E… state pedalando!

A Lodi e Cremona in bicicletta
Scritto da: cappellaccio
e... state pedalando!
Partenza il: 18/08/2005
Ritorno il: 20/08/2005
Viaggiatori: 3
Spesa: 500 €
Cremona e dintorni. Ciclopista delle città murate (Pizzighettone-Soncino) Percorso ciclabile Lodi-Pizzighettone In bicicletta in provincia di Cremona: Siamo sulla via del ritorno. Una luna rotonda ed enorme come l’insegna della Berco ha appena fatto capolino all’orizzonte. Dal fondo dell’auto si sprigionano gas letali: è il fetore che sorge dalle nostre “tennis”. Fa troppo buio per continuare a leggere. Già da un’ora sottopassiamo cavalcavia, oltrepassiamo file di tir, ci facciamo superare da novelli “Schumacher” che ci sfrecciano accanto mentre Fede canticchia le canzoni del CD detto “dell’Andrée” e Leo s’impegola in battibecchi con il navigatore satellitare –o meglio, la navigatrice, dato che possiede una suadente voce femminile-. Utile il navigatore: almeno hai qualcuno con cui prendertela quando non imbrocchi la strada. Guardo Leo e mi accorgo che mentre guida ha una faccia stravolta, porta le impronte degli occhiali da sole tatuate sul viso e ha la pelle delle gambe lessata dal pantaloncino in giù –anch’io ho un nuovo “stencil” sulla schiena: una striscia rossa dovuta allo spazio che c’era tra i ciclisti e la canottiera, dove oggi il Sole ha lasciato la sua firma. Sorrido e gli dico: – “Sembri sconvolto!” – “Per forza, ci hai fatto fare 80 km in bicicletta in un solo giorno!” Come se non avessi mostrato fin da alcuni giorni fa il dépliant che diceva chiaro e tondo che la ciclopista delle città murate era di 38 km e quindi, tenendo conto del ritorno, 76 km … Fede si difende dicendo che lui aveva guardato le figure e non aveva letto niente. Bravo! Vedi a firmare il contratto senza leggere le clausole? E poi uno dei motivi per cui siamo “stesi” è che ci siamo persi due volte (senza possibilità di scaricare responsabilità sul navigatore). La prima a Soresina, per via del fatto che il cartello che indicava la direzione si trovava rovesciato ai bordi della strada e non sapevamo verso dove era rivolto prima di essere abbattuto, inoltre abbiamo imboccato la pista sbagliata –su suggerimento di Leo- nel tratto fra Soresina e Genivolta, per cui almeno 4 km in più ce li siamo sorbettati in quell’amena deviazione lì. Fortuna che nelle nostre donchisciottesche peregrinazioni nelle remote lande della provincia di Cremona siamo incappati in tre pescatori lungo il canale che ci hanno rimesso sul buon cammino, da dove abbiamo ritrovato la strada giusta per infilare l’itinerario cicloturistico dritti fino alla meta: Soncino. In realtà di cittatine murate ce n’erano solo due: quella di partenza, Pizzighettone –che conserva una possente cinta bastionata a pianta stellare del Seicento- e quella di arrivo, Soncino, appunto. Nel mezzo c’erano fossi, canali e chiuse, distese sterminate di granturco, case padronali in rovina, cascine con stalle che ammorbavano l’aria e addirittura una villa con mucca in giardino! Sarà stata la mucca domestica, noi ci accontentiamo del cane, là tenevano la vacca “da guardia” a ruminare fra i cipressi. In alcuni tratti una ciclabile sterrata si snodava fra pioppeti e fattorie abitate o diroccate lungo il corso del Serio Morto, in altri una strada asfaltata ma quasi sempre in dissesto attraversava piccoli centri come Cappella Cantone, Genivolta o Ferie. Il segnale di quest’ultimo paese ci ha ricordato in maniera beffarda che nonostante le nostre erculee fatiche eravamo pur sempre in ferie… Durante l’andata, più o meno al km 22, dopo un pasto a base di insalata di riso e tonno, corredata da pop-corn caserecci, duri come cuscinetti a sfera, si sono esaurite le nostre scorte alimentari. Un brivido corre lungo la schiena: non faremo mica la fine del piccione? Ieri, infatti, nel corso della visita a Cremona, ci siamo spinti sulla “Tour Eiffel” della “capitale del torrone”: il Torrazzo, alto 111 m. Nei piani più bassi della spessa mole del campanile della cattedrale le scale erano ampie, di pietra e correvano, come il foro di un verme, all’interno di rassicuranti muri protettivi, ma una volta raggiunto il penultimo piano, accessibile attraverso una scala di legno con ringhiera, per arrivare in cima, si doveva salire per una scala a chiocciola in metallo, che s’imperniava a spirale nel cuore della torre, lasciando un inquietante vuoto attorno. La mancanza di benigne pareti avvolgenti e il fatto di sentirsi sospesi nel nulla produceva un senso di vertigine. Da un momento all’altro temevo che le mie gambe si rifiutassero di continuare l’ascesa, ma infine ho ripristinato il collegamento tra cervello e membra inferiori e così sono riuscita a mettere i piedi in salvo sul pavimento di pietra della guglia traforata ed è proprio lì, nell’anfratto più elevato della torre campanaria più svettante d’Italia, mentre eravamo tutti presi a contemplare, da quell’altezza paurosa, i meandri del Po e l’estendersi di Cremona fino al diradarsi degli edifici nella campagna, che ci siamo accorti dei resti di un piccione, mortifero presagio. Uno scheletro intatto, da museo di scienze naturali. Morto di malattia, di vertigini, di fame…? Il caso è aperto. La carcassa giace ancora insepolta. Si trattava, insomma, di evitare di seguire le orme del pennuto. Abbiamo progettato, dunque, di saccheggiare un supermercato, forse appartenente a Bono (mai sentito parlare della catena di supermercati U2?). Sulla via del ritorno avremmo fatto il colpo, perché in quel momento erano solo le 12.40 e il discount era chiuso. Restavano ancora da percorrere chilometri di impolverati stradoni, sognando piatti di risotto al pesto di Salame di Cremona e verze, anatra muta con chiodini in umido e il dolce tipico, Pan Cremona. Soncino, però, era semideserta, il castello era chiuso e ci siamo fiondati nel primo bar che abbiamo trovato, per rifocillarci con un gelato a testa e sorseggiare un tè alla pesca ghiacciato, col quale Fede ha pensato bene di sciacquarmi, con un aggraziato movimento del braccio. All’idea di rifare tutto l’itinerario a rovescio eravamo presi dallo sconforto. Ma ci siamo fatti coraggio e anche senza doping, macinando chilometri su chilometri, dubitando di nuovo, a qualche incrocio, sulla via da prendere, siamo finalmente riusciti a tornare all’auto. Per farcela la tappa al supermercato è stata fondamentale. Nella piazza di S.M. Sabbioni abbiamo ingoiato tutti e otto gli yogurt che avevamo acquistato assieme a una scatola di biscotti e a due mele. Anche ieri c’eravamo cimentati in due imprese ciclistiche, entrambe lungo il Po, per un totale di una trentina di km. La prima detta: “Fra i paesaggi del Po e del Morbasco”, che ci ha dato la possibilità di spiare da lontano la bellezza del Torrazzo e della cattedrale di Cremona e la seconda chiamata “i Bodri e le riserve naturali”- cosa saranno i Bodri?-, con partenza dal famosissimo villaggio cremasco di Stagno Lombardo. Lì una signora ultranovantenne, che tornava da una capatina al cimitero, si è informata, incuriosita, sul perché stessimo consumando un pic-nic sulle panchine davanti al monumento ai caduti di Stagno, dove a quell’ora non c’era anima viva. In puro dialetto ferrarese, rispondendo all’apostrofe in cremasco della nonnina, Leo ha riferito che c’era nel suo celebre paesello una ciclopista che ci accingevamo ad esplorare. Per tutta risposta la longeva signora ci ha raccontato che a volte, sotto al monumento ai caduti, ci andava a dormire un barbone… Un ulteriore contatto con le popolazioni indigene l’abbiamo avuto al Bread and Breakfast -come lo chiamava Fede, che pensa sempre solo a mangiare- dove abbiamo trascorso la notte del 18 agosto, ubicato nella frazione di Gadesco Pieve Delmona, altro luogo che di questi tempi è affollato come Rimini. La proprietaria ci ha messo al corrente del fatto che a volte rinunciava a potenziali clienti se fiutava che scambiavano il suo alloggio per un Motel. Ci ha spiegato di essersi lei stessa “fatta” il Bed and Breakfast per non tradire il marito, cioè per essere impegnata tanto da non cedere alle tentazioni della carne. Che strane teorie sorgono in questi territori, sarà un effetto collaterale di una dieta a base di Mostarda di Cremona? In bicicletta in provincia di Lodi: Stamane ho preso il treno per raggiungere Lodi, congelandomi o rosolandomi a seconda del livello dell’aria condizionata all’interno del vagone dei vari regionali e dell’Eurostar per Milano. All’ora più appropriata (mezzogiorno) sono giunta in quel di Lodi e dopo mezz’ora di camminata dalla stazione FS ho potuto noleggiare un’orrenda mountain bike senza cambi presso il fatiscente Hotel Lodi, di cui si scorge a malapena l’ingresso, per via dei lavori in corso. Pausa tecnica al bagno e subito inforco il mezzo e dotata di piantina e mappe imbocco la strada Vecchia Cremonese, che mi conduce a una pista ciclabile che segue il canale Muzza. Per fortuna il tragitto –anche se non sempre tabellato- è abbastanza ombreggiato, solo che fa un caldo soffocante! Ci vuole un bel po’ per trovare una fontanella dove rinfrescarsi. In località Cascina Colombina sembra finire la ciclabile e non vedo indicazioni per proseguire, eppure non sono nemmeno arrivata a Castiglione d’Adda e la mia meta finale è Pizzighettone. Controllo sulla mia piantina. Effettivamente qui sembra di capire che bisogna riguadagnare la provinciale… C’è pochissima gente in giro (data anche l’ora infame), ma riesco subito ad azzeccare una tipa dall’accento straniero che naturalmente non sa una minchia. Proseguo fino alla strada, quindi incrocio un ciclista: – La pista continua, solo che l’hanno appena fatta, non ci sono ancora i segnali. Mi informa gentilmente. Infatti vado avanti e incontro appena un paio di ostacoli –deterrenti per i ciclisti che volessero usare la pista “non terminata”- che mi affretto a scansare. All’altezza del paese di Castiglione, però, sparisce il percorso ciclabile ed è necessario addentrarsi nell’abitato. Qui incontro un altro tizio in bici a cui chiedo delucidazioni. – Devi passare davanti al cimitero e poi nei pressi della chiesa andare a sinistra, poi si riprende la ciclabile. Spiega l’uomo, che tuttavia, vedendomi perplessa, mi propone di seguirlo. A partire da questo momento, coadiuvata dal mio accompagnatore, senza più orientarmi con i miei pieghevoli che descrivono l’itinerario, raggiungo Camairago e poco prima di Maleo prendiamo una strada sterrata che porta alla stazione di Pizzighettone. Sulla sponda opposta dell’Adda si scorge la borgata di Gera. Adesso seguiamo una strada bianca lungo l’Adda che conduce alla Tenuta Boscone e scopro che il mio benefattore è un muratore che nel finesettimana si sgranchisce i muscoli lungo questi ameni sentieri di campagna, come facciamo Leo ed io nei dintorni di Tamara. La sterrata è più faticosa della pista asfaltata e manco a dirlo troviamo qualche lievissima salitina, che però non avendo alcun cambio nella maledetta mountain bike, sono costretta ad affrontare a piedi. Anche se non va tanto forte non riesco a mantenere il ritmo del muratore, sicuramente abituato a immani fatiche su e giù per le impalcature, anche con 40 gradi al sole. Una volta tornati a Castiglione d’Adda lo ringrazio e suggerisco di separarci, tanto adesso la parte più difficile è già alle nostre spalle e non mi resta che pedalare lentamente, col culo dolorante attaccato al sellino, fino al noleggio bici costeggiando il mio colatore Muzza, facendo anche una breve sosta dalla fontanella (il muratore mi aveva allarmata dicendo che secondo lui quella era acqua del canale, non potabile, ma io non ho visto nessun cartello e inoltre -citando un famoso scrittore di Barcellona- posso affermare che il sapore di candeggina dell’acqua mi è sembrato un indice attendibile di potabilità della stessa). Insomma, al rientro passo per il centro di Lodi. In particolare in piazza della Vittoria, sotto ai portici e davanti al tozzo campanile della cattedrale integrato nella facciata di stile romanico lombardo, resisto per un soffio alla tentazione di un gelato. A dire il vero anche qualche fiocchetto di “raspadura”, il formaggio grana a veli tipico di qui potrebbe rappresentare un combustibile perfetto per affrontare la frenesia del ritorno, infatti resta pur sempre da riconsegnare la bici, tornare a piedi alla stazione, il tutto cercando di non schiattare per il caldo. Ma scoccano le cinque: malgrado la stanchezza io mi spingo avanti, pedalando rasente ai marciapiedi, all’ombra, e le cose scorrono via senza inciampi fino all’arrivo a casa.


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