Da Antananarivo a Ifaty con tappa alle Seychelles

La celebre RN7 da Antananarivo a Tulear, i parchi del sud e le cristalline acque di Mahé
Scritto da: marip76
da antananarivo a ifaty con tappa alle seychelles
Partenza il: 01/08/2017
Ritorno il: 15/08/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
MADAGASCAR & MAHE’ ISLAND, SEYCHELLES

(1/8/2017-15/08/2017)

1 agosto, partenza – 2 agosto, arrivo

Si parte il 1 agosto con volo Etihad da Venezia con scalo ad Abu Dhabi e Seychelles e arrivo ad Antananarivo alle ore 12.00 ora locale. Al ritorno, ci si ferma a Seychelles per 3 giorni e poi si ritorna in Italia sempre via Abu Dhabi.

Costo del volo: 834 euro A/R per persona.

Dall’Italia ho contattato diverse persone che effettuano noleggio auto ed autista, tutti individuati seguendo i suggerimenti dei viaggiatori su Tripadvisor. Scelgo di affidarci a Tiaray Rakotoson (tyyraka1@yahoo.fr), che viene consigliato da diversi viaggiatori fai da te e propone un prezzo interessante per un tour in direzione centro-sud del Madagascar. Per il noleggio di un furgone e relativo autista ci chiede 700 euro, se si aggiungono le sistemazioni in bed and breakfast il prezzo sale a 1150 euro per 2 persone. Optiamo per la seconda opzione, così si evita di cercarsi il pernottamento in loco. Via mail si concorda con Tiaray il tour, che dovrà concludersi il giorno 11/8 quando parte il nostro volo per Seychelles.

Fanno parte del pacchetto per 1150 euro:

– Bed & breakfast durante tutto il tour (9 gg in totale)

– Noleggio auto e autista, con assicurazione

– Vitto e alloggio per l’autista

– Entrate ai parchi principali (Ranomafana, Anja, Isalo) e guida all’interno dei parchi

– Transfer da/per l’aeroporto

2/8/2017: Antananarivo

All’arrivo ad Antananarivo si attende la trafila del controllo passaporti e visto d’ingresso. Il visto si paga in loco a seconda di quanto tempo si intende fermarsi nell’isola; per un periodo di tempo che va dal 1 al 31 agosto si pagano 25 Euro a testa (o si può pagare in $ o moneta locale, Ariary). All’uscita dell’aeroporto ci attende Maro, il collega a cui Tiaray ha affidato il compito di accompagnarci, dato che lui è impegnato in un altro tour. Ci imbarca su un furgone (mezzo che ci lascia perplessi ma che si rivelerà un buon investimento) e ci accompagna all’hotel. Via mail si era concordato con Tiaray di farci effettuare un tour in città appena arrivati, ma il nostro autista dice che è meglio visitare ciò che si può a piedi, poiché con l’automobile si rischia di rimanere imbottigliati nel traffico. Quindi ci fa cambiare denaro con un bagarino del luogo, che ci fornisce un discreto cambio: 1 euro a 3400 Ariary. L’hotel prenotatoci da Tiaray è il Sole Hotel, che, visto da fuori, sembra una topaia, ma dentro si rivela accettabile, a parte l’odore poco piacevole che alberga nella stanza assegnataci, a causa probabilmente degli scarichi intasati. C’è anche il servizio wifi.

Usciamo quasi subito per una ricognizione del luogo. L’hotel è in centro, immerso nel caos e nel traffico. Non c’è regola per le strade: automobili e persone procedono per la strada senza badare troppo gli uni agli altri, i clacson avvertono a malapena chi intralcia, le strisce pedonali per l’attraversamento sono degli optional usati da pochi e di certo non rispettati dagli automobilisti. Per le strade girano dei furgoncini adibiti a trasporto passeggeri, sono talmente carichi di gente che ci si deve spingere per salire e scendere. Noi preferiamo camminare, seguendo la mappa Lonely Planet che però non è assai precisa. Superiamo il town hall e ci inoltriamo nel mercato di Analakely. La gente vende di tutto, dal cibo ai vestiti, dai cd ai telefoni, tutti appoggiati a terra, e c’è da stare attenti a non calpestare l’improbabile merce. Saliamo delle scalinate che ci conducono in alcuni punti panoramici. Siamo nella zona del Palazzo Presidenziale. Cerchiamo qualche locale consigliato da Lonely Planet per fare uno spuntino, ma non troviamo granché: la città, a discapito di ciò che c’è scritto su Lonely, non sembra offrire molto ai turisti, ma forse perché ci troviamo nella zona sbagliata della città. C’è un supermercato Shoprite dietro alla town hall, nel quale si può acquistare acqua e altri prodotti. Dopo aver visitato la vecchia stazione dei treni Gare Soarano, oggi adibita a modesto centro commerciale, cerchiamo un posto dove fermarci a mangiare qualcosa, prima che giunga la sera: l’accompagnatore ci ha consigliato di non stare a zonzo con il buio. I ristoranti di certo non pullulano nella zona e quelli che troviamo non sembrano granché invitanti. Entriamo in un hotel-ristorante e ceniamo con un piatto a base di riso, fagioli e pollo e uno a base di brodo di pollo.

3/8: Ambositra

La colazione al ristorante è semplice, consiste in un’omelette e del pane, ma almeno il caffè ci ristora. In compenso, dato l’enorme quantitativo di zanzare presenti vicino al tavolo della saletta colazione, un lauto pasto qualcuno se l’è fatto di sicuro. La moglie di Tiaray, assieme ala nostra guida, arriva alle 8 in punto per riscattare il pagamento del tour. Si parte dall’hotel verso le 8.15 con il nostro fidato furgone bianco. Il nostro accompagnatore guida verso le anguste vie di Antananarivo, su per colline che ci permettono di ammirare scorci della città dall’alto. Lasciamo la città alle spalle, superando una magnifica residenza presidenziale e avviandoci verso il sud del paese. La famosa strada RN7 che percorriamo una volta usciti dalla città ci offre la panoramica di villaggi sparsi tra le colline, risaie, fornaci dove si cuociono i mattoni, mercatini colorati, uomini e bambini con carretti trainati da poveri zebù affaticati, donne che trasportano elegantemente enormi cesti sulla testa, ecc. Uno dei primi insediamenti più importanti sulla RN7 è Ambatolampy, celebre per la fabbricazione di oggetti in alluminio, esposti nei mercati lungo le strade. Passiamo attraverso il suo centro e proseguiamo per Antsirabe, una cittadina a 170 km dalla capitale, dove ci fermiamo a pranzo in un locale consigliato dalla guida (e dalla guida Lonely), il Tic Zandina. Ordiniamo una bistecca di zebù con patate fritte e un brodo di pollo. Il pranzo ci soddisfa e paghiamo poco: 36000 Ariary, circa 10 euro in due. Il locale offre anche servizio wifi.

Il pomeriggio prosegue in macchina, superando ancora piccoli gruppi di case di mattoni, corsi d’acqua dove le donne lavano i panni, altopiani di cespugli e risaie, zebù che trainano carretti e polli ruspanti. Per la strada ci capita di vedere diversi furgoni rovesciati ai lati della strada: sono i taxi brousse, che trasportano persone e merci e percorrono le strade stracarichi di passeggeri con i loro oggetti. La corsa in taxi brousse è davvero conveniente, tuttavia poco sicura perché i furgoni sono troppo carichi e gli autisti sfrecciano a tutta velocità su strade dalla precaria asfaltatura. Arriviamo verso le 16 ad Ambositra, una cittadina famosa per le lavorazioni in legno, soprattutto di palissandro (che la guida Lonely consiglia di acquistare con cautela, data la deforestazione che è stata provocata a causa della lavorazione di questo legno). Il nostro hotel è il Mania Hotel, e si trova proprio in centro. Una camera sembra costare da 37000 a 60000 Ar. La camera è semplice ma pulita, tuttavia fa piuttosto freddo e non c’è verso di scaldarsi un po’. Prenotiamo la cena all’hotel, il nostro accompagnatore ci saluta e noi andiamo a fare due passi prima che tramonti il sole. Camminiamo lungo la via in cui si snoda il traffico principale, vediamo sfrecciare diversi pousse pousse (carretti-taxi trainati da uomini), superiamo il mercato locale e facciamo qualche acquisto in un negozio di artigianato. Compriamo anche qualche banana fritta, una vera squisitezza. Le persone non sembrano molto aperte e disponibili, incrociamo diversi sguardi diffidenti e ciò ci dissuade un po’ dal fare fotografie. Alle 19 si cena all’hotel con una zuppa calda di verdure che riscalda gli animi (fa freddo la sera), pollo con salsa di cocco e verdure e si beve un delizioso succo d’ananas, per soli 26000 Ar.

4/8: Ranomafana

La mattina è difficile lasciare le calde coperte per uscire nel clima non particolarmente accogliente dell’inverno malgascio, tuttavia la colazione dell’hotel Mania ci rinfranca decisamente, con croissant, baguette, marmellate, caffè e un succo di frutta fresca delizioso. Soddisfatti, si riparte per le nostre avventure. La giornata non promette bene: il tempo è uggioso e non particolarmente invitante. Lasciamo la città di Ambositra e procediamo lungo la RN7, passando attraverso il villaggio di Ambohimahasoa, zeppo di gente che apre i battenti delle botteghe. Proseguiamo e nuovamente sfrecciamo tra piccolo gruppi di case; ci sono baracche lungo la strada dove si può comprare un olio per il corpo prodotto con delle piante profumate, altre dove si acquista miele, altre ancora che vendono legna. Durante il tragitto sostiamo e regaliamo ai locali dei vestiti e delle caramelle. I bambini, ma anche gli anziani, tendono le mani verso quei doni che sembrano così preziosi e rari: è difficile creare un ordine e dare a ciascuno la sua parte. Verso l’ora di pranzo arriviamo a Ranomafana, che ospita un enorme parco nazionale di 400 Km², istituito nel 1991. Prima di accedere al parco, approdiamo al ristorante e hotel dove passeremo la notte, Le Grenat. Gli hotel e ristoranti si trovano a circa 10 minuti di auto dall’ingresso al parco, tranne un lodge che si trova molto più vicino. Il Grenat è un posto carino, diviso in bungalow che sono a poca distanza dal fiume, oltre al quale si erge la foresta. Le stanze sono un po’ retrò, ma pulite e silenziose.

Pranziamo all’hotel e ripartiamo per il parco. La guida paga l’entrata al parco e ingaggia per noi una guida, che ci accompagnerà nella foresta. Il parco si divide in diverse zone che fanno capo alla foresta primaria e secondaria. Noi visiteremo la primaria, che è più vicina, mentre per la secondaria ci vogliono più giorni di trekking (ma è anche quella dove si vede il lemure bianco e nero). La guida ci dice che nel parco vivono diverse specie di lemuri, tra cui il lemure dal naso largo, il sifaka – lemure ballerino e il lemure dorato. Li vedremo tutti e tre. La passeggiata nella foresta è agevole solo per alcuni tratti, adibiti a sentiero, mentre per scorgere i lemuri ci si deve inoltrare nel fitto della boscaglia. Ci addentriamo nella foresta e riusciamo a vedere dei lemuri che in cima agli alberi mangiano pacifici. Ogni tanto si spostano saltando da un ramo all’altro. Per vederli bene dobbiamo abbandonare il sentiero e non è facile camminare nella vegetazione della foresta, il terreno è umido e scivoloso, una pioggerella leggera ci avvolge e le piante intorno sono bagnate e poco affidabili a reggerci mentre passiamo. Rischiamo di cadere diverse volte, ma teniamo il passo. I lemuri comunque si vedono solo da lontano e non in gran quantità. Dopo un paio d’ore di passeggiata rientriamo alla base. Cammino faticoso, ma piacevole, anche perché è possibile vedere la foresta e entrare a far parte per breve tempo di questo ecosistema incantevole. Terminato il giro e lasciata la mancia ad una delle guide che cercavano lemuri, andiamo al centro di ricerca ValBio, un maestoso centro creato una primatologa interessata a studiare i lemuri e a preservare il territorio in parte deforestato dalle popolazioni locali. Il centro è una struttura immersa nella foresta, circondata dagli alberi, con il suono delle acque del fiume che fanno da colonna sonora. Una guida ci spiega le attività del centro e ci fa visitare il luogo per 20000 Ar. Il centro attualmente ospita studenti e ricercatori che si occupano di diversi campi di studio, tra cui la biodiversità e la flora e la fauna locali. Ma le attività non si esauriscono con la ricerca, poiché vengono proposte iniziative che coinvolgono le popolazioni locali, anche attraverso l’educazione dei bambini, per preservare la foresta e le sue risorse. Infine, dopo la visita, si effettua un safari notturno, che in realtà consiste solo nel cercare, lungo un tratto di RN7, qualche camaleonte e altri animaletti. I camaleonti in effetti li vediamo, e poi vediamo il lemure-topo o microcebo, un piccolissimo e velocissimo lemure che in realtà noi e la massa di persone che si avvicinano spaventiamo e facciamo scattare di qua e di là alla ricerca di pace. Fattosi buio torniamo in hotel, dove ceniamo con cotoletta di maiale fritta e un piatto tipico, uno stufato di manzo con brodo di zenzero detto romazava. Tra l’altro paghiamo solamente 80000 Ar per pranzo e cena.

Consigli: Per la visita del parco di Ranomafana consiglierei di indossare le scarpe da trekking, un impermeabile e di portare acqua in abbondanza.

5/8: Fianarantsoa e Riserva d’Anja

Alle 8 circa si parte verso Fianarantsoa. Superiamo paesaggi incantevoli fatti di colline rivestite da foreste e puntinate da sporadiche abitazioni. Raggiungiamo un punto panoramico di Fianarantsoa, scattiamo qualche foto e successivamente ci dirigiamo verso la parte alta, la Haute Ville. La città infatti si divide in 3 parti, la parte bassa, la parte alta e la parte nuova. Interessante da visitare è la parte alta (Haute Ville), che si staglia sul resto della cittadina con chiese cattoliche e protestanti e case di mattoni. La guida ci ingaggia una guida, un ragazzo che parla italiano, come molti altri in città (perché, scopriamo, lo imparano a scuola, gestita dalla comunità Don Bosco). Visitiamo le strette vie acciottolate, scopriamo che sorgono nei paraggi ben sei chiese, vediamo dei punti panoramici veramente suggestivi, talvolta tallonati da ragazzetti in cerca di denaro. Terminata la visita, risaliamo sul nostro furgone bianco e proseguiamo verso la Riserva Naturale di Anja. Ancora una volta il paesaggio è strepitoso: abbandonata la lussureggiante vegetazione della foresta e le risaie e colline vicine a Fianarantsoa, il paesaggio si fa più aspro, con zone molto estese in cui c’è poca vegetazione. Arriviamo ad Anja dopo aver superato Ambalavao, città presso cui non ci fermiamo, perché è una tappa prevista al ritorno. La riserva si trova a circa 10 km da Ambalavao e si estende su una superficie di circa 400000 mq. Al di fuori della riserva c’è un ristorante presso cui ci fermiamo a pranzare. Scegliamo un menù completo per 50000 Ar in due più le bibite, composto da antipasto, piatto unico e frutta, ma la qualità del cibo non è il massimo. Dopo il pranzo, due guide (una funge da avvistatore per gli animali, si incammina prima dell’altra e la avverte quando trova qualcosa d’interessante) ci accompagnano nel parco. Non parlano un inglese eccellente e molte informazioni ci sfuggono. Fortunatamente i lemuri si affacciano alla nostra vista quasi subito ed è uno spettacolo incredibile: eccoli lì, seduti su dei grandi monoliti a catturare la luce del sole che filtra tra gli arbusti. Ce ne sono anche alcuni sugli alberi, seduti tra i rami. Alcuni saltellano da un ramo all’altro e altri camminano a terra. In questo parco ci sono solamente lemuri catta o ring tailed, caratterizzati dal pelo grigio e dalla coda lunga e a strisce. La guida ci spiega che questi lemuri vivono in gruppi di 15-20 individui e ogni gruppo possiede un territorio. La femmina è il capo branco ma i maschi lottano per il territorio. La notte dormono riparandosi nei blocchi monolitici presenti nella foresta, pur non essendo presenti nella riserva i loro predatori più temuti, i fossa. Li vediamo grattarsi, lisciarsi la coda, prendere il sole in posizione tipo yoga. Dopo svariate foto e tanta emozione, proseguiamo nella foresta. Il percorso è agile. Sentiamo dei richiami strani e la guida ci indirizza verso una radura dove alcuni alberi si ergono verso il cielo. I lemuri si trovano tra i rami, saltano qua e là e comunicano tra loro con dei versi particolari che, ci dice la guida, sono versi di allerta (ma i lemuri comunicano anche attraverso altri suoni, per esempio sono diversi i richiami del periodo di accoppiamento). Il periodo dell’accoppiamento è verso maggio e il cucciolo, dopo la nascita, si regge sulla pancia della madre per una settimana, poi sulla sua schiena fino a quando non diventa indipendente. Per ammirare i cuccioli il periodo giusto in cui viaggiare è novembre. Purtroppo la nostra visita dura poco perché dobbiamo riprendere la strada verso Isalo. Per informazioni su Anja: http://anjareserve.angelfire.com/ Risaliamo sul furgone, la guida ci dice che ci vorranno diverse ore di automobile, per un percorso di circa 220 km. Superata la cittadina di Ihosy, durante il tragitto foriamo uno pneumatico e la sosta si rivela inaspettatamente piacevole perché godiamo dello spettacolo del tramonto del sole in mezzo a queste distese secche. Alle 18.30 arriviamo a Ranohira, alle porte di Isalo. Alloggiamo all’hotel Berny (Chez Berny, 22 euro a notte su Booking.com), uno dei 2 di categoria media del paese, dove ci attende una stanza accogliente e pulita. Se si vuole alloggiare in resort di categoria superiore, ci sono diverse scelte fuori dal centro di Ranohira, in mezzo ai canyon dell’Isalo, ad esempio l’Hôtel le Relais de la Reine. Usciamo per la cena e scopriamo che esiste un unico ristorante, quello dove ci ha indirizzato Maro; gli altri locali sono hotely, ossia una sorta di osteria locale dall’igiene di dubbia affidabilità. Il ristorante è Le Zebù Grill e prendiamo l’ennesima bistecca di zebù; fortunatamente nel menù troviamo anche una zuppa di patate e come dessert dell’ananas flambé.

Consigli: Fianarantsoa è una bella cittadina, vale la pena fare una visita, soprattutto perché è differente dalle altre cittadine malgasce da noi visitate, costituite principalmente da una zona mercato e da qualche via da cui si diramano le capanne o le case degli abitanti.

6/8: Parco Nazionale dell’Isalo

Osserviamo il panorama che si scorge dall’hotel: è molto affascinante perché, nonostante dia su un cortile sporco e maltenuto, rivolge le spalle anche ai canyon del Parco dell’Isalo. Il parco dell’Isalo, la cui visita è in programma per oggi, è il terzo più grande del Madagascar (800 km²), ed è uno dei più visitati del paese. Facciamo colazione al locale annesso all’hotel e, al di là di un tempo di attesa notevole e di un servizio alquanto scarso, mangiamo delle ottime crepes, del pane con marmellata e sorseggiamo un buon caffè. Alle 7.30 la guida ci presenta la guida che ci porterà al parco e la fortuna vuole che sappia parlare un buon italiano. Mentre loro vanno ad acquistare i biglietti d’entrata (che costano 65000 Ar al giorno a persona, secondo Lonely Planet, che riporta anche il sito Internet dei parchi del Madagascar su www.parcs-madagascar.com), noi compriamo dell’acqua nelle baracche di fronte all’hotel, perché nel parco si può acquistare solamente nelle aree camping e per il doppio del prezzo. Scopriamo che l’hotel è proprio all’ingresso del parco; il nostro accompagnatore supera l’area di accesso per i veicoli e percorre una strada sterrata che porta ad uno dei 2 parcheggi. Qui ci sarebbe voluto il fuoristrada perché a metà strada un guado costringe il furgone a fermarsi, così percorriamo la parte restante a piedi. Dal parcheggio imbocchiamo il sentiero per raggiungere i punti panoramici, che sono diversi. All’inizio il percorso è in salita, ma ci sono delle scalinate scavate nella pietra, per cui non è difficile da intraprendere. Un primo punto panoramico ci permette di vedere, in lontananza, il villaggio di Ranohira circondato dalla vallata, ornata da campi, pascoli per zebù, rada vegetazione costituita da alberi e arbusti. Intorno a noi le rocce del canyon, che scopriamo essere di arenaria formata da diversi strati di minerali e rocce, individuabili dai colori: il rosso per il ferro, il marrone per l’argilla, il giallo per la sabbia, il nero per l’alluminio, e il verde donato dai licheni. La guida ci spiega che l’etnia dei bara, abitanti di queste aree, usa seppellire i cadaveri dei familiari in queste rocce: esistono due tipi di tombe, quelle provvisorie, in cui il defunto chiuso in una bara rimane per 5 anni, e quelle definitive, che ospitano i resti del defunto lavati e messi in un’urna. Queste ultime, inoltre, occupano posti più elevati e irraggiungibili tra le rocce e vengono chiuse con delle pietre. Durante la prima riesumazione, viene celebrata una festa in onore del defunto con il sacrificio di uno zebù, e l’intera procedura è detta Famadihana. Queste popolazioni sono animiste e ritengono che vi siano dei luoghi propiziatori per la sepoltura, tanto da ingaggiare un astrologo per individuare il punto preciso in cui inumare il defunto. Indicare con il dito verso il luogo di sepoltura è fady, proibito. Per quanto riguarda la flora e la fauna osserviamo degli alberi endemici, che producono un frutto detto Tapia, di cui sono golosi i lemuri; delle piante a zampa di elefante, simili ai baobab ma più spinosi, con fiori gialli, longevi (anche 400 anni), che crescono sulle rocce perché ne sfruttano i minerali; il ragno Nephila, che è innocuo per l’uomo; dei piccoli scorpioni, che dormono sotto le rocce; degli insetti stecco che sono effettivamente difficili da individuare; delle lucertole dalla coda spinosa. Arriviamo ad un punto panoramico molto bello, da cui si osservano le aride rocce dei canyon e proseguiamo per altri punti panoramici suggestivi, la cui vista ricorda molto la savana africana. Il sole scalda ma una brezza leggera ci permette di non accaldarci troppo. Durante il tragitto vediamo un lemure catta che cerca i compagni; emette un richiamo particolare, come un gatto che mugola disperato. Il sentiero si snoda in una passeggiata più faticosa, forse perché siamo stanchi, forse perché si tratta di camminare in discesa lungo scalini scavati nella roccia. Finalmente arriviamo al camping di Namaza, dove ci attende il pranzo ma soprattutto i lemuri. Appena arrivati, osserviamo i primi lemuri che si avvicinano ai turisti per cercare del cibo: sono lemuri dal pelo fulvo, somigliano ai lemuri visti a Ranomafana. Poi vediamo anche i simpatici catta, vicino al ruscello che scorre nella zona sottostante il campeggio. La guida ci fa accomodare per il pranzo, non ci sono tavoli disponibili, quindi veniamo posizionati per terra, in una piazzola per le tende adibita ad area picnic. Il cuoco, che nella mattinata è andato a procurarci il cibo per il pranzo, ci prepara un pasto succulento: verdure cotte, riso con verdure, una bisteccona di zebù alta 3 cm, ananas dolcissimo. Paghiamo 60000 Ar più una Coca Cola da 3000 Ar. Anche se più caro della media, il più buon pranzo che potevamo aspettarci! Durante il pasto i lemuri dal pelo fulvo si avvicinano alla piazzola e vengono attirati da un gruppo di turiste vicino a noi che danno loro della frutta. I lemuri prendono la frutta in velocità e si mettono a leccarla o a mangiarla. In realtà la guida a noi ha detto di non dar loro il nostro cibo perché questo comportamento turba il loro ecosistema e le loro abitudini alimentari. Per compensare all’atteggiamento di turisti restii come noi, questi lemuri furbetti approcciano con rapidità agli altri turisti del campo e rubano di quando in quando quello che possono, anche dai sacchetti rimasti incustoditi. A noi leccano il bicchiere che aveva contenuto la Coca Cola. I catta, che pure popolano il campo, non hanno questa abitudine, però si lasciano avvicinare (ma non toccare). Veniamo a sapere che i lemuri vengono al parco durante l’ora dei pasti, e nel pomeriggio si ritirano verso le rocce dei canyon, per trovare un rifugio per la notte, riparandosi così dai predatori.

Dopo il lauto pranzo, veniamo chiamati per vedere un lemure Sifaka di Verreaux, uno dei pochissimi presenti al parco, che quasi quotidianamente si affaccia tra i rami degli alberi intorno al campo. È magnifico, tutto bianco con il muso nero. Questo tipo di lemure è famoso, quando scende a terra, per la camminata saltellante laterale, che assomiglia ad un balletto; noi però lo vediamo solo sui rami. Nel pomeriggio andiamo a vedere le Cascades des Ninphes, raggiungibili con meno di mezz’ora di passeggiata dal campo. Le cascate formano un piccolo laghetto, una sorta di piscina naturale molto limpida, dove alcuni turisti coraggiosi fanno il bagno (ma l’acqua è ghiacciata!). Vi sono altri luoghi simili, per esempio la Piscine Naturelle, che avremmo dovuto visitare, ma scegliamo di tornare al campo ad osservare nuovamente i lemuri. Verso le 15 ripartiamo in direzione del parcheggio, un altro rispetto a quello del punto di partenza. Ci arriviamo in breve tempo. Lasciamo il parco e la guida ci riporta in hotel, dove non rientriamo e invece scegliamo di fare due passi per la cittadina. Nell’unico negozio a prezzi fissi di Ranohira, di fronte all’hotel, compriamo dei souvenir a prezzi europei più che malgasci. Alle 16.30 ci porta ad attendere il tramonto nella Fenetre de l’Isalo, una area dove si stagliano delle rocce-canyon che permettono una vista particolare del sole al tramonto. Infatti, alcune rocce che si stagliano isolate nella savana hanno delle aperture-fessure dalle quali si può ammirare la luce che cala e che, riflettendosi sulla pietra, ne risalta i colori. Il neo è che c’è troppa gente. Dopo il tramonto, rientriamo all’hotel e ci fermiamo a cena al ristorante Le Zebù Grill, dove ceniamo con zuppa di legumi, spaghetti cinesi vegetali e pollo grigliato con patatine, davvero ottimo e tutto sommato economico (36000 Ar)!

Consigli: Personalmente, avendo tempo a disposizione, avrei trascorso una notte nel camping dell’Isalo, a contatto ravvicinato con la natura e gli animali. La location è carina e le escursioni da effettuare sono diverse (sembra che la notte ad uno dei 3 camping site del parco costi 5000 Ar a prs, www.madacamp.com/Isalo_National_Park#Accommodation_in_the_park).

7/8: Ifaty

Alle 6.30 del mattino, si parte per raggiungere Ifaty, l’ultima tappa del nostro tour. Ci vogliono più di 260 km di strada. Lasciamo l’Isalo con i suoi canyon e scivoliamo tra i paesaggi rocciosi e caratterizzati da vegetazione tipo savana. Raggiungiamo Ilakaka, una cittadina celebre per le miniere di zaffiri e lo si nota perché è costellata di negozi e postazioni dove è possibile acquistare/vendere le pietre che i minatori trovano. Ad una stazione di benzina compriamo un dolce a ciambella fatto dalle donne locali. Proseguiamo e superiamo il parco nazionale Zombitse-Vohibasia, che la guida Lonely consiglia di visitare ma la nostra guida ci riferisce che è simile all’Isalo. (Sito web in francese: http://www.parcs-madagascar.com/. Arriviamo a Sakaraha, e ci fermiamo per un caffè e delle frittelle salate in una bancarella per la strada. Lungo la strada si inizia a notare un paesaggio diverso: i canyon lasciano spazio ad una piana costellata di arbusti e cactus, con qualche sporadico baobab. Il clima si fa più caldo. Osserviamo i villaggi fatti con capanne dal tetto di paglia e lamiera, non più in mattoni: Il nostro accompagnatore ci dice che qui le popolazioni sono più povere, così lasciamo in regalo degli abiti ai bambini di un villaggio. Durante la strada vediamo anche un paese dove c’è un commercio illegale di rhum malgascio e osserviamo gli uomini che lavorano la canna da zucchero e le donne che vendono bottiglie di plastica riempite di rhum. Raggiungiamo Tuléar verso le 11.30: la guida Lonely avverte che non è una città che offra molto, a parte il fatto che è servita di banche e supermercati. Facciamo la spesa e preleviamo del denaro, poi si riparte alla volta di Ifaty. Abbandoniamo la RN7 che finisce a Tuléar e ingaggiamo la RN9. La strada ad un certo punto costeggia il mare e si notano delle aree in cui crescono le mangrovie. Arriviamo a Ifaty verso le 13 ma il primo impatto non è un granché. Alloggiamo al Maroloko hotel, che ha una struttura con camere a pochissimi passi dalla spiaggia (e su Booking.com sembra costi 18 euro a notte, sul sito dell’hotel 65000 Ar a notte – http://www.maroloko.com/. Lasciamo i bagagli nella stanza e andiamo a pranzo: la sezione ristorante è piacevole, i tavoli danno sulla spiaggia, ci sono amache e un bar; consumiamo pesce e patatine e gamberetti con riso per circa 35000 Ar. Un punto negativo: wifi è presente solo alla reception così come la presa della corrente elettrica (ciò significa che per ricaricare i cellulari, per asciugarsi i capelli o per utilizzare qualsiasi apparecchio elettrico si deve andare nell’area ristorante, tra la gente che consuma pasti e bevande). La stanza non ci piace particolarmente: è piccola, cupa, le finestre non hanno battenti e c’è scarsissima insonorizzazione, inoltre la toilette non funziona, la luce non si accende e la doccia non emette acqua calda. Veniamo rassicurati che tutto sarà riparato a breve e noi attendiamo fiduciosi, vanamente. Anche la spiaggia su cui si affaccia l’hotel non è granché: è costellata da donne e uomini che vendono di tutto, e che sputano a terra sulla sabbia, inoltre la riva del mare è piena di alghe. Facciamo due passi e veniamo subito circondati dai venditori ambulanti, che ci offrono massaggi, acconciature, statuette in legno, collane, parei. Torniamo all’hotel e ci mettiamo sui lettini (abbastanza sporchi) in spiaggia, in un’area dove in teoria i venditori locali non entrano, perché soggiornano all’esterno di essa, pronti all’assalto. Commetto l’errore di apprezzare uno dei parei esposti: a orde arrivano dall’area libera della spiaggia e tirano fuori tutti i loro parei e teli, sovrastandomi e seppellendomi di prodotti, spingendosi tra loro per vendere il proprio materiale, insistendo senza tregua. Impossibile guardare con calma e concludere l’acquisto in tranquillità: questa insistenza si rivela spossante. Ad un certo punto una ragazza baratta il pareo con il mio prendisole e una t-shirt: andata! Per l’indomani chiediamo informazioni per il whale watching, dato che c’è l’opportunità di vedere le balene da luglio a settembre. Ci sono diverse agenzie che lo pubblicizzano lungo la spiaggia e ci sono anche i beach boys che propongono l’attività in piroga. Ci affidiamo ad un centro diving vicino all’hotel che ci vende l’escursione con il motoscafo per 35 euro a testa. Rimaniamo ancora un po’ in spiaggia, ma per poco perché la sera il clima si fa fresco e il sole tramonta verso le 18.

8/8: Ifaty

Secondo i piani si sarebbe dovuti partire per il whale watching alle 7.30, così facciamo una rapida colazione alle 7. Purtroppo veniamo avvisati che la barca che avrebbe dovuto trasportarci per il whale watching rimarrà nei dintorni per lo snorkeling e non si spingerà verso la barriera corallina dove si avvistano le balene, a causa delle correnti e del mare piuttosto agitato. Siccome a noi non interessa fare snorkeling non partiamo. Ci accordiamo con l’accompagnatore per andare alla Riserva di Reniala, per vedere i baobab. La riserva è poco distante dall’hotel e in macchina ci impieghiamo pochi minuti. L’entrata con la visita guidata di un’ora e mezza costa 20000 Ar a testa. (Info su http://www.travelmadagascar.org/PARKS/Reniala-Reserve.html). La guida ci accompagna all’interno della riserva, che è vasta circa 60 ettari e ospita diversi tipi di alberi e piante, uccelli, dei lemuri in cattività e vari insetti e piccoli animali come il camaleonte. La visita è piacevole, si cammina senza difficoltà lungo il sentiero e l’area è curata e ben conservata. Osserviamo diversi baobab dalle forme più strane, alcuni molto antichi (fino a 1000 anni) e piuttosto grossi, contenenti molta acqua. Ci sono anche altri tipi di alberi, che somigliano ai baobab ma con un colore più biancastro. Inoltre vediamo dei cactus e diverse piante il cui tronco è utilizzato dalle tribù per costruire le piroghe. Una minaccia per il parco, attualmente, sono le termiti, che scavano e si cibano diffusamente dei tronchi delle piante. I 28 lemuri in cattività si trovano in delle gabbie non molto ampie, a gruppi, e ci viene spiegato che sono stati recuperati da persone che li utilizzavano come animali da compagnia; non essendo possibile inserirli direttamente nella foresta, il centro li sta abituando a mangiare il cibo che troveranno in natura e sta cercando loro il posto adatto per re-introdurli in libertà. C’è solo da chiedersi come mai siano ancora lì dopo 6 anni dal loro arrivo nel parco …

Facciamo ritorno all’hotel e nel pomeriggio ci fermiamo in spiaggia, il sole scalda molto ma il vento lo rende piacevole. Ancora una volta le donne all’esterno della struttura insistono per venderci parei e collane. Attendiamo il tramonto e speriamo di rinfrancarci con una doccia ma, nonostante le lamentele mosse alla reception, l’acqua calda non funziona così come la toilette, per la quale ci è stato messo da parte un secchio pieno d’acqua che funge da sciacquone. Si cena a base di riso e polpo dal sapore troppo deciso, quasi nauseante, bignè di melanzane e tartine di sardine per un totale di 36000 Ar. Scopriamo che l’hotel costa circa 60000 Ar a camera a notte con aggiunta di 10000 Ar per la colazione a persona: a parte la sala reception con ristorante sul mare, se dovessimo consigliare una accomodation a Ifaty decisamente ne suggeriremmo un’altra (ad esempio il Bamboo Lodge, di qualche centinaio di metri distante, che nomina la guida Lonely e che, visto da fuori, ci sembra carino).

Consigli: Ifaty non è un posto in cui tornerei. Non offre il fascino delle spiagge di Nosy Be (che invece consiglierei vivamente, avendola visitata durante un altro viaggio) e non ci sono particolari attrattive da visitare né attività da svolgere, a meno che non si sia appassionati di immersioni.

9/8: Ambalavao

Oggi parte il viaggio del rientro ad Antananarivo, ripercorrendo la RN7. E’ un percorso che faremo in due tappe, una ad Ambalavao (Ifaty-Ambalavao: 491 km) e l’altra ad Antsirabe (Ambalavao-Antsirabe: 295 km), per poi arrivare ad Antananarivo (Antsirabe-Antananarivo: 171 km). Partiamo alle 7, dopo una semplice ma buona colazione all’hotel Maroloko. Ripercorriamo la RN9 superando le magnifiche mangrovie sulla riva del mare e riprendiamo la RN7 a Tuleàr, che pullula di risciò e di traffico. Il nostro accompagnatore guida velocemente e superiamo in breve l’Isalo, che sfoggia un magnifico canyon battuto dal sole. Ci fermiamo lungo la strada ad offrire caramelle ai bambini, che appena vedono il furgone in procinto di arrestarsi si catapultano in strada per accorrere a ricevere qualcosa. A pranzo ci fermiamo nella cittadina di Ihosy e, dato che non ci sono ristoranti per turisti, andiamo a pranzo all’hotel Namina (non sono certa sulla correttezza del nome …), che ha un hotely spartano ma decisamente economico: infatti, il menu comprende solo riso, pollo (striminzito) e verdure (fredde), ma si spende in due 8500 Ar, inclusa una bevanda. Ripartiamo dopo breve tempo alla volta di Ambalavao. Vi arriviamo alle 15.30, e la guida ci porta a vedere lo zebù market, “un’attrattiva” del luogo: il mercoledì e giovedì le persone portano gli zebù per la compravendita e inoltre allestiscono un mercato locale. Gli zebù sono rinchiusi in uno spazio recintato e li vediamo sofferenti, immaginiamo la fine che li aspetta e non è un bello spettacolo. Nel frattempo accorrono dei bambini che chiedono cibo e vestiti. Regaliamo delle penne e dei lecca-lecca, ormai i vestiti sono finiti. Poi ci porta a vedere una bottega dove si lavora la carta, dopo l’estrazione delle fibre di alcuni alberi, la riduzione in pasta e l’asciugatura al sole. Comperiamo degli oggetti al negozio annesso, ma i prezzi non sono affatto economici e non si contratta. La tappa successiva è alla bottega della seta, dove ci viene mostrata la lavorazione della seta, ricavata dal baco allevato e dal baco che vive in natura. Osserviamo le donne che lavorano le fibre e le trasformano in accessori, passando attraverso la fase di colorazione con erbe, spezie e pietre naturali. Infine, percorsi 2 km fuori dal centro, ci rechiamo all’hotel dove soggiorneremo durante la notte, l’Espace Zongo, che offre dei bungalow piuttosto recenti e puliti, ma la temperatura esterna non li rende accoglienti, dato il freddo che si sente anche in camera. Per fortuna abbiamo a disposizione due belle coperte e l’acqua della doccia è calda. L’hotel ha camere che costano da 40000 a 65000 Ar (http://www.espacezongo.com/). Prenotiamo la cena per la sera al ristorante locale (circa 35000 Ar): arrivati al quasi deserto ristorante, si mangia pollo alla griglia con verdure (che, essendo definite lègumes sul menù, ci aspettavamo fossero fagioli) e brochettes di zebù (spiedini) con patatine, tutto squisito. Dopo una doccia bollente (ma l’acqua calda basta a malapena per due), la serata termina prestissimo, non essendoci wifi in camera (nel ristorante sì) né tv.

Consigli: eviterei di perdere tempo alla fabbrica della seta, della carta e in altre botteghe simili. Per quanto interessanti le procedure per realizzare questi prodotti, non è questo il motivo per ci si intraprende un viaggio in Madagascar e non so quanto i locali beneficino dei risultati monetari degli acquisti fatti dai turisti. Andrei piuttosto a visitare qualche altro parco o dedicherei più tempo ad altre tappe, magari aggiungendone alcune all’andata o al ritorno.

NB: Ricordarsi di portare abiti pesanti per le fresche serate da spendere sugli altipiani.

10/8: Antsirabe

Si riparte alle 7, con meta Antsirabe. La giornata è cupa, durante la notte ha piovuto e fa freddo. Continua a piovigginare anche durante il tragitto. Superiamo Alakamisy con il suo allegro mercato colorato, poi il centro di Ivato. Molte persone camminano lungo la strada per recarsi al mercato dei vari centri, gli uomini con il cappello e avvolti in mantelli colorati e le donne vestite con il pareo a gonna e le ceste di prodotti perfettamente in equilibrio sulla testa. Arriviamo ad Ambositra verso l’ora di pranzo e ci rechiamo a mangiare all’Artisan Hotel, un luogo molto carino, anche se eccessivamente turistico. La struttura ospita diversi bungalow per la notte e nell’area del ristorante suonano dei musicisti e ballano danzatori locali. Mangiamo una zuppa di verdure piuttosto insipida, delle patatine fritte molto buone, riso con verdure, dei samosa per 38000 Ar. Ripartiamo verso Antsirabe, dove arriviamo alle 15.30 circa. Depositiamo le valigie all’Antsirabe Hotel, dove si prevede di passare la notte, poi la guida ci porta a fare un’escursione in città. Anstirabe, celebre per le acque curative, “vanta” di una fonte piuttosto “stitica” di acque termali e di una piscina dal colore poco invitante (l’acqua è usata a scopo curativo e si chiama Ranovisy). Il centro è carino, pullula di pousse pousse trainati da uomini e di vita. Andiamo al mercato locale, molto grande e ben fornito, dove si vende di tutto, dalle spezie agli ortaggi, dalla carne agli abiti. Assaggiamo una specialità a base di riso dolce avvolto in foglie di banano, una sorta di pudding dal sapore un po’ affumicato. Compriamo dei dolci per la colazione di domani, dato che ci dovremo svegliare molto presto. Vediamo una cattedrale in centro e l’Hotel du Thermes, che deve essere stato un’icona nei tempi passati, mentre ora ricorda vagamente l’epoca coloniale. Poi la guida ci lascia un po’ di tempo libero, aspettandoci con il furgone per portarci a cena. Camminiamo per le vie cittadine, ma il sole è ormai sceso e fa buio, così anche se è presto e non siamo affamati, andiamo a cena. Ci porta in un locale molto grazioso, il Chez Jenny, dove mangiamo una crepe con verdure e il ravitoto, che sappiamo essere una specialità malgascia a base di maiale, riso e una sorta di spinaci, ma non ci piace. In compenso beviamo un ottimo succo di mango e ananas. Nonostante sia un locale che vanta un buon nome, spendiamo poco, 34000 Ar. Il locale merita di essere visto di giorno, perché ospita anche un piccolo giardino botanico molto ben curato, attorniato da bungalow che fanno parte dell’hotel. Torniamo all’Antsirabe hotel per la notte, ma scopriamo che è molto rumoroso: il pavimento di legno scricchiola paurosamente, le finestre poco ermetiche lasciano entrare tutti i rumori della strada, compresi i cigolii dei carretti ambulanti e i guaiti dei cani randagi, e si odono chiaramente i rumori emessi dagli altri ospiti. Domani mattina la sveglia suonerà presto perché la guida mi fa contenta, assecondando la mia richiesta di andare al Lemur’s Park, fuori Antananarivo. E’ un parco dove si possono vedere i lemuri liberi, al contrario del Croc Farm, vicino all’aeroporto, dove i lemuri e un fossa sono chiusi in gabbia e dove si allevano coccodrilli per farne borsette e cibo per turisti. Non voglio sia questo l’ultimo ricordo degli animali del Madagascar …

11/8: Antananarivo

Il suono della sveglia alle 4.45 mette termine ad una notte quasi insonne, tra il materasso a conca che ci fa scivolare verso il centro e la paura di non sentire la sveglia. La notte avvolge ancora la città, ma alcuni venditori ambulanti sono già all’opera negli hotely illuminati da flebili torce, in procinto di accendere la carbonella sotto delle pesanti pentole di alluminio. Lasciamo la città e la guida corre veloce per la strada. Nel buio superiamo persone che tirano carretti colmi di prodotti per raggiungere la città, illuminandosi la strada con minuscole torce, poi passiamo per piccoli centri che cominciano ad animarsi alla luce dell’alba e in breve osserviamo la nuova giornata che inizia nel pieno delle attività dei mercati locali, dove sono esposti piatti fumanti e thermos di caffè, e poi carni, frutta e verdura, riso. Durante il tragitto la guida ci informa che ha finito il denaro datogli da Tiaray e ci chiede un contributo di 50000 Ar per la benzina; sensato, perché in effetti la deviazione verso il parco l’ho chiesta io. Così preleviamo gli ultimi Ariary del viaggio all’ATM. Arriviamo ad Antananarivo piuttosto presto, verso le 8-8.30, ma il traffico concitato del centro ci blocca per diverso tempo, rallentando il nostro percorso.

Il Lemur’s Park si trova in direzione opposta all’aeroporto di Ivato, a circa 60 km. L’entrata costa 30000 Ar a persona ed è compresa di guida (ma non di mancia). E’ una riserva creata da due uomini che avevano a cuore il bene dei lemuri e della natura del paese. Molti malgasci, infatti, a scopo di lucro, catturano i lemuri e li vendono come animali da compagnia o per la carne. Inoltre, un serio problema è costituito dal disboscamento, che provoca la distruzione del loro habitat. La riserva ospita diverse specie di lemuri perlopiù sequestrati a coloro che li tenevano in casa. Data la contenuta ampiezza del parco (5 ettari di terreno) e data la necessità dei lemuri di spazio, gli animali, se possibile e dopo un certo tempo, vengono rilasciati in natura, ma non prima aver riacquisito la capacità di procurarsi il cibo. Nel parco ogni famiglia di lemuri viene tenuta separata dalle altre, in particolare perché alcune specie sono territoriali: la guida ci racconta di una “guerra” tra lemuri bianchi e neri e lemuri catta per il territorio, con la tragica fine di un cucciolo di lemure bianco e nero, ucciso da un catta. Abbiamo occasione di osservare da vicino (ma i lemuri non si possono toccare né dar loro cibo): il lemure bianco e nero, il Sifaka di Coquerel (il celebre ballerino), il Sifaka coronato, il lemure catta (definito più correttamente Ring tail lemur; Catta è riferito alla somiglianza con i gatti), il lemure-mangusta, il lemure del bambù. La riserva ospita anche lemuri notturni e tartarughe. Bisogna dire che il posto è molto ben tenuto e curato, e sembra molto ospitale per gli animali, che sono liberi e non scappano, a seguito di un confine naturale del parco, ossia un fiume dal color mattone (i lemuri non amano l’acqua, benché sappiano nuotare). La visita dura un’ora e mezza. Al ritorno, la strada è molto trafficata e restiamo imbottigliati per un bel po’. Arriviamo alle dodici e ci congediamo dal nostro accompagnatore con una lauta mancia, che si è guadagnato ampiamente. Fatta la trafila per i bagagli, ci dirigiamo a cercare un posto dove mangiare un boccone ma troviamo unicamente un bar dove vendono panini a prezzi esosi che sembrano fatti di gomma. Bisogna accontentarsi, la fame chiama.

Air Seychelles imbarca molto presto e l’aereo parte in orario, alle 14.50, atterrando a Mahè Island alle 18.30 ora locale (2 h di fuso orario con l’Italia). Cerchiamo immediatamente un car rental all’aeroporto, ma ne troviamo solo due di aperti su tutti gli uffici presenti (che saranno stati una decina). Per fortuna uno dei due, ci noleggia un’auto, ma risulta più cara di quel che mi aspettavo e che avevo visto su Internet: 45 euro al giorno più l’assicurazione più sicura di 10 euro al giorno, in totale 220 euro per 4 giorni. La prendiamo, ma il noleggiatore non ci ispira molta fiducia, è un po’ scorbutico e approssimativo, ci consegna il contratto e la macchina di tutta fretta. La guida è dal lato opposto al nostro e la cosa crea qualche difficoltà iniziale. Cerchiamo l’hotel: l’automobile è sprovvista di navigatore, per fortuna abbiamo quella del telefonino. Trovare l’hotel non si rivela facile, più che altro perché c’è un problema di elettricità nelle zone limitrofe all’hotel e non si vede molto bene l’insegna con l’entrata. L’hotel è il Marie Laure Suites, a Bel Ombre: 110 euro a notte compresa la colazione; a prima vista, con il buio, sembra molto confortevole e pulito. Lasciamo le valigie in camera e cerchiamo un posto dove andare a cena. La signora Danielle, gestore della struttura, ci indirizza verso Beau Vallon, ma noi, stanchi e nervosi, sbagliamo strada e arriviamo a Victoria, la capitale. Troviamo un venditore ambulante che vende hamburger e ceniamo alla buona, poi torniamo all’hotel per andare, finalmente, a dormire.

12/8: Mahè Island

Dopo una notte ristoratrice, si avvia una giornata all’insegna dell’esplorazione dell’isola. La vista dell’hotel con la luce conferma la prima impressione: la camera è pulita, carina, spaziosa. La colazione è buona e abbondante. C’è anche la piscina. Sbrigate le formalità, usciamo con la macchina. L’obiettivo è quello di andare agli uffici del Cat Cocos, il ferry boat che fa spola sulle isole minori di Praslin e La Digue, al fine di acquistare i biglietti per una delle due isole per l’indomani. Il Cat Cocos percorre il tragitto Mahè-Praslin in un’ora e Praslin-La Digue in mezz’ora e parte da Ile du Port. (https://www.seychellesbookings.com/cat-cocos). Per strada, ci fermiamo a Victoria, dove c’è un grazioso e piccolo mercato, e non resistiamo alla tentazione di acquistare dei souvenir, nonché il celebre liquore Coco d’Amour, fatto con la tipica noce di cocco delle isole, il coco de mer (acquistato nel locali indiani per 415 rupie, ossia 35 euro, ma attenzione, in aeroporto costa meno!). Al mercato vendono verdure, spezie, souvenir, pesce fresco. Ci rendiamo subito conto della differenza tra i prezzi delle Seychelles e quelli del Madagascar … Un succo (per fortuna squisito) e un caffè li paghiamo qualcosa come 8 euro! Facciamo ritorno all’auto e cerchiamo disperatamente l’ufficio del ferry boat. Non è facile trovarlo perché non ci sono indicazioni e quelle fornite dai passanti sono imprecise. Una volta raggiunto a fatica l’ufficio, l’impiegata ci comunica che avremmo dovuto tornare più tardi per la conferma della possibilità di trovare posto sul traghetto delle 9 per La Digue (la più piccola delle isole), così decidiamo intanto di andare a mangiare un boccone. Trovare un locale si rivela un’altra ardua impresa. Beau Vallon è lontano, e nei pressi della zona in cui siamo sembrano esserci solo ristoranti cinesi. Fortunatamente troviamo un venditore ambulante che serve wrap e noodles. Alla fine, nonostante la location, è un pranzo apprezzabilissimo e poco caro (125 Rp).

Passiamo a fare un foto da un punto di vista panoramico, visitiamo l’isola di Eden, dedicata a chi ha soldi da spendere, poi torniamo all’ufficio del ferry boat, per scoprire amaramente che non ci sono posti sul traghetto delle 9 ma solo su quello delle 11, che arriva appena alle 12.30 (e il rientro parte alle 18 da Praslin, quindi almeno mezz’ora prima da La Digue). Inoltre, il biglietto a persona è caro: ben 127 euro per spendere sull’isola soltanto poche ore! Perché tanto traffico? Perché a La Digue c’è un festival di Ferragosto che coinvolge tutta l’isola e sembra meriti parteciparvi. Lasciamo perdere il ferry boat, pensando che forse troveremo un volo aereo, che ci consentirà di stare più tempo sull’isoletta, così ci dirigiamo all’aeroporto. Purtroppo anche lì veniamo delusi: il banchetto della Air Seychelles è chiuso, ma c’è wifi: cerco un volo tuttavia i pochi disponibili sono costosi (almeno 250 euro a testa) partono la sera e non la mattina. Pazienza, dobbiamo desistere. Andiamo verso la spiaggia di Beau Vallon per rinfrancarci con un bagno; prima di arrivare ci fermiamo ad ammirare il tramonto in due diverse spiagge che ci fanno ammirare dei colori sull’oceano che sono indescrivibili. Questo ci rilassa un po’. Verso le 19.30 andiamo a cena a Beau Vallon: più che i costosi ristoranti ci attirano i venditori ambulanti lungo il viale pedonale, che cuociono pesce alla griglia e specialità creole. Acquistiamo un enorme pesce grigliato e un piatto creolo, più le bibite, per un totale di soli 14 euro! Una prelibatezza! Poi ci godiamo la serata con un daiquiri alla fragola e guava sulla spiaggia (quasi più cari della cena, 90 Rp l’uno!).

Consigli: Se si va a Seychelles in agosto e si vuole andare a Praslin o La Digue, è meglio prenotare in anticipo il traghetto o il volo aereo. Sembra meriti visitare La Digue nel periodo di Ferragosto, per una festa locale.

13/8: Mahè Island

La mattina ci si sveglia dolcemente e si va a fare colazione nell’area piscina dell’hotel. La colazione rinfranca sempre, soprattutto se c’è abbondanza di caffè, dolci, pane e marmellata (ma, volendo, l’hotel offre anche opzioni salate). Unica pecca dell’hotel è la connessione wifi, che è carente sia nella zona piscina sia nella nostra stanza, mentre funziona bene nella zona reception. Verso le 9 usciamo con la macchina per andare a fare il giro dell’isola. Le strade sono semi-deserte, forse perché è domenica e i negozi sono chiusi, e le persone vanno in chiesa (ne sentiamo i canti). Ci fermiamo inizialmente ai Botanical Gardens, dove sappiamo esserci le famose tartarughe seychellesi. L’entrata costa 100 Rp a persona e se ne aggiungono 50 se si vuole dare da mangiare e toccare le tartarughe. I giardini sono molto ben curati (a parte un’area dismessa dove risiedeva un tempo la caffetteria), tuttavia sono piuttosto contenuti come dimensioni. Vediamo la pianta del celebre coco de mer, il frutto (femminile) che assomiglia al ventre di una donna e che viene impollinato dal seme maschile, pieno di infiorescenze, che assomiglia al ventre maschile. La pianta è tipica dell’isola di Praslin. Le tartarughe sono numerose, e al di fuori dell’area in cui vivono si possono leggere diversi cartelli informativi su questi animali. Trascorso un po’ di tempo a girovagare, ce ne andiamo. Proseguiamo verso la zona sud dell’isola, oltrepassando l’aeroporto. Lungo la strada c’è un craft market, ma le bancarelle sono chiuse. Le spiagge lungo la costa est sono diverse, il mare è più impetuoso e la spiaggia è centellinata di piccoli coralli, a causa della presenza della barriera corallina a largo. Ci fermiamo a scattare delle foto qua e là, ma il tempo non è particolarmente bello, così non ci ispira di fare il bagno. Attraversiamo l’isola da est ad ovest e ci ritroviamo nelle zone della costa ovest. Percorriamo dei tratti in altitudine, osservando la vegetazione lussureggiante che circonda le sporadiche abitazioni e gli chalet adibiti a guesthouse. Decisamente una parte molto tranquilla dell’isola. Torniamo verso nord, a Victoria. Da lì raggiungiamo la spiaggia di Beau Vallon, che è piena di gente. Per pranzo, prendiamo del pesce e del riso con pollo dal venditore ambulante di ieri e spendiamo solo 150 Rp: una volta finito, siamo sazissimi e appagati dal buon cibo. Ci mettiamo alla ricerca di un luogo un po’ più tranquillo, a sud della spiaggia, ma la tranquillità dura poco perché arriva un gruppo di ragazzi con lo stereo e le birre. Ci spostiamo ancora ma la spiaggia si fa meno bella, a causa dell’accumulo di alghe nell’acqua e sulla sabbia. E’ una questione di cui avevo letto sui forum: sembra che in certe zone, in alcuni periodi dell’anno, ci siano parecchie alghe in circolazione. Ma non è un grosso problema, dal momento in cui basta spostarsi di qualche metro, anche se nella zona più libera dalle alghe c’è più gente. Nel pomeriggio ci beviamo un ottimo Daiquiri all’ananas in spiaggia. I venditori sono ben attrezzati, con succhi pronti, noci di cocco, spezie e souvenir, patatine e cibi di diversi tipi, bibite. Ci sono diversi cani che razzolano per la spiaggia e per le strade e bisogna dire che fanno tanta pena, ma sono docili e non danno alcun fastidio. Il sole tramonta alle 18.30, scattiamo le ultime foto e andiamo in macchina, dove ci cambiamo e indossiamo vestiti asciutti. Rimaniamo nella zona perché alle 19.30 andiamo a cena al Boat House, un ristorante a buffet con cucina creola. Si pagano 450 Rp a testa (escluse le bevande), ma si mangia quanto si vuole. Il cibo è molto buono, ma, come spesso accade ai buffet, si corre il rischio di esagerare con la quantità. Personalmente, i pasti alle bancarelle sulla spiaggia, mi hanno dato più soddisfazione e hanno dato sollievo al portafoglio. Dopo una breve passeggiata digestiva, torniamo all’hotel per la nostra ultima notte sull’isola.

14/8: Mahé Island

Il nostro ultimo giorno alle Seychelles inizia con un’ottima colazione all’hotel, deliziandoci con pane e marmellata all’ananas e della frutta fresca. Il tempo non è molto bello, quindi tralasciamo l’idea iniziale di andare in spiaggia e decidiamo di tornare al mercato di Victoria, per gli ultimi acquisti. Ci fermiamo a bere un caffè e un succo di papaya e frutto della passione. In seguito, ci lasciamo solleticare dall’idea di andare verso la spiaggia, dato che il tempo si è fatto clemente. La spiaggia è molto meno movimentata rispetto alla giornata precedente, ci sono poche persone e il mare ci invita con un colore cristallino e delle morbide onde che lambiscono la spiaggia. Dopo aver trascorso qualche tempo, ci cambiamo e andiamo a pranzo presso i venditori ambulanti della spiaggia. Ce ne sono alcuni che grigliano del pesce e che propongono riso e noodles con carne e verdure. Optiamo per un piatto a base di filetto di tonno grigliato (da leccarsi i baffi),salsa di cipolle e riso (100 Rp) e uno con noodles, pollo al curry e carne (85 Rp) e due squisiti succhi di frutta fresca. Appagati, lasciamo la spiaggia diretti nuovamente verso Victoria, dove dedichiamo gli ultimi ritagli di tempo agli acquisti, con i soldi che ci sono rimasti. Ci sono dei negozi dove si vendono abiti e oggetti “made in Seychelles” (e ovviamente i prezzi lievitano) e altri che vendono prodotti contraffatti: questi ultimi si riconoscono nella via che porta al mercato di Victoria.

Torniamo all’hotel, dove approfittiamo per lavare via la salsedine con una doccia veloce in piscina, ci prepariamo e salutiamo la proprietaria, sig. Danielle, molto disponibile. Siccome siamo in anticipo, approfittiamo degli ultimi minuti per recarci al Craft Village a sud dell’aeroporto, ma anche questa volta troviamo ben pochi negozi aperti. Peccato, perché l’unico che visitiamo è molto particolare e ci conferma che ogni negozio è unico e rappresenta la creatività personale degli artisti dell’isola. Il venditore con cui parliamo, intento ad intrecciare vimini, conosce l’italiano e ci spiega che alcuni oggetti presenti al negozio sono fatti con legno di mogano, altri con legno di un albero tipico delle Seychelles, il Takamaka (da cui anche il nome di un celebre rhum diffuso sull’isola). Acquisto una sciarpa fatta con la iuta, investendo gli ultimi 140 Rp.

Alle 17.45 restituiamo la macchina all’aeroporto e sbrighiamo le formalità per l’imbarco. Scopriamo che il liquore Coco de mer, che credevano di acquistare risparmiando presso i negozi indiani della capitale, costa meno all’aeroporto (415 Rp contro 360 Rp), non l’avremmo mai pensato! Il volo del rientro prevede uno scalo ad Abu Dhabi con partenza da Mahé alle 20.20 e arrivo alle 1.00, e un volo Abu Dhabi-Venezia con partenza alle 2.15 e arrivo alle 6.50.

MADAGASCAR – Può essere utile ricordare che:

– Le mance sono una consuetudine nei ristoranti, negli hotel per i portabagagli, alle guide dei parchi, ecc. Tenere a portata di mano degli spiccioli, tipo da 500 Ar.

– Gli sportelli ATM non sono presenti in tutti i centri cittadini, quindi è bene fare scorta di contanti ad Antananarivo e a Tulear. Inoltre frequentemente non è possibile pagare con la carta di credito.

– Indossare abiti a cipolla: nelle zone costiere fa più caldo, sugli altipiani fa fresco e nelle camere degli hotel di media categoria non c’è il riscaldamento.

– Prestare attenzione all’acqua calda della doccia: in alcuni luoghi abbiamo trovato acqua calda ma non sufficiente per la doccia di due persone consecutivamente, quindi preferire docce più brevi.

– I prezzi si contrattano, a volte anche nei negozi.

– Se si noleggia un’auto fare attenzione ai taxi brousse e ai camion che sfrecciano sulle strade, sorpassando anche in curva. E’ frequente l’uso del clacson per segnalare la propria presenza sulla strada.

– Assaggiare i succhi di frutta locali: sono deliziosi!

– Se si è particolarmente sensibili come noi, si possono portare vestiti usati, penne e altro materiale per i bambini e la gente povera del luogo.



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