Skopje, ottomana e moderna

Viaggio in Macedonia, tra ricordi ottomani e nuovi monumenti
Scritto da: mapko64
skopje, ottomana e moderna
Partenza il: 30/06/2013
Ritorno il: 07/07/2013
Viaggiatori: uno
Spesa: 1000 €
Prosegue dalla sezione dedicata al Kosovo, dal racconto intitolato “Kosovo, il neonato d’Europa”.

Giovedì 4 luglio 2013: Pristina – Skopje

Alle otto e mezzo il bus lascia Pristina alla volta di Skopje. Le case proseguono per un lungo tratto lungo la strada senza soluzione di continuità. A Ferizaj, rivedo la moschea e la chiesa vicino alla ferrovia, una a fianco dell’altra. La città in una giornata di sole mi appare meno brutta. Superata Kacanik, impestata dai fumi di una fabbrica, ci infiliamo nella gola boscosa che porta in Macedonia.

A Skopje dalla stazione dei bus raggiungo a piedi l’Hotel Pelister, affacciato su Piazza Macedonia, cuore della città. Il grande spazio aperto, da qualche anno, è stato sfruttato per ospitare tutta una serie di monumenti. La statua del Guerriero sul Cavallo, alta 24 metri, è una chiara rappresentazione di Alessandro Magno: inaugurata nel 2011, per non irritare la Grecia è stata battezzata con un nome anonimo. Bucefalo si alza su due zampe sopra un’alta colonna bianca, alla base della quale guerrieri in armatura brandiscono le sarisse, le lunghe alabarde della leggendaria falange macedone. Completano il tutto giochi d’acqua, accompagnati da musica classica, e leoni dalle lunghe criniere. Proprio davanti all’albergo, Tsar Samoil, eroe nazionale macedone, è rappresentato seduto sul trono con uno scettro in mano. Attorno al mille, riuscì per un breve periodo a creare un grande stato macedone indipendente, ma la sua vicenda finì in tragedia: fu sconfitto dall’imperatore bizantino Basileo che fece accecare i diecimila soldati prigionieri, lasciando un solo occhio ogni cento soldati. Secondo la leggenda Samoil morì di crepacuore per il dispiacere. Sul lato opposto della piazza, un bel ponte di pietra ottomano scavalca il fiume Vardar, vegliato sui lati da altri due monumenti equestri di bronzo. Ritraggono Dame Gruev (1871-1906) e Gotse Delcev (1872-1903), rivoluzionari macedoni protagonisti della lotta contro i turchi, come illustrato dalle targhe che raccontano la loro vita. Le statue spuntano come funghi: Berovski (1840-1907), altro rivoluzionario macedone, tiene una bandiera con una mano e una spada con l’altra. La visione più bella rimane comunque quella del ponte: è lungo più di duecento metri e presenta tredici arcate. Curiosamente una fontana lancia i suoi getti in mezzo al fiume; dalla base di un pilone una donna di bronzo con costume a due pezzi e cuffia rossi si tuffa in acqua, mentre dal fiume emergono piedi e caviglie di un’altra che la ha preceduta. Sulla sponda opposta incombe la mole del nuovo Museo Archeologico, un imponente edificio neoclassico dall’alto colonnato ionico. Un altro ponte pedonale porta davanti al suo ingresso; i lavori non sono terminati, ma le statue sulle balaustre sono già al loro posto. Prima di attraversare il ponte ottomano continuo nell’esplorazione delle statue. I personaggi in circolo, dall’aspetto di intellettuali, alcuni con borse, sono in realtà i “Barcaioli di Salonicco” un gruppo di anarchici che lanciò una campagna del terrore a Salonicco nel 1903 per segnalare alla comunità internazionale la questione macedone. Giustiniano, nato nell’odierna Taor vicino Skopje, è ritratto seduto su un trono con il voluminoso codice che fece redigere. Durante il suo regno, Skupi fu distrutta da un terremoto e l’imperatore fece costruire una nuova città pochi chilometri più a sud, denominata Justiniana Prima. Mi volto verso la statua di Alessandro, che anche da quaggiù appare veramente imponente: forse è il più grande monumento equestre che abbia mai visto, ma certo non è il più bello!

Sull’altra sponda continua la sagra di statue. Ai lati del ponte sono raffigurate due coppie di santi, importanti per la storie del paese: Cirillo e Metodio, Naum e Clemente di Ohrid. Una fontana ritrae mamme che abbracciano teneramente il proprio bambino e una donna incinta. Scoprirò più tardi che il riferimento è a Olimpiade, madre di Alessandro Magno. Un personaggio sfoggia fez e grandi baffoni: è Georgi Pulevski (1823-1893), scrittore e rivoluzionario, considerato il primo promotore dell’idea della Macedonia come nazione distinta dalla Bulgaria. Chiude lo scenario, iniziato con Alessandro Magno sul lato opposto, un’altra grande statua in bronzo che ritrae un personaggio barbuto sopra un altissimo podio. Collocata nel 2012, con il piedistallo sul quale è sistemata arriva quasi a trenta metri. Si tratta di Filippo II, ma ancora una volta per non irritare la Grecia porta ufficialmente il nome di “Guerriero”. Il padre di Alessandro è rappresentato mentre solleva un pugno in segno di forza; sotto un cerchio di soldati e ancora più in basso matrone, bambini e uomini togati.

Proseguendo verso nord tutto cambia: si raggiunge la Carsija, l’antico quartiere turco. Il grande terremoto che devastò Skopje nel 1963, non riuscì ad abbattere del tutto i suoi edifici e il quartiere ha conservato il fascino passato, come è successo a Sarajevo ma non a Pristina. La piazzetta di fronte al Kapan Han è invasa da tavoli e ombrelloni dei ristoranti, tanto che il grande albero al centro quasi non si nota. Si è fatta l’ora di pranzo e non mi lascio sfuggire l’occasione. Mentre aspetto che mi servano, spunta sornione un gatto; ancora una volta il pane è squisito, come anche i kebapci che non potevano mancare in una bazar turco.

Il Kapan Han presenta la tradizionale struttura dei caravanserragli ottomani, con due piani attorno a una corte, quello inferiore destinato a merci ed animali, quello superiore, con un’ampia balconata di legno, al riposo dei mercanti. Oggi ospita un paio di ristoranti. Al centro della Carsija, la moschea Murat Pasha risale all’Ottocento. Al suo interno i fedeli sono intenti a pregare con grande profusione di inchini. Fa caldo ma nel soffitto girano svariati ventilatori. A pochi passi, il Cifte Hammam ospita la Galleria Nazionale. All’esterno si presenta con la solita selva di cupole dei bagni turchi. Purtroppo sono in corso i preparativi per l’allestimento di una mostra e non si può visitare. Mi concedono solo di dare un’occhiata alla prima sala. Sotto la tipica volta “forata” si trova una bella fascia in pietra decorata con bassorilievi astratti. Da un’altra porta m’infilo nella sala principale: è grandissima, coperta da una larga cupola.

A questo punto raggiungo, ai limiti del quartiere turco, il Museo Nazionale, ospitato in un triste complesso di cemento risalente all’era comunista. La sezione delle icone è ospitata in una sala al primo piano. Le più belle sono quelle più antiche: la Santa Vergine Hodegetria è una delicata Maria del XIV secolo, mentre nella meravigliosa Santa Vergine Pelagonitisa, opera di Makarios proveniente dal monastero di Zrze (1421), il bambino torce la testa per baciare la madre ma guarda lo spettatore e Maria triste con il capo chino ha le dita lunghissime che sembrano proteggere Gesù.

Nei secoli successivi le rappresentazioni diventano più brutte: Gesù ha una testa sproporzionata, come se fosse tutto cervello. Si passa quindi alla sezione storica, con spiegazioni solo in cirillico, ma ricca di foto d’epoca. S’inizia con gruppi di soldati di inizio Novecento (guerre dei Balcani?), per passare poi al periodo tra le guerre mondiali. Una cartina della Grande Macedonia, illustra come dopo la prima guerra mondiale, il cinquanta per cento del suo territorio fu assegnato alla Grecia, il dieci alla Bulgaria, il quaranta alla Jugoslavia e un pezzettino all’Albania. Quegli anni furono caratterizzati dal tentativo di colonizzazione e assimilazione da parte dei serbi, ma le persecuzioni avvennero anche da parte greca. Tra le foto della seconda guerra mondiale mi colpisce un gruppo di partigiani. Cambiando tema, una sala ospita una mostra temporanea dedicata ai premi Nobel per la pace, tra i quali un posto particolare merita Madre Teresa di Calcutta, nativa di Skopje. La galleria copre tutti i premiati a partire dal 1901 fino al 2012, anno in cui il premio è stato assegnato all’Unione Europea. Nell’elenco mi colpisce la presenza di molti presidenti americani: il primo Roosevalt, Wilson, Marshall, Carter fino a Obama, passando anche per un segretario di stato, Kissinger. Avranno veramente meritato il premio, oppure si sarà trattato di sola adulazione verso la grande potenza? Alcune foto ritraggono invece gli aiuti umanitari alla Macedonia negli anni venti del Novecento.

La sezione archeologica non si può visitare perché deve essere trasferita al nuovo museo, che però non è ancora pronto! Passo quindi in un altro edificio immenso, sfruttato in minima parte per il museo etnografico. Si inizia con grandi kilim appesi alle pareti (XIX secolo), per passare poi alla riproduzione degli ambienti di una casa tradizionale e ai modellini di abitazioni di città e villaggi. Sono esposti attrezzi per il lavoro nei campi e per la pesca, con una canoa di legno ricavata dal tronco di un albero. La parte più interessante è costituita dai vestiti tradizionali e in particolare dai pettorali e copricapi delle spose, carichi di monete. Un curioso cappello è pieno di treccine di monete. Terminata la visita, al negozio del museo posso vedere per lo meno la riproduzione della statuetta di terracotta dedicata alla fertilità, il pezzo più famoso del museo archeologico. Su una base cubica con dei fori, è raffigurata una donna dalla vita in su, con le mani poggiate sul cubo, il naso a punta, i seni, l’ombelico e la testa quadrata.

Dietro il museo, il Kursumli Han è un altro grande caravanserraglio, con pareti di mattoni e pietre. Purtroppo è chiuso, ma sbirciando dalla porta intravedo un bel cortile con due livelli di arcate. Sul lato opposto del museo raggiungo la moschea Mustafa Pasha, la più grande della città, che domina dall’alto tutta l’area del bazar. È preceduta da un portico di candido marmo bianco, con tre grandi arcate, addossato all’edificio in pietra con le pareti decorate da linee di mattoni. Il minareto è alto più di quaranta metri. L’interno è un grande ambiente quadrato, coperto dalla larghissima cupola. Le decorazioni pittoriche nei quattro angoli sono piacevoli e arrivano fino al pavimento. In cima alla collina invece si trova la fortezza Kale; le mura ciclopiche lunghe più di 120 metri sul lato della città, caratterizzano il panorama di Skopje. Purtroppo però è chiusa e non posso visitarla.

Tornando verso la Carsija, visito la Sveti Spas. La semplice cappella quadrata a tre navate, è apprezzata per la magnifica iconostasi, realizzata nell’Ottocento da celebri intagliatori. È tutta scolpita in legno di noce, con l’inserimento dei pannelli delle icone dalle parti argentate; una sorta di groviglio vegetale nel quale andare a cercare le varie figure. Le colonne, vuote dentro, sono tutte intarsiate: una presenta angeli con tromba, alcuni solo di ali, un’altra reca grappoli di uva e sembra un vero tralcio avvolto alla colonna. La chiesa si trova più in basso rispetto al piano stradale, per non contravvenire alla disposizione turca di non superare l’altezza delle moschee. Sorge nell’angolo di una corte recintata, dominata da una torre campanaria di legno, tutta aperta, davanti alla quale un grande sarcofago accoglie le spoglie di Goce Delcev (1872-1903), popolare rivoluzionario macedone.

M’incammino di nuovo verso la città nuova. Il Daut Pasha Hammam, tristemente si trova a fianco del cavalcavia che porta alla Carsija. È un altro grande bagno turco coperto da 13 cupole, utilizzato da uomini e donne che avevano a disposizione ambienti separati. Oggi ospita una collezione di arte moderna; all’interno, della struttura originaria sopravvivono solo le cupole e la parte in pietra sottostante. Alla fine del giro si arriva alle due grandi sale in passato utilizzate come spogliatoi; una di esse oggi deve essere sfruttata per concerti, poiché vi si trova un pianoforte a coda.

Ormai ho raggiunto di nuovo le grandi statue della Skopje contemporanea. A fianco di Filippo, Sveti Dimitri è una chiesa ottocentesca con un’iconostasi di legno tinteggiata di verde e quadri come icone. In quest’area sono stati da poco completati una serie di interessanti edifici. Rimandando a domani la visita del museo della Lotta Macedone, passo al museo dell’Olocausto Ebreo, dedicato al ricordo degli ebrei macedoni sterminati dai nazisti. È stato inaugurato solo nel 2011. Nella hall mani protese reggono foto digitalizzate delle vittime, proiettate dentro cornici, una rappresentazione moderna, evocativa e commuovente. Un carro merci con la scritta Bulgaria, ricorda i treni con cui i condannati venivano trasportati verso i campi di sterminio. Al primo piano è illustrata la storia degli ebrei sefarditi nei Balcani. Espulsi dalla Spagna nel 1492, si sparsero per tutto il Mediterraneo, come illustra una cartina, e da Salonicco raggiunsero i Balcani e l’Europa Centrale. L’impero ottomano li accolse volentieri; alcune foto ritraggono le comunità di Belgrado, Spalato, Sarajevo e Istanbul prima del genocidio nazista. Salonicco era chiamata la Gerusalemme dei Balcani. In alcune di queste città ancora oggi sopravvivono piccole comunità. Interessante è anche la storia della lingua parlata da queste genti, il ladino, un miscuglio di ebreo e spagnolo antico. Oggi questa lingua rischia di scomparire, solo in Israele si sta cercando di recuperarla. Il secondo piano è dedicato all’olocausto. Nel 1942 i bulgari, alleati dei nazisti, registrarono tutti gli ebrei di Bitola. È impressionante vedere la serie di “fototessere” e pensare cosa è successo a tutte quelle persone. In Grecia ci furono tre zone di occupazione, italiana, bulgara e tedesca (dove gli ebrei furono subito inviati ai campi di sterminio). I bulgari mandarono gli ebrei nei campi di lavoro, ma l’opposizione della chiesa e degli intellettuali riuscì ad evitare la deportazione. In Jugoslavia gli italiani furono i più “umani”, mentre gli ustascia croati crearono i loro campi di sterminio come i nazisti. La foto di un bambino mascherato per Carnevale con vestito bianco e cappello a punta, mi fa venire le lacrime agli occhi. Nel 1943 la situazione precipitò anche in Macedonia, occupata dai bulgari. L’SS Dannecker fu inviato in Bulgaria per sistemare la questione degli ebrei. Il giorno 11 marzo 1943, ottomila ebrei di Bitola, Shtip e Skopje furono rastrellati; prima vennero concentrati nel monopolio dei tabacchi a Skopje, poi vennero deportati a Treblinka in Polonia dove la maggior parte trovò subito la morte nelle camere a gas. In quel campo morirono durante la guerra 900.000 ebrei e 2.000 rom. Nel 1944 alla liberazione erano sopravvissuti solo 350 tra i deportati macedoni.

La sera in piazza Macedonia la musica classica continua ad accompagnare i giochi d’acqua, mentre comincia qualche accenno di luci colorate. Un maxi schermo proietta la pubblicità della birra Skopje, la bandiera macedone, rossa con sole e raggi gialli, sventola nel cielo grigio che annuncia il temporale in arrivo. Una campana batte un rintocco; è la prima che sento dopo i muezzin della moschee.

Per cena scelgo un locale nel Kapan Han. L’atmosfera è incantevole, accompagnata dalla musica dal vivo. I tavoli sono sistemati sotto il porticato e gli alberi del cortile centrale. Mi viene in mente una cena in un’ambientazione simile, nel lontano Azerbaijan. Le antiche città ottomane sono sempre affascinanti, ricordo di un impero che è stato dipinto come il demonio dai nazionalismi ottocenteschi, ma che ha anche avuto momenti di tolleranza e progresso. In piazza Macedonia il maxi schermo proiettava le immagini dell’impero dei nostri giorni, la società dei consumi importata dall’America. L’imperatore Adriano quando viaggiava poteva sempre trovare nella città che visitava il foro, l’anfiteatro, le terme, grazie al modello di civiltà che Roma aveva esportato in tutto il mondo. Il viaggiatore arabo Ibn Battuta poteva invece affidarsi ai riferimenti dell’Islam; più tardi un mercante ottomano avrebbe sempre trovato il caravanserraglio dove riposare e depositare le sue merci. Oggi in ogni angolo del mondo possiamo bere Coca Cola, collegarci a Internet e mangiare da McDonald!

La notte anche la fontana di Filippo è allietata da giochi d’acqua con luci colorate, accompagnati da musica classica. Davanti al museo dell’Olocausto è in corso il concerto di un quartetto con chitarra, violino e tamburello. La cantante ha una bella voce e tra le parole delle canzoni riconosco molti termini spagnoleggianti; che stia cantando in ladino? Concludo in bellezza la giornata con i giochi d’acqua della fontana di Alessandro davanti all’albergo.

Venerdì 5 luglio 2013: Skopje

Inizio le mie esplorazioni giornaliere dall’arco di trionfo, denominato Macedonia Gate, una sorta di bianco portale verso la Piazza. Nel giardino sul lato opposto, denominato Parco della Donna Combattente, incombe la mole del grande centro commerciale. Anche in questo caso le statue non mancano. I quattro uomini a torso nudo, che si tengono sotto braccio davanti a una sfera spaccata a metà, ricordano i caduti del conflitto con la minoranza albanese nel 2001. Pitu Gulu (1865-1903) fu un rivoluzionario macedone di origine valacca, protagonista della rivolta che portò alla breve repubblica di Krushevo (1903), stroncata dagli ottomani. In uno dei pochi monumenti senza spiegazioni, perché risalente alla Jugoslavia, un oratore parla da una tribuna, mentre a fianco tre uomini, seduti a un tavolo, applaudono e dietro due altri personaggi si stringono la mano. Le stelle sui cappelli lasciano pensare a qualche avvenimento importante per la retorica comunista; una data cita infatti l’anno 1944. Navigando su Internet, scoprirò che si tratta della prima sessione plenaria dell’ASNOM (movimento anti-fascista per la liberazione della Macedonia). Dietro si trova un colonnato bianco decisamente bruttino, sormontato da un angelo alato in bronzo che regge una corona e quattro cavalli imbizzarriti; commemora gli eroi caduti per la Macedonia.

Tornato nella Piazza, imbocco Viale Macedonia, la strada pedonale deputata al passeggio e al piacere di sedere ai caffè. Recentemente un memoriale è stato dedicato a Madre Teresa, nativa di Skopje (1910-1997). Si tratta di un bell’edificio moderno che unisce materiali e stili eterogenei. Di fronte una statua ritrae la suora mentre prega, con il volto rugoso e le mani giunte che tengono un rosario; dalla tunica spuntano i piedi con i sandali e le caratteristiche dita accavallate. Nel memoriale si cerca di evocare la giovinezza e la vita a Skopje della suora, ma sono esposti solo un letto e una tavola apparecchiata. Gonxha Agnes Bosa Xhio nacque nel 1910 e fu battezzata nella chiesa cattolica attualmente in ricostruzione a fianco del memoriale. La sua casa si trovava a poche decine di metri dall’Hotel Pelister, ma è andata distrutta. Una foto la ritrae con la sorella mentre indossa abiti tradizionali; un’altra nella chiesa del Sacro Cuore di Gesù, fatta costruire dagli austriaci con i finanziamenti dell’imperatore Francesco Giuseppe. Seguono foto della sua vita a Calcutta in mezzo ai poveri e il testo in inglese della regola delle Missionarie della Carità, l’ordine da lei fondato. Si passa poi a ricordare il premio Nobel ricevuto nel 1979 e gli storici incontri con papa Giovanni Paolo II e lady Diana. Al secondo piano si trova la cappella, con pareti di vetro e dietro un groviglio di ghirigori di acciaio.

Nella piazzetta dietro il memoriale, la torre del Bey è il più antico edificio da questo lato del fiume: ha le caratteristiche di una torre difensiva in pietra, con finestre solo ai piani alti, alcune con verande sporgenti di legno. Proseguendo la passeggiata, in fondo a Viale Macedonia raggiungo i resti della vecchia stazione ferroviaria, distrutta dal terremoto del 26 luglio 1963. L’orologio sulla facciata è fermo da allora alle 5.17. Da una foto si comprende come sia sopravissuta solo un’ala dell’edificio. All’interno sarebbe ospitato il Museo della Città, ma è chiuso per l’allestimento di una mostra. Mi viene il sospetto che sia la scusa ufficiale concordata tra tutti i musei per non fare entrare i visitatori! Non posso così ammirare l’Adamo di Govrlevo, una statuetta di terracotta scoperta nel 2000, considerata tra i dieci più importanti reperti neolitici al mondo, poiché forse si tratta della prima rappresentazione umana, antica di 7000 anni. Soltanto ritornato a casa, potrò ammirare su Internet qualche foto. Il raffinato torso di uomo seduto, conservato dalle ginocchia alle spalle, appare molto realistico, fatto insolito per il periodo neolitico: si distinguono addirittura le costole e la spina dorsale.

Skopje è piena di cantieri; dietro il grande centro commerciale a fianco della Piazza, raggiungo il lungofiume. Il ponte che conduce all’Opera presenta una galleria di statue di macedoni famosi, artisti con i loro “strumenti di lavoro”, come un direttore d’orchestra con la bacchetta e un pittore con la tavolozza. È stato completato, ma in fondo è ancora sbarrato. Un secondo ponte, sempre pedonale, conduce al museo Archeologico. Questa volta sono immortalati personaggi del mondo classico e medievale.

Passato sull’altra sponda, raggiungo l’imponente edificio che ospita il museo della Lotta Macedone, inaugurato nel 2011 in occasione del ventennale dell’indipendenza. Il biglietto d’ingresso è salato e la visita si può effettuare solo accompagnati da una guida. La grande hall è coperta da una cupola tutta a vetrate colorate. Nell’attesa dell’inizio del giro, getto un’occhiata alla sala delle conferenze; alle pareti grandi quadri, opera di artisti russi, raffigurano episodi della lotta di liberazione. Uno ricorda l’assassinio di Todor Panic, rivoluzionario socialista: in un palco del Burgtheater di Vienna una donna, Mencha Karnicheva anche lei rivoluzionaria ma di destra, spara il colpo di pistola fatale, davanti alla gente attonita (1925). Finalmente inizio il tour guidato in inglese, insieme a un gruppetto di altri visitatori. L’esposizione racconta un secolo di lotte dei macedoni per ottenere l’indipendenza, attraverso le riproduzioni in cera di tanti protagonisti, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Nelle sale buie la luce esalta l’impressionante realismo delle figure, vestite con i “loro abiti”. Tra i primi compare lo statista inglese Gladstone, ricordato per la sua apprezzata frase “Macedonia to macedons”. Si prosegue con le innumerevoli rivolte sotto il dominio turco. Misirkov fu autore della prima codifica della lingua macedone, differenziandola dal serbo e dal bulgaro. All’inizio del Novecento il rapimento della missionaria americana Ellen Stone rappresentò un celebre caso diplomatico; un grande quadro la ritrae a cavallo prigioniera, tra le montagne. La repubblica di Krushevo (1903) si concluse tragicamente; la rappresentazione di un’impiccagione è raccapricciante, con i corvi sotto il condannato. Una sala è dedicata alle rappresaglie e alla propaganda greca contro i macedoni slavi, che culminò nel massacro operato in un villaggio vicino a Kastoria. Il periodo dei Giovani Turchi è ricordato dalla figura di Ataturk, nato in Macedonia. Dopo le guerre balcaniche la Macedonia fu divisa tra Grecia, Serbia, Bulgaria e Albania. Durante la prima guerra mondiale, i macedoni si trovarono a combattere lungo il fronte, uno contro l’altro, schierati con bulgari, greci e serbi. Segue il periodo tra le guerre mondiali, durante il quale le organizzazioni rivoluzionarie continuarono a lottare per l’indipendenza. Re Alessandro di Jugoslavia fu assassinato nel 1934 durante la sua visita a Marsiglia. L’omicida, Vlado Cernozemski, apparteneva a un organizzazione rivoluzionaria che mirava all’indipendenza della Macedonia dalla Jugoslavia e che aveva collegamenti con la formazione degli ustascia croati di Ante Pavelic; è ritratto con la pistola nascosta in un mazzo di fiori, mentre il re si trova a bordo di una macchina scoperta. Si trattò del primo omicidio filmato della storia. La seconda guerra mondiale, indicata come guerra di liberazione nazionale, vide la Macedonia occupata dai bulgari. Entrando in una sala per poco non mi viene un colpo: le figure di cera si animano e cominciano a strillare! In realtà si tratta di un gruppo di attori che rappresenta una scena di qualche riunione partigiana, per poi mettersi a cantare e ballare. L’ultima parte dell’esposizione è dedicata alle vittime del comunismo. Tito appare in compagnia di tre leader macedoni; l’attore Shiskov è raffigurato in un ristorante mentre rompe il vetro di un ritratto di Tito con un pugno sul tavolo, episodio che gli costò la prigione.

Terminata la visita, raggiungo di nuovo la Carsija per visitare il Museo del Bazar, ospitato al primo piano di un han che ha perso gran parte del fascino antico. S’inizia con una citazione di Evliya Celebi, che nel Seicento viaggiò attraverso l’impero ottomano: “Il bazar contiene 2105 negozi. Ci sono mercati grandi e piccoli, costruiti di solida muratura e abbelliti con archi e cupole. Nel calore dell’estate il mercato di Skopje assomiglia ai freschi luoghi di Bagdad, poiché i suoi bazar sono coperti con tettoie e cupole come a Sarajevo e Aleppo”. Il piccolo museo ricorda, attraverso foto e oggetti, i commerci e i mestieri di un tempo: sellai, calzolai, sarti, gioiellieri, fabbri. Una foto mostra gli edifici distrutti dal terremoto del 1963; in altre immagini la Carsija appare molto simile a come è oggi.

Retrocedendo sui miei passi e superata la strada dei gioiellieri, raggiungo il Bezisten, il mercato coperto. Attraversando le porte del complesso recintato, si accede a un paio di stretti vicoli tra bianchi edifici che oggi ospitano solo un caffè.

Il tempo peggiora e quando raggiungo di nuovo la città “moderna” scoppia un acquazzone. Per raggiungere il monte Vodno, che domina il paesaggio di Skopje, mi hanno consigliato il bus che porta fino alla funivia. Il moderno mezzo rosso a due piani ricorda gli autobus londinesi. All’interno è dotato di aria condizionata, con display luminosi che mostrano scritte anche in inglese. Dal piano superiore mi godo il panorama sulla città. La funivia si trova circa a metà della montagna, ma decido di rimandare l’ascesa, per visitare prima la chiesa di Sv. Pantelejmon. Una camminata di un’ora, lungo una strada asfaltata deserta che corre in mezzo a un bosco, mi porta fino al villaggio di Gorni Nezeri. La chiesa si presenta con la tipica struttura orientale piena di cupole. La costruzione risale al 1164, opera di Alessio Commeno nipote dell’imperatore bizantino. All’interno molti affreschi sono contemporanei alla sua costruzione; sono considerati un preannuncio di Giotto e del Rinascimento italiano, poiché introducono i sentimenti nel mondo bizantino. Il più celebre è la Lamentazione di Cristo, nel quale Maria stringe il corpo di Gesù, abbracciandolo. Il suo volto è afflitto, sul punto di piangere; due apostoli baciano i piedi del maestro, un altro gli tiene la mano e la accosta al viso. Tutti gli affreschi sono caratterizzati da uno sfondo azzurro che conferisce un tono luminoso alla chiesa a croce greca. Una prima fascia presenta santi e martiri; alcuni hanno vesti coperte di croci, mentre i santi guerrieri indossano corazze e ricchi abiti colorati. Sopra, una seconda fascia illustra scene della vita di Gesù, tra cui la celebre Lamentazione. Nella Deposizione alcuni volti sono stati cancellati, mentre un uomo con le pinze toglie i chiodi dai piedi di Gesù; nell’Ingresso a Gerusalemme un uomo dal naso aquilino è rappresentato di profilo con un bambino sulle spalle. Riconosco anche le scene della Trasfigurazione e delle Resurrezione di Lazzaro, avvolto in fasce decorate da rosette. Nella bella Natività sopra l’ingresso della chiesa, Maria distesa sul letto si poggia a una donna, mentre un’altra, dallo sguardo arcigno e le sopracciglia inarcate, fa il bagnetto a Gesù in una specie di fonte battesimale. Sulla cupola Cristo, circondato da angeli molto belli, ha perso i lineamenti. L’abside è separata da una struttura di marmo che ricorda i recinti delle nostre chiese romaniche, con animali e fiori entro riquadri; nel catino Maria ha le braccia aperte e Gesù bambino dentro un tondo sul petto. Sulla destra è rappresentato Sv. Pantelejmon, protettore dei fisici per i suoi studi di medicina e fisica. Le due cappelle laterali sono strettissime. Dopo le buie chiese del Kosovo è un piacere ammirare gli affreschi nella luce naturale di questa chiesa. L’effetto è meraviglioso.

Nel cortile del monastero, sul lato che si apre verso la piana di Skopje, è ospitato un ristorante e non mi lascio sfuggire l’occasione, anche perché è apprezzato per la cucina macedone. Un indiano nel tavolo di fronte a me mangia senza interruzione per mezzora, pescando da una grande ciotola. Io invece, dopo uno sformato agli spinaci e uno yogurt non eccezionali, chiudo in bellezza con un baklava e l’unico caffè macedone che riuscirò ad assaporare durante tutto il viaggio: naturalmente è uguale a quello turco, greco e bosniaco!

Un’altra scarpinata di un’ora, accompagnata da qualche tuono inquietante in lontananza ma anche da squarci di sole che accendono di smeraldo la montagna, mi riporta alla funicolare. Partendo da quota 570 conduce fino in vetta al monte Vodno a 1068 metri. In cima la gigantesca croce alta 75 metri, la più grande in Europa sottolineano con orgoglio i macedoni, è un’altra testimonianza della mania locale per il gigantesco. È una struttura di acciaio, come un enorme ponteggio (ma del resto lo è anche la torre Eiffel che per questo all’inizio non piacque a tutti!). La piattaforma è già rovinata, la struttura interna vuota e chiusa. Il panorama spazia su tutti i lati, ma per vedere la città bisogna spostarsi sul belvedere oltre la funivia. Anche da quassù i giganti cittadini si distinguono chiaramente: il grande cavallo con Alessandro, il museo archeologico, la fortezza di Kale e lo stadio.

Per cena decido di rimanere all’hotel Pelister; mi siedo proprio di fronte ad Alessandro, ammirando i giochi d’acqua allietati dalle luci colorate nel buio della notte. Dopo tanta carne provo una pizza, anche perché il ristorante è un po’ turistico. Non è male, anche se la pizza napoletana è diventata bianca con i funghi (la salsa di pomodoro sarebbe da aggiungere a parte).

Sabato 6 luglio 2013: Skopje – Tetovo – canyon Matka – Skopje

In Macedonia la comunità albanese è pari al venti per cento della popolazione. Con la fine della Jugoslavia e la costituzione della nuova repubblica autonoma, agli albanesi furono negati tutti i diritti, tanto che il macedone fu considerato l’unica lingua ammessa. Seguirono anni di tensioni e scontri, con gli albanesi di Macedonia che simpatizzavano con quelli del Kosovo, offrendo rifugio ai molti sfollati e basi all’UCK. Finalmente, grazie alla mediazione internazionale si riuscì ad arrivare a un compromesso. A Tetovo, la città a maggioranza albanese che oggi intendo visitare, è stata istituita un’università nella quale si insegna anche in albanese e la situazione sembra ormai tranquilla.

Alla stazione degli autobus di Skopje, un albanese mi sente parlare al telefono in italiano. Sta tornando a Tivoli vicino Roma dove vive, insieme al figlio che lo accompagna per la prima volta in Italia. Raggiungeranno Durazzo in bus, per poi imbarcarsi per l’Italia. Si lamenta che a causa della crisi in Italia c’è poco lavoro. Gli chiedo allora come è la situazione in Macedonia, poiché a Skopje ho visto tanti cantieri aperti. Mi risponde che pagano poco e i turni sono di quindici ore!

Lasciamo la città dirigendoci verso il canyon del Matka, che si delinea quando ci immettiamo in un’autostrada a pagamento. Dopo nemmeno un’ora siamo già a Tetovo, annunciata dal monte Tito, il più alto interamente nella ex Jugoslavia. Oggi però la cima è nascosta dalle nuvole.

La moschea Sarena rappresenta la ragione di visita a una città per il resto abbastanza squallida. Preceduta da un bagno turco, sull’altro lato del fiume, ha la particolarità di essere interamente dipinta. Si dice che a tale scopo furono utilizzate 30.000 uova. Già l’esterno preannuncia quanto si vedrà entrando. Il retro e i fianchi sono divisi in spazi rettangolari, colorati con stelle, che ricordano il dorso delle carte da gioco. La facciata, preceduta da un portico, sembra essere stata ridipinta di recente. Ha l’aspetto più di un’abitazione che di una moschea, anche per le finestre con le inferriate. Nel piccolo recinto del complesso trovano spazio una turbe e una fontana per le abluzioni in pietra, ma la vera sorpresa si ha entrando nella moschea: sembra di essere in un salotto rococò tutto affrescato. L’effetto è molto bello grazie a una sapiente scelta dei colori. Nella cupola spiccano i medaglioni che ritraggono moschee alternate a vasi di fiori. Lungo tutte le pareti, in alto, corre una sottile fascia con palazzi e città. Più in basso grandi vasi di fiori tra finestre con vetrate di ambra e intrecci delicati di marmo bianco. In un angolo scopro una raffigurazione della Mecca: in un recinto il “grande cubo” della Pietra Nera è protetto da teli neri, intorno sorgono i minareti e le case di una città. Il minbar e il mihrab sono anch’essi di marmo bianco; nel mihrab un’altra rappresentazione di moschea. Sul lato dell’ingresso sporgono tre balconi circolari, tutti affrescati. Curiose anche le finte porte dipinte. Unica nota stonata i lampadari a gocce, che tanto piacciono al gusto islamico.

L’altra attrattiva di Tetovo è la tekke dei dervisci. Il mio arrivo coincide con quello di un pullman di turisti che sfoggiano la bandiera turca. Al centro del vasto complesso recintato, tra prati verdi, si trova la piattaforma per la meditazione, un padiglione coperto da un tetto di legno e tegole, diviso in due spazi da una porta e una balaustra anch’esse di legno. La porta che da accesso all’anticamera è tutta intarsiata; in mezzo si trova una fontana esagonale per le abluzioni. Il secondo ambiente invece è completamente vuoto. La moschea si trova in un angolo del complesso. Di fianco una specie di torre culmina con una parte di legno tinteggiata di azzurro e ricoperta da un tetto sporgente di tegole. Un edificio esibisce le bandiere turca, albanese e una terza verde. Il mausoleo con le tombe è ridotto veramente male; di fianco un piccolo cimitero, con lapidi formate da basse colonne sormontate da cappelli quadrati. Nell’edificio subito dietro, il gruppo di turisti viene ricevuto dal baba, guida spirituale delle comunità, che sfoggia una lunga barba bianca, indossa una veste bianco con fascia verde in vita e un candido cappello a cilindro. Le pareti sono tutte coperte di fotografie. Tornato alla piattaforma per la meditazione trovo i turisti intenti a farsi fotografare insieme a un curioso tipo, grosso e pelato con una bella barba corvina.

Per tornare alla stazione dei bus riattraverso la città. La via principale del centro è tutta una successione di negozi di abiti femminili, splendide vesti tradizionali colorate e ricamate, oppure pacchiani indumenti coperti di luccichini. I minibus locali appaiono decisamente messi male; il grande centro commerciale è un triste mastodonte di cemento. Molti vecchi indossano il tradizionale fez albanese oppure una papalina bianca più adatta al clima estivo. Attraversando di nuovo il bazar, trovo un tizio addormentato sul suo banco della verdura, esattamente nella stessa posizione in cui lo avevo visto questa mattina, al mio primo passaggio.

Il bus di ritorno da Tetovo raggiunge Skopje proprio dove inizia la strada per il canyon del Matka. Decido quindi di scendere poco oltre, alla periferia della capitale, non appena in giro si vede qualche taxi. Ne fermo uno per la strada e mi faccio portare fino al canyon, risparmiando tempo e denaro. All’arrivo mi accoglie la pioggia, ma dopo un po’ il tempo migliora e più tardi uscirà anche il sole. Il canyon è chiuso da una diga che ha creato un lago artificiale. Dal parcheggio si segue il fiume camminando fino all’impressionante sbarramento umano contro le forze della natura. Si prosegue poi un altro tratto raggiungendo l’albergo, subito a fianco della chiesa di Sant’Andrea (1389). Il canyon è veramente spettacolare: alte pareti rocciose, ora nude, ora coperte di boschi, chiudono lo stretto passaggio allagato dall’acqua. Visito l’interno della chiesa, tutto affrescato. Nella prima fascia, ai lati dell’ingresso sono raffigurati gli arcangeli Michele e Gabriele, mentre i santi guerrieri Giorgio e Dimitri sono armati con lancia, spada e scudo. Nella seconda fascia sono raffigurate scene del Vangelo (la Lavanda dei Piedi davanti ad architetture, la Deposizione con Maria che abbraccia Gesù). Nell’abside Maria regge Gesù bambino di fronte allo spettatore.

Per visitare la grotta Vrelo, una delle tante scoperte in zona, mi aggrego a un gruppo per una gita in barca. Risaliamo il canyon per una mezzoretta, godendo splendidi scorci. In certi punti un denso vapore si leva dall’acqua, creando un’atmosfera magica. Sbarcati a un molo, raggiungiamo la grotta attrezzata per la visita. Il breve percorso in discesa termina davanti a un laghetto sotterraneo. Tra stalagmiti e stalattiti svolazza una colonia di pipistrelli.

Terminata l’escursione in barca e tornato all’albergo, percorro un breve tratto del sentiero scavato nella roccia che corre sul fianco del canyon. Con tutta calma posso quindi ammirare lo spettacolo della natura, integrato questa volta dall’opera dell’uomo, con il sole che illumina la sponda opposta. Una parete di roccia scende nuda e verticale a picco nell’acqua. Mi siedo su una panchina per godermi il paesaggio. La pace è totale, l’acqua si è liberata dalla schiuma delle barche e, perfettamente immobile, riflette le montagne creando un mondo al contrario.

Per tornare in città ricorro al comodissimo bus #60 che ha il suo capolinea proprio nel parcheggio del canyon. A Skopje scendo davanti alla moderna cattedrale di San Clemente di Ohrid. All’esterno si presenta come un grande struttura con cupola centrale e cupole a vela sui vari lati. Nell’interno ottagonale, la cupola appare immensa, con un pesantissimo lampadario nel mezzo. Il Pantocratore è gigantesco (un occhio misura un metro e mezzo); intorno gli angeli procedono come in parata verso una colomba di luce.

Oggi l’acquazzone colpisce anche la sera. Le vie della Carsija, bagnate, riflettono la luce dei lampioni, con le botteghe colorate. Il fascino del quartiere è rimasto tale, anche se le strade sono quasi deserte per la pioggia.

Gran finale sotto il cavallo in Piazza Macedonia: concerto di musica classica con balletti d’acqua ed effetti luminosi. La notte i grandi spazi vuoti del centro di Skopje esaltano i monumenti isolati, illuminati nel buio, facendo il controcanto al fascino della Carsija. La notte rende tutto bello: il candido Macedonia Gate, il colonnato del nuovo museo archeologico delicatamente illuminato, la fortezza splendente sopra la collina, il cavallo con Alessandro e i giochi d’acqua, per finire con i magici archi di pietra del ponte.

Domenica 7 luglio 2013: Skopje – Roma

Nel quartiere turco, la domenica mattina il Bit Pazar è già animato. Montagne di peperoni verdi fanno bella mostra di se sopra i banchi. Un tizio è intento a lucidare i pomodori uno per uno, prima di formare una piramide. La moschea di Isham Bey, conquistatore della Macedonia, preceduta da un portico a cinque arcate, è dominata dall’alto minareto e culmina con due cupole gemelle. Nel giardino, pieno di rose, l’imponente platanus orientalis ha un tronco immenso. Poco lontano la moschea Sultan Murat è la più antica della città, costruita sopra un celebre monastero. Davanti sorge la Saat Kula, la torre dell’orologio che ha perso il fascino per le passate distruzioni. La triste struttura grigia termina con una parte esagonale in mattoni; un tempo stabiliva l’orario per la apertura e chiusura di tutti i negozi, in modo che nessuno potesse fare il furbo. Chiudo in bellezza con la moschea Aladza, subito dietro il mercato. Nel grande portico dormono varie persone sdraiate sui tappeti. Il mausoleo è diventato un deposito ma conserva un giro di maioliche azzurre nel tamburo della cupoletta.

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Skopje, Sv. Pantelejmon

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Tetovo, moschea Sarena

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Tetovo, moschea Sarena

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Skopje, Matka Canyon

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Skopje, Ponte Ottomano

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Skopje, Filippo II

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Skopje, Alessandro Magno

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Skopje, moschea Mustafa Pasha

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Skopje, madre Teresa

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Skopje, quartiere turco

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Skopje, bagno turco

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Skopje, quartiere turco

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Skopje, Sv. Pantelejmon



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