Mongolia

Cari Turisti per Caso, oggi vi presentiamo una meta insolita: venite con noi in Mongolia! Syusy c'è stata l'anno scorso, è tornata a casa entusiasta, con una tenda nomade (la yurta) e tanta voglia di far conoscere a tutti questo paese e le sue tradizioni. Le abbiamo chiesto il perché di questa attrazione fatale, ci ha risposto: “Come...
Scritto da: Redazione TPC
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Cari Turisti per Caso, oggi vi presentiamo una meta insolita: venite con noi in Mongolia! Syusy c’è stata l’anno scorso, è tornata a casa entusiasta, con una tenda nomade (la yurta) e tanta voglia di far conoscere a tutti questo paese e le sue tradizioni.

Le abbiamo chiesto il perché di questa attrazione fatale, ci ha risposto: “Come tutti i deserti, quello mongolo è scarsamente popolato. Oggi trovare un territorio con la stessa caratteristica diventa sempre più un’impresa ardimentosa! Lo spazio, questo è l’aspetto che amo di più della Mongolia…” Complessa e affascinante, la Mongolia, infatti, è grande cinque volte l’Italia e ha una popolazione cinquanta volte inferiore alla nostra. Le caratteristiche morfologiche e meteorologiche rendono piuttosto ardui gli insediamenti sul territorio mongolo: circa un terzo della popolazione è concentrata nella capitale Ulaanbaatar. Confina a nord con l’ ex Unione Sovietica e a sud con la Cina. Al suo interno ha quattro zone geografiche distinte: a ovest i monti dell’Altai, dove vive lo straordinario leopardo delle nevi; a nord il territorio della taiga, con grandi laghi e foreste di conifere, dove si incontrano lupi, orsi, volpi, daini, cinghiali e zibellini; dal centro a est si estendono le steppe e la regione degli altopiani, dove le marmotte sono onnipresenti; a sud il deserto del Gobi, caratterizzato dalla presenza dei cammelli selvatici. Numerose le specie di uccelli, soprattutto enormi rapaci, e di pesci, come salmoni, storioni e trote. La cima più alta è il Tavanbogd, poco più basso del Monte Bianco, il fiume più lungo il Selenga (615 chilometri), poco meno del Po, che affluisce nel lago Baikal. Il lago più vasto è l’Uvs Nuur, dieci volte il lago di Garda, ma nella stessa regione settentrionale si stende anche il meraviglioso lago Huvsgol Nuur, il più frequentato anche dal punto di vista turistico dell’Asia centrale.

Le città, distanti centinaia di chilometri le une dalle altre, si assomigliano un po’ tutte nell’urbanistica: hanno un piccolo museo, un minuscolo monastero, una piazza centrale, qualche edificio ed una baraccopoli intorno. Almeno la metà dei due milioni e mezzo di abitanti, infatti, vive nelle zone rurali allevando bestiame. Amano definirsi “il popolo dei cinque animali”: pecora, capra, bue (o yak), cavallo e cammello sono la loro ricchezza. Il sostentamento di un popolo nomade dipende in gran parte da questi animali che, oltre ad essere mezzi di trasporto, danno latte, carne, pelli, lana e combustibile. I bimbi imparano a cavalcare quasi ancor prima di camminare. Il cavallo è più piccolo di quelli che siamo abituati a vedere, ma ben più forte. Il mongolo è nomade fin nel cuore, è nomade nell’anima e non può adattarsi a vivere rinchiuso nelle città perché il mondo è la sua città, la pianura è la sua casa. Altro elemento in sintonia con lo spirito libero di Syusy! Nel dopoguerra i russi tentarono di trasformare la Mongolia in un paese industrializzato: in cambio di rame, grano o frumento, impiantarono fattorie e costruirono città. Questa trasformazione si accelerò nel 1962 quando la Mongolia divenne membro del CMEA (“Communist bloc’s Council for Mutual Economic Assistance”) e altri paesi membri installarono qui nuove industrie ricevendo, in pagamento, i prodotti finiti. Ma dagli inizi degli anni Novanta, con la caduta dell’Unione Sovietica, sono cessati i supporti esterni, gli scambi e gli aiuti economici, ogni cosa adesso sta lentamente morendo. ^Come l’industrializzazione avrebbe dovuto soppiantare il nomadismo, così il comunismo avrebbe dovuto spazzare via il buddismo, ma non è accaduto del tutto: il Gandan Khiid è tuttora uno dei più grandi ed importanti monasteri della Mongolia, dove ogni giorno si tengono suggestive cerimonie. Nei monasteri i bimbi-monaci siedono ancora in file parallele, faccia a faccia seguono le preghiere come in un gioco e, stonati, suonano le loro conchiglie, le campanelle e battono il gong. Una volta all’anno, verso la metà di luglio e per tre giorni, ovunque nel paese si tiene lo spettacolare Nadaam Festival, il più grande evento dell’anno dedicato ai tre sport più amati: la lotta, il tiro con l’arco e la corsa dei cavalli. Alla lotta possono partecipare solo i maschi. L’onore al vincitore sarà la lentissima danza dell’aquila. Le principali località sono, ovviamente, la pittoresca capitale Ulaanbaatar, costruita sulle sponde del Tul Gol e circondata dalle montagne. Anche se il centro cittadino è fatto di palazzi costruiti dai Sovietici a partire dagli anni ’30, l’atmosfera resta tranquilla e rilassata. Caratteristici i sobborghi, dove le persone vivono nei tradizionali gher, le yurte in feltro di forma circolare, indossando gli abiti tradizionali. L’aspetto è quello di una città europea degli anni ’50, ma è comunque in continua trasformazione. A differenza di altre città russe ed europee ha poco di vecchio e glorioso, proprio a causa degli sventramenti sovietici che, tra il resto, hanno distrutto anche la maggior parte dei monasteri e dei templi. Qui si trovano il Museo di Storia naturale, dove sono esposti i resti dei dinosauri ritrovati negli anni ’20 nel deserto del Gobi; il Museo Nazionale di Storia Mongola, dedicato agli oggetti e costumi tradizionali; il Palazzo d’Inverno di Bogd Khaan, che presenta una vasta collezione di animali imbalsamati, dipinti su stoffa e costumi. Spostandosi tra le Province, in quella di Selenge c’è il Monastero Amarbayasgalant, secondo monastero per importanza della Mongolia e complesso architettonico meglio conservato del Paese. Costruito tra il 1727 e il 1737 in stile cinese, fu dedicato al grande scultore buddista mongolo Zanabazar, il cui corpo venne portato qui nel 1779. Attualmente è abitato da circa 50 monaci, è possibile visitare alcune sale e salire sui tetti dai quali si può ammirare uno splendido panorama sulla vallata. Per esplorare il cuore agricolo del paese bisogna raggiungere la Provincia di Bulgan, il piccolo capoluogo di provincia si trova tra foreste verdi (a nord) e aride praterie (a sud). Tra le due zone ci sono 50.000 ettari di terra coltivata a frumento e ortaggi. Se si punta, invece, a un impatto naturale estasiante, ci si può addentrare nelle fitte pinete e nei prati rigogliosi con cavalli e yak al pascolo, circondati da montagne alte 2000 metri o più, per scorgere, quindi, il famosissimo Lago Hövsgöl, 2760 kmq di acqua pura e cristallina. Il lago di Hövsgöl Nuur è il luogo più interessante della Mongolia dal punto di vista naturalistico: è il lago più profondo dell’Asia Centrale (262 m), contiene il 2% dell’acqua dolce mondiale, conta 96 immissari ed un solo emissario. Eccezionalmente ricco di pesci, fà parte del Parco Nazionale del Hövsgöl Nuur (istituito nel 1992). Nei dintorni del lago si trovano molte grotte, ma per trovarle ci vogliono tempo e fortuna per quanto si nascondono tra la fitta vegetazione… Meglio chiedere aiuto a una guida! Nel territorio del Parco si possono svolgere diverse attività in armonia con l’ambiente: trekking, pesca, nuoto, passeggiate a cavallo e birdwatching.

^La regione è abitata da tre popoli diversi, chiamati Darkhad, Buratti e Tsaatan. I Tsaatan in particolare vivono in piccoli accampamenti chiamati “ail” costituiti da tende realizzate con pelle di renna: sono una popolazione tipicamente nomade che in genere si sposta ogni due o tre settimane alla ricerca di pascoli per le renne. Come altre popolazioni mongole praticano lo sciamanesimo, culto dominante già all’epoca di Gengis Khan. Il simbolo più evidente dello sciamanesimo nel paese è l’ “ovoo”, un cumulo di pietra, legna ed oggetti eretto in cima alle colline o sui valichi montani. Si tratta di una sorta di offerta agli dei, e come tale ci si deve avvicinare con un particolare rispetto. Nelle vicinanze di questi cumuli è proibito cacciare, tagliare legna e scavare: in genere quando si incontra un “ovoo” nella strada, si gira intorno ad esso tre volte in senso orario, si esprime un desiderio e si lascia un’offerta (denaro, oggetti, pietre). Ricordatelo se ne incontrate uno lungo il vostro cammino. Con un po’ di fortuna è possibile assistere ai riti celebrati dai monaci che si tengono presso gli “ovoo”. Nella regione Bayan-Ölgii, è possibile, poi, incontrare i cacciatori kazaki, originari dell’Asia Centrale, con le aquile. E’ una tradizione kazaka vecchia di 2000 anni, ricordata anche da Marco Polo nei suoi “Viaggi”. La caccia si svolge in novembre e dicembre e vengono quasi sempre utilizzate aquile femmine, più grosse e più aggressive dei maschi. Le aquile, che possiedono una vista otto volte superiore a quella degli uomini, vengono addestrate per catturare marmotte, piccole volpi e lupi e a riportare la preda al cacciatore. Parte della carne viene data alle aquile come ricompensa.

Ora parliamo di arte. Il discorso è complesso, perché da una parte è difficile distinguere le forme espressive autoctone, dall’altra le documentazioni dell’attività artistica sono finora poco studiate. Uno degli aspetti più significativi nella vita e nella tradizione dei mongoli è sicuramente l’intima simbiosi con la musica: sin dalle origini, il canto è sempre stato considerato dai Mongoli come uno strumento di comunicazione, una forma importante di linguaggio, un mezzo d’espressione a disposizione di tutti, e così pure gli strumenti, al pari della voce, sono intesi in senso figurato come mezzi di trasporto. Tutti devono poter dimostrare, specie nelle feste, di saper cantare o suonare, pena un rimprovero o una punizione. Tra le varie forme di canzone, intese nel senso più ampio di musica cantata, possiamo distinguere tre generi fondamentali, ciascuno con caratteristiche differenti: il genere epico, la canzone vera e propria e quelle che, più che canzoni, definiremmo come “tecniche vocali particolari”. Gli strumenti e le voci sembrano voler rispettare il silenzio della spiritualità e si fondono con gli elementi esterni, creando un’armonia magica. Le principali espressioni musicali della tradizione mongola sono l’uurtyn duu, canzone lunga, accompagnata dal morin huur, uno strumento a corda di crine di cavallo e l’hoomy, il canto di gola, con cui vengono imitati i suoni della natura. Discorso simile per quanto riguarda la produzione cinematografica: solo negli ultimissimi anni il cinema locale ha prodotto pellicole di rilievo internazionale, grazie alla regista Byambasuren Davaa, che ha reso celebre la vita nella steppa mongola grazie a due film-documentario, “La storia dei cammello che piange” (candidato all’Oscar come miglior film documentario nel 2005) e “Il cane giallo della Mongolia” (2006), entrambi di produzione tedesca. Una delle pellicole più poetiche ed emozionanti ispirate dalla Mongolia, da noleggiare e vedere prima di partire, è “Io e il vento” (titolo originale “Une histoire de vent”, Francia 1988), un vero testamento artistico del regista olandese Joris Ivens (1898-1989). E’ un documentario intimo e silenzioso, girato nel deserto del Gobi dove l’anziano regista cerca di “catturare” il vento.

Queste notizie non vogliono essere una guida esaustiva, ma un piccolo prontuario alla scoperta della Mongolia, che concludiamo con alcune informazioni pratiche riguardanti la documentazione necessaria per l’accesso al paese tratte dal sito del Ministero degli Esteri “Viaggiare Sicuri”.

Il passaporto è necessario e con validità residua di almeno sei mesi, anche il visto è obbligatorio e viene richiesto pure per il solo transito. Per ottenere il visto e per eventuali ulteriori informazioni, ci si può rivolgere al Consolato. Secondo una recente normativa, qualora il soggiorno si prolunghi oltre 7 giorni dall’arrivo, gli stranieri sono tenuti a registrarsi (pagando circa 12$) presso l’Immigration, Naturalization and Foreign Citizens Bureau (in mongolo questo Ufficio è chiamato “EBMONT Erigni Burtghel Medelin Tuv”), nel dipartimento di Polizia di Zuun Ail, a Ulanbaatar. Registrazione da cancellare sempre lì al momento della partenza. I visitatori possono entrare in Mongolia esclusivamente per via aerea o in treno, l’entrata in territorio mongolo con qualunque altro mezzo è proibita, a meno di ottenere un’apposita autorizzazione da richiedere preventivamente alle autorità diplomatiche del Paese presenti all’estero. Comunque in loco trovate degli uffici diplomatici/consolari italiani, l’Ambasciata d’Italia a Pechino è competente per il Paese. Per il principio di reciprocità poi, i cittadini italiani possono ottenere assistenza presso le Ambasciate di altri paesi dell’Unione Europea: a Ulaanbaatar rivolgetevi a quella tedesca. La moneta corrente è il Tughrik, che vale al cambio attuale 0,0007 € e 0,0009 $. I dollari statunitensi sono la valuta straniera preferita, talvolta accettati anche nei negozi della capitale. Ricordate che le carte di credito hanno una diffusione molto limitata (ai grandi alberghi e alcuni ristoranti e negozi), ma sono quasi del tutto sconosciute al di fuori della capitale.

Il periodo migliore per visitare la Mongolia è da maggio a settembre, sono proponibili dei soggiorni anche nei mesi invernali ma in questo caso, soprattutto per via del clima, i soggiorni possono essere fatti solo nei campi provvisti di hotel. Normalmente nei campi turistici si soggiorna nelle yurte, le tipiche tende dei nomadi. Per sapere come sono fatte leggete le spiegazioni architettonico concettuali di Syusy, che ne ha portata addirittura una a casa, desiderosa di condividere l’idea di un’abitazione ecocompatibile.

Buon Viaggio a tutti! Letizia Melchiorre Redazione Turistipercaso.It



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