Messico, tour di Yucatan e Chiapas, immersioni in Belize e nord del Guatemala

Viaggio on the road (con autobus e colectivi) zaino in spalla in Messico, Belize e Guatemala. I siti Maya di Palenque e Tikal, le cittadine coloniali e gli incredibili fondali del Belize con l’immersione nel Blue Hole a 40 metri
Scritto da: Saretta080
messico, tour di yucatan e chiapas, immersioni in belize e nord del guatemala
Partenza il: 25/07/2015
Ritorno il: 19/08/2015
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €

MESSICO

Dopo alcuni anni di Sud-est asiatico, e un assaggio di Africa, decidiamo di tornare in Centro America; abbiamo a disposizione 26 giorni di ferie, che suddivideremo tra Messico, Belize e Guatemala.

Essendoci attardati troppo, fatichiamo a trovare un volo per luglio al di sotto dei 1000€ e alla fine ci rassegniamo a spendere 1150€ di un volo Alitalia/Delta per Cancun.

La prima settimana di vacanza la dedicheremo alla riviera Maya, da Isla Mujeres a Tulum, per poi spingerci a sud fino al confine con il Belize.

ISLA MUJERES: 26 luglio – 27 luglio

Atterrati a Cancun ci dirigiamo a Puerto Juarez per prendere il catamarano Ultramar per Isla Mujeres. E’ già tarda sera, ma fortunatamente le barche partono fino alle h 23. La traversata è breve, 30 minuti, sbarchiamo a Isla Mujeres e prendiamo un taxi per andare alla ricerca della nostra sistemazione. Dall’Italia mi ero annotata i nomi di qualche hotels, ma purtroppo la mia prima scelta, Casa Ixchel, ma anche tutte le altre, non hanno camere disponibili. Ci affidiamo al taxista e dopo un’ora di tentativi troviamo una stanza da Cabañas Maria del Mar. La struttura è un po’ vecchiotta, ma i bungalows sono molto carini e la posizione è ottima, direttamente su Playa Norte e all’interno del paesino. Isla Mujeres è lunga appena qualche chilometro, la maggior parte degli hotels (molti dei quali purtroppo sono antiestetiche palazzine a più piani) sono concentrati nei dintorni di Playa Norte, un’incantevole spiaggia bianca di fronte ad una laguna azzurrissima. Allontanandosi dal paesino si trovano strutture molto carine e caratteristiche, ma affacciate sulla scogliera e senza spiaggia. Staremo a Isla un paio di giorni per riprenderci dal fuso orario. Trascorriamo il nostro tempo in spiaggia, a mollo nella laguna, un vero paradiso, fino all’ora di pranzo: a partire da quel momento in avanti si scatena l’inferno; arrivano diversi yachts carichi di messicani, si ancorano a pochi metri da riva, sparano musica disco a tutto volume e bevono tequila. La situazione rimane invariata fino al tramonto, quando i turisti messicani rientrano a Cancun e cala nuovamente la quiete. Con il motorino facciamo il giro dell’isola e vagliamo le possibili attività da svolgere, tra le quali nuotare con i delfini e con gli squali nutrice, ma non abbiamo nessuna intenzione di incentivare questo tipo di turismo; l’unica escursione davvero allettante è la giornata di snorkeling alla ricerca degli squali balena, di passaggio in questo periodo dell’anno nelle acque fronte Isla. Il costo elevato dell’escursione però ci frena e decidiamo di risparmiare per le immersioni che faremo nei giorni seguenti. Il paesino la sera si anima, ristoranti, locali e negozietti di artigianato locale si susseguono e l’atmosfera è molto piacevole.

Lasciamo questo angolo di Messico, sicuramente il più turistico, e proseguiamo per Tulum. Ritorniamo a Cancun, ma prima di prendere l’autobus per Tulum, trascino Enri in un estenuante giro per centri commerciali alla ricerca di un obiettivo per lo scafandro subacqueo della nostra macchina fotografica, che aimè abbiamo dimenticato a casa. Purtroppo non riusciamo a trovarlo e così dovremo rinunciare alle foto subacquee…cerco di farmene una ragione.

TULUM: 28 luglio – 30 luglio

Sperimentiamo il primo degli innumerevoli autobus che prenderemo in questo viaggio, Cancun – Tulum, della compagnia ADO. Sono stupita dalla puntualità e pulizia del mezzo e in poco più di 2 ore siamo a Tulum. Ci facciamo portare in taxi a Playa Paraiso, la paradisiaca spiaggia bianca che entrambi ricordavamo da un precedente viaggio in Messico. Fortunatamente, a differenza di Isla Mujeres, a Tulum non hanno costruito ecomostri, ma deliziose strutture di bungalows perfettamente intonate con l’ambiente circostante. Scegliamo di soggiornare da Zazil Kin, ex Don Armando, e ci ritroviamo in un’incantevole capanna rotonda con il tetto di foglie di palma, estremamente spartana all’interno, con solo un letto, un tavolino, un lavandino e il bagno all’interno dell’armadio, ma pulita. Il resortino è molto carino, i bungalows sono costruiti sulla sabbia in mezzo alle palme, come anche il tipicissimo ristorante, il baretto in spiaggia con le amache e le altalene e qualche lettino e ombrellone a disposizione degli ospiti. Senza dubbio il costo delle camere è un po’ eccessivo per il servizio offerto, a partire dall’elettricità garantita solo la notte, ma siamo su Playa Paraiso, una delle spiagge più belle del Messico, forse la più bella. Purtroppo nei nostri 3 giorni di permanenza a Tulum, Playa Paraiso non è al massimo del suo splendore, una fitta coltre di alghe rossicce la invade; ci spiegano che si tratta di un fenomeno stagionale causato, forse, dall’innalzamento delle temperature oceaniche. Nonostante lo sforzo dei locali per ripulire la costa, le alghe continuano ad arrivare dal mare, depositandosi a riva, rendendo l’acqua marrone e impedendo ai turisti di ammirare i fantastici colori del mar dei Caraibi; purtroppo non si riesce nemmeno a fare il bagno. A Tulum solitamente si sta in spiaggia e si vanno a visitare le famose rovine Maya che si affacciano sul mare; ma dato che non è possibile fare il bagno e le rovine le avevamo già visitate anni fa, affittiamo il motorino e andiamo ad esplorare altri tratti di costa, nella vana speranza di trovare almeno un pezzetto di mare libero dalle alghe. Niente da fare: le alghe sono ovunque.

L’atmosfera a Tulum è molto rilassata e nonostante sia luglio ci sono relativamente pochi turisti, se non fosse per le maledette alghe, sarebbe il luogo perfetto. La sera ci rechiamo a cena, via spiaggia, in uno dei resortini accanto al nostro, La vita è bella, di gestione italiana, dove mangiamo un’ottima pizza. La struttura è stupenda e il ristorante con i tavolini fronte mare una romanticheria, ogni dettaglio è curato nei minimi particolari e tra tutti gli hotels della zona, volendo spendere un po’ di più, questo sarebbe stato senza dubbio la mia scelta. Decidiamo di dare una sferzata alla nostra vacanza e arriva il momento che attendo da un po’: l’immersione nel cenote! I cenotes sono grotte collassate, dall’alto assomigliano a piccoli laghetti circolari sprofondati nella terra dai quali partono una serie di cunicoli sotterranei, alcuni dei quali arrivano fino al mare. Nella zona dello Yucatan ce ne sono parecchi e in molti è possibile fare snorkeling e immersioni, altri invece sono ancora in fase di esplorazione da parte degli speleosub. I centri diving a Tulum non mancano, noi ci appoggiamo ad Acuatic Tulum Dive Center, un piccolo centro gestito da messicani. La scelta del cenote è fondamentale, in quanto si tratta di immersioni in grotta. Ci sono cenotes che presentano cunicoli aperti, in alcuni punti, e questo consente di avere sempre una via di fuga (in caso di emergenza) durante l’immersione; altri invece sono completamente al chiuso ed è quindi necessario avere una buona preparazione e soprattutto un ottimo controllo dell’ansia. Noi ci immergiamo nel cenote Dos Ojos, due tuffi consecutivi; sono fortunata, in loco c’è un fotografo che a pagamento fa foto e filmini a chi lo richiede, così non dovrò rinunciare ai miei amati scatti subacquei. Entrambi siamo curiosi e anche un po’ agitati, d’altronde è la nostra prima immersione in grotta e non sappiamo cosa aspettarci. Muta, pesi, bombola, pinne, maschera, erogatore e passo del gigante: siamo in acqua; ci tranquillizziamo subito, non c’è ovviamente corrente come in mare, l’acqua è dolce e fresca (22°) e le nostre due guide ci ispirano fiducia. Ripassiamo i segnali da utilizzare in caso di emergenza e si scende. La trasparenza e limpidezza dell’acqua sono incredibili. Procediamo in fila indiana, la guida, io, Enri e la seconda guida che chiude il gruppo.

La prima immersione è un susseguirsi di passaggi in cunicoli, talvolta anche stretti, ma per brevi tratti; si pinneggia in mezzo a giganti stalattiti millenarie e la luce che filtra attraverso le aperture dalla superficie crea dei riflessi e dei giochi di colore molto suggestivi.

Dopo pochi minuti sono già estasiata e totalmente rilassata, mi godo il paesaggio circostante, buttando un occhio ogni tanto alle possibili vie di fuga e noto che ce ne sono parecchie. Sul fondale è presente una corda che segna il percorso da seguire, nel caso in cui ci si dovesse perdere, dato che le grotte si intersecano tra loro creando un vero e proprio labirinto. L’immersione non è profonda, appena 10 metri. Quando riemergiamo siamo entusiasti. Il secondo tuffo sarà un po’ più impegnativo, anche se la profondità è la stessa, saremo completamente al chiuso, senza vie di fuga, o quasi. 45 minuti di adrenalina pura e anche un po’ di strizza perché guardandosi attorno non si vede nessuna apertura verso la superficie; se dovessimo spegnere le torce rimarremmo completamente al buio. Inoltre i cunicoli sono particolarmente labirintici e in alcuni momenti usciamo dal tracciato della corda per esplorare qualche anfratto più nascosto. Non ci sono distrazioni sott’acqua, a parte qualche pescetto, non si va alla ricerca di nulla e ci si gode il momento. A metà immersione riemergiamo in un cenote secondario, popolato da centinaia di pipistrelli e l’interno della cavità è impressionante, completamente rivestito da stalattiti che sembrano attaccate alla parete per un pelo e pronte a caderci in testa da un momento all’altro. Scendiamo nuovamente e proseguiamo sempre per grotte, caverne e cunicoli ritornando indietro. Immergersi nel cenote è stata una delle esperienze più entusiasmanti di tutto il viaggio, anche grazie alle guide che si sono rivelate molto professionali ed erano completamente dedicate a noi due, a differenza di altri gruppi ben più numerosi che abbiamo incrociato sott’acqua e che di certo non erano in sicurezza quanto lo eravamo noi.

BACALAR: 31 luglio

Proseguiamo il nostro viaggio verso sud, direzione laguna di Bacalar con l’autobus della ADO, che in circa 3 ore ci porta a destinazione.

Abbiamo la pessima idea di incamminarci a piedi alla ricerca di una sistemazione, ma il caldo è infernale e con gli zaini in spalla non resisto più di 20 minuti.

Fortunatamente passa un taxi e ci facciamo portare nel primo ostello che vediamo lungo la strada, Casita Carolina; siamo capitati bene, la stanza è molto carina, pulitissima e super economica e le aree comuni sono molto curate, con un patio che si affaccia su di un bel prato fronte lago. In alternativa alla classica camera si può scegliere di pernottare nella mini roulotte o nel bungalow in giardino. Bacalar ci dà subito l’impressione di essere un paese addormentato, non c’è anima viva in giro. L’unica attrattiva di questo luogo è il suo bellissimo lago che ha i colori del Mar dei Caraibi.

Trascorriamo quindi il pomeriggio a mollo nella laguna, l’acqua è un brodo e il suo colore azzurro fluorescente è stupefacente, si stenta a credere che possa essere un lago e non il mare.

Dopo una veloce visita al forte di San Felipe, dal quale si possono ammirare gli accesi colori della laguna dall’alto, rientriamo in camera, il caldo è davvero eccessivo e non si riesce a stare in giro.

Bacalar non si anima nemmeno la sera, tanto che fatichiamo a trovare un ristorante aperto, ci dicono essere bassa stagione.

Temiamo di dover saltare la cena, quando non lontano da Casita Carolina scorgiamo un delizioso localino sul lago, La Playita; tutti i pochi turisti presenti in città li troviamo qui e trascorriamo una serata molto piacevole cenando anche piuttosto bene.

Ci spostiamo in taxi da Bacalar a Chetumal, capitale del Quintana Roo, ai confini con il Belize.

Acquistiamo il biglietto della barca per San Pedro – Caye Ambergris, in una piccola agenzia di viaggi lungo la strada; viene garantita una sola barca al giorno, alle h 15.

In attesa della partenza passeggiamo per Chetumal, che, al di fuori della via principale con qualche negozio, non ha nulla da offrire ed è anche sporca e desolata.

Le pratiche di imbarco sono lunghe, perché dobbiamo fare il controllo passaporti e compilare i moduli doganali di uscita dal paese; inoltre la partenza del traghetto viene ritardata di 2 ore per colpa di una messicana che non aveva i documenti in regola.

Finalmente salpiamo con la barca della San Pedro Water Jets International e passiamo via mare il nostro primo confine; salutiamo momentaneamente il Messico e dopo 1h30 di navigazione stiamo già ammirando gli azzurri e cristallini fondali del mare del Belize.

BELIZE

Per il nostro soggiorno in Belize abbiamo scelto Caye Ambergris, una delle isole principali del paese, più strutturata per le immersioni rispetto alla piccola Caye Caulker.

Sbarchiamo e una poliziotta con un atteggiamento piuttosto antipatico ci fa mettere in fila indiana, sotto al sole cocente; ad uno ad uno veniamo chiamati per compilare i soliti moduli e pagare la tassa d’ingresso, pretesa in dollari del Belize o in dollari americani. Cambiamo quindi sul posto i pesos messicani, ad un cambio ovviamente sconveniente, e ci ritroviamo nel portafoglio 3 valute diverse, senza capirci più nulla. Siamo pronti ad iniziare la nostra settimana beliziana, che sarà dedicata al mare e alle immersioni.

SAN PEDRO, CAYE AMBERGRIS: 1 agosto – 7 agosto

Ci facciamo portare in taxi nel resort che ho prescelto dall’Italia, l’Ak’bol Yoga Retreat and Ecoresort, sperando che abbia posto.

Ci accolgono i proprietari, una coppia di americani che hanno lasciato Chicago per trasferirsi a vivere sulla isla bonita; essendo bassa stagione non abbiamo difficoltà a trovare un bungalow libero, siamo 3 ospiti in tutto.

L’atmosfera che si respira all’Ak’bol mi conquista fin da subito: una decina di bungalows immersi in una rigogliosa vegetazione, una spiaggetta dalla sabbia bianca con un’amaca e un paio di lettini, un pontile che finisce dove il mare diventa azzurro intenso, il piccolo ristorante con i tavolini sulla sabbia, le palme che contornano il resort, i proprietari che ci fanno sentire come a casa.

Il bungalow, per quanto spartano, è arredato con cura ed è molto funzionale: pala a soffitto, ventilatore a terra, boccione con acqua potabile, elettricità 24 ore su 24. Il pavimento di ciottoli, il letto su di un cassone di legno, il soppalco che ospita un secondo lettino, la doccia open air, fanno di questa camera una sistemazione davvero originale. Inoltre sotto al tetto di foglie di palma vive mamma iguana con i suoi piccoli, che ogni tanto la notte ci fa sussultare con fruscii e scricchiolii; abbiamo voluto credere che fosse sempre lei e non qualche altro animaletto meno piacevole.

L’Ak’bol si trova fuori dal paesino di San Pedro, in un tranquillo tratto di costa dove si susseguono hotels e ville private. Sono contenta di aver scovato una delle pochissime sistemazioni con i bungalows, la maggior parte delle strutture sono infatti anonime e moderne casone in stile americano.

A Caye Ambergris ci sono poche macchine, solo quelle dei locali e i taxi, quindi i mezzi più usati sono bici e golf cart.

Noi abbiamo optato per l’affitto della bici, dato che la golf cart era troppo costosa; inoltre, trovandosi l’Ak’bol al di là del ponte che divide in due l’isola, avremmo dovuto pagare una piccola tassa di passaggio ogni volta, cosa invece non necessaria attraversando il ponte in bici o a piedi.

Ci rendiamo immediatamente conto del forte contrasto tra ricchezza e povertà; lungo la costa le ville dei ricchi americani che vengono in Belize in vacanza, nella zona delle mangrovie le baracche dei beliziani più poveri, in paese basse e colorate casette di legno, alcune abbastanza dismesse.

Le attività dell’isola rivolte ai turisti ruotano quasi esclusivamente intorno al mare: gite in barca alla ricerca di atolli paradisiaci, snorkeling con gli squali nutrice, battute di pesca, sorvolo del Blue Hole con un aeroplanino, ma soprattutto immersioni, che è il motivo principale per il quale siamo venuti fin quaggiù.

I centri diving si susseguono a non finire lungo la spiaggia di San Pedro, tutti propongono pressoché le stesse uscite in barca, ma alcuni sono più strutturati di altri.

I siti di immersione nella zona sono principalmente 4: il famoso Blue Hole, Turneffe, Hol Chan e le “local dives”, ovvero le immersioni sull’house reef fronte San Pedro.

Il Blue Hole e Turneffe si trovano a 2h30 di navigazione da Caye Ambergris e vengono proposti solo un paio di volte alla settimana. Hol Chan e le local dives invece si possono fare tutti i giorni.

Il costo della giornata al Blue Hole è esorbitante, 260€ a persona, che includono la tassa d’ingresso nel parco marino, 3 immersioni e il pranzo.

Dopo aver chiesto qualche preventivo prenotiamo l’uscita con Aqua Scuba Center, che ci fa un prezzo leggermente più basso rispetto agli altri.

La sveglia suona alle h 4.30, ci recuperano all’Ak’bol, ci portano al diving e dopo una veloce colazione si salpa.

Il nostro divemaster è un ragazzone beliziano tutto muscoli, impettito solleva le bombole come fossero piume, ma non sembra essere molto socievole e non ci sentiamo completamente a nostro agio, complice anche un po’ di agitazione dato che scenderemo fino a 40 metri, la profondità massima consentita nelle immersioni ricreative.

Dopo aver recuperato altri sub a Caye Caulker, il divemaster annuncia che in 5 minuti saremo in mare aperto e si ballerà parecchio: così è.

La barca comincia ad oscillare e tra un po’ di nausea e un po’ di strizza per l’immersione che ci aspetta, arriviamo a Lighthouse Reef, dove si trova il Blue Hole, una sorta di cenote in mezzo al mare, una voragine che sprofonda negli abissi fino a 123 metri, riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.

Lo spettacolo è notevole, benché dalla barca non si riesca ad avere la visuale completa della cavità perfettamente circolare, i colori del mare delimitano l’inizio del drop-off, azzurro chiaro al di fuori del Blue Hole, blu scuro all’interno, ed è in quel blu scuro che noi scenderemo!

Ci vestiamo, bombole in spalla e il divemaster fa il briefing e ci spiega come dovremo comportarci in quest’immersione profonda. Le regole sono poche e chiare: 3 minuti per scendere in verticale a 40 metri, 9 minuti a quella profondità per esplorare le stalattiti e guardare gli squali che stazionano all’interno del Blue Hole, il resto sarà tutta decompressione in fase di risalita, per una durata totale di soli 20 minuti; inoltre ci ricorda che saremo a 5 atmosfere e la pressione sarà notevole, per cui potremmo fare un po’ più di fatica ad inspirare l’aria.

L’adrenalina è alle stelle, ma io e Enri rimaniamo concentrati; siamo già scesi oltre i 30 metri, anche se non a 40, ma ci sono con noi degli Open Water appena brevettati che dopo il briefing sono diventati decisamente pallidi e mi chiedo come si possa far fare un’immersione così impegnativa e rischiosa a chi ha così poca esperienza.

Ad ogni modo entriamo in acqua, la corrente in superficie è forte e iniziamo la discesa quasi subito. Occhi fissi sul computer, discesa verticale, – 10 – 20 – 30, intorno a noi il Blue Hole, quello che ho sognato per mesi prima della partenza, rocce nere rivestite dai coralli; ed ecco il tintinnio del cilindretto del divemaster che ci segnala il primo squalo, un grigio che passa e se ne va. Mi sono distratta un attimo e guardo il mio computer che segna – 37, la luce diminuisce, arriviamo a – 40 metri e va tutto bene, respiro perfetto, assetto perfetto.

Cominciamo a nuotare tra enormi stalattiti e ad esplorare anfratti e grotticine; alziamo la testa e sopra di noi vediamo le sagome in lontananza di altri due grigi che nuotano paciosi in cerchio. Un altro squalo nel frattempo ci sfreccia accanto ad una velocità impressionante, sembra un siluro e sparisce negli abissi del Blue Hole in un istante.

I 9 minuti a nostra disposizione ovviamente volano e dobbiamo iniziare a risalire.

Quando riemergiamo siamo tutti ammutoliti, quasi increduli, abbiamo assistito ad un vero spettacolo della natura.

Superato lo scoglio di questa prima immersione, l’atmosfera in barca diventa decisamente più rilassata e anche il nostro divemaster ci sembra già più simpatico.

Gli altri due tuffi saranno in parete, una splendida e colorata barriera corallina perfettamente intatta ricca di gorgonie giganti e popolata da una grande varietà di pesci tropicali: palla, pietra, farfalla, chirurgo, barracuda, murene; una grossa cernia ci accompagna per tutta l’immersione, è così curiosa che si fa prendere in braccio dalla guida. Avvistiamo anche una tartaruga e un’aquila di mare. Uno squalo grigio di un paio di metri ci affianca e nuota con noi per un po’, talmente vicino che riesco a vedere perfettamente la sua bocca ricurva e mi mangio le mani perché se avessimo avuto la nostra macchina fotografica gli avremmo fatto dei primi piani memorabili.

Per pranzo sbarchiamo su di un atollino paradisiaco, Half Moon Caye, l’incarnazione del perfetto isolotto tropicale, con la sabbia fine e bianca come il borotalco, l’acqua di tutte le tonalità di verde, azzurro, blu e le palme, un incanto.

La terza immersione della giornata è la meno impegnativa, nuotiamo in un acquario e ci godiamo la barriera corallina e i suoi abitanti in totale rilassatezza.

Rientriamo a Caye Ambergris estasiati e certi di aver vissuto una delle nostre esperienze subacquee più incredibili.

Intervalliamo le giornate di immersioni con l’escursione di snorkeling nei siti di Hol Chan e Shark Ray Alley e questa volta per fortuna riusciamo a trovare una compattina con scafandretto da affittare allo Yacht Club di San Pedro.

Ad Hol Chan facciamo un discreto snorkeling, anche se la barriera corallina è profonda e per apprezzare i coralli è necessario scendere in apnea; in compenso avvistiamo una tartaruga, una grossa aquila di mare e uno squalo. Questo sito sarebbe stato meglio goderselo in immersione.

A Shark Ray Alley invece il fondale è di appena un paio di metri e si ha la garanzia di avvistare gli squali nutrice, dato che i barcaioli ogni giorno li attirano lanciandogli in acqua le sardine, di cui vanno ghiotti. Lo squalo nutrice è assolutamente innocuo e non mi aspettavo di poterne ammirare da vicino così tanti esemplari in una sola volta.

Tuffandosi in acqua si ha quasi timore di cadergli addosso, tanta è la disinvoltura con la quale nuotano accanto alla barca in attesa dei loro bocconi.

Per la giornata di immersioni a Turneffe ci appoggiamo al diving Amigos del Mar, che è l’unico che ci garantisce l’uscita; il costo è elevato quasi quanto per il Blue Hole, 240€ a persona per 3 immersioni e pranzo.

Nuovamente levataccia alle h 4.30 per raggiungere il sito di immersione che si trova nell’atollo di Turneffe, altro paradiso al largo delle acque del Belize, dove si trovano un paio di resorts di lusso.

I 3 tuffi si svolgono in parete e sono paragonabili per bellezza della barriera corallina e pesce al Blue Hole, con qualche squalo di meno, ma aquile di mare e tartarughe sempre presenti, oltre a murene, barracuda e razze.

Il pranzo questa volta si fa a bordo, la barca si ancora in una secca in mare aperto, una laguna cristallina di un turchese così intenso da lasciare a bocca aperta.

Alterniamo alle giornate di immersioni, giornate di relax, trascorse sulla spiaggetta dell’Akbol, in bici in giro per l’isola, a passeggio lungo il mare al tramonto; le serate sono corte, essendo bassa stagione c’è poco movimento e anche in paese i ristoranti e i locali chiudono presto.

Nel nostro resortino ci godiamo delle ottime cene, in compagnia dei proprietari e del simpatico barista e dopo una capatina sul pontile per osservare le aquile di mare attratte dalle luci, ci ritiriamo nel nostro bungalow.

L’atmosfera del Belize ci ha talmente conquistati che per un attimo pensiamo di mandare all’aria il programma e di prolungare il soggiorno, spingendoci più a sud, a Placencia, dove ci aspetterebbero altri fondali incantati da esplorare, quelli di Glover’s Reef.

Tuttavia decidiamo di rispettare il nostro itinerario e così all’alba salutiamo malinconici Caye Ambergris, prendiamo la barca del Belize Express Water Taxi che in 1h30 ci porta a Belize City, da dove proseguiremo per il Guatemala.

Qui termina la nostra parte di viaggio dedicata al mare e alle immersioni, d’ora in avanti sarà un susseguirsi molto serrato di levatacce e sfiancanti spostamenti su pulmini colectivi, insomma, inizia il vero viaggio on the road!

GUATEMALA

Acquistiamo il biglietto del pulmino per Flores, in Guatemala, presso una piccola agenzia di viaggi nel porto di Belize City, la San Juan Travel.

Siamo consapevoli della pericolosità della capitale del Belize, ma nella zona del porto, in attesa del nostro autobus, ci è sembrato tutto tranquillo.

Il viaggio dura 5 ore ed è abbastanza confortevole, nonostante il caldo; ogni tanto il minivan si ferma e carica qualche locale che ha bisogno di un passaggio.

Arriviamo alla frontiera, compiliamo i moduli, paghiamo la tassa d’ingresso e attraversiamo a piedi il confine Belize – Guatemala; il nostro autista ci recupera e ripartiamo in direzione Flores.

FLORES E TIKAL: 8 agosto – 9 agosto

Poco prima di arrivare a destinazione, il minivan si ferma e sale a bordo una guida che comincia a snocciolare in tutte le lingue che conosce i dettagli dell’escursione a Tikal, che avremmo fatto il giorno seguente, e si offre di portarci in un ostello.

In realtà avevamo già scelto la nostra sistemazione tramite la Lonely Planet, ma il tizio è così convincente e noi siamo talmente stravolti, che decidiamo di affidarci a lui.

Nel giro di 10 minuti gli abbiamo già pagato l’escursione a Tikal e ci convince anche ad andare a vedere le rovine alle 3 di notte, dopodiché ci accompagna nel nostro hotel, La Casa del Lacandon. La camera non è male, ma il bagno fa pietà; inoltre per risparmiare abbiamo la pessima idea di scegliere la stanza senza aria condizionata, sul tetto, e fuori ci sono 35°, ce ne pentiremo amaramente.

Flores è una bella cittadina, il cui centro storico è costruito su di un’isoletta sul lago di Peten Itza, nel nord del Guatemala.

Facciamo un giro per le vie del paese caratterizzato da casette colorate, negozi di artigianato e tuk tuk; il caldo è insopportabile e cerchiamo rifugio in uno dei tanti localini lungo il lago dal quale osserviamo un tramonto molto suggestivo.

Rientriamo in hotel presto, dato che abbiamo la sveglia in piena notte per l’escursione a Tikal; in camera ritroviamo lo stesso caldo soffocante che avevamo lasciato il pomeriggio e non riusciamo a prendere sonno.

Alle h 2.30 scendiamo in strada ad aspettare il pulmino e ci accorgiamo che nella via ci sono altri gruppetti di turisti, ognuno davanti al proprio ostello, in attesa di essere recuperati per andare a Tikal.

Tanto per cambiare partono tutti, tranne noi e il nostro gruppo. Aspettiamo un’ora e quando ormai pensiamo di essere stati fregati del tizio che ci aveva venduto i biglietti, finalmente arriva il nostro minivan.

Tikal è un’antica città della civiltà Maya, sito Unesco patrimonio dell’umanità.

L’ingresso è consentito tutto il giorno, ma andarci di notte, anche se il costo del biglietto è più elevato, consente di godersi lo spettacolo dell’alba e di evitare il caldo.

Camminare tra le piramidi al buio, intravedendo le loro imponenti ombre che si stagliano nel fitto della vegetazione, sentire gli acuti versi delle scimmie urlatrici, percepire l’umidità della giungla addosso, sono emozioni che non scorderemo. Aspettiamo l’alba seduti in cima ad una delle rovine in un silenzio quasi mistico, interrotto solo dalle urla delle scimmie.

Il sole sorge lentamente e illumina le sagome degli alberi dell’impenetrabile giungla regalandoci un’atmosfera emozionante; peccato per la foschia che non ci ha permesso di vedere dall’alto le rovine.

Iniziamo la visita che durerà 4 ore, ma la nostra guida è simpatica e rende le spiegazioni molto interessanti. Le piramidi sono ben conservate e alcune rovine sono ancora avvolte dalla vegetazione, i restauratori lavorano continuamente per riportarne alla luce i resti.

Il percorso si snoda dalla Grande Piazza Centrale attraverso le 6 piramidi principali, tra cui lo spettacolare tempio del Giaguaro e l’Acropoli.

Rientriamo a Flores e trascorriamo il pomeriggio a spasso per la cittadina; verso sera la via lungo il lago si riempie di bancarelle di cibo di strada e si affolla di gente che si gode il tramonto.

E’ giunto il momento di rimetterci in viaggio per tornare nuovamente in Messico.

All’alba prendiamo un colectivo che da Flores ci porterà a Palenque; questo sarà il transfer più sfiancante di tutto il viaggio, 9 ore totali, di cui 3 passate a rimbalzare sui sedili del minivan su di una strada sterrata nella campagna guatemalteca.

Ci fermiamo in un paesino e facciamo colazione nel baretto di una vecchina; proseguiamo ma il pulmino fa numerose soste per caricare e scaricare la gente del posto.

Vorremmo dormire ma è impossibile a causa dei continui sobbalzi e dobbiamo tenerci per non sbattere la testa, ma non ci annoiamo perché osservare dal finestrino i paesaggi e i villaggi è estremamente interessante.

Stiamo percorrendo la strada che da Flores porta al confine con il Messico, La Técnica. Arrivati alla frontiera entriamo in un piccolo gabbiotto con annessa una fattoria, compiliamo i moduli e perdiamo tempo per il cambio quetzal – pesos messicani, perché come al solito il cambio è sconveniente; cerchiamo di contrattare ma non c’è niente da fare.

Pensiamo di essere già in terra messicana, invece siamo in una sorta di terra di mezzo, non più Guatemala e non ancora Messico e percorriamo ulteriori chilometri di strada sterrata, fino al fiume Usumacinta, che segna il vero è proprio confine.

Salutiamo il nostro autista che ci affida ad un barcaiolo, il quale con la sua piroga a remi ci fa entrare in Messico via fiume; altri moduli da compilare e altra tassa d’ingresso da pagare.

Un nuovo autista ci recupera, carichiamo gli zaini sul tetto del colectivo e si riparte; per fortuna la strada è asfaltata e in 3 ore a velocità fin troppo sostenuta arriviamo a destinazione, a Palenque, in Chiapas.

Abbiamo avuto solo un assaggio del Guatemala, ma è stato sufficiente a capire che questo paese ancora arretrato, dalla natura prorompente, dove la campagna si alterna ad una giungla vergine, meriterebbe un intero viaggio dedicato e ci ripromettiamo di tornarci in futuro.

MESSICO – PALENQUE: 10 agosto – 11 agosto

Tramite Booking.com prenotiamo in un bel resortino poco fuori dalla cittadina di Palenque, Hotel Axkan Palenque. Questa volta ci siamo trattati bene, la struttura è davvero originale e curata, i lussuosi bungalows sono abbarbicati su di una collinetta e si affacciano sulle aree comuni: il ristorante in perfetto stile messicano e una bella piscina.

Ci rechiamo in taxi a Palenque città e troviamo un clima molto festoso, ci sono mercatini e bancarelle di cibo di strada ovunque; girare per le vie e godersi l’atmosfera messicana è per noi la cosa più interessante.

Ci accordiamo con un taxista per l’escursione alle rovine di Palenque e alle cascate di Agua Azul e Misol Ha.

Il giorno seguente facciamo in modo di arrivare all’ingresso del sito alle h 8, orario d’apertura, in modo da poterlo visitare prima che arrivi troppa gente e per evitare le ore più calde della giornata.

Dopo aver visto Tikal, in Guatemala, Palenque, per quanto suggestiva, non crea lo stesso impatto emotivo; Tikal mantiene quell’aspetto selvaggio che Palenque ha un po’ perso. Il sito è molto curato, le piramidi sono state perfettamente restaurate e su alcune rovine vediamo i restauratori all’opera.

Questa volta non abbiamo preso la guida, ci siamo fatti bastare le spiegazioni della Lonely Planet. In un paio d’ore concludiamo la visita, dopo aver fatto splendidi scatti al complesso del Palazzo e ai templi, tra i quali svetta il tempio delle Iscrizioni, monumento funebre del re Pacal, il più grande sovrano Maya di Palenque.

Il nostro taxista ci recupera per portarci alle cascate di Agua Azul e Misol Ha. Tra le due, per quanto Agua Azul sia più spettacolare a prima vista, abbiamo preferito Misol Ha, più appartata e meno affollata; in entrambe le cascate è possibile fare il bagno, un bel sollievo immergersi in quelle acque fresche dopo aver patito tanto caldo.

Lasciamo Palenque e ci spostiamo con un autobus della ADO a San Cristobal de Las Casas.

SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS: 12 agosto – 14 agosto

In 5 ore di viaggio su una strada molto tortuosa che si arrampica su dalle montagne, giungiamo a destinazione.

Ciò che ci colpisce maggiormente è come il paesaggio sia cambiato: dall’esotica giungla di Palenque e i suoi 35°, siamo passati ai boschi di pini, ai prati dove pascolano pecore e cavalli e ai 15°; San Cristobal de Las Casas si trova infatti sull’altopiano della Sierra Madre, in Chiapas, ad un’altitudine di 2100 metri.

Soggiorneremo in un caratteristico hotel ricavato all’interno di una ex casa coloniale ristrutturata, Hotel Diego de Mazariego; benché avessimo prenotato la camera standard, ci viene assegnata la suite, con tanto di caminetto e vasca idromassaggio.

La cittadina è una vero gioiellino e ci conquista fin dal primo istante, la riassumerei così: casette colorate, maggioloni scassati, autentici mercati.

I muri delle case sono dipinti nelle più svariate tonalità, dominano il rosso, l’arancio e il giallo, ma anche tanto blu, azzurro e rosa.

I vecchi maggioloni, anch’essi tutti colorati, sono la macchina più diffusa in paese. Enri avrebbe voluto fare il nostro intero itinerario guidando un maggiolone, ma a Cancun non avevamo trovato nessuno che li affittasse e anche qui a San Cristobal ci guardano straniti quando chiediamo e si stupiscono dell’interesse di noi turisti per dei vecchi maggioloni scassati, quando potremmo affittare macchine moderne con l’aria condizionata. Dobbiamo quindi abbandonare definitivamente la speranza di poter concludere il nostro viaggio a bordo di un maggiolone; pazienza, continueremo a servirci dei comodi autobus della ADO.

I mercati sono un’altra costante di questa cittadina, ad ogni angolo ci sono bancarelle che vendono i più svariati prodotti artigianali, tessuti, pashmine, poncho, cappelli, amache dai colori accesi, quasi fluorescenti.

Se si vuole visitare un luogo ancora autentico, frequentato solo dai locali, non ci si può far mancare un giro al mercato Jose Castillo Tielemans, una distesa di bancarelle di frutta, verdura e carne davvero impressionante; il mercato si snoda in una serie di vicoli labirintici e ci ritroviamo a vagare senza meta, storditi dal caos e affascinati dal modo in cui i venditori dispongono in modo quasi scenografico frutta, verdura e anche i poveri polli.

Passeggiare per San Cristobal de Las Casas è il nostro passatempo preferito. Al di fuori delle affollate vie del centro si scovano angoli caratteristici, piccole botteghe dove sbirciare gli artigiani all’opera o semplicemente osservare le scene di vita locale; inoltre qua e là si possono visitare le numerose chiese: la Cattedrale dalla facciata bianca e giallo senape, Santa Lucia nelle sue tonalità di bianco e azzurro, la chiesa di Santo Domingo con la sua facciata barocca intarsiata, queste sono solo le principali.

Dedichiamo una veloce visita al paesino di San Juan Chamula, a pochi chilometri da San Cristobal, abitato da un gruppo indigeno del Chiapas, i tzotzil, i quali sono dediti a particolari riti religiosi che praticano nella chiesa del villaggio. Si può accedere all’interno della chiesa ma è assolutamente vietato fare foto; il pavimento è cosparso di aghi di pini e gruppetti di tzotzil seduti a terra sono intenti nelle preghiere o in rituali di guarigione, di fronte ad una miriade di candele che creano un’atmosfera molto suggestiva.

In paese c’è una sola via principale lungo la quale sono concentrate le bancarelle di artigianato locale, ma notiamo fin da subito che gli abitanti di San Juan Chamula ci guardano con sospetto, sembrano quasi seccati dalla nostra presenza.

Facciamo un veloce giro al mercato, dove riusciamo a rubare qualche scatto agli imbronciati venditori, che proprio non amano farsi fotografare e mi tirano anche un’arancia addosso, facendoci capire che è meglio se ce ne torniamo a San Cristobal.

La sera prendiamo un autobus notturno della ADO per raggiungere la città di Campeche.

CAMPECHE: 15 agosto

Il viaggio è interminabile, 12 ore, e l’autobus ripassa da Palenque, quindi trascorriamo le prime 5 ore un po’ nauseati a causa della strada di montagna tortuosa che avevamo già percorso all’andata.

Da Palenque in avanti è notte fonda, ma non riesco ad addormentarmi per timore che all’autista venga un colpo di sonno. La strada migliora leggermente, meno curve ma più dossi e buche e l’autobus sembra non andare avanti.

Alle 6 del mattino arriviamo finalmente a Campeche, dove abbiamo prenotato, sempre tramite Booking.com, una camera all’hotel Plaza Campeche, un quattro stelle non particolarmente lussuoso.

Campeche, nello stato di Campeche, si rivelerà la città più calda di tutto il nostro viaggio, ci sono 40°.

Facciamo un giro per le vie del centro, ma ovviamente a causa delle temperature elevate, non c’è anima viva.

La Lonely Planet non segnala grandi attrattive da visitare, se non i torrioni e le mura che circondano la città. Saliamo in cima ai primi due torrioni, ma dobbiamo desistere, il caldo è eccessivo e rende insopportabile lo stare in giro.

Diamo una sbirciata al lungomare e ci rendiamo conto che non c’è spiaggia, bensì una colata di cemento che finisce in acqua.

Ritorniamo in centro e vaghiamo stremati alla ricerca di un ristorante; dato che è Ferragosto speravamo in un ricco pranzo, ma è tutto chiuso.

In Calle 59, la via principale della città, troviamo l’unico locale aperto, arredato in perfetto stile messicano e pranziamo con due misere fajitas.

Non ci rimane che tornare in camera a dormire.

Siamo ormai rassegnati all’idea che Campeche non abbia davvero nulla da offrire, ma d’altronde per noi era necessario passarci per spezzare il lungo viaggio verso Merida.

Nel tardo pomeriggio ritentiamo: la temperatura è scesa leggermente e in Calle 59 qualche locale apre per l’aperitivo.

Per cena vorremmo mangiare pesce e pur essendo Campeche una città di mare, facciamo fatica a trovare un ristorante diverso dal classico messicano; ne troviamo uno su internet dopo una lunga ricerca.

Ci incamminiamo sul lungomare seguendo le indicazioni di Google Maps e andiamo avanti qualche chilometro senza incontrare anima viva lungo questo vialone che finisce in periferia. Il cielo è nero e lascia presagire l’arrivo di un temporale con i fiocchi, si alza un forte vento e del nostro ristorante nemmeno l’ombra.

Stiamo per tornare indietro quando eccolo lì, La Recova: un locale super moderno affacciato sul mare, di una sciccheria impressionante, che stona decisamente con la desolazione di questa città.

Non abbiamo avuto il nostro pranzo di Ferragosto, ma ci rifaremo per cena!

Ottimo pesce, vino, desserts prelibati, il pasto migliore di tutta la vacanza; il conto è salato, ma ne è valsa la pena.

Rientriamo in hotel in taxi sotto al diluvio universale e la mattina seguente lasciamo Campeche e prendiamo l’ennesimo autobus della ADO che in poco più di 2 ore ci porta a Merida.

MERIDA: 16 agosto – 17 agosto

A Merida ci sistemiamo in un delizioso B&B, hotel Marionetas, nel centro storico.

La struttura è incantevole, le poche camere sono dislocate attorno alla piscina e si affacciano su di un giardino molto curato; nella stanza, accanto al letto, abbiamo anche un’amaca, d’altronde siamo nella città delle amache.

Trascorriamo il pomeriggio a Progreso, cittadina sulla costa a pochi chilometri da Merida.

Progreso è una località di villeggiatura per i messicani, il mare ha dei bei colori, peccato per il lungo pontile in cemento che permette l’attracco alle navi da crociera e rovina decisamente la visuale.

I crocieristi sbarcano a Progreso due giorni a settimana, rendendo affollata la spiaggia. Noi siamo capitati nel giorno giusto, eppure la spiaggia è ugualmente affollata, decisamente troppo: scopriamo di essere nel pieno della fiera locale del fitness. Dobbiamo quindi rinunciare al nostro pomeriggio di relax al mare e ci mescoliamo alla gente del posto, girovagando tra bancarelle di golose cibarie e muscolosi culturisti.

Abbiamo un solo giorno da trascorrere a Merida e lo dedichiamo alla visita di questa bella città coloniale.

Il caratteristico centro storico si snoda attorno alla piazza centrale, Plaza Grande, sulla quale si affaccia la cattedrale. L’atmosfera è molto piacevole e allegra, per strada ogni tanto passa una carrozza trainata dai cavalli, la gente del posto affolla le vie, alcuni si godono l’ombra al riparo degli alberi leggendo il giornale e facendosi lucidare le scarpe da uno degli innumerevoli calzolai che scorgiamo ad ogni angolo.

Veniamo abbordati da una guida che ci convince ad andare nel negozio di un suo amico e ne usciamo con due bellissimi cappelli panama intrecciati a mano dalle donnine del posto.

Ci allontaniamo dall’ordinato centro di Merida e ci ritroviamo in un dedalo di viette caotiche piene di bancarelle, fino a giungere ad un grosso mercato: San Benito.

Non ci lasciamo sfuggire la visita a questo ennesimo mercato tipicissimo, da un lato l’esplosione di colori nella parte dedicata alla frutta e alla verdura, ananas, papaia, mango, banchi ricolmi di peperoncini rossi, verdi e gialli, dall’altra la sporcizia della zona dedicata alla carne, dove i poveri polli sono esposti ordinatamente e le costate di manzo sono piene di mosche.

Concludiamo la giornata con la visita al Museo del Mundo Maya, poco fuori Merida, un’interessantissima celebrazione dell’identità e della cultura Maya, passata e presente.

Purtroppo siamo giunti all’ultima tappa di questo lungo viaggio e così prendiamo ancora una volta un autobus della ADO che in 4 ore ci porta a Cancun, dove trascorreremo il nostro ultimo giorno di vacanza.

CANCUN: 18 agosto

Cancun, luogo di arrivo e di partenza per molti, si affaccia sull’azzurrissimo Mar dei Caraibi; purtroppo il posto è stato devastato dalla costruzione di mostruosi condomini e resorts direttamente sulla spiaggia.

Noi vorremmo soggiornare nella zona hotelera, che seppur snaturata e artificiale, è l’unica ad avere di fronte la spiaggia. Tuttavia il costo degli hotels è davvero elevato, così optiamo per una struttura più decentrata, ma comunque di ottimo livello, il Four Points Cancun by Sheraton.

Ci rechiamo la mattina di buonora nella zona hotelera e affittiamo lettino e ombrellone presso lo stabilimento Mandala Beach, decisamente fighetto con piscina, ristorante, innumerevoli bar e musica disco di sottofondo.

La spiaggia è incantevole, sabbia bianchissima e una laguna turchese; il problema delle alghe è presente anche a Cancun, ma la gente del posto si dà da fare per eliminarle dalla riva con ogni mezzo, rastrelli, carriole, ruspe ed effettivamente una parte di spiaggia ne è completamente libera e il mare ha riacquistato il suo colore azzurro fluorescente.

Trascorriamo una giornata piacevole, anche se in mezzo al caos, e i pensieri ritornano alle spiagge selvagge del Belize, che sono ormai un lontano ricordo.

La nostra ultima sera decidiamo di dedicarla alla vita mondana per godere appieno dell’atmosfera festosa di Cancun; ceniamo in un ristorante messicano, Casa Tequila, con tanto di mariachi che suonano “Cielito Lindo” e foto di rito con due enormi sombreros.

Dopo cena ci incamminiamo per la caotiche vie della zona hotelera, dove locali e negozi di souvenirs tutti uguali si susseguono e concludiamo la serata in discoteca. Dato che il celebre Coco Bongo ha un biglietto d’ingresso carissimo (70€), optiamo per il Mandala Beach, lo stabilimento balneare dove abbiamo trascorso la giornata. Così ci consoliamo per la fine del nostro viaggio con un margarita e non ci rimane che osservare gli scatenati americani in vacanza lanciarsi, ubriachi, in piscina, dove un cannone spara schiuma ininterrottamente.

La mattina seguente ci aspetta il lungo rientro, il volo per Atlanta, dove faremo scalo, ci porta via dai Caraibi, la cui ultima immagine è quella della laguna turchese durante il decollo, che diventa, dopo pochi minuti, una sottile striscia di azzurro in un mare blu.

Se volete avere maggiori informazioni su questo viaggio, potete visitare il mio sito: www.vogliadiesotismo.it.

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Messico, tour di Yucatan e Chiapas, immersioni in Belize e nord del Guatemala



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