Il meglio del Libano in una settimana

Metà viaggio e metà vacanza in un Paese piccolo piccolo ma ricco di perle di inaspettata bellezza
Scritto da: marimila
il meglio del libano in una settimana
Partenza il: 04/08/2018
Ritorno il: 10/08/2018
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €

ITINERARIO Partenza 4/08/18 Milano MPX – Beirut (Alitalia servito da MEA) Ritorno 10/08/18 Beirut – Milano MPX (Alitalia servito da MEA)

4 agosto:

  • viaggio
  • visita della città e pernottamento a Beirut

5 agosto:

  • Shouf Biosphere reserve
  • Moussa castle
  • Deir el Qamar
  • visita e pernottamento a Beirut

6 agosto:

  • Sydone
  • Tyro
  • visita e pernottamento a Beirut

7 agosto:

  • Grotte di Jeita
  • visita e pernottamento a Byblos

8 agosto:

  • Kozhaya
  • Bhcarrè
  • Cedars forest
  • pernottamento a Ehden

9 agosto:

  • Baalbek
  • Aanjar
  • pernottamento a Beirut

10 agosto:

  • viaggio

A dire il vero, ogni persona a cui abbiamo detto che saremmo andati in Libano quest’estate ci ha guardati con una faccia un po’ perplessa chiedendoci… “Che scelta… inusuale!! Ma come mai?”.

Io per prima – che di certo non avevo messo il Libano nella mia top 10 dei posti da visitare e che mi sono fatta convincere – non ho avuto difficoltà a rispondere che la scelta è stata mossa dalla curiosità di voler visitare un paese tanto antico, che ha subito decine di influssi stranieri, e che oggi è noto per uno straordinario melting pot culturale in cui convivono provenienze e religioni diversissime fra loro, pacificamente coesistenti in un ambiente vivace, moderno e frizzante.

Questa risposta però l’ho potuta formulare pienamente e con convinzione solo dopo aver toccato con mano le bellezze e stranezze di questo piccolo paese, nel corso di un intenso viaggio di una settimana in cui siamo riusciti a raggiungere tutti i luoghi più suggestivi e remoti così come a divertirci e gustare un po’ della vita vacanziera e rilassata che il Libano può offrire.

GIORNO 1

Arriviamo a Beirut nel pomeriggio e veniamo accolti da un driver della compagnia White Taxi precedentemente prenotato via mail. Avendo la fortuna di avere amici in Libano, abbiamo saggiamente ascoltato il consiglio di non imbarcarci nell’impresa di noleggiare una macchina e avventurarci da soli per il paese. Non tanto per ragioni di sicurezza – nonostante confini con Syria e Israele il Libano dà un’idea di assoluta sicurezza e i tanti checkpoint sparsi per le strade sono pure formalità di controlli documenti a campione – quanto per il traffico! Un traffico disordinato e congestionato, in cui le classiche regole non valgono e vince chi è più aggressivo (o coraggioso) alla guida, il tutto a suon di clacson che viene usato in maniera indiscriminata per qualsiasi tipo di segnale. Per non parlare del parcheggio che a Beirut è a dir poco selvaggio: ci sono talmente tante macchine che non avremmo mai saputo dove lasciare la nostra!

Il driver non è lo stesso che ci accompagnerà per il resto della settimana, parla poco inglese e la macchina è mediocre… se queste sono le premesse… aiuto! Per fortuna la macchina dal giorno successivo è molto più nuova, comoda e pulita ed il driver è migliore. Se non avesse parlato anche lui un inglese stentato, buono appena appena per regolarsi con destinazioni e pagamenti, sono certa che ne avremmo potuto approfittare molto di più per fare domande sulla cultura e lo stile di vita libanesi. Di certo però non era una valida guida: viaggiando con lui abbiamo scoperto che non era mai nemmeno stato in molti dei posti che gli abbiamo chiesto di visitare, il che è paradossale vista la ridotta dimensione del paese.

In ogni caso, la scelta è stata davvero ottimale: nei tragitti in macchina (a volte resi più lunghi da questo traffico insopportabile e disordinato che tanto mi ha ricordato quello di altre città del terzo mondo) abbiamo potuto dormicchiare o leggere… ma di certo non guardare il panorama! Il Libano infatti non è ricco di viste on the road spettacolari, come quelle che si possono apprezzare ad esempio negli States. Tra un luogo di visita e l’altro purtroppo c’è solo tanto degrado, sporcizia, caos e povertà che in realtà, insieme a tutti i segni della cultura occidentale (auto, cartelloni pubblicitari, prodotti ecc.) disseminati qua e là, crea un mix distonico e abbrutente.

Tornando ai trasporti, consiglio assolutamente la soluzione con driver (150$ per 8-9 ore di accompagnamento ogni giorno) per spostarsi in giro per il paese, mentre per spostarsi a Beirut il meglio è usare le app Uber o Careem (con quest’ultima si può pagare cash).

Il nostro hotel per le prime 3 sere a Beirut si chiama Studio 44 ed è una sorta di residence nel quartiere di Hamra, il più turistico e poco costoso: il residence è ben posizionato, pulito e confortevole e ci permette di muoverci a piedi la sera stessa alla scoperta del quartiere e della Corniche. Armati di Lonely Planet (basta comprare l’e-book del capitolo sul Libano nella Lonely dedicata all’Asia) attraversiamo il campus della American University of Beirut – un luogo pacifico e popolato da gatti di tutte le razze e colori – per arrivare sulla Corniche, la lunga passeggiata che costeggia il mare. Al Riviera prendiamo l’aperitivo guardando il tramonto e sorseggiando la Almaza, una birra libanese fresca e leggerissima.

Provando l’ebbrezza di fermare un taxi (sicuramente abusivo) per strada e di contrattare (con qualche imbarazzo anche se lì è d’obbligo) per la cifra, ci facciamo portare al ristorante Mezyane, noto non solo per il cibo squisito ma anche per musica e balli sui tavoli. Forse noi siamo arrivati troppo presto, ma ancora non ballava nessuno, quindi ci siamo gustati la prima vera cena libanese con un sottofondo di musica dance.

GIORNO 2

Partenza alle 9 per la prima giornata di escursioni. Rotta a est alla Shouf biosphere Reserve: si tratta di una grande foresta ricca di passeggiate in cui apprezzare, immersi nella vegetazione, anche i primi imponenti cedri del libano. Sono gli alberi rappresentativi del paese – il cedro è anche il simbolo sulla bandiera e campeggia su ogni souvenir nei mille negozietti a bordo strada – e ne restano pochissimi, per questo si possono vedere solo nelle riserve naturali, controllate a vista da delle specie di ranger. Confortati dall’aria frizzante di montagna, ci incamminiamo per un paio di ore percorrendo sentieri nel bosco, ogni tanto affiancati da chiassosissime compagnie di turisti arabi. La Riserva non è semplicissima da raggiungere e i cedri sono qua e là fra pini e altri alberi: è sicuramente un bellissimo posto in cui apprezzarli, ma probabilmente ce lo si gode di più avendo più tempo per fare trail sulla montagna, come in tutti i parchi naturali.

I morsi della fame però ci spingono a lasciare la Riserva e a dirigerci alla ricerca di un ristorante: avendo visto delle foto online, insisto per andare al ristorante Shallalat Al Zarqa (anche questo bello complesso da raggiungere) che si affaccia su un fiume con cascate blu-verdi bellissime. Arrivati sul posto scopriamo che la domenica è tutto prenotato e quindi per avere 2 posti al piano superiore (da cui vediamo comunque bene sia il fiume sia le cascate) dobbiamo anche lasciare una piccola mancia extra. Sapevo che il menù era fisso a 35$ a testa (costoso, lo ammetto), ma di certo non mi aspettavo quella quantità di cibo! Mezzè dopo mezzè (i tipici antipasti della cucina libanese) i camerieri ci portano ogni ben di dio e a un certo punto ci ritroviamo più di 22 diversi tipi di pietanze sul tavolo! Credo di non aver mai mangiato così tanto, nemmeno a un matrimonio! L’atmosfera è festaiola: al di là dell’ottimo ed abbondante cibo, il ristorante ci offre la rara opportunità di assistere a un raro spaccato di vita libanese… il pranzo della domenica in famiglia!! Tavolate da 24 persone, amici e parenti riuniti ore e ore a mangiare, fumare la shisha (narghilè), bere Arak (una bevanda simile alla sambuca), cantare e ballare. Una cosa particolare e affascinante dei libanesi è che ogni scusa è buona per fare festa ed essere spensierati, tra l’altro in maniera estremamente inclusiva: allo stesso tavolo pasteggiano e chiacchierano donne velate a diversi livelli e donne cristiane, la confessione religiosa non è di certo un limite allo stare insieme.

Decisamente satolli, ci avviamo pigramente verso la cittadina di Deir-Al-Qamar, di cui sbirciamo solo la piazza principale e la moschea, e il Moussa Castle… un luogo tra i più inquietanti in cui sia mai stata. Il castello è popolato da statue di cera intente a ritrarre la storia, cultura, usi e costumi libanesi. Il problema è che le statue sono troppo realistiche e, sarà anche che ho visto troppe puntate di Criminal Minds, sembra il contesto perfetto per un film dell’orrore. Diciamo che la visita del castello da dentro sarebbe stata evitabile e ci avrebbe fatto risparmiare qualche lira libanese: tra l’altro, è vero che i dollari sono ampiamente accettati in Libano, ma non aspettatevi che pagando in dollari si abbia il resto nella stessa valuta. Il resto verrà dato il lire libanesi (quindi va fatta al volo la conversione per evitare sorprese) e molti posti non accetteranno la carta di credito, quindi meglio prelevare direttamente lire ai tantissimi bancomat che si trovano nelle città principali.

Ancora cotti dal pranzo e delusi dalla visita del castello, decidiamo di saltare la visita del Palazzo di Beit Ed Dine e di tornare a Beirut facendoci lasciare a Downtown. Lì visitiamo la Moschea Al-Amin (per entrare le donne devono indossare le tuniche nere con capo velato che vengono distribuite all’ingresso): la moschea è splendida, fuori per il tetto blu che svetta sulla città e i minareti beige che con il sole al tramonto diventano raggianti, dentro per i lampadari di cristallo e i fini mosaici azzurri. È un privilegio poterla visitare, soprattutto considerato che molte altre moschee nel paese non sono aperte ai non musulmani. Dopo la visita alla moschea e le foto di rito in Piazza dei Martiri, dove si affiancano moschee, chiese cristiane maronite e cattedrali ortodosse a simboleggiare la profonda tolleranza del paese, prendiamo un aperitivo in Place d’Ètoile sentendo al tramontare del sole il canto dei muezzin che richiamano alla preghiera: questo è il primo momento in cui mi sembra davvero di essere nel Medio Oriente che conosco io.

Convinta che le città si capiscano fino in fondo solo se girate a piedi, trascino il mio paziente fidanzato in una lunghissima camminata (alla fine della serata avremo percorso 10,2km) attraverso Downtown, il Suq, la Yacht Marina e tutta la Corniche fino al suo limitare (i famosi faraglioni della Roccia del Piccione che noi vediamo, o meglio dire non vediamo, solo a tarda sera col buio), tornando poi ad Hamra. Nonostante sia sera, il caldo è torrido ma la cosa peggiore è l’umidità che ci appiccica i vestiti addosso e porta con sé odori e fetori della città.

È difficile raccontare una città così contraddittoria che nel suo complesso non si può definire “bella”: si passa da palazzi fatiscenti che recano ancora i fori di proiettile sulle facciate, retaggio della sanguinosa guerra civile, ai modernissimi grattacieli della zona della Marina che la fanno assomigliare a Miami. Dalle numerosissime famiglie arabe sulla Corniche – 4 o 5 bambini in media per famiglia – alla gioventù cristiana della tanto rinomata movida serale di Beirut.

In ogni caso, per quanto stancante, questa prima giornata è stata quella che a mio avviso ci ha permesso di più di toccare con mano la cultura del posto e di questa stranissima città.

GIORNO 3

Altra giornata di escursioni, questa volta rotta a sud costeggiando il mare alla volta di Sydone e Tyro. Vicine e facili da raggiungere, le 2 città sono diversissime: Sydone è piccolina e meno appariscente, Tyro invece ci regala i primi maestosi siti archeologici del viaggio. Di Sydone scegliamo di visitare il Castello Crociato (Sea Castle) e il Suq. Inerpicandoci nel castello proviamo a immaginare come doveva essere la costa nel 1200, senza strade e palazzi, cosa potevano aver trovato i crociati nelle loro pesanti armature di cotta di maglia sotto un sole cocente una volta sbarcati. Ecco perché il castello sembra quasi costruito al contrario: invece che avere alte mura per difendersi da incursioni provenienti dal mare, le mura e il fossato guardano a terra da cui sicuramente provenivano attacchi ad opera dei “barbari” che i crociati tentavano di colonizzare. Una visita affascinante.

Altrettanto è stato il suq, un dedalo di strettissime vie coperte in cui viene venduto di tutto, ma se l’ambientazione è tipicamente medio orientale, i prodotti venduti sulle bancarelle rovinano l’atmosfera. Speravo in spezie, abiti tradizionali, ciabattine, tessuti, narghilè e invece trovo apparecchi elettronici, casalinghi, vestiti, alimentari ed ovviamente souvenir. Faccio comunque un piccolo acquisto per la mia collezione di conchiglie e partiamo alla volta di Tyro.

Il traffico è insostenibile: macchine ovunque, 3 file dove ce ne starebbero 2, sorpassi azzardati, famiglie intere in motorino, lo spostamento tra le due città non risulta né veloce ne agevole. Ci fermiamo al primo e più grande sito archeologico (Al-Bass) dove rimaniamo sbalorditi di fronte alle centinaia di sarcofagi disseminati per l’intera area, alcuni finemente intarsiati ed in perfette condizioni. La necropoli si estende in lunghezza fino ad incrociare un grandissimo ippodromo di epoca romana a cui si accede tramite un colonnato ben conservato. Lo stadio è immenso, circondato da resti di spalti e colonne che danno l’idea di quanto dovesse essere straordinaria questa costruzione.

Nello stadio iniziamo a incrociare i primi gruppi di turisti occidentali, in prevalenza francesi, che si muovono con il tour operator Nakhal: anche noi lo avevamo considerato prima di optare per il taxi ed abbiamo ampiamente preso spunto dai loro tour per costruire il nostro itinerario. Alla fine, volendo conservare una sorta di privacy, oltre alla libertà di spostamento e di non fare ritorno a Beirut tutte le sere, abbiamo escluso questa soluzione, ma sono certa che per un pubblico meno dinamico questa sia una validissima opzione.

Sotto a un sole sempre più caldo – e un traffico sempre più intenso – passiamo a visitare il secondo sito archeologico (Al-Mina) che si compone di 2 parti affacciate sul mare: il sito è decisamente più piccolo e meno imponente, ma il mare sullo sfondo gli conferisce un fascino innegabile.

Estenuati dal caldo, troviamo riparo a Le Phoenicien, un rinomato ristorante di pesce che ci era stato consigliato non solo dalla Lonely ma anche dai nostri amici libanesi: essendo lunedì non c’è bisogno di prenotare e possiamo pranzare con 2 orate freschissime e vista sul porticciolo. Il cibo in Libano sembra essere qualcosa davvero di sacro, ormai al 4° pasto in questo Paese possiamo affermarlo con certezza: i ristoranti, i bar o anche semplicemente i chioschi sono letteralmente ovunque, le porzioni sono oltremodo generose, ben al di là del necessario, la tavola viene vissuta come un momento di celebrazione in cui trattenersi a lungo e ostentare abbondanza con quantità e varietà. Per la serie se ne hai esagera, che non sai mai quando ne avrai ancora. È una filosofia che non mi appartiene e che non condivido del tutto, non solo per gli sprechi a cui porta ma anche per la quantità di persone francamente sovrappeso che ho visto nel paese.

Rientriamo a Beirut sonnecchiando in macchina e ci facciamo lasciare all’hotel per una doccia ristoratrice prima della nostra prima vera serata di vita notturna di Beirut: usciamo infatti con i nostri amici per cenare nei quartieri più movimentati e ricchi di locali della città, Gemmayzeh e Mar Mikhael. I locali serali si susseguono uno dopo l’altro lungo le vie, facendo assomigliare questa zona ai nostri Navigli di Milano. Il ristorante prescelto è armeno, Mayrig, squisito e raffinato, dove assaggiamo tanti piattini della tradizione. La serata prosegue per locali bevendo birra e chiacchierando amabilmente.

GIORNO 4

Finalmente partiamo per il mare! Sveglia prestissimo per essere alle Grotte di Jeita all’apertura e poi di corsa a Byblos! Le grotte di Jeita sono una delle 5 meraviglie a mio parere immancabili in Libano (la prima era Tyro!!), che non necessariamente hanno a che vedere con le meraviglie mondiali riconosciute dall’UNESCO.

Talmente belle da sembrare finte, le 2 grotte hanno un aspetto completamente diverso: l’Upper Cavern è un luogo fantastico, un antro immenso pieno di stalattiti e stalagmiti calcaree dalle forme stranissime, tra le quali passeggiare lungo un percorso scavato ad hoc. La grotta è altissima e ci sono queste immense stalattiti che pendono dal soffitto fino a creare grattacieli di calcare che si attorcigliano su loro stessi; nella grotta solo silenzio (anche i turisti più rumorosi evidentemente rimangono a bocca aperta), il gocciolio dell’acqua e la magia di luci colorate disposte sapientemente per illuminare la caverna. Anche qui è bello giocare ad immaginare cosa devono aver provato i primi esploratori nell’800 addentrandosi in questo paesaggio quasi alieno. La Lower Cavern invece è diversissima: percorsa da un fiume e un lago sotterranei è visitabile solo a bordo di una piccola barchetta. Il freddo, piacevole nella grotta precedente, qui si fa umido e pungente e la visita dura molto meno per via del piccolo tour gestito dal sapiente barcaiolo che si destreggia tra le stalagmiti che fuoriescono dall’acqua. È chiaramente un’escursione semplice, vicina alla città, turistica e poco faticosa, ma chi ha detto che le meraviglie non possano essere accessibili?

Dopo questa immersione in un’inedita natura, partiamo per Byblos dove il nostro viaggio on the road prenderà per 24 ore le sembianze di una rilassante vacanza. La cittadina è tutt’altra cosa rispetto a quanto abbiamo visto fino ad ora: elegante e curata, sembra uno dei nostri paesini della Liguria e non ha niente da invidiare a Santa Margherita o Camogli. Con l’hotel avevamo deciso di trattarci bene, scegliendo Byblos Sur Mer, con tanto di “spiaggia” riservata, lettini, ombrelloni e una piccola piscina. Diciamo che l’hotel era molto accogliente, pulito ed elegante a suo modo ed è stato comodo avere un accesso privilegiato al mare con tutti i confort!

Al nostro arrivo la camera non è ancora pronta, quindi ne approfittiamo per andare a visitare la città dirigendoci diligentemente verso il sito archeologico… ma il caldo e la soddisfacente visita a Tyro del giorno prima ci fanno desistere! Optiamo invece per il suq, molto più elegante e raffinato di quello di Sydone, visitiamo un negozietto convertito a museo dei fossili e pranziamo in uno dei tanti bei ristorantini che costellano le vie del suq, approfittando del wi-fi. La quantità di wi-fi presenti nei ristoranti, hotel e locali ci ha permesso di non spendere cifre folli con le nostre SIM italiane (non c’è nemmeno un operatore che offra tariffe vantaggiose per il Libano!!) né di dover comprare una SIM locale… anzi, è stato bello fare a meno degli smartphone per un po’ per noi milanesi sempre iper connessi.

Appena la camera è pronta ci cambiamo e ci andiamo a spiaggiare in riva al mare, finalmente un po’ di risposo dopo le fatiche dell’anno lavorativo! Mentre inizia a spuntare una bella tintarella sui nostri corpi, decidiamo per un tuffo nel mare che con nostra grandissima sorpresa è CALDO! Non provavo una sensazione di acqua così calda dall’ultima volta che era stata nell’Oceano Indiano, l’acqua sarà stata 28° non scherzo per cui addio alla tanto agognata sensazione di refrigerio. Oltre che caldo, è molto salato e l’acqua ti tiene a galla quasi senza sforzo: al largo ci sono scogli e secche su cui donne riposano e chiacchierano immerse in questa immensa Jacuzzi e pescatori passano ore alla ricerca di qualche pesce. Non posso dire che sia un mare da togliere il fiato, né a livello di colori (non è di certo cristallino come quello della Grecia) né di pulizia: l’incuria dei libanesi verso la propria terra si riflette non solo nelle aree di transizione tra una città e l’altra, ma purtroppo anche nel mare in cui buttano ogni genere di spazzatura che va ad accumularsi a riva o sugli scogli.

La giornata di mare prosegue, come nella più classica delle vacanze, con un aperitivo durante la morbida golden hour, ammirando il tramonto, bevendo birra locale e fumando la shisha insaporita al gusto di limone e menta. Per me che non fumo è stato un piccolo sgarro alla regola solo per calarmi nella realtà del luogo, ma avendola provata capisco perché i libanesi indulgano ore e ore a fumare e rilassarsi all’ombra (cosa che faceva anche il nostro driver ad ogni sosta tra l’altro)… è estremamente rilassante, permette di svuotare la mente ed quasi deproblematizzante.

La serata prosegue alla ricerca di un ristorantino in cui mangiare: i turisti sono tanti, i posti sono pieni e come in qualsiasi luogo di vacanze c’è da aspettare. Personalmente penso che un posto valga l’altro, tutti mediamente buoni, tutti mediamente curati, tutti mediamente costosi.

GIORNO 5

Dopo un’altra rilassantissima mattinata a prender il sole a Byblos, ripartiamo, stavolta verso le montagne, per uno dei luoghi che si rivelerà tra i più belli di tutto il viaggio: la sacra Valle di Qadisha. Capisco perché la chiamino sacra, è forse l’unico posto in tutto il Libano in cui si può godere di un bellissimo panorama! La valle è ampia, verdeggiante, circondata da montagne altissime ma molto dolci, sembrano delle imponenti colline su cui i libanesi in inverno vanno a sciare. Il paesaggio si fa montano, le strade a tornanti e per la prima volta durante uno spostamento lasciamo stare i libri e incolliamo il naso al finestrino.

La nostra prima tappa è il monastero rupestre di Qozhaia, e siamo alla meraviglia numero 3 che vale il viaggio. È un luogo incantevole. In realtà uno dei tanti, perché la montagna ne è piena. Un monastero cristiano maronita letteralmente incastonato nella roccia, la cui facciata ricorda una Petra in miniatura e all’interno c’è una vera e propria chiesetta completamente scavata nella pietra. Si respira aria di ritiro spirituale e infatti ci accoglie un pellegrino, Cedric, che sa l’italiano perché si è appena laureato al Politecnico e adesso è in pellegrinaggio fra vari luoghi di culto (prossima tappa Medjugorje). Insiste per farci dare una benedizione dal Monaco (?) Beato (?) Benedetto (?)… non abbiamo capito bene, ma siamo riusciti a schivare la cosa e a limitarci a qualche momento di raccoglimento e meditazione privata.

Dopo il monastero e una veloce rifocillata a base di hummus, andiamo a Bcharré a visitare il museo dedicato a Khalil Gibran, poeta e filosofo libanese di cui tutti conosciamo almeno qualche citazione. Il museo in realtà è una galleria degli stranissimi (ed opinabili quadri) dipinti dall’artista che conducono a una cripta in cui è stato sepolto. Non mi dilungherò troppo sul museo perché è stato davvero deludente, nessuno scritto, solo quadri, e una strana aria di megalomania ed egocentrismo dell’artista che pervade il luogo. Evitabile.

È quindi il momento di salire in quota e fare un secondo incontro con i cedri del Libano. The Cedars, la foresta dei Cedri di Dio, un piccolo bosco protetto e composto solo da cedri, numerati uno ad uno e decisamente più maestosi ed imponenti di quelli della foresta del primo giorno, forse perché sono i veri eroi di questo piccolo sprazzo di natura. Il bosco è splendido, facciamo un’offerta volontaria per l’ingresso e ci addentriamo nella meraviglia numero 4. Cedri ovunque, alti, con tronchi larghissimi, immensi, pacifici, millenari. Un luogo speciale. Senza ombra di dubbio costituisce un’esperienza di contatto coi cedri migliore di quella del primo giorno… è come se la Riserva fosse un grande parco nazionale in cui by the way ci sono anche dei cedri, mentre il boschetto fosse un vero e proprio santuario, intimo e raccolto, in cui ammirarli. Mi ha ricordato l’immensità di Yosemite vs. la semplicità affascinante della porzione di parco dedicata alle sequoie.

Dopo il bosco, sazi di natura, si sale ancora e non senza poche difficoltà dovute ai tanti lavori stradali (il Libano è un cantiere a cielo aperto, costruiscono ovunque case, strade, locali, un giorno è così quello dopo chissà), giungiamo a un super hotel a Ehden, consigliatoci dai nostri amici, il Mist. L’impatto con la hall in marmo nero è poderoso: guardo il mio fidanzato e coi cuoricini negli occhi gli dico “Wow! In che posto pazzesco mi hai portata??”. In realtà poi l’hotel si rivela essere meno di quello che appare: sicuramente gigantesco, quasi un villaggio vacanze con centinaia di camere e 5 ristoranti, sembra un gigante addormentato, solitario ed abbandonato. È presto detto: siamo in alta montagna, bassa stagione ad agosto visto che questo è un luogo da vacanze sulla neve, quindi gli ospiti dell’albergo siamo noi, altre 2 coppie e una squadra di calciatori del Marocco venuta in trasferta per un match. Stop. Chiaro che parti dell’hotel fossero in manutenzione e che sembrasse tutto un po’ meno curato di quello che doveva essere nelle intenzioni.

In ogni caso, l’hotel si difende benissimo con una enorme piscina esterna riscaldata in cui nuotiamo al crepuscolo e un bollente idromassaggio indoor, oltre a palestra, SPA e chi più ne ha più ne metta. La cena nell’hotel invece lascia decisamente a desiderare se non fosse per il vino, uno squisito rosso libanese con cui concludiamo il giro di gusti dei vini del luogo. I rossi sono intensi e corposi mentre i bianchi troppo carichi ed alcolici per i nostri gusti (andrebbero quasi allungati con l’acqua se non fosse una bestemmia).

Sulle note portate dal vento di una festa con musica araba proveniente da Bcharrè, concludiamo la serata guardando una magnifica stellata e con fortuna avvistando addirittura 3 stelle cadenti…

GIORNO 6

Si apre il nostro – di fatto – ultimo giorno, poiché il successivo sarà interamente dedicato al viaggio di ritorno. Nonostante la voglia di indulgere nel super hotel per un bagno nella piscina splendidamente circondata dalle montagne, ci apprestiamo a partire per quella che sarà la meraviglia definitiva, la numero 5 che in realtà dovrebbe essere al primo posto: Baalbek.

Riattraversiamo in auto la valle apprezzandone ancora una volta la bellezza e ci inerpichiamo su una strada di montagna che risale il costone del Monte Libano per scendere dall’altra parte. Il nostro driver ci spiega che ha dovuto chiedere a un suo amico poliziotto se fosse il caso di fare questa strada o no: pare che sia quella usata dai trafficanti di marijuana per il commercio illegale con la Syria e che sia piena di brutta gente, oltre che di polizia a pattugliare. Sarà! In ogni caso oggi siamo fortunati e il poliziotto ci dà il suo placet.

La strada sale sempre più su, ci fermiamo per delle fotografie e veniamo sorpresi da un grande gregge di capre portate al pascolo da un pastore burbero e solitario: i cani pastore (delle specie di mastini assatanati) vegliano sul gregge abbaiando e rincorrendo a velocità folle ogni auto o camion che passa per strada minacciando la salvezza delle caprette, è una scena che fa abbastanza ridere. Arrivati sulla cima del Monte Libano inizia la discesa verso la Valle di Bekaa e il panorama si fa molto meno intrigante. “Guarda quanti campi, la montagna è costellata da coltivazioni!” faccio io, e mentre ci avviciniamo a fondo valle scopriamo che i campi in realtà sono distese, ma che dico distese, vere e proprie piantagioni di marijuana! Coltivata così, a bordo strada! Il nostro driver ride come un matto e scatta 100 foto mentre noi sbalorditi chiediamo “Ma è legale?”. La risposta: “No, ma i trafficanti sono molto più pericolosi dei militari che – sicuramente in qualche modo conniventi – lasciano fare!”. Ci saranno state tonnellate di piante di marijuana di tutte le altezze, da quelle neonate ad alberi pieni di foglie che sembrano baobab. E mentre ci addentriamo in questo scenario da Narcos, in realtà ci stiamo avvicinando al confine con la Syria e i posti di blocco si moltiplicano, ne avrò contatto 1 ogni 10 minuti. Arriviamo finalmente a Baalbek: temperatura 36°, clima secco, piacevole venticello. Alla fine della mattinata abbronzatura caraibica per me, scottatura da muratore per il mio fidanzato, non lo sto neanche a dire. Il sito è un luogo a dir poco splendido, immenso e ottimamente conservato, da far impallidire ogni tempio del Peloponneso, Acropoli di Atene compresa!!! Ci sono 3 templi, Giove, Venere e Bacco, uno più bello dell’altro! Colonne di 22 metri, alte come palazzi, ancora in piedi, facciate complete con tanto di soffitti intarsiati, fregi e volte… non basterebbero 10 pagine di resoconto per raccontare l’emozione di trovarsi in un luogo così antico e così bello.

Gironzoliamo per 2 ore fra templi e rovine, scattando decine di foto, mentre il sito si popola di turisti (il primo quantitativo ragguardevole di turisti incontrato sino ad ora). Sarebbe stato bello visitare il tutto con una guida, ma facendo da noi con la Lonely abbiamo comunque potuto perderci in queste viste mozzafiato fra reperti che sotto il sole passavano dal giallo accecante a un morbido color biscotto. Prima di uscire c’è anche una parte indoor che dà qualche spiegazione in più: in realtà né nei siti archeologici né nei parchi troverete granché di spiegazioni, solo cartelli scoloriti con qualche informazione e nessun leaflet gratuito distribuito all’ingresso… i libanesi sembrano incapaci di valorizzare le proprie bellezze, o forse ne sono ignari. Ecco perché anche il nostro amico libanese, mentre prendevamo un aperitivo nella sua sontuosa casa di Beirut, ci aveva chiesto: “Bene ragazzi, ma ora che siamo insieme ditemi, come mai il Libano?”. Incredibile! In effetti le bellezze che ho enumerato tra le mie personali 5 meraviglie sono davvero poco conosciute qui in Italia, sicuramente poco pubblicizzate e io stessa non conosco nessun altro che abbia scelto questo paese come meta d’elezione delle proprie vacanze.

Dopo Baalbek ci spostiamo ad Aanjar, letteralmente a 10 minuti dal confine con la Syria, ma anche qui non incappiamo in alcun problema di sicurezza. Il sito è molto più piccolo e a differenza del primo non ci sono templi ma i resti di una vera e propria città. La via centrale del mercato, i locali dei negozi a destra e sinistra della via, le case e la piazza centrale… tutto attorniato da affascinanti colonnati a volta che addirittura in alcune parti sono rimasti su due piani! Il che è incredibile considerando guerre, bombardamenti, terremoti e ogni altro genere di calamità che si è abbattuta su questo microscopico paese.

Il nostro driver vorrebbe portarci a visitare una delle cantine in cui producono vino libanese, con tanto di pranzo e degustazioni, ma noi al pensiero di un’altra mangiatona libanese ci sentiamo male, quindi ci facciamo riportare a Beirut per la nostra ultima serata. Allo Studio 44 non c’era più posto, quindi avevamo prenotato al 41 twelve, un altro “furnished apartment”. Nonostante la vista dalle finestre fosse migliore, il posto a mio avviso è stato pessimo: brutta location nei meandri di Hamra, brutta stanza tagliata male, pochissimi oggetti di cortesia (2 asciugamani di numero, nessun tappetino del bagno ecc.), insomma una schifezza. Cerchiamo di passarci meno tempo possibile e usciamo con l’intento di trascorrere la serata nei quartieri della movida che avevamo visto di passaggio con i nostri amici.

Se per l’aperitivo finiamo sul rooftop di un bel posticino frequentato solo da locali cristiani, expat e turisti occidentali a bere birra e spizzicare ottimi nachos, per il resto della serata l’atmosfera peggiora: personalmente arrivando da Milano, che a livello di locali serali offre tutto il possibile, quando sono all’estero non sento il bisogno né il fascino di saltabeccare da un bar all’altro bevendo cocktail improbabili, per fare lo stesso che potrei fare a Milano ma in un paese tanto diverso dal mio. Tutto mi è sembrato occidentale ed estremamente poco caratterizzato: saremmo potuti essere in Brera a Milano, a Saint-Michel a Parigi o nei quartieri universitari di Valencia che sarebbe stato lo stesso.

In realtà col senno di poi è stato istruttivo per capire anche questa parte di Beirut e della sua famosa vita serale: i locali in cui bere e ballare si sprecano, interi quartieri vengono colonizzati da ragazzi della nostra età fino a tarda ora, creando un effetto “Navigli sabato sera” che ben conosciamo. L’idea che mi sono fatta è che questa vita serale di Beirut sia diventata così rinomata per via dei turisti provenienti da paesi vicini del Medio Oriente o da città europee più piccole che qui hanno trovato un “parco divertimenti” colossale, ma su di me ha fatto davvero poco presa.

A una certa torniamo in hotel consapevoli che la sveglia del mattino dopo alle 4.30AM sarà devastante.

GIORNO 7

Anche in questo caso per fortuna seguiamo il consiglio dei nostri amici e, avendo il volo alle 8.05 del mattino, arriviamo in aeroporto alle 5.15… così che possiamo passare le successive 2 ore (!) in coda fra controlli, controlli, ancora controlli. A nulla è valso fare il check-in online e non avere bagagli da imbarcare: file lunghissime di persone che con decine di valigie si apprestano a partire da casa per andare a vivere/lavorare all’estero, scene da muro del pianto di saluti fra connazionali, frotte di bambini… con un sonno come il nostro l’attesa è stata estenuante e per fortuna abbiamo approfittato del volo di ritorno per dormire un po’.

CONCLUSIONE

Continuo ad essere lievemente scettica sul Libano in generale, ma estremamente convinta delle bellezze che come piccole perle si annidano qua e là per il paese e che da sole valgono il viaggio. Il Paese di per sé non è bellissimo né lo è la sua capitale, ma bellissime sono le sue meraviglie archeologiche, naturali e artificiali! Se poi consideriamo le esigue dimensioni che rendono tutto a portata di mano, la vicinanza con l’Italia con un volo diretto di sole 3 ore e mezza, il fatto che basta un viaggio di una settimana per rimanere profondamente soddisfatti e non partire col rimpianto di essersi persi qualcosa, il cibo squisito dai sapori facilissimi per noi italiani, il cambio e i prezzi favorevoli… direi che sono davvero felice di aver fatto questa esperienza inusuale che mi ha arricchita e che, dopo aver visto tanto Occidente, mi ha fatto venire ancora più voglia di spostarmi a est e di scoprire le bellezze e il fascino dell’Oriente vicino e lontano!

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libano-vay62

Beirut crocevia di culture



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