Viaggio nel tempo sul Po

Ferrara, Spina, Comacchio e Voghenza: tracce di storia dagli albori ai giorni nostri
Syusy Blady, 06 Ott 2016
viaggio nel tempo sul po
Il Delta del Po e dintorni è una delle zone più belle e interessanti d’Italia. Meta soprattutto naturalistica. Anche io ho approfittato del fatto che siamo in pianura e (almeno in queste “mezze stagioni”, quando fa già caldo, ma ancora non scoppia del tutto l’afa d’agosto) il clima è abbastanza mite e si presta a gite in bicicletta. Ma al piacere dello slow tour lungo argini e strade di campagna, ho unito il mio interesse per la storia. Ebbene sì: un viaggio per musei! Ma prima che cambiate… pagina, atterriti dall’idea di noiose sale polverose con reperti antichi accatastati l’uno sull’altro con sadismo scolastico e accademico, sappiate che – se uno ha un obiettivo, un interesse, uno scopo – viaggiare per musei significa viaggiare nel tempo, significa vedere le cose di oggi con altri occhi, molto più consapevoli. Significa incontrare personaggi formidabili e le loro storie. Insomma: significa un viaggio appassionante, altro che noia! Tra l’altro, consultando il sito Turistipercaso, non ho trovato degli specifici itinerari nelle località che sto per illustrarvi: peccato, vi consiglio di andarci. Leggere per credere…

BIAGIO ROSSETTI

Sono a Ferrara, in bicicletta. È unica nel suo genere, città vivibilissima: i bastioni delle sue mura ancora oggi rappresentano un anello con un percorso ciclabile e pedonale, dove a tutte le ore del giorno trovate gente che cammina, corre, pedala. Non a caso i ferraresi sono dei gran corridori: quando con Patrizio partecipammo alla maratona di New York, ci accodammo a un gruppo di ferraresi… E il primo personaggio che incontro a Ferrara è Biagio Rossetti. Chi è? L’assessore alla viabilità e ai lavori pubblici del Comune? In un certo senso, sì… Senonché Biagio è nato a Ferrara, ma nel 1447. È stato un grande urbanista, è stato lui a immaginare Ferrara, come Città Ideale. Progettò la città dal suo nascere. Gliela commissionò Ercole I d’Este, con l’intento di creare una città all’avanguardia per tutta l’Europa e il mondo occi­dentale. Nientemeno. Perché allora l’Ita­lia puntava in alto: è il Rinascimento, bellezza! Rossetti, infatti, ha progettato Ferrara con grandi strade che s’intersecano in modo organizzato e geometrico, cercando di creare un impianto comodo e di farne una città vivibile, tanto che ancora adesso è all’avanguardia! Ha concepito una vera impresa urbanistica coerente, è considerato per questo il primo urbanista moderno, e grazie a lui Ferrara è considerata la prima città mo­derna d’Europa. Non ha inventato nulla di sana pianta, si è rifatto alla tradizione romana e a Vitruvio, ma soprattutto ha rifatto tutta una parte aggiunta al nucleo medievale (la famosa “Addizione Erculea”). Tra l’altro, aveva anche idee “democratiche”: la città è un tutto armonico, non ha pensato a dividere la parte dei potenti da quella del popolino, come è successo alla Mantova dei Gonzaga: a Ferrara i grandi palazzi sono sparsi per la città. E tutto questo è importante, perché dimostra che l’Urbanistica orienta direttamente il nostro vivere, determina rapporti e relazioni fra le persone. Rossetti pensò anche al possibile sviluppo futuro della sua città, e questo fa di Ferrara anche oggi un luogo unico e – appunto – il paradiso delle biciclette e della vivibilità. Non a caso Patrimonio dell’Umanità per l’UNESCO.

PALAZZO DEI DIAMANTI

Ferrara bisogna girarla in bicicletta: si può cominciare dal suo anello periferi­co murario, in cui ci si sente in campagna. Ma basta poi prendere una del­le stradine che scendono dall’argine e in pochissime pedalate siamo in pieno centro. Si arriva al “Quadrivio degli Angeli”, circondato da palazzi storici, dove non si può non vedere il famoso Palazzo dei Diamanti, che è uno dei capolavori dell’architettura rinascimentale ferrarese e una delle straordinarie creazioni di Biagio Rossetti, naturalmente. Biagio – lo chiamiamo così – ha progettato questa architettura giocando con la pietra, realizzando un bugnato costituito da 8.500 blocchi di marmo bianco con ve­nature rosa, che consiste in una serie di prismi che arricchiscono il palazzo, creando giochi di luce. Non c’è un diamante uguale all’altro, ognuno è orientato in modo da catturare la luce e dare quasi un effetto riflettente. Ma perché tutto questo nasce e si sviluppa a Ferrara? Un viaggio non è tale se non ci si fanno delle domande, e l’itinerario di un viaggio è – secondo me – il percorso necessario a rispondere a queste domande, una spe­cie di Gioco dell’Oca, o meglio di caccia al Tesoro… E il mio percorso “storico” mi porta, a questo punto, dopo una pas­seggiata in bicicletta, guarda caso den­tro a un museo, il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara, dove trovo Valentino Nizzo, archeologo e storico, che sarà la mia guida.

MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE

Ferrara non è una “città per caso”, è il risultato di ricchezze e culture derivate da antichi centri, sorti e sviluppatisi in epoche diverse sul fiume Po, come Voghenza, Comacchio e Spina. E questo possiamo scoprirlo e capirlo guardan­do le mappe che troviamo appunto al museo archeologico di Palazzo Costabili. Sono come dei flash che ci portano indietro nel tempo, con degli zoom straordinari! Nella Sala delle mappe si può vedere innanzitutto come il delta del Po sia mutato nei secoli, per­mettendo a Spina di nascere e diventare crocevia di commerci nel Mediterraneo. Che tipo di merce veniva scambia­ta? Soprattutto ferro, che proveniva dall’isola d’Elba. Ferro dall’Elba?! Mi viene spontanea la domanda: ma perché portare i metalli fino a Spina, che era sull’Adriatico, quando gli Etruschi avevano tutto il Tirreno a disposizione? La risposta a questa domanda, mi dice Valentino, è in un’altra mappa. Sembra di essere in un romanzo alla Dan Brown. Eccola: una mappa del Me­diterraneo di cinque secoli prima di Cristo, che mostra la situazione subito dopo una grande battaglia navale, la prima raccontata dallo storico di Erodoto: la battaglia di Aleria (o Alalia), una località della Corsica, dove si scon­trarono Cartaginesi, Etruschi e Focesi. I sussidiari scolastici non ne fanno cen­no… Ma chi erano i Focesi? Erano una popolazione greca che cer­cava di espandersi nel Tirreno. Vinsero la battaglia di Aleria contro gli Etru­schi, alleati coi Cartaginesi, ma le loro forze furono così indebolite nello scontro che dovettero ritirarsi. E il Tirreno venne diviso in due dai po­poli vincitori: i Fenici a Sud e gli Etruschi a Nord. Ma in questo modo i Fenici, avendo acquisito il predominio del Tirreno meridionale, chiudevano la strada ai commerci etruschi. È da lì che nasce l’idea di Spina: per avere uno sbocco sull’Adriatico, gli Etruschi costruirono il porto di Spina e così continuarono comunque a commerciare con la Grecia. Capito questo ora, al museo di Ferrara, mi vien voglia di andare a Spina…

SPINA

Qui ritrovo, tra l’altro, alcuni dei miti anti­chi a me cari: si dice che Spina sia stata fondata dai Pelasgi, cioè dai primi Po­poli del Mare, e in particolare dagli Ar­gonauti. Fatto sta che la sua scoperta è stata un vero e proprio giallo archeolo­gico, per secoli: si sapeva che doveva esserci, ma non si sapeva dove potes­se essere. Motivo: il Po è cosa viva, rimodella argini e paesaggio a ogni inon­dazione, per cui era difficile interpretare le fonti storiche. Il primo a intuire dove potesse essere Spina fu un medico bolognese, Gian Franesco Bonaveri, alla fine del 1600. Diceva che era vicino a San Biagio d’Argenta (guarda caso, torna Biagio!). Ma la scoperta di Spina antica è stata fatta per caso, nel 1922, scavando la bonifica. La sua necropoli ci ha restituito più di 4000 tombe, un’enormità, segno che questa era una città vivissima: una città, un porto, un luogo cosmopolita, dove si parlavano tante lingue, c’erano commerci di tutti i tipi. Si partiva da lì per andare sul Po verso l’interno o per navigare in Adriatico e poi chissà dove. Ma all’epoca come appariva Spina? Probabilmente era un classico porto di mare, bella e importante, ma povera nelle strutture, fatta di capanne apparentemente molto misere, che però racchiudevano al loro interno oggetti di arredo importantissimi, ricchissimi, come quelli che ho davanti: ceramiche attiche di importazione e di grande pregio. Insomma, gli Spinesi o Spinaci (si saranno chiamati così?) erano gente con abi­tazioni modeste, ma molto benestanti. Non a caso: la ricchezza di Spina era nei commerci, visto che si pagava il pedaggio. Chi trasportava in porto le merci dal mare o dall’interno doveva pagare. Al piano superiore del Museo di Spina ci sono i ricchissimi corredi funebri rinvenuti nella necropoli. Sentite ancora una volta puzza di museo noioso? Sbagliate! Al Museo ho trovato un oggetto che mi ha raccontato (con l’aiuto del mio amico Valentino Nizzo) una storia molto interessante, direi piccante…

IL GIOCO DEL KYLIX

Nel museo c’è un bellissimo e decoratissimo cratere. I crateri con questa forma servivano per la preparazione del vino, che poi veniva gustato in coppe, che si chiamano kylix. Ci sono delle fonti che ci parlano di questi banchetti o simposi. Lo stesso Omero racconta come veniva preparato il vino, e ci da un’idea dei gaudenti Etruschi: quando i commensali erano abbastanza brilli, il vino serviva anche per il gioco di società detto kottabos. Il gioco consisteva nel fare roteare la kylix sul dito e colpire col vino contenuto nella coppa la persona che si preferiva e chi veniva colpito diventava il compagno (sessuale) per il resto della serata. Se uno era abbastanza bravo, e sobrio, centrava chiaramente la persona che gradiva di più, ed era fatta! Una specie del più popolare gioco della bottiglia. Tutto questo era segno di spensieratezza e leggerezza del modo di vivere etrusco, grazie ai commerci favorevoli che permettevano un alto tenore di vita. A proposito di ricchezza, vi piacciono i gioielli? Io e Valentino entriamo nella sala degli ori. Gli ori trovati nelle tombe di Spina, naturalmente, sono esposti come in una gioielleria (e in effetti, la consulenza per l’allestimento della sala è di Bulgari). Oltre all’oro, un altro simbolo di ricchezza, mista a devozione e attaccamento alle proprie tradizioni, era l’ambra. Allora si diceva che i pezzi di preziosa ambra fossero le lacrime delle sorelle di Fetonte caduto nell’Eridano, cioè nel Po. Tutto questo faceva pensare che l’ambra venisse dal Po, ma è impossibile. Sappiamo benissimo che nel Po non si può trovare ambra. La zona del Po, e Spina in particolare, semmai era il terminale di una trafila commerciale, co­me una specie di fine della “via della seta” per l’ambra. Arrivava qui dal Baltico, passando probabilmente per le vie fluviali del centro Europa, e i Greci potevano comprarla, interrogandosi sulle sue origini. I Padani naturalmente imbrogliavano e dicevano che veniva da lì, dal Po, ma era il frutto del viaggio dell’ambra del Baltico fino alle foci del Po e ci dimostra i grandi spostamenti via acqua, mare e fiume, che si facevano nell’antichità. Il mare unisce, ma anche i fiumi erano le autostrade del tempo.

ANTICO DELTA DEL PO

Dopo Spina sono a Comacchio, dove si celebra il trionfo ingegneristico del con­trollo delle acque. Cumaculum voleva dire “piccola onda”. Regolare le acque del fiume Po faceva parte del sapere delle popolazioni che vivevano sul delta. Ma perché fare tutto questo lavoro e tutta questa fatica? Per utilizzare al meglio le acque del Po, che al tempo attraversava appunto la Pianura Padana come un’autostrada d’acqua, che era utilizzata per scambi e commerci. Attraverso il Po e i suoi affluenti si andava verso le Alpi, verso il centro e Nord Europa, realizzando un incontro di culture che ancora oggi si cerca di raggiungere: la cosiddetta globalizzazione e l’Europa unita… E tutto questo era già successo, con maggiore efficienza, nell’antichità. Ma l’acqua dà e toglie: a pensarci bene, Comacchio poteva essere Venezia, invece no, non è riuscita a raggiungere il suo splendore per un motivo legato all’acqua e al­la potenza del fiume, cioè il continuo insabbiamento causato dai detriti porta­ti dal fiume stesso. Comacchio – come Spina – nasce proprio perché c’è il Po, in­torno alla fine del VI secolo a.C., ma come Spina decade perché ha la sfortuna, che un tempo era la sua fortuna, di stare sul delta di un grande fiume che porta progressivamente all’insabbiamento. Tutto prosperò, sia per Spina che per Comacchio, fino a quando la costa si è allontanata e ha decretato il crollo dei commerci. Anche a Comacchio c’è un museo, che dimostra come in epoca romana questi commerci erano ancora floridi: è il museo della nave romana di epoca augustea, la famosa nave romana insabbiata. Era una “barca cucita”: il fasciame era tenuto unito da legacci, una tecnica antica e molto efficace, realizzata con grande abilità. La barca trasportava lingotti di piombo, come mai? Forse erano destinati a un acquedotto o a delle tubature (l’attività principale era appunto bonificare), ma sulla nave naufragata c’era anche tutto quello che serviva all’equipaggio: le anfore per il vino e per l’olio, il vasellame per cucinare e addirittura tempietti votivi. Forse il capitano aveva pregato fino a un momento prima gli Dei Penati davanti a questi tempietti, ma evidentemente non era servito a salvare la nave. Questi tempietti erano dedicati ad Afrodite-Venere, che è accompagnata da un Priapo che mostra il membro, in quanto Dio degli orti e della fertilità. Non è fantastico? Pregavano davanti a tutto questo… I Romani erano molto meno pruriginosi di noi.

VOGHIERA E LA SUA DELIZIA

Saluto Comacchio e mi avvio in bicicletta lungo la vecchia strada che portava al mare Adriatico, dove un tempo c’era il delta del Po, e in piena campagna trovo i resti di una necropoli romana: la zona archeologica di Voghenza, nel territorio del comune di Voghiera, un’area molto antica del delta del Po, un vecchissimo insediamento, dove appunto c’era il delta, che oggi non c’è più. Il fiume ha cambiato radicalmente il suo corso e anche Voghiera si è interrata perdendo la sua importanza. Quel che è stato trovato a Voghenza si può vedere in un altro museo, che è all’interno della Delizia di Belriguardo. Le Delizie erano residenze estive dove gli Estensi, in certe stagioni, trasferivano la corte di Ferrara per godere le bellezze della campagna. Lo sfarzo della Delizia di Belriguardo si può intuire dal plastico che la ricostruisce. Non a caso il Duca d’Este decide di venire qui in villeggiatura: era comoda da raggiungere in barca, e la Delizia Estense poteva ospitare circa un migliaio di persone fra la corte, gli ospiti, la servitù e più di 800 cavalli. C’era una peschiera dove si potevano anche rappresentare le battaglie navali, altro che Versailles! C’era un salone di rappresentanza degli Este che si mostra in tutto il suo splendore: dove si svolgeva la vita di corte. Gli Este potevano ospitare qui tutti i grandi artisti che hanno reso popolare e famosa la Ferrara del Rinascimento: Ariosto, Tasso, Lucrezia Borgia, cioè i vari divi dell’epoca (che sono divi ancora oggi!). Ma prima degli Estensi, anche Etruschi e Romani aveva­no intuito le potenzialità del territorio: i Romani hanno lasciato una traccia consistente, materiali provenienti dall’abitato di Voghenza, a cui corrisponde la necropoli, che raccontano la storia di gruppi familiari che erano qui proprio per controllare queste fertili terre. Tra tutte le epigrafi romane ce n’è una che mi ha colpito, la dedica di Valeria al marito Lucio Fabricio, una tenera dichiarazione d’amore ormai rara: 40 anni di vita insieme senza mai litigare! Una storia di amore felice, quasi incredibile! Un lieto fine per questo mio giro turistico sul Delta del Po…

Syusy