Immagina un Taxi Brousse in Madagascar

In certi luoghi viaggiare rinunciando alle nostre comodità può voler dire aiutare più concretamente...
Scritto da: TravellerPalm
immagina un taxi brousse in madagascar
Partenza il: 30/07/2017
Ritorno il: 14/08/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
In certi luoghi viaggiare rinunciando alle nostre comodità può voler dire aiutare più concretamente. Per rendersi conto quanto “tutto il Mondo è paese”… quanto “Niente è come sembra”… Quanto “tutto sia il contrario di tutto”. Per confermare o rivedere i propri pregiudizi… per rispondere a domande, o magari, farsene altre. Per restituire nome e valore alle cose.

Immagina una stazione degli autobus… Una spianata asfaltata, tante casette colorate, in fila, ciascuna con l’insegna della propria compagnia di viaggio.

Adesso immagina davanti a ciascuna casetta i rispettivi autobus pronti per la partenza. Alcuni turisti già seduti all’interno, altri che stanno sistemando i loro bagagli.

Ora che hai immaginato tutto questo, RIMUOVILO!

È piovuto, la spianata è un immenso spiazzo di fango, gli autobus sono piccoli pulmini da circa 20 persone, parcheggiate alla rinfusa. Decine di persone e animali si muovono tra i mezzi e tutti ti chiamano. Anche le galline.

Molti uomini, tutti neri, molto neri, nerissimi, carbonici, ti accerchiano e tu piccola donna bianca piena di banconote fresche di cambio, lì in mezzo, ti ritagli almeno 20 secondi per dire: “ Ma che idea di merda”. Eppure non è che poi ci sia tutto sto tempo per ascoltare i mille sentimenti e pregiudizi che ti porti appresso, così li selezioni e decidi di fare intervenire solo i tuoi sensi.

GUARDO E VEDO, vedo che tutti questi uomini ti sorridono, nessuno ti strattona, non elemosinano ma ti offrono un servizio. Sì, ok, il servizio è quello di aprirti la portiera, o di mandarti da un loro amico che ti porta da un altro amico che ti indica dove fare il biglietto e alla fine ti sei ritrovata a dare la mancia a quattro persone; ma nell’attesa di farti più furba intanto hai il tuo ticket per partire, perché la biglietteria c’è, ora vedo anche quella. E’ una baracca che funge anche da sala d’attesa e da deposito bagagli, incastrata tra i mezzi incrociati. Mi chiedo come ha fatto il tassista che mi ha portato, a capire che era lì. C’è anche l’insegna della compagnia. Il mio zaino viene issato letteralmente sul tetto dell’autobus che è il nostro portabagagli. Di lì a poco scoprirò che il nostro “bagagliaio” raggiungerà un’altezza pari quasi all’altezza del bus e che durante il viaggio accoglierà immensi sacchi di patate, di riso e paglia. In questo contesto certamente pensi che la tua valigia rimarrà schiacciata sotto tutto o che volerà via alla prima curva, o si allagherà al primo acquazzone e invece viene opportunamente legata con gli altri bagagli passeggeri, premurosamente coperta da un telone e tenuta divisa da eventuali carichi merci. Prima di partire si danno un gran da fare per pulire il mezzo dal viaggio precedente. Una spolverata qua e là. Tappetini sbattuti e pulizia dei vetri. Lascia stare che i parabrezza siano tutti terribilmente crepati pensi positivo: vuoi che si rompa proprio adesso? Vogliamo metterci a discutere sulla sicurezza stradale?

Sul biglietto mi etichettano come straniera, come se ce ne fossero tanti in quella specie di suk dell’autobus, ma scrivono anche il mio nome e mi augurano buon viaggio, anche quelli a cui non ho dato niente. Parto tranquilla. Faccio un salto a casa e penso a quanto ho sentito in pericolo la mia auto per non aver dato i soldi al parcheggiatore abusivo in centro a Bologna… e i pochi sorrisi che hanno fatto quando gli ho detto che non gli avrei dato niente.

ANNUSO E SENTO, sento una gran puzza che poi durante il viaggio diventerà odore e poi neanche sentirò più. E’ polvere unito ad un forte odore di gasolio, si viaggia a finestrini aperti un po’ perché alcuni sono rotti un po’ perché è meglio così.

Odore di capra, forse un carico precedente, oppure la signora anziana che mi siede accanto.

Le dico Salama, buongiorno, mi sorride, non parla francese e io non parlo malgascio. E’ incuriosita dal funzionamento del mio cellulare. Non tutti ancora hanno mai visto uno smartphone, ma d’altronde io ce l’ho solo da due anni.

Le distanze tra le città sono lunghe anche 4/6 ore se la fai a tratti, e alcuni autisti, non so quanto regolarmente, si fermano lunga la strada a caricare gente e bagagli, anche se altra gente e altri bagagli non ci stanno. Non ci sediamo uno in braccio all’altro per uno straccio di decoro ma siamo un po’ come le super citate sardine, per cui se avete l’olfatto sensibile avete tutta la mia comprensione ma dovete farvene una ragione.

Faccio un salto a casa e sfido chiunque a non aver desiderato subito una doccia dopo aver viaggiato su un bellissimo inter-regionale italiano in piena estate.

Ma quale delle due situazioni è più tollerabile un Taxi brousse nel terzo mondo?

O un treno del bel Paese?

I viaggiatori che utilizzano questi autobus sono forse di una classe sociale leggermente più alta, i bambini parlano il francese, gli abiti sono tenuti meglio e hanno tutti le scarpe ai piedi. Articolo non molto diffuso tra i malgasci tanto in campagna quanto in città.

Gli autisti allietano i viaggi con un repertorio musicale non propriamente etnico ma che aiuta a distrarre dai cigolii del mezzo che a volte per partire ha bisogno di una spintarella. I taxi brousse come la maggior parte dei taxi in Madagascar non hanno sempre bisogno delle chiavi inserite nel quadro anzi direi che sono quasi superflue è più semplice attaccare i cavetti direttamente e via che si và.

A richiesta o a discrezione dell’autista ci si ferma anche per alcune soste.

Per la toilette ci fermiamo in mezzo al niente, si apre la portiera e via tutti giù dietro a qualche cespuglio secco. Per mangiare, presso i villaggi o lungo la strada decine di donne si allungano ai finestrini con ceste di frutta e frittelle (ai Malgasci piace friggere) oppure ai chioschetti ci sono le banane più brutte che abbia mai visto ma buonissime. C’è anche una specie di bar per il caffè, un carretto con tegamini di metallo… ma questo magari lo prendiamo un’altra volta.

Aspetto che si riparta. “Guarda ben dove sono!” lì in mezzo alla polvere e alle mosche.. sono sempre quella piccola donna bianca piena di banconote fresche di cambio ma sono tranquilla, a mio agio. Guardo il loro quotidiano, li ascolto senza capire ma i gesti e le espressioni fanno immaginare. Circondata dai mille colori dei loro parei e da una varietà di paesaggio continua penso che sono in un Paese meraviglioso e fragile che non so chi, come e quando forse sta cercando di migliorare. O forse no. La cosa certa è che io posso solo subirlo e senza farmi troppe domande di Geopolitica più grandi di me penso che quasi, quasi qui ci torno… magari la prossima volta prendo il treno!

Andate in Madagascar! Prendete i loro mezzi pubblici e vivete con loro e tra loro.

Bon Vojage

Silvia

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