, Chiesa degli Agonizzanti, Chiesa di Santo Antonio Abate, Chiesa di Santo Antonio da Padova, Convento dei Padri Cappuccini, Convento di San Francesco da Paola e la Chiesa della Trinità di Delia.

La Chiesa Madre si trova in Piazza Carlo d’Aragona, di fronte a Palazzo dei Principi Pignatelli. Fu costruita per volere del primo Conte di Castelvetrano, Giovan Vincenzo Tagliavia. Questa Chiesa fu costruita su tre chiese preesistenti, Matrice, la cappella di Santa Chiara e quella di San Giorgio. Fu ristrutturata tra il 1520 e il 1579 ed ha impianto basilicale con tre navate, transetto corto e presbiterio rialzato. Sul portale si possono ammirare degli arabeschi artigianali.

Le opere d’arte che si trovano all’interno di questa chiesa sono: il dipinto della Madonna col Bambino tra i SS. Crispino e Crispiniano (1573), il fonte battesimale con cappello ligneo (1610), la statua in marmo di scuola gaginesca raffigurante la Madonna del Giglio (1570), la tavola quattrocentesca della Madonna della Misericordia, il coro ligneo disegnato nel 1864 dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda ed eseguito dallo scultore palermitano Vincenzo Coco. La chiesa non mancò di subire influenze barocche tra il ‘600 e il ‘700. Di particolare interesse è anche il campanile, 1552, che si articola su cinque ordini.

La Chiesa di San Domenico fu eretta nel 1470. Fu la preferita dei signori locali, decorata con stucchi e affreschi. È uno degli esempi più significativi del manierismo siciliano che preannuncia il barocco. Facciata esterna semplice ed essenziale che contrasta fortemente con l’interno molto decorato. Molto pregiati sono il cappellone maggiore e la cappella del coro. Ammirabile è “l’Albero di Jesse” un completo di pregiate statue, al quale si affiancano il sarcofago marmoreo di Ferdinando Tagliavia e Aragona, l’autoritratto di Antonino Ferraro e il chiostro, oggi interamente restaurato e sede del Liceo Classico. A seguire la chiesa di San Giovanni Battista che è la più antica e sorge li dove un tempo nasceva il convento di San Domenico. Il cappellone maggiore ospita la statua in marmo di San Giovanni Battista.Continuando il giro tra le architetture religiose ci troviamo in Chiesa del Purgatorio, costruita tra il 1642 e il 1664 per volontà del Duca Diego D’Aragona. all’interno di trovano delle meravigliose decorazioni, una grande tela “Anime purganti” e la statua lignea di San Sebastiano. La facciata è stata eseguita sessanta anni dopo l’erezione della chiesa.

La chiesa di Sant’Antonio Abate si trova in piazza Nino Bixio e sulla facciata presenta un meraviglioso portale seicentesco sormontato da due campanili. All’interno vi è una sola navata con quattro altari e l’altare maggiore ospita una statua si Sant’Antonio del 1600.

A tre chilometri da Castelvetrano, immersa in un lussureggiante giardino, si trova una chiesetta medievale, la chiesa della Trinità di Delia. Prende il nome dal fiume che vi scorre a poche centinaia di metri e fu realizzata nel XII secolo dai normanni.

È in stile arabo – bizantino e rappresenta un unicum in Sicilia poiché è l’unica chiesa dell’isola a pianta centrale pervenuta integra sin ai giorni nostri. All’esterno si trovano tre absidi con tre porte ogivali attraverso le quali accedere alla chiesa (dalla porta centrale passavano le donne e da quelle laterali gli uomini secondo un rito greco di divisione dei sessi). Alla fine dello scorso secolo la chiesa è stata restaurata per conto della famiglia Saporito che ne fece il proprio sepolcro.

Ma a rendere bella questa città non ci soo solo le chiese ma anche numerosi palazzi tra i quali: Palazzo Quidera, Palazzo Melodia – La Rocca, Palazzo Piccione – Frangipane, Palazzo Pavone, Palazzo Venuti e Palazzo Signorelli.

La fontana più importante è Fontana della Ninfa che si trova in Piazza Umberto I. Fu realizzata nel 1615 da Orazio Nigrone per ricordare la realizzazione dell’acquedotto. È altra circa 10 metri e presenta quattro ordini di vasche. La vasca in cima reca la palma, stemma della città, con l’iscrizione “palmosa civica castrum veteranum” mentre nell’ultima vasca è posta una ninfa marmorea seduta su una rupe che porta in mano un’anfora dalla quale sgorga l’acqua che alimenta la fontana. Tra la prima e la seconda vasca si trova una lapide di marmo con il nome di Filippo III, reggente di Castelvetrano.

Ci rechiamo all’ufficio turistico ed una simpatica e disponibilissima signora ci spiega tutto e si presta ad accompagnarci in due chiese chiuse alle funzioni di cui l’ufficio ha la chiave. La città è davvero molto bella e ricca di un passato fastoso, adesso la disoccupazione giovanile è al massimo nazionale e vedere le opere d’arte abbandonate fa stringere il cuore. Pranziamo in un delizioso ristorante Gourmet con Melanzane alla parmigiana, caponata da urlo spaghetti alla norma e polpette al sugo, il tutto spendendo 28 euri. Ma è ora di partire per Partanna e Ghibellina. Arriviamo nella piazza centrale di Partanna in un attimo, prendiamo il caffè e conosciamo uno dei 5 imbianchini della città. Un tipo interessante che ci da informazioni e ci offre un immagine vera della popolazione del posto. Ci inoltriamo per la valle del Belice, attraversando S.Ninfa, arriviamo a Gibellina. Fondata su cinque colline, aveva uno stile arabo-medievale con viuzze strette, case povere e fatiscenti che, in occasione del terremoto nella notte tra il 14 e il 15 Gennaio1968, colpì la Valle del Belice, diedero luogo ad un’effetto valanga: le case in alto, crollando, abbatterono le altre più in basso, precipitando le une sulle altre. Una vera e propria catastrofe. A Gibellina Vecchia vi è il Grande Cretto di Alberto Burri, medico, soldato, prigioniero, pittore italiano tra i più famosi al mondo. Il villaggio è a circa venti chilometri a sud di Gibellina Nuova. La stradina testimonia la ruralità della Valle del Belice, fatta di colline, affluenti del Belice, terrazzamenti per le vigne e pale eoliche. Venti minuti e si arriva in una città desolata, che assieme ad altre quattro fu rasa al suolo dal terremoto del 15 gennaio 1968, uccidendo 234 gibellinesi. È una città fantasma: i ruderi delle case accompagnano il viaggiatore nel suo ingresso in città, mentre da lontano appare l’enorme struttura del Cretto, una colata di cemento che copre gli isolati del paesino aggrappato al monte, lasciando intatto il sistema viario. Camminarci significa perdersi in un paesaggio urbanistico surreale, in cui tutto è indistinto: lì dov’era la farmacia, il barbiere, il municipio o la torre de “Lu Turcu”, ora c’è un parallelepipedo in cemento. Il terremoto rende uguali per come distrugge senza distinzione, senza salvezza, e per come conduce alla desolazione. C’è silenzio, sembra di essere in un altro mondo da soli contemplare i resti del teatro, e i vigneti alle spalle. Un emozione enorme. Sulla strada furoi dal cimitero c’è una macchina con un uomo che fuma, mi fermo a chiedere la strada per raggiungere Gibellina nuova senza scendere a S.Ninfa, mi indica un viottolo apoche centinaia di metri e mi rassicura che anche lui la farà tra poco per cui se avessi bisogno mi raggiunge. La strada è tremenda ma bellissima, passiamo sotto eliche orribili e catapecchie crollate con una vista meravigliosa di verde e del mare in lontananza. Arriviamo quindi nella Gibellina nuova. Oggi Gibellina è una città nuova che ha saputo risorgere dalle macerie grazie all’impegno dell’allora sindaco Ludovico Corrao, intellettuale illuminato di sinistra e poi Senatore della Repubblica. Mentre lo Stato si mosse con lentezza, Corrao non restò a guardare chiedendo aiuto ai suoi amici pittori, architetti e poeti per ridisegnare la città. All’appello del sindaco risposero artisti del calibro di Alberto Burri, Mario Schifano, Franco Angeli, Andrea Cascella, Pietro Consagra, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Paladino e intellettuali come Leonardo Sciascia e molti altri, italiani e stranieri che impiegarono le loro energie per la ricostruzione. La nuova città fu tenuta a battesimo il 3 Giugno 1979 con una cerimonia che si svolse tra i ruderi del paese vecchio, con la rappresentazione dell’Orestiade di Eschilo reinventata dal poeta e artista siciliano Emilio Isgrò. Gibellina fu costruita seguendo un’idea molto particolare: rendere la città una sorta di museo permanente con sculture disseminate per le vie ed edifici che divenissero essi stessi opere d’arte.

Il paese si raggiunge uscendo allo svincolo per Salemi dell’autostrada A29 Palermo-Mazara del Vallo e passando sotto la “Porta del Belice”, cioè sotto la stella in acciaio di Pietro Consagra, alta 24 metri. La nuova città è sorta secondo criteri moderni ispirati all’architettura postmoderna e concettuale. Ha pianta ellittica e centrifuga, nessun centro aggregante dove convergono le strade. Queste ultime sono lunghe e larghe, ottime vie di fuga in caso di necessità, le case, tutte nuove, ordinate, molte firmate dai grandi dell’architettura moderna. Sicuramente per gli abitanti più anziani, il cambio di stile non deve essere stato facile da digerire. Ogni strada inoltre, porta il nome di un personaggio siciliano, arabo o nordafricano che testimonia la volontà di recuperare l’identità isolana e mediterranea. Gibellina per anni è stata un laboratorio artistico a cielo aperto dove sono arrivati geni dell’arte italiana e mondiale. Tra gli edifici da visitare ricordiamo la “Chiesa sferica” di Ludovico Quaroni; il “Giardino Segreto” di Francesco Venezia che racchiude la facciata della cattedrale terremotata; “Meeting”, la scultura-edificio polivalente di Pietro Consagra; il “Sistema delle piazze” (cinque per l’esattezza collegate tra loro) di Laura Thermes e Franco Purini; il “Municipio” di Vittorio Gregotti e Giuseppe Samonà. Da vedere inoltre, il Museo Civico che ospita una delle poche collezioni d’arte contemporanea della Sicilia. Decine le opere, di artisti come Mario Schifano, Mimmo Rotella, Salavatore Fiume, Lucio Fontana, Corpora, Turcato, Carla Accardi, Franco Angeli, che hanno come denominatore comune Gibellina, il terremoto,la ricostruzione. Giriamo con la moto per la città ed è strano vedere queste costruzioni così diverse dall’urbanistica siciliana abitate da personaggi che sembrano sul set di un film. Incontriamo un tipo strano che gira con una macchina vecchia tutta piena di tutto che ci urla dal finestrino “siete venuti nella città dell’utopia” come non dargli ragione!

Lasciamo Gibellina e ci dirigiamo verso Salemi, ma la città ci delude profondamente e proseguiamo per Calatafini. Dalla strada che da Trapani porta a Calatafimi si vede in cima al colle il famoso Monumento Ossario eretto nel 1892, su progetto del grande architetto Ernesto Basile, in memoria dei caduti garibaldini durante la guerra contro i Borboni. L’obelisco è alto trenta metri, ha una base quadrata sulla quale si apre l’ingresso mentre sulle pareti laterali sono applicati due rilievi bronzei di Giovan Battista Tassara che raffigurano Lo sbarco dei Mille a Marsala e La battaglia di Calatafimi. Il monumento, inaugurato in occasione del 32° anniversario della battaglia del 15 maggio 1860, accoglie i resti dei soldati garibaldini e borbonici. Qui Garibaldi, rivolse al generale Nino Bixio la celebre frase “Bixio, qui si fa l’Italia o si muore!”. Dopo un breve consulto con un ragazzo ad un bivio decidiamo di passare la notte ad Alcamo. Arriviamo alle porte d’Alcamo e ci fermiamo a chiedere informazioni ad un ragazzo che sta inforcando una bella BMW R1200R, subito si presta a d accompagnarci all’hotel. Corre come un pazzo su per le stradine che si inerpicano fino al centro, in pochi minuti ci porta davanti all’ingresso dell’Hotel Centrale. Fermata l’ultima camera, rinfrescati e profumati scendiamo in strada. La città brulica di abitanti nella sera del sabato i negozi sono oramai in chiusura ma nella piazza c’è una manifestazione di degustazione vino delle cantine Trapanesi e di prodotti locali. Subito ci tuffiamo negli stand a conoscere i proprietari ed i responsabili delle cantine più importanti della zona. Una bella manifestazione che si protrae fino a tarda notte. A cena andiamo in un locale consigliatoci da tutti ed infatti tutti sono li. Ci sediamo alle 22 e ci troviamo immersi nel più caotico e rumoroso locale che abbia mai frequentato un vero delirio di urla di bambini e toni altissimi degli adulti. Pizza buona, birra banale, dolce interessante.

5° giorno

La mattina si parte per San Vito Lo Capo, il cielo non è splendente un poco di foschia. Seguendo la segnaletica ovviamente non ci fa fare la strada che volevo ma ci porta sulla litoranea attraverso Castellamare del Golfo (un delirio) anche se la strada offre un panorama meraviglioso sul golfo. Imbocchiamo la SS 187 e con un bel giro largo arriviamo a San Vito lo capo. Impatto tremendo, un delirio di persone, uttti questo ponte sono a San Vito. Ingresso alla città chiuso parcheggio introvabile. Le moto possono parcheggiare solo nei pochi stalli riservati e fortunatamente gratuiti. Mentre Laura cerca l’albergo io aspetto di fianco alla moto in uno dei pochi varchi. La signora assistente al traffico non riesce a gestire tutto l’andirivieni di chi vuole entrare ma non ha il passi di chi esce e consegna il passi e così via. Troviamo un hotel nella zona pedonale con bellissima terrazza sul mare con lettini e ombrellone (costosissimo). Scarichiamo i bagagli posteggio la moto fuori zona pedonale, ci mettiamo in costume, ci sdraiamo sui lettini. Passata manco un ora si alza un vento gelido il cielo si copre e la nostra esposizione al sole termina, il nostro terrazzo diventa un frigorifero e siamo costretti a riparare nella stanza. Decidiamo di fare due passi nella cittadina. Ovviamente tutte le persone erano li ad impedirti il passeggio. In questi giorni di festa ovviamente un bel mercatino di cianfrusaglie e prodotti tipici che non sai da dove saltino fuori non può mancare e infatti… Troviamo il ristorante in cui cenare e prenotiamo un tavolo per le 21,30. Ala Jakaranda ceniamo bene ottimo servizio, ottimo locale e buono il menù. Il costo è rapportato al locale e a posto turistico in cui siamo.

6° giorno

Inizia il ritorno. La mattina si presenta brutta brutta, quello che doveva essere una giornata al sole diventa il posto da abbandonare al più presto. La spiaggia è vuota spira un forte vento gelido, non è stagione da mare. Partiamo per Palermo sulla SS 187. Attraversiamo di nuovo Castellamare del golfo, S.Cataldo, Terrasini, Cinisi, Isola delle femmine per arrivare a Mondello. Qui il tempo è migliore, riparato da Punta Raisi. Si è fatta l’ora del pranzo che consumiamo in un ristorante sulla piazzetta. I piatti sono buoni non eccezionali, trascorriamo un paio d’ore di serenità in uno dei luoghi preferiti dai palermitani. Ci rimettiamo in moto e raggiungiamo Palermo. Ci fermiamo in piazza Politeama al caffè Spinnato dove oltre al caffè degustiamo il gelo di melone e la cassatina. Due passi per il centro ed è l’ora di imbarcarci. Al molo conosciamo Gabriele un coraggioso e simpatico tedesco di Monaco che si imbarca con la bicicletta. Il suo viaggio è iniziato 2 mesi fa dal Brennero e si conclude quì in Sicilia. Domani a Napoli prenderà il treno per Roma e la notte sempre in treno arriverà in Bavierà. Mi confida che per lui è la prima volta che fa un viaggio in nave sul mare e che a 72 anni è una bella esperienza. Fotografa il sole al tramonto dalla nave, dice che sembra un fuoco che brucia Palermo.

7° giorno

A Napoli termina anche il nostro viaggio. Abbiamo percorso circa 1500 km, abbiamo preso pioggia, vento, tanto freddo per la stagione e giornate di sole splendido. Abbiamo visto scenari e panorami incantevoli di una Sicilia a noi ancora sconosciuta. Le Madonie con la sua vegetazione primaverile l’Etna con le pendici coperte di lava grigia e tumultuosa come un mare nero in burrasca, ma verdi di vigne e pistacchi. Insomma, un viaggio che ne valeva la pena.



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