Messico 16

Se normalmente, come si dice, il buongiorno si vede dal mattino, in Messico il benvenuto te lo danno col bottoncino. Si tratta di un bottone rosso che, appena sbarcati all'aereoporto, ti tocca schiacciare prima di passare la dogana. Se si accende una luce verde passi senza problemi, se si accende una luce rossa ti tocca...

Scritto da: Redazione TPC
messico 16

Se normalmente, come si dice, il buongiorno si vede dal mattino, in Messico il benvenuto te lo danno col bottoncino. Si tratta di un bottone rosso che, appena sbarcati all’aereoporto, ti tocca schiacciare prima di passare la dogana. Se si accende una luce verde passi senza problemi, se si accende una luce rossa ti tocca una accurata perquisizione dei bagagli. Ovviamente a noi è capitata la luce rossa. Quando il doganiere ha saputo che eravamo italiani ci ha subito chiesto se portavamo con noi dei salami. Salami? Ma perchè i salami? Avremmo capito se “italiano”, nell’immaginario del poliziotto messicano, avesse fatto rima con il parmigiano-reggiano, oppure col panforte toscano o col tonno siciliano… Ma il salame… Morale: ci ha disfatto tutti i bagagli alla ricerca del misterioso salame e, non avendolo trovato, è rimasto molto deluso. Abbiamo poi saputo, da altri turisti italiani, che anche a loro era stata fatta la stessa pressante e curiosa richiesta. Chissà perchè. Ma la prima regola, in Messico, è di non chiedersi troppi perchè. In Messico bisogna andarci belli tranquilli: chi è troppo logico, troppo organizzato, troppo rigido e iroso è meglio che, prima di partire, si faccia fare una bella psicoterapia d’urto.

Noi, all’uopo, ci eravamo letti tutti i libri sul Messico del nostro amico Pino Cacucci (“Camminando”, “La Polvere del Messico”, “San Isidro Futbol”, “Puerto Escondido” ecc) nonchè qualche libro di Paco Ignazio Taibo II (“La bicicletta di Leonardo”, per esempio), che ci avevano ben introdotto allo “spirito messicano”. Per cui ci siamo accontentati di uscire vivi e liberi dalla perquisizione, senza porci troppe domande, e ci siamo trovati, con tutti i bagagli mezzi sfatti, in fila per il taxi. La fila era mostruosa. Per di più non avevamo acquistato il biglietto del taxi medesimo, che si comperava in un chiosco cento metri prima, dove c’era un’altra fila raccapricciante… Panico. Crisi. Poi però la Santa Virgen di Guadalupe deve esserci venuta in soccorso perchè, in pochissimi minuti, le file si sono risolte e, in un turbinio di disordine organizzatissimo, ci siamo trovati caricati su un taxi lanciato nel mezzo del traffico della Metropoli più grande del mondo, a discutere con l’autista in merito all’indirizzo perchè a Città del Messico (che loro chiamano semplicemente Messico o De Efe, che sta per Distretto Federale) ci sono almeno tre o quattro vie per ogni nome di eroe della rivoluzione, quindi se vuoi arrivare a destinazione devi sapere anche il Quartiere, la latitudine e la longitudine del tuo obiettivo. Per fortuna quasi tutti gli Alberghi per turisti stranieri stanno nella Zona Rosa, per cui alla fine ci siamo capiti.

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La prima cosa che tutti dicono di sentire a Messico è la puzza. Così come Bologna ha fama di essere la città più vivibile d’Italia e una delle più tranquille del mondo, Messico ha fama di essere la più inquinata. Effettivamente, se uno inspira profondamente quella miscela di smog, puzza di fritto e ossigeno rarefatto d’alta quota che compone l’aria di Mexico, all’inizio rimane un po’ sconcertato, ma non più di tanto. Infatti, negli ultimi anni, mentre Bologna adagiata sua buona fama diventava sempre più caotica, Messico, 40 volte più grande, correva ai ripari. E così nel De Efe l’ottanta per cento dei taxi sono Maggiolini Wolkswagen ecologici dipinti di verde e la maggior parte delle auto private è a gas: quindi, tranquillizzatevi, qui non si rischia l’asfissia da smog più di quanto si rischi nelle nostre città. E il traffico è una impetuosa massa in caotico movimento che, però, trova il modo di scorrere senza intoppi nelle strade larghe, in un flusso che un grande messicano come Octavio Paz definisce “il fiume che Mexico non ha più”.

Comunque, per esorcizzare quel senso di panico che invariabilmente incutono le grandi città sconosciute, noi abbiamo un sistema infallibile, sperimentato fin dal nostro primo viaggio a New York: consiste nello sfruttare il fuso orario – che almeno nei primi giorni ti fa sballare tutti gli orari – per visitarle all’alba, quando ancora sono addormentate e fanno meno paura. Noi, la prima mattina dopo il nostro arrivo, ci siamo alzati alle 5 per andare a vedere l’alzabandiera allo Zocalo, la Piazza Principale. A quell’ora le dimensioni spropositate della piazza (una delle più grandi del mondo, dopo Tien An Men e la Piazza di Carpi) facevano davvero impressione. C’era un gran senso di vuoto e la buia facciata della Cattedrale sembrava un fantasma incombente. L’unica roba viva che si muoveva era un signore che girava attorno imbracciando una bandiera messicana. Che fosse quello l’alzabandiera? Ma improvvisamente s’è sentito uno squillo di tromba e le Porte del Palazzo Nazionale si sono socchiuse, lasciando uscire un drappello di soldati che hanno provveduto a fermare il traffico e a bloccare la strada (anche se, a ben guardare, il traffico non c’era e la strada era deserta). A quel punto è uscito uno squadrone in assetto da parata guerresca che si è dislocato in piazza secondo un disegno geometrico – che forse avrà avuto una sua logica soltanto se visto dal cielo, come le figure peruviane di Natzca.

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Quindi, al suono della banda che con il suo strepito marziale riempiva tutta la piazza fin dentro ai portici in fondo, hanno cominciato a marciare una trentina di militari in fila indiana che, tutti assieme, sorreggevano uno scampolo enorme di stoffa piegata: era la bandiera, ovviamente la più grande del mondo, che di lì a poco, dopo un cerimoniale complicato, avrebbe garrito al vento, issata sul pennone con la forza di un motore elettrico, perchè a braccia ci sarebbe voluto un’intero battaglione. Tutto questo po’ po’ di spettacolo ad uso di due turisti mattinieri (noi stessi), del signore con la bandierina e di uno spazzino distratto. Eppure abbiamo avuto la percezione di non aver assistito ad un gesto futile: si trattava di un’azione simbolica. E i simboli, in Messico, contano più che da noi. Più tardi, per esempio, abbiamo scoperto che il signore con la bandierina, per protestare contro l’esclusione dalle Elezioni Municipali del suo candidato preferito, stava facendo una sua manifestazione ad oltranza. Anche per lui si trattava di un fatto simbolico. Dopo che l’ultimo militare era rientrato c’è stato un momento – un momento solo – di sospensione, in cui la Piazza è tornata silenziosa: poi, come per incanto, in pochi attimi è scoppiato il bailamme, col traffico che ha cominciato a ingrossarsi, coi poliziotti in tenuta anti-sommossa che si sono schierati proprio davanti ad una bancarella di Zapatisti del Sub Comandante Marcos che manifestavano a favore della guerriglia in Chiapas, di fianco ai muratori o idraulici o elettricisti disoccupati che ogni giorno si mettono in fila per affrirsi al primo ingaggio, dietro ai ciclisti guidatori di risciò pronti a far fare ai turisti il giro del Centro Storico in cambio di qualche peso. Prima abbiamo preso un caffè da un ambulante che ce lo ha mescolato con l’acqua calda pompata direttamente da un serbatoio che portava sulle spalle, uno di quei contenitori di ferro che usano i nostri contadini per dare il verderame alla vite. Poi, con più calma, siamo andati al Cafè El Popular, all’angolo con la 5 de Mayo, aperto tutta notte, dove i tiratardi di Messico (che sono tanti) fanno un salto prima di andare a letto, a giorno fatto.

Città del Messico sarà anche enorme, ma dallo Zocalo ci si può muovere a piedi e si trovano un sacco di cose da vedere. Per esempio noi, proseguendo per la strada del cafè Popular, prima siamo entrati in una specie di Frulleria dove servivano mega-frappè con la frutta esotica più incredibile, compresa una specie di Coca Cola autarchica fatta con la salsapariglia (la verdura dei puffi!), poi siamo capitati in una Piazza con un’enorme costruzione tardo-ottocentesca, una via di mezzo tra la Basilica di San Marco e l’Altare della Patria. Era il Palazzo di Bellas Arte. Da fuori non è un granché, con tutti i suoi marmi e i suoi svolazzi, dentro invece ha tutta l’eleganza del Decò e soprattutto ospita i mega-quadri di Diego Rivera e degli altri grandi muralisti messicani che hanno la drammaticità degli affreschi della Cappella Sistina e l’immediatezza di un fumetto, una cosa da vedere assolutamente! Proseguendo ancora oltre, facendo un largo giro per tornare verso lo Zocalo, siamo invece finiti in una piazzetta dove, in bell’ordine, stavano una serie di banchi con dei dattilografi-scrivani-tipografi che, a pagamento, compilavano lettere commerciali, fatture, biglietti di auguri o di condoglianze. Poi abbiamo seguito un gruppo di turisti che entravano compatti e compunti alle Poste Centrali. Per fare che? Forse per spedire cartoline? No, il fatto è che le Poste stanno in un edificio liberty, tutto di marmo e ferro battuto (fatto in Italia), molto interessante. Messico é così: c’è tutto da vedere e non c’è nulla da vedere, è un enorme metropoli policentrica che contiene tutto e il contrario di tutto. E che dire delle meteoriti (due pezzettoni enormi di metallo) conservate in un museo ricavato dentro un portone di fianco alle Poste? Già che eravamo in zona siamo poi andati a vedere una cosa importante, citata anche sulle Guide: il Monte di Pietà.

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In Messico, per capire come va l’economia, non serve consultare il listino della Borsa, meglio misurare quanto è lunga la coda al banco dei Pegni: fila lunga vuol dire crisi profonda. (E a noi, effettivamente, è sembrata molto lunga…). Non ci vanno però soltanto i poveracci: quella di impegnare un oggetto per colmare un debito o pagarsi una vacanza è un’abitudine molto interclassista, per cui si vedono facce di tutti i tipi. Evitate comunque di fare foto: in questo caso la gente si offende. Se nel frattempo si è fatto tardi e vi è venuta fame potete, con quattro passi, arrivare fino alla Cantina La Opera, dove Pancho Villa entrò a cavallo sparando in aria (c’è ancora conservato il foro della pallottola). In Messico la cantina è un luogo culturalmente, sociologicamente, storicamente e gastronomicamente importante: sta a metà fra il Ristorante e il Caffè, caffé che è comunque chantant perchè la musica dei marriaci non manca mai. Ci sono cantine di tutti i tipi e per tutte le tasche: la Opera è la più antica e una delle più famose e lussuose. Ci si siede tra specchi, lampade e legni pregiati di un secolo fa e già ci si sente scorrere nel sangue la tequila reposada (cioè invecchiata), che va bevuta assieme alla sangrita (un miscuglio micidiale per lo stomaco, composto da succo di pomodoro, limone, worcester, tabasco e pepe).

Prima di tutto, comunque, ti servono dei piattini che contengono quelle che loro chiamano botanas, da noi volgarmente chiamate putanas, perchè si tratta assaggini di cibo meretricio che serve ad adescare il cliente al bere: si va dalle noccioline ai grilli fritti, il tutto esageratamente salato. In effetti la cucina messicana è come quei tipi dal carattere difficile che vanno presi con le molle: può riservarti aspetti molto gradevoli ma poi, se ti distrai un attimo, ti ammazza con un boccone esplosivo. A noi è capitato di ordinare delle semplici “uova alla messicana” e ci siamo visti arrivare un miscuglio indigesto di peperoncino, fagioli e cipolla con rare tracce di uova. Meglio ripiegare sulle costaditas (da noi ribattezzate scottaditas), che sono tortillas-tostate. Oppure su un taco, una specie di piadina ripiena che vendono anche per strada, che assomiglia a quel che i romagnoli chiamano crescione. Attenti però che non ve lo facciano con troppo cactus tagliato a fettine: punge come se avesse ancora attaccate le spine!

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I percorsi e le attrazioni da non perdere a Città del Messico (pardon: De Efe) sono tanti: non potete non andare, per esempio, al Museo Nacional de Antropologìa y Istoria dove si tocca con mano il mistero che ancora avvolge il Messico pre-ispanico, così come non potete fare a meno di salire sulle Piramidi Maya. E fin qui è quello che vi diranno tutti. Qualcuno invece potrebbe dirvi che potete anche ripartire senza aver visto Xocimilco, ma non dategli retta! Xocimilco, che ormai è un quartiere della smisurata metropoli, è in realtà il luogo dove è nata la città: una palude sulla quale i primi abitanti costruirono delle isole galleggianti. Adesso assomiglia ad una Venezia messicana, dove si va in gita su barche che ricordano quelle tipiche del Lago di Como col tettuccio, solo che queste sono molto più grandi e più colorate. Una volta saliti rilassatevi, non opponete resistenza, siate pienamente, assolutamente “turisti”: un barcaiolo vi porta in giro lungo i canali e subito dopo sarete “abbordati” da un’altra serie di barchine più piccole che vi offrono di tutto. Arriva una barca-cucina che vi offre il pranzo, poi arrivano i marriaci-marines che vi offrono la musica e quindi sbucheranno come per incanto dai canneti venditori di tutti i tipi, dal fiorista al gioielliere, dalla venditrice di pannocchie lesse o alla brace fino al fotografo ambulante (anzi, natante). Ma lasciatevi vivere senza preoccupazioni: i prezzi sono modici e, anche se non avrete avuto il coraggio di rifiutare nulla, alla fine avrete speso sì e no quello che si spende in un qualunque ristorantino-modaiolo-alla-rucola del centro di Milano! Solo che a Milano non ci sono i marriaci, con la loro musica a volte dissonante ma comunque sempre struggente…

Per vedere Città del Messico anche solo superficialmente non basterebbero 15 giorni. Però è una città faticosa che dopo una settimana può anche risultare pesante: perchè allora non spezzare il soggiorno a Messico con qualche “gita fuori porta”, cioè andando a visitare le cittadine che stanno nei dintorni? Noi, per esempio, siamo andati per un paio di giorni a Tepotzlan, un posto magico, un “altro-mondo” anche rispetto al Messico che già, per noi, sta dall’altra parte del mondo… Innanzitutto a Tepotzlan c’è il Tepotzeco, la Montagna Sacra. Sopra a questa montagna, che si può raggiungere con una scarpinata alpinistica, c’è un Tempio Maya. Ma è soprattutto un luogo magnetico, dove – secondo la totalità dei Tepostekos, cioè degli abitanti – molto spesso appaiono gli UFO. Uno, appena arrivato, non ci crede e pensa ad una trovata pubblicitaria dell’Ente per il Turismo, poi vede le foto di dischi volanti appese un po’ dappertutto, nei ristoranti come nelle case, parla con la gente e gli viene il dubbio… Anche perchè, a Tepotzlan, non ci tengono particolarmente a diventare una meta turistica, anzi.

Il Governo avrebbe voluto costruirci un Villaggio Vacanze, una funivia, una circonvallazione e soprattutto un gran Campo da Golf. Per evitare tutto questo gli abitanti di Tepotzlan un paio d’anni fa hanno semplicemente fatto… La Rivoluzione. Quella vera, con le barricate, i fucili, i forconi, i morti, i feriti e i prigionieri. A noi europei sembra incredibile ma qui (dove tra l’altro è nato Zapata, eroe della Rivoluzione assieme a Pancho Villa) è terra-di-nessuno, l’esercito non entra e l’amministrazione è retta direttamente dai cittadini. Il Capo è Lazaro, un bel signore coi baffoni e il sombrero che, nonostante i suoi sette ordini di cattura, vive tranquillamente in città e vi intrattiene tranquillamente a chiacchierare nel suo giardino, spiegando che loro non sono contro il progresso ma vogliono semplicemente preservare il loro ambiente culturale e naturale. E poi, soprattutto, non possono soffrire il golf, uno sport da loro considerato particolarmente insignificante: i Tepostekos, gente di sangue zapatista, non possono sopportare l’idea di fare i portatori di mazze al servizio di gringos locos che inseguono una stupida pelotita…

Vallo a capire, il Messico. Ma, comunque sia, vallo a vedere: merita!

SYUSY BLADY & PATRIZIO ROVERSI



  • Jacopo Tonet Jacopo Tonet
    I Maya comunque stavano e stanno nel sud-est (Chiapas, Yucatán, Quintana Roo, Tabasco, Campeche) nel centro c'erano i Mexica (o aztechi) ;)"
  • Jacopo Tonet Jacopo Tonet
    I Maya comunque stavano e stanno nel sud-est (Chiapas, Yucatán, Quintana Roo, Tabasco, Campeche) nel centro c'erano i Mexica (o aztechi) ;)"
  • Jacopo Tonet Jacopo Tonet
    I Maya comunque stavano e stanno nel sud-est (Chiapas, Yucatán, Quintana Roo, Tabasco, Campeche) nel centro c'erano i Mexica (o aztechi) ;)"
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