Marocco: Tour delle città imperiali

Arrivo a Fez con volo Ryanair proveniente da Girona. Immediatamente dopo l’atterraggio i tanti passeggeri marocchini si alzano in piedi di colpo, senza aspettare che il velivolo si fermi e, soprattutto, infischiandosene alla grande delle veementi reprimende delle hostess, le quali li richiamano, invano, all’ordine e a stare seduti fino a che...
Scritto da: palinuro71
marocco: tour delle città imperiali
Partenza il: 04/02/2009
Ritorno il: 12/02/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Arrivo a Fez con volo Ryanair proveniente da Girona. Immediatamente dopo l’atterraggio i tanti passeggeri marocchini si alzano in piedi di colpo, senza aspettare che il velivolo si fermi e, soprattutto, infischiandosene alla grande delle veementi reprimende delle hostess, le quali li richiamano, invano, all’ordine e a stare seduti fino a che l’aereo non si sia fermato. In tanti anni di viaggi non avevo mai assistito ad una scena di questo genere che si potrebbe definire anarchico/strafottente. Sono in compagnia dell’amico Paolo, un vero avventuriero, uomo navigato, dotato di uno spiccato senso dell’humor e grande conoscitore del mondo arabo. Nel piazzale esterno dell’aeroporto attendiamo l’arrivo di un taxi che, contrariamente alle nostre aspettative, tarda a presentarsi. Per non perdere tempo decidiamo di salire velocemente su un mezzo più o meno abusivo che ci conduce fino all’hotel Ibis Moussafir. Sono circa le 22 quando prendiamo possesso della stanza. Il primo pensiero è alla giornata seguente, soprattutto su cosa fare e su come visitare la città. Il dubbio riguarda la possibilità di avventurarsi in solitario in zone sconosciute, con i rischi che questo comporta, oppure usufruire di una guida del posto. Scegliamo la seconda ipotesi, più per ottimizzare i tempi che per la paura di rimanere imbrigliati nella Medina. Alla reception prendono nota delle nostre richieste che sono poche ma semplici: metterci in contatto con una persona seria, che sappia parlare l’italiano e riconoscibile da un tesserino governativo. Dopo circa un’ora veniamo raggiunti in ristorante da un giovane ragazzo di nome Rajid che ci indica, a grandi linee, il programma per l’indomani e ci comunica il suo tariffario per mezza giornata. Accettiamo le condizioni e lo salutiamo con la raccomandazione di essere puntuale alle 9.00 di fronte all’albergo. Il giorno dopo ci alziamo di buon ora, colazione veloce e pronti a partire armati di cappuccio ed ombrello per contrastare le pessime condizioni meteo. Aspettiamo fiduciosi la guida ma, alle 9.15, non arriva. Perché ci chiediamo? Il primo requisito del soggetto, la serietà, e messo in dubbio già prima di cominciare?. In realtà il problema siamo noi o, meglio, la nostra poca attenzione all’orologio. Come due profani alle prime armi in tema di viaggi, abbiamo totalmente ignorato il cambio di fuso orario tra Italia e Marocco. Sono appena le 8.15 e non ci rimane altro che attendere passivamente i rimanenti tre quarti d’ora. Nella hall conosciamo una coppia di coniugi bresciani che si autopropone di aggregarsi alla comitiva. Per noi non ci son problemi e non ce ne saranno, poco dopo, neanche per la guida. Oggi è venerdì i negozi sono chiusi e tutti e cinque, a piedi e sotto l’acqua scrosciante, ci dirigiamo verso Fès el-Jdid. Dopo aver percorso qualche centinaio di metri, ecco la prima sosta di fronte al Palazzo reale. In questa residenza viene spesso il re quando non è a Rabat ma, purtroppo, l’interno non è visitabile. Poco più avanti apprezziamo il mellah, il quartiere ebraico con i caratteristici balconi in legno intarsiato e le decorazioni in ferro battuto. Abbiamo solo la mattinata per visitare la città; con il taxi andiamo a sbirciare Fez dall’alto. Vista dalla collina sembra una città immobile nel tempo: una lunga distesa di tetti vicini e appiattiti, color calce; la città sembra essere stata abbandonata da tempo immemorabile, silenziosa, arroccata in se stessa. Giusto il tempo di scattare alcune foto e di ascoltare, distrattamente, la guida che racconta alcune leggende sulla città e siamo pronti a rimontare sul taxi in direzione centro. Eccoci, in breve tempo, di fronte all’ingresso di una fabbrica di ceramiche, la prima di un tour imposto dalla guida stessa che ad ogni fermata, riceverà una ricompensa in termini monetari, sia che si compri qualcosa, sia che si rifugga dagli acquisti. Un artigiano locale, di fronte ai nostri occhi, lavora l’argilla con le mani mentre, nel frattempo, il responsabile del magazzino illustra i vari di tipi di cottura e la differenza tra le ceramiche di Fez, in argilla grigia e quelle di Marrakech, in terra rossa. Nel primo caso viene usato il cobalto, si esegue una doppia cottura al forno e le ceramiche sono molto resistenti. Inoltre, possono essere utilizzate anche per mangiare. Nell’altro caso, invece, sono più soggette ai graffi, sono cotte una sola volta e vengono vendute come mera decorazione. Nel laboratorio lavorano circa 200 persone retribuite con fondi Unesco, appositamente stanziati a favore dei siti considerati patrimonio mondiale dell’umanità. Lo stipendio per i giovani apprendisti è di circa 100 euro al mese ma almeno, dice lui, i giovani imparano un lavoro.

Il giro termina nell’immancabile negozio di vendita, ricolmo di oggetti interessanti, tutti lavorati a mano e dai colori sgargianti. Purtroppo quando si viaggia con Ryanair bisogna sottostare a delle forti restrizioni per ciò che riguarda il bagaglio a mano. Diventa difficile acquistare souvenir, specialmente ceramiche, tenendosi dentro il peso massimo consentito. Finita questa interessante esperienza, saliamo a bordo di un petit taxi che ci lascia di fronte alla Medina; la nostra visita non può che iniziare dalla famosa porta blu di Fès el-Bali. Quando si accede all’antica Medina si entra in un altro mondo. Mi viene veramente difficile ricordare il percorso esatto che abbiamo compiuto; il suo impianto urbanistico è incredibilmente intricato e tortuoso. Sembra di immergersi in un gioco tridimensionale ambientato nel medioevo. Le strade, molto strette, prendono direzioni inattese ed è facilissimo smarrirsi se non si è accompagnati da un abitante del luogo. La zona è interdetta ai motorini ma persino, cosa assolutamente inedita per le altre medine, agli asini. Il percorso, preconfezionato, prevede una trappola per turisti in una farmacia/erboristeria di un amico della guida. Nell’occasione ci sediamo all’interno della bottega ad annusare mille aromi e profumi accattivanti. Tra le varie boccette e piccoli contenitori spunta fuori il famoso olio di Argan. Ci spiegano che l’olio deriva dal nocciolo del frutto della pianta. Le capre mangiano il frutto scartando il nocciolo che una volta raccolto viene spaccato. Nell’occasione due donne stanno sedute per terra, ricurve su se stesse, con le spalle al muro concentrate sul tagliuzzamento delle noci. Non sembrano alienate anzi, sorridono e vanno avanti sportivamente per ore ed ore. Il cumino, la cannella, il coriandolo, lo zenzero, il peperoncino sono solo alcune delle spezie che sniffiamo, fingendoci interessati. Noto però una piccola incongruenza: quello che loro chiamano zafferano è in realtà curcuma la quale, non essendo esattamente la stessa cosa, andrebbe opportunamente distinta. La tappa successiva è la conceria, nel souk dei tintori. Gli uomini s’immergono fino all’ombelico dentro le vasche bianche, dove si separano la pelli dalla lana, e dentro quelle colorate, utilizzate per la tintura. Sembra un girone dantesco, uno spettacolo veramente unico; dalla terrazza di uno dei laboratori l’effetto è simile a quello di una tavolozza di un pittore con le varie tinte policrome. Indaco per il blu, papavero per il rosso, zafferano per il giallo. Ogni colore ha un suo significato: il rosso è il colore dei berberi, il verde dell’Islam e il blu della città di Fès. A rendere tutto ancor più indimenticabile contribuisce l’odore nauseabondo che si respira e di cui tutta l’aria è pervasa. Ci offrono un ramoscello di menta per mitigare la forte puzza resa ancor più acre dagli escrementi di piccione che contengono l’ammoniaca necessaria a trattare le pelli. Acquisto un paio di babbucce in pelle di capra e con suola di cammello di cui sono molto orgoglioso. Visitiamo la scuola coranica Bu ‘Inayna con il suo splendido cortile e scrutiamo velocemente la sala attigua, inaccessibile ai non mussulmani. Proseguiamo a camminare lungo la Medina con i suoi palazzi, le numerose fontane ricoperte di mosaici e le porte in legno. Entriamo dentro un caravanserraglio, utilizzato come magazzino. Gustiamo il pranzo in uno degli eleganti palazzi – ristoranti di cui è piena la Medina. I piatti tipici sono tre: il tajine, ossia carne con verdura cotta serviti in vasi di terracotta, la pastilla, una pasta foglia farcita di piccione e mandorle e il noto cous cous. Rigorosamente vietato il vino! Al termine del pranzo, salutiamo tutti e, frettolosamente, facciamo rientro in albergo. Ritiriamo i bagagli e, dalla vicina stazione, saliamo in treno per dirigerci verso Rabat. Purtroppo, le pessime condizioni atmosferiche ci inducono a rivedere il programma di viaggio. La città di Meknès, inizialmente inserita tra le nostre tappe, viene, forzatamente, depennata. Nella prima classe del treno faccio conoscenza con due ragazze, una di Casablanca ed una di Rabat che studiano in una scuola americana di Ifrane, una piccola cittadina posta sui monti del Medio Atlante. Una di loro ci consiglia un ristorante dove cenare la sera. Poco dopo il nostro arrivo nella capitale è proprio la fame a farla da padrone. Andiamo al La Plage, collocato giustappunto in riva all’oceano Atlantico e specializzato in pesce. Ordiniamo spada e coda di rospo, serviti in quantità generose, una bottiglia di vino rosso ( nell’occasione ben tollerato), creme brulé e digestivo. Nonostante il conto salato siamo comunque soddisfatti di questa cena europea e andiamo a riposare contenti e, un po’ brilli, facciamo rientro all’Ibis. Gli alberghi di questa nota catena hanno rappresentato una costante in tutte le città in cui abbiamo dimorato, ad esclusione di Marrakech dove, ho preferito, alloggiare in un Riad. Uno dei vantaggi degli Ibis, oltre i prezzi favorevoli, è quello del loro posizionamento strategico. Avere la comodità di stare vicino ad ogni stazione, è un grandissimo vantaggio per chi si muove in treno. Dalla vetrata dell’albergo constatiamo, tristi e desolati, che anche oggi il tempo è pessimo, piove ininterrottamente e il cielo non promette niente di buono. La voglia di vedere il luogo è, però, tanta per cui, senza esitazioni, usciamo fuori spavaldamente e, in breve tempo, raggiungiamo la Medina. Rabat, più di qualunque altra città del Marocco, racchiude in sé, contemporaneamente, l’antico e il moderno. La cittadella, un nucleo fortificato vicino al mare, risalente al X secolo, con il suo senso di grande intimità insieme alla parte di più recente costruzione rappresentata dai nuovissimi quartieri attorno al Palazzo Reale. La prima fermata è al mercato del pesce, dislocato lungo la Rue Souika. Questa Medina, da quel poco che abbiamo potuto vedere per via del tempaccio, è sembrata sicuramente meno interessante di quella di Fès. Oggi abbiamo appuntamento, di fronte alla Kasbah des Oudaias, con Morad un amico di Casablanca che vive nella mia città da 15 anni. Insieme a lui varchiamo l’ingresso principale della cittadella, attraverso la porta che conduce ai giardini andalusi, per poi convergere sulla Rue Jamaa. Al termine di questa strada, dove ammiriamo le tipiche facciate di colore bianco ed azzurro, sorge il belvedere. Nella terrazza del caffè moresco beviamo una tazza di the alla menta ( il whiskey marocchino) e assaggiamo dei deliziosi dolci alla pasta di mandorle. Tutto questo con davanti agli occhi lo splendido panorama sull’Atlantico e sulla foce del fiume Bou Regrer. Quest’ultimo, separa Rabat dalla vicina cittadina di Salè. Percorriamo il cammino a ritroso prima di appropinquarci alla macchina. La visita alla capitale non è certamente terminata mancano, infatti, i monumenti più importanti. A bordo della Mercedes del padre di Morad imbocchiamo l’Avenue Moulay Hassan e, alla fine del lungo viale, ecco spuntare all’orizzonte prima la torre di Hassan, molto simile alla Giralda di Siviglia, poi il Mausoleo di Mohammed V. In mezzo ai due, ciò che resta di una moschea distrutta dal terremoto con i caratteristici pilastri “mozzati”. Il mausoleo ospita le tombe di Mohammed V, del figlio Hassan II, morto nel 1999 e del fratello di quest’ultimo che, però, non hai mai governato. Attualmente in Marocco regna Mohammed VI, figlio di Hassan II, nonché nipote di Mohammed V. Alla fine del giro consumiamo uno spuntino veloce in una trattoria decentrata per poi raggiungere, sotto una pioggia battente, la città di Casablanca. Per fare gli alternativi, imbocchiamo una strada di collegamento secondario. A metà del tragitto, però, siamo costretti a tornare indietro verso l’autostrada perché la carreggiata viene letteralmente inondata dal fiume in piena. La distanza tra i due centri del Marocco non è tanta e potremo fare tutta una tirata ma, un po’ per la necessità di rifornire e un po’ per rilassarci, facciamo tappa in un distributore di carburante, con annesso punto di ristoro. Nella circostanza mi capita di notare una cosa stranissima; una sala preghiere, affollata di gente e attrezzata di tutto punto. Non ci sarebbe niente di strano se, la stessa, non fosse stata collocata a fianco alla toilette, in un contesto per lo meno anomalo. Riprendiamo il cammino e in circa mezz’ora arriviamo all’Ibis di Casablanca, sistemiamo frettolosamente i bagagli e, di corsa, usciamo perché, da li a poco, abbiamo un appuntamento. L’amico Morad ha insistito affinché ci trattenessimo a cena con la sua famiglia. Conosciamo i genitori e la sorella, i quali ci accolgono nel salone di casa arredato in tipico stile marocchino. Mangiamo il cous cous, un po’ di frutta e alcuni dolci fatti in casa. Verso la tarda serata ci concediamo uno svago notturno per conoscere la movida di Casablanca. Il boulevard de la Corniche è un elegante lungomare con spiagge, caffè e ristoranti. Pare che sia il luogo preferito per passeggiate e svaghi ed è particolarmente frequentato dai giovani durante la notte. Ci fermiamo nell’unico locale che può somministrare alcolici, super affollato di turisti intenti ad approcciare le compiacenti signorine in tacchi a spillo. Il tempo necessario a bere due birrette e verso l’una rincasiamo. Dedichiamo la mattina seguente alla visita di Casablanca, la città più grande del Marocco con i suoi tre milioni e mezzo di abitanti. Qui si avverte maggiormente l’influenza dell’occupazione francese e lo stile di vita è più vicino ai gusti occidentali. Iniziamo il giro dalla Piazza Mohammed V. Lungo i viali sono dislocati alcuni dei più bei palazzi in stile moresco risalenti al periodo coloniale, come il palazzo della Provincia, il Tribunale e la Dogana.

Finalmente splende il sole. Visitiamo la Medina vecchia, l’unica zona che ci da la certezza di essere capitati in una città marocchina, formata da piccole stradine strette con vari negozietti, l’uno attaccato all’altro. Morad ci avverte di curare la roba di valore perché la zona è considerata pericolosa. Anche qui non acquistiamo niente, più per atavica indecisione che per pura avarizia. Con la mente siamo già proiettati verso la prossima tappa: la Moschea di Hassan II, edificata a ridosso dell’oceano. Per poter visitare l’interno, è obbligatorio partecipare ad una delle visite guidate che partono ad orari prefissati. Purtroppo ho dovuto rinunciarvici a malincuore, perché, non essendo orario di visite, avrei dovuto aspettare ulteriori tre ore e perdere il primo treno utile per Marrakech. Apprezziamo comunque l’imponenza del complesso architettonico e il magnifico minareto. Morad ci accompagna alla stazione di Casà Voyager dove, alle 14.50, prendiamo il treno che ci conduce a Marrakech in circa 3 ore e 20 minuti.

Durante il viaggio accuso dei forti dolori allo stomaco che diventano sempre più lancinanti. Sto molto male e soffro le pene dell’inferno. Arrivati a Marrakech mi sento intontito, barcollo ho gli occhi lucidi e sto per crollare. Col taxi raggiungiamo il riad mille et une nuits da dove contattano, immediatamente,un medico. Tra i vari malanni, pare dovuti ad una spremuta di agrumi, ho anche la febbre a 38 e mezzo. L’unica cosa da fare è rimanere al calduccio sotto le coperte e tentare di riposare. L’indomani, miracolosamente, sto meglio, mi sento in forze, pronto ad affrontare la giornata. Dall’albergo ci consigliano un primo tour della città a calesse e noi accettiamo senza esitazioni. Il colore delle mura, un’imponente cinta in impasto d’argilla e calce, simile alla gomma piuma, è lo stesso di quello della terra che le ospita. La prima tappa è il giardino Majorelle, un’oasi verde nel cuore della città, opera di un pittore francese da cui prende il nome. Attualmente è di proprietà di Yves Saint Laurent, il quale ha mantenuto intatta la zona orto/botanica preservando con cura le varie piante presenti: canne di bambù, palme e antichi cactus. Rimontiamo in sella e proseguiamo il tour nei giardini della Koutubia, il famoso minareto di Marrakech. Visitina veloce all’oliveto della Menara, il cui padiglione interno pare che venisse usato dai sultani per gli appuntamenti galanti. Proseguiamo al trotto fino alla prossima sosta. Il sito delle Tombe Saadiane sembra assomigliare più ad un piccolo cimitero di campagna che ad un luogo di rilevanza storica. Intorno alle 12.00 primo assaggio di place djemaa el fna il simbolo di Marrakech. Al primo impatto con questa realtà mi sento un po’ spaesato, mi ritrovo a vagare stupito e suggestionato dai mille rumori. Forse anche spaventato, ma di un timore buono, dato dall’inquietudine di vedere persone che sono lì non si capisce a fare che cosa. Qui le varie genti entrano in contatto con il mondo marocchino non certo integrandosi ma semplicemente rimescolandosi con discrezione. Quotidianamente centinaia di donne e di uomini passano la loro esistenza in questa piazza, come a voler sfogare gli impulsi e le emozioni in un grande palcoscenico all’aperto. Di giorno è puntualmente attraversata da acrobati, addestratori di scimmiette, incantatori di serpenti, musicisti e cantastorie, venditori di acqua in costume, con le tradizionali borse di cuoio e le tazze di ottone, disegnatrici di tatuaggi henné, venditori di spezie, di frutta secca, pseudo dentisti ambulanti.

Il suo nome significa raduno dei morti, per via del fatto che un tempo, si svolgevano le pubbliche esecuzioni. Pur a suo modo spettacolare, non è bella, Djemaa El-Fna, è anzi piuttosto brutta, architettonicamente non ha niente di rilevante.

Per fare fotografie e rifocillarci prendiamo posto nelle varie terrazze sui piani alti della piazza. Prima al Cafè de France, poi al Cafè Argana, proseguendo con il Cafè du Glacier, Les Premices e La Marrakchi. Da queste postazioni tattiche si può godere dello spettacolo in tutta tranquillità, fuori dal caos, con un buon the alla menta da sorseggiare.

E’ impossibile cercare di fotografare qualcuno senza che in cambio ti vengano chiesti soldi. D’altronde, la stessa cosa, avviene nelle Ramblas di Barcellona dove i mimi ti inseguono col cappello in mano fino a che non sganci qualche euro. Qui perlomeno chiedono dirham… La parte più caratteristica è rappresentata dall’ingresso al Souk, a nord/ovest della piazza.

Ci tuffiamo in maniera spregiudicata all’interno del mercato e dopo circa un quarto d’ora raggiungiamo il Museo di Marrakech, un palazzo dei primi del ‘900, appartenuto ad un ricco mercante ed ora adibito a spazio espositivo. L’ex hammam è delizioso, cosi come il suo grazioso cortile, illuminato da luci gialle.

Di fronte al museo, la cupola della Koubba Ba’adiyn, leggermente infossata rispetto al livello della strada. Non capisco come una simile costruzione possa rappresentare il massimo esempio architettonico dell’era degli Almoravidi.

Al contrario uno degli edifici più belli della città è, senza dubbio, la Medersa di Ben Youssef. Fondata intorno alla metà del XIV secolo, fu totalmente ricostruita nel 1554-65 e si affermò come la più grande scuola coranica del Maghreb. Il cortile, luminosissimo, presenta al centro una vasca per le abluzioni. Si racconta che il marmo di Carrara che serviva ai sovrani per decorare molti edifici della capitale venisse barattato a peso di zucchero. Al primo piano della scuola coranica si trovano gli alloggi degli studenti disposti intorno a piccole balconate che si affacciano sul piazzale interno. Dopo questo intermezzo culturale, eccoci nuovamente a gironzolare tra le stradine del souk. Le merci esposte sono sempre le stesse e mi chiedo come sia possibile che un così grande numero di attività possano rimanere aperte senza risentire dei pochi affari conclusi. A taluni questo sembra non interessare vista la calma e la tranquillità con la quale restano comodamente sdraiati davanti o dentro le proprie botteghe. Sembra che dell’ignavia collettiva soffrano anche gli asini che se la dormono beatamente, in simbiosi con i loro padroni.

Mi incuriosiscono le scene di vita vissuta così, spesso, mi fermo a riprendere uomini svogliati o ad inquadrare frettolose donne che, con il loro burka integrale, ritornano a casa cariche di buste della spesa. Ho rischiato anche il linciaggio da parte di una ragazza berbera, spaventata dal fatto che le potessi rubare l’anima. Il mio vagabondare fra vicoli e vicoletti mi porta a ridosso della zona dei tappeti. Un giovane commerciante, robusto, dal colorito olivastro, ci invita ad accomodarci nel suo negozio con la scusa di dare solo un’occhiata. Le pareti sono completamente ricoperte di tappeti con colori che confondono la vista; in un angolo una donna seduta per terra annoda la lana. Comincia la rassegna dei tappeti srotolati sul pavimento ad uno ad uno; grandi, piccoli, di diversi colori e dai disegni più vari. Siamo interessati ad una preghiera, un tappeto di dimensioni ridotte che viene normalmente utilizzato per inginocchiarsi nell’ora del richiamo all’adunanza da parte dell’Imam.

La trattativa estenuante, si concluderà con un compromesso sul prezzo finale; 50 euro al netto delle tasse sembra un prezzo ragionevole. Tappa al Riad per depositare il tappeto e per rilassare i muscoli. Questo meraviglioso alloggio, arredato in tipico stile marocchino con un giardino al centro è gestito da una coppia di coniugi, lui marocchino e lei francese. Hanno entrambi deciso di rientrare da Parigi per mettere su questo business. In poco tempo lo hanno acquistato, trasformato ab origine e fatto restaurare da un sapiente professionista. L’impronta è ben definita: un piccolo harem dall’ambiente caloroso con l’unico difetto di essere un po’ buio. Nel complesso mi sento di consigliarlo a tutti, soprattutto per la sua posizione al centro della Medina. All’ora di cena usciamo e con un taxi raggiungiamo un ristorante indicato nella guida. Si chiama Catanzaro che, contrariamente a quanto farebbe pensare il nome, è gestito da francesi. Ottimo cibo, soprattutto il filetto al pepe verde e prezzi onesti. La sera tardi andiamo ad assistere alla danza del ventre nel club Pasha, il più grande dell’Africa con due mega piscine all’interno, un vero spettacolo.

Il giorno dopo, sveglia intorno alle 9.00 e colazione servita dal simpatico Hassan ( mini cornetti, pane marocchino, 2 tipi di marmellate, miele, caffè, latte e the). Rimane ben poco da vedere se non un Palazzo chiamato El Badi, di cui oggi rimangono solamente le mura perimetrali e quelle dei cortili. I bastioni sono il rifugio preferito delle cicogne ma nel complesso il palazzo è deludente. All’uscita intercettiamo il Marrakech bus che prendiamo al volo per ben 130 dirham cadauno. Le tappe, oltre ai siti già visti in precedenza, non sono per niente interessanti. Molte soste vengono effettuate di fronte a degli alberghi insignificanti. Lo sconsiglio fortemente perché quello che si vede dall’autobus a due piani è la città moderna, tutta l’avenue Mohamed V e un’altra piazza in stile occidentale. Il tragitto risulterà alquanto noioso e ripetitivo. Finita la city sightseeing torniamo in piazza a mangiare in un ristorantino anonimo. A dir la verità siamo un po’ stufi della cucina marocchina e ci siamo ripromessi che non toccheremo più cous cous per almeno cinque anni. La temperatura esterna è di 25 gradi e, viste le frequenti glaciazioni del nostro inverno, corriamo il serio rischio di beccarci un’insolazione. Lentamente, andiamo a fare un po’ di shopping all’ensamble artigianal. In questo centro commerciale made in Marocco si trovano le stesse cose che si vedono e si vendono nei souk. Compro il loro vestito tipico in lana , i saponi al muschio bianco, un portafogli da donna, e alcuni oggetti d’argento. Si cena in albergo a base di spiedini speziatissimi per me e sogliola fritta per l’amico. Nel complesso cena mediocre ad un prezzo troppo elevato.

“Dio, tè alla menta, non c’è problema”, ovvero, INCH’ALLAH (se Dio vuole), anche oggi avremo il nostro Tè alla menta. La sintesi perfetta della filosofia di vita di questo popolo, è raccolta in questa frase. Questo è il Marocco, con i suoi spazi sconfinati e i vicoli affollati, con cime innevate e pianure desertiche, con sapori agri e gusti dolci, con donne in burka e turiste inglesi in pantaloncini corti e scollature. Consigli utili: Per le ragazze; evitare abbigliamento troppo succinto perché comunque gli arabi tampinano le più disinibite sussurrando nelle loro orecchie frasi romantiche, forse poetiche? Occhio con l’assunzione di cibo e liquidi; particolare attenzione all’acqua non imbottigliata, alle spremute d’arancia, all’insalata.

Per telefonare in Italia conviene acquistare una scheda della Maroc telecom in loco.

Sconsiglio di noleggiare l’auto perché regna la totale anarchia e il codice della strada è sostituito da convenzioni basate su colpi di clacson e sorpassi incontrollati. Per spostarsi da una città all’altra scegliete il treno, puntualissimo e comodo, soprattutto in prima classe. L’alternativa sono i gran taxi (sempre e solo Mercedes). In città muoversi con i petit taxi ( a Fez e Casablanca di color rosso, a Rabat blu e a Marrakech beige) numerosi e facilmente accessibili.

Portare una serie di farmaci ( analgesico, antistaminico, antidiarroico, una crema al cortisone e creme solari oltre ai farmaci di più comune utilizzo).

Riempirsi le tasche di spiccioli in maniera da essere sempre pronti a dare una piccola mancia agli animatori delle piazze e non solo.

Per chi non ama contrattare e ha paura delle fregature si può recare ad acquistare i souvenir negli Ensemble Artigianal, i prezzi sono imposti dallo Stato per cui non esistono grossi margini di trattativa. Se si fa il giro delle città imperiali è più conveniente acquistare in tutte le città ad esclusione della turistica Marrakech.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche