Lasciarsi scoprire dallo Yucatan

VADO IN MESSICO Se siete stati in Messico vi sarà probabilmente rimasto dentro per sempre qualcosa di indefinito che di tanto in tanto riaffiora, rallentando i vostri tempi e i vostri pensieri. Dopo sette anni (un numero magico) divisi equamente tra Italia e Messico, Roma e Caribe, Colosseo e Piramidi, ho rinunciato definitivamente a capire...
Scritto da: Marco Lotito
lasciarsi scoprire dallo yucatan
Partenza il: 22/03/2004
Ritorno il: 22/03/2004
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 500 €
VADO IN MESSICO Se siete stati in Messico vi sarà probabilmente rimasto dentro per sempre qualcosa di indefinito che di tanto in tanto riaffiora, rallentando i vostri tempi e i vostri pensieri. Dopo sette anni (un numero magico) divisi equamente tra Italia e Messico, Roma e Caribe, Colosseo e Piramidi, ho rinunciato definitivamente a capire questo potere occulto che mi attrae e respinge allo stesso tempo. Del Messico ho capito sulla mia pelle che non ci si può mai liberare del tutto: non è solo amore, è amore/odio, un rapporto sempre incompiuto che ti lascia a volte con l’amaro in bocca, altre volte ti sorprende piacevolmente, come in fondo sa fare giorno per giorno questa “pinche vida”, che vale sempre la pena vivere. Molto spesso si giudica solo dalle apparenze, e nel caso dei caraibi messicani credo che questo accada alla maggior parte dei distratti turisti che arrivano con le-pinne-le-maschere-gli-occhiali a bordo di charters strapieni. Pochi sanno o hanno voglia di cercare al di là della bianchissima spiaggia e del villaggio con tutti i confort. In realtà lo Yucatan non è solo una destinazione turistica in rapidissimo sviluppo, ma un luogo da sempre sacro ai maya dove si sta manifestando in tutta la sua cruda realtà una profezia iniziata migliaia di anni fa: la lotta per la conquista degli spazi tra l’uomo e la natura. Ma anche la vittoria della lentezza sulla velocità. I maya infatti insospettabilmente hanno qualcosa di molto profondo in comune con tanti bikers: sanno apprezzare la lentezza, e ascoltare le vibrazioni, rimanendo così legati al lamento vitale della madre terra come attraverso un continuo tam tam. Quest’anno tutto sembrava esattamente simmetrico al mio primo viaggio in Messico: incontravo sulla spiaggia persone conosciute nel ’97, ero tornato ad aiutare mio fratello alla Posada Barrio Latino, addirittura mi entrava di nuovo il costume di quei tempi, che era rimasto forzatamente rinchiuso nel cassetto. Dallo stesso cassetto uscivano uno alla volta ricordi e progetti ormai accantonati, come quello del “Grateful run” uno “strange long trip” ispirato dai Grateful Dead. Ogni cosa si stava allineando sistematicamente, come parentesi che si chiudono. Finalmente poi è arrivato il mese di marzo, il mese più magico dell’anno. E’ tornato l’Abuelo, uno sciamano Huichol di 108 anni, che è giunto a Playa del Carmen dal deserto del Nayarit, dopo un lunghissimo viaggio. Ho avuto l’onore di partecipare a una sua cerimonia nella selva, in una notte di luna piena, in cui la Natura ha parlato una lingua sconosciuta eppure ha lasciato a ciascuno di noi un messaggio ben chiaro. Avevo ancora dentro il mio corpo la “medicina” del marakamè quando da Roma sono arrivati anche Geronimo e Alessandra.

In pochi giorni altre cose si sono allineate. Dovete sapere infatti che solo da poco tempo a Playa vive un finlandese. Prima di fermarsi Eikka ha girato il Sud America in moto, poi ha pensato bene di investire i suoi soldi in qualcosa che avesse a che fare con la sua passione più grande e non gli impedisse di passare gran parte del tempo in spiaggia. Adesso affitta HD. Seduti al Cafè de la Luna sorseggiando una Modelo Especial ghiacciata abbiamo cominciato a parlare di moto, di viaggi e di altre cose altrettanto mistiche.

L’Equinox Run è nato così: partiremo da Playa del Carmen la mattina del 22 marzo per raggiungere il sito archeologico di Chicen-Itzà dove in occasione dell’equinozio di primavera si riuniscono ogni anno decine di migliaia di persone per osservare l’ombra del sole disegnare il serpente piumato sulle scale del Castillo, l’imponente piramide.

Il giorno dopo ci troviamo all’ufficio/officina della Harley Adventures, giusto sulla Carrettera Federal, equidistante da un locale di lap dancers con pochissime pretese e dal deposito della Cerveceria Modelo. Ci viene incontro il baffuto velador che non prova nemmeno a nascondere i segni dei fili dell’amaca che gli disegnano un comico effetto ragnatela sul volto bruciato dal sole. Tra le moto di Eikka la mia scelta cade subito sull’unica che non affitta mai, il Mad Max, uno Sportster dal carattere marcatamente racing, tutto nero opaco con Supertrapp alti (che mi hanno lasciato un bel ricordo sul polpaccio destro..), puntale aerodinamico, ruote grosse e lisce, e un misto di ricambi di ignota provenienza, identificato “a norma di legge” da una piccola targa di cartone scritta col pennarello (meglio non investigare…). Le altre moto (un Fat Boy 1450 2004, una Heritage Classic 1340 con l’inevitabile ape hanger, un’altra Heritage 1600 arancione targata New York “rimasta” in Messico, due 883R e il 1200 custom (che guiderà Geronimo) vengono assegnate agli altri bikers provenienti da Italia, Argentina, Germania, USA, Finlandia. C’è da dire che in buena onda Eikka ha fatto prezzi scontati a tutti. La mattina alle 6,30 noto con piacere che la pioggia che per tutta la notte aveva messo a dura prova la tenuta del tetto della palapa dove dormivo ha lasciato il posto a un sole che già dalla prime ore della mattina scalda non poco, rendendo presto superfluo il bellissimo giubbotto che avevo ricevuto in dono direttamente dall’Italia per Natale. Ci muoviamo svegliando il pueblo, ancora deserto dopo la rituale sbornia del sabato sera, con gli scarichi che cantano in coro l’inno alla libertà non omologata. La strada in cemento fino a Tulum, i nostri primi 67 km, è liscia come l’olio, forse perché è stata costruita con i pesos dei narcos che in cambio hanno ottenuto la rimozione dei posti di blocco dei Judiciales. Facciamo il nostro primo rifornimento alla pompa della Pemex, scambiando battute mischiamo inglese, spagnolo, itagnolo, poi per fortuna la parola torna ai Twins.

La strada che unisce Tulum a Coba è una ferita che squarcia una vegetazione brulla, dove i pochi terreni spianati sembrano coltivazioni di pietra cui l’uomo a fatica ha strappato solo un po’ di spazio. I pochi villaggi che incontriamo sono davvero poveri, ci danno la dimensione di cosa voglia dire sopravvivere a pochi chilometri dallo sfavillante mondo dei villaggi: qui primo e terzo mondo sono maledettamente imparentati, non c’è un fiume da guadare, e le speranze di migliorare affogano direttamente nella tequila prima ancora di provarci.

Il nostro cammino è frequentemente rallentato dalla presenza di topes, ma quando più tardi avremo occasione di dare un po’ di manetta la presenza di profondissime buche nell’asfalto sottile ci imporrà di tenere gli occhi molto ben aperti e di segnalarci continuamente a vicenda quelle più insidiose, viste spesso all’ultimo momento. Un misto di divertimento e tensione che ci farà salutare con soddisfazione l’arrivo alla cittadina di Valladolid.

Parcheggiamo le moto nella piazza spagnoleggiante sotto un sole reso ancora più insopportabile dai pantaloni lunghi (che non indossavo da mesi), dal casco (obbligatorio solo da pochi giorni) e dal riverbero dell’asfalto. Ma la sosta è dedicata al pranzo sotto un portico all’ombra, quindi tra tamales, tacos e quesadillas recuperiamo rapidamente le forze. Ripartiamo con ancora il sapore del chili muuuy picante sulla lingua, e solo pochi chilometri dopo facciamo nuovamente sosta, questa volta per visitare un cenote, ossia una piscina naturale di acqua dolce, caratteristica della Penisola dello Yucatan che ne è piena.

Il cellulare torna a funzionare, regalandomi così un sms dall’Italia che virtualmente basta ad occupare il posto rimasto vuoto sulla mia sella. L’inchiostro qualche strato sotto la mia pelle coperta di vaselina brucia col sudore, si deve ancora seccare, ma senza bisogno di rileggerle sento pulsare le parole “Siempre Amor y Libertad”. Con una manciata di pesos compro senza tirare sul prezzo una bella testa di giaguaro intarsiata nel legno wengé (una sorta di tek) che conserverò come ricordo del run. Mentre la coppia di tedeschi ed Eikka con la sua bionda ragazza americana nuotano ancora nel cenote mi regalo un’ottima insalata di frutta preparata sul posto da due angelitos, i bambini maya. Non mi preoccupo del pericolo dell’ameba… perché ce l’ho gia!! Finalmente possiamo ripartire, il sole è già praticamente perpendicolare e dovremmo arrivare in tempo prima che l’ombra si completi, di tutto il resto posso fare benissimo a meno. Per di più il cielo si sta annuvolando minacciosamente, come capita spesso all’interno. Andiamo tutti un po’ più veloci, divertendoci ancora come bambini. Un freddo vento spettina già gli alberi quando arriviamo al bivio per Chicen-Itzà, presidiato dai Maggiolini e dalle Electra bianche della Policia di Merida. Mi fermo per segnalare la svolta agli amici che ricompaiono superando il dosso e incrocio lo sguardo pigramente curioso di uno “sceriffo” che ci osserva mentre passiamo col nostro improbabile repertorio di targhe. Poche centinaia di metri più tardi tra lampi e tuoni si scatena il diluvio. Facciamo giusto in tempo a tornare indietro verso un rancho, dove i nostri cavalli di ferro rimarranno parcheggiati più di un’ora in attesa che spiova, trovando riparo proprio accanto a un cavallo in carne ed ossa (più ossa che carne..). Viene a trovarci il silenzio. In lontananza adesso si possono sentire i tamburi rituali che incessanti cercano di intimorire il dio Chaack, considerato responsabile della pioggia. Chi dorme tra le braccia della compagna, chi fuma il fumabile stordendosi un pò, chi mangia galletas al cioccolato, chi rincorre una iguana grossa come un coccodrillo, chi pensa all’ennesimo rientro a casa (ma casa dov’è?). Tutti però sembriamo percepire la magia del posto, immaginare cosa ci aspetterà una volta nel sito al cospetto della storia di questa terra di cui stiamo entrando a far parte nostro malgrado… entrare nella leggenda a cavallo di mezzi leggendari… Tutto sommato non capita tutti i giorni: quanti italiani saranno arrivati fin qui su un HD? Sono quasi le tre del pomeriggio quando dopo averlo spinto nel fango il Mad Max accetta brontolando di ripartire. L’ingresso del sito è a poca distanza: leghiamo le moto e attraversando grovigli di immensi alberi millenari e resti di colonnati forse più recenti raggiungiamo l’enorme spiazzo della piramide, affollato di una moltitudine di hippies, mistici e turisti, molti dei quali vestiti completamente di bianco. Il cielo è purtroppo ancora talmente nuvoloso che non riesce a passare nemmeno un raggio di sole. Non rimane che appoggiarsi alla parete della piramide e “sentire”. Poco dopo arriva un gruppo di figuranti, truccati come i maya di un tempo. L’incenso profuma l’aria mentre suoni preispanici catturano l’attenzione del mio cervello che stava viaggiando lontano. Doveva essere davvero impressionante partecipare a queste cerimonie che ribadivano il potere degli eletti, radunando al proprio cospetto migliaia di persone adoranti e anche intimorite dai tantissimi sacrifici umani… Rassegnati all’idea che non vedremo nessun serpente, cioè nemmeno la sua ombra, torniamo verso le moto un po’ delusi. In quel momento un coro di voci all’unisono, come un boato, ci fa voltare. Per un istante, solo un attimo, il cielo si è aperto regalando ai presenti lo spettacolo che era stato tanto fiduciosamente atteso…

A questo punto non rimane altro che riprendere la via del ritorno: ci ripromettiamo di fare più strada possibile con la luce pensando a quelle buche sulla via per Cobà, ma mettendo in moto, mi volto e ancora rinnovo il mio appuntamento con questi luoghi e le sensazioni indecifrabili che mi hanno raccontato. Solo una volta arrivati a Playa nella notte riesco a tirare un grande respiro di sollievo: non ci vedo tanto bene e maggiolini senza fari o “camiones” in sorpassi troppo disinvolti mi hanno fatto stringere più volte… la sella. Un camion della “basura” rovesciatosi poco prima del nostro passaggio sulla Carrettera vicino Akumal conferma i miei dubbi sulla affidabilità di queste strade, o se non altro dei messicani alla guida, soprattutto nel week end! Alla fine della giornata finalmente brindiamo a noi e agli amici che avremmo voluto con noi regalandoci un salutare Quintana Roo, miracoloso mix di cactus, erbe e frutti locali, un assaggio di questa terra che già da qualche giorno era diventato un appuntamento fisso.

Sono stati 800 chilometri assaporati intensamente, 800 chilometri di pensieri lontani, di buena vibra, un tacito patto rinnovato con il Messico. D’altra parte lo stesso Pino Cacucci, che con i suoi libri è il responsabile di tante partenze senza ritorno verso quella magica terra, non ha trovato parole migliori di quelle di Malcom Lowry per dire che “chi ha respirato la polvere delle strade del Messico non troverà più pace in nessun’altro paese del mondo”.

Ecco un altro di quei ricordi che torneranno utili per quando ci ritroveremo con gli amici, ormai ottantenni, a mostrarci i disegni scoloriti sulla pelle rinsecchita, seduti sulla solita panchina, felici di andare avanti …Sempre più lenti. Pinche vida… smetterai mai di sorprendermi? Links: www.Vadoinmessico.Com www.Harleyadventures.Com www.Posadabarriolatino.Com www.Geronimospub.Com



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche