Il più bel posto del mondo?

Le meraviglie paesaggistiche del Tirreno: le Isole Pontine
Patrizio Roversi, 13 Giu 2017
il più bel posto del mondo?

Si sa, è la domanda che ci fanno tutti, e che ci facciamo anche io e Syusy, ormai: quale è il più bel posto del mondo? Lo chiedono a noi – pensando che abbiamo visto tutto il mondo, cosa non vera – ma effettivamente anche noi, mentre non possiamo fare a meno di sognare altri viaggi, di paragonare viaggi&paesaggi visti finora, ci chiediamo dove la bellezza di un luogo ci ha coinvolto di più. L’altro giorno, forse, ho trovato la risposta.

Ero in ae­reo, in volo verso la Sardegna. Era una giornata stupenda, limpidissima. E l’aereo ha cominciato presto ad abbassarsi, per atterrare a Olbia. Ho fatto in tempo a vedere distintamente un pezzo dell’Isola d’Elba, ho visto altre isole dell’Arcipelago Toscano, che ho faticato a riconoscere, all’orizzonte ho visto la Corsica e infine ho messo a fuoco con chiarezza anche le baie e le baiette sarde, attorno ad Olbia. E ho capito che Syusy ha ragione: il posto più bello – forse – è il nostro Tirreno. In particolare le sue coste e le sue isole. Se uno idealmente parte dalla Liguria, tocca le Cinque Terre e il Golfo di Spezia, poi scende alle Isole Toscane, le Pontine, Ischia-Capri-Procida, le Eolie, la Sicilia, le Egadi, e poi su verso la Sardegna e quindi di nuovo Liguria, magari toccando la Corsica, chiude un cerchio che comprende luoghi unici. Un mare stupendo, difficile da navigare per le condizioni del vento che cambiano continuamente: nel resto del mondo comandano gli Alisei e comunque i venti stagionali stabili che soffiano più o meno forti in un’unica direzione per mesi, da queste parti viceversa ogni baia ha le sue regole e il suo microclima. Ma questo provoca una biodiversità di flora e di paesaggio inimitabile. Fatto sta che non vedo l’ora che Adriatica torni da Panama dove sta adesso e arrivi in Mediterraneo, anzi, in Tirreno, per tornare a fare questo giro di isole e baie, porti e ormeggi che non hanno confronti. Per questo, stavolta, vorrei ripercorrere con voi un itinerario facile, a portata di aliscafo, che comunque ci porta tra le Isole più belle del Tirreno, le Pontine. E in particolare Ponza e Ventotene.

 

COME ARRIVARCI

A Ponza potete arrivarci da Formia: traghetti da 2 ore e 30’, oppure unità più veloce in un’ora e 20’, oppure Aliscafi Vetor da un’ora e 10’. Ci potete arrivare da Napoli d’estate con gli Aliscafi Snav che fermano anche a Ventotene, oppure ci mettete 50’ da Terracina, col catamarano Ponza Jet, o con la motonave della SNAP. A Ponza si arriva anche da Anzio: con Vetor tutto l’anno. Ma i cambiamenti di ora­ri e di rotta sono frequenti: controllate sempre, sul Web o meglio ancora al telefono (a volte i siti non li aggiornano!). A Ventotene si può arrivare da Formia, (da una a due ore, dipende dalla nave) e con Vetor Aliscafi (1 ora); da Napoli si arriva, ma solo d’estate con SNAV e con la stessa compagnia si può andare da Ponza a Ventotene, mentre da Terracina si arriva a Ventotene col Ponza Jet, mi pare solo d’estate (controllate bene). Purtrop­po in bassa stagione ancora manca, incredibilmente, un collegamento diretto fra le due isole: per andare da una all’altra bisogna rimbalzare sulla costa. Ma in estate il collegamento c’è. Naturalmente, se per ora ci si dovesse accontentare di un fine settimana, basta un’isola per volta… Ponza è abbastanza grande e varia da giustificare due o tre giorni, e Ventotene sarà anche grande un chilometro e mezzo quadrato, ma è piena di cose interessanti. E soprattutto ti regala un’atmosfera in cui è bello stare, anche solo seduti su una panchina o al Bar…

LA STORIA

Non so voi, ma per me ormai conta so­prattutto il fascino di un luogo. Ma da cosa è dato? Vanno bene le bellezze naturali, vanno bene le attrazioni turistiche più evidenti e famose, ma mi attira soprattutto la sua atmosfera, quel sapore indefinibile che si è sedimentato in un determinato posto nei secoli, in base alle persone che l’hanno costruito e vissuto. Per questo ogni volta che visito una località, prima mi piace ripassarne la storia. Niente di serio, solo un “ripasso”, appunto, per avere l’eco e l’odore del passato, che è essenziale per percepire il pre­sente. Ricapitolando in grande sintesi: Ponza, Palmarola, Zannone, Santo Stefano e Ventotene (le Pontine) non sono mai state scogli desolati: le pri­me tracce umane risalgono addirittura al 5000 avanti Cristo. Poi, ovviamente, queste isole hanno visto ancorare le navi dei Fenici, poi dei Greci e degli Etruschi e quindi hanno subito la dominazione dei Romani, dal 300 a.C. circa. Romani che, qualche secolo dopo (attorno al 100 d.C) le hanno riempite di Ville, adibite soprattutto all’esilio dorato di nobili matrone che si erano macchiate di qualche colpa. Questo significa che noi, oggi, pos­siamo vistare sulle Isole Pontine tutta una serie di resti archeologici affa­scinanti, che regalano loro uno spessore storico-mediterraneo unico!

Ma andiamo avanti: dopo il disastro della caduta dell’Impero (che comunque dovrebbe aver risparmiato le isole, perché per i cosiddetti Barbari non era facile raggiungerle), dal 537 d.C. sono arrivati i monaci: in particolare i Benedettini, a Ponza. Questo ha voluto dire certamente un primo tentativo di costruire una agricoltura. Dopodiché c’è una cosa importantissima, un flagello che ha colpito questa zona e ne ha determinato i destini: dall’800 d.C. le prime incursioni dei Saraceni. Solo dopo 400 anni tornano Benedettini e Cistercensi, ma per queste terre in mezzo al Tirreno non c’è pace, anzi: sono il teatro di un sacco di battaglie navali tra Siciliani e Calabresi e tra le Repubbliche Marinare. E dalla metà del 1500 tornano prepotentemente i Turchi: nel 1534 l’incursione del Bar­barossa, nel 1552 il terribile Dragut. E il governo (teorico) delle isole passa di mano in mano: i Farnese, il Ducato di Parma, gli Austriaci e i Papi. Importante: gli Ispanico-Borboni arrivano dalla metà del 700, e loro cominciano a fare sul serio. Si comincia a colonizzare la terra: ai contadini vengono dati appezzamenti in enfiteusi perpetua (enfiteusi: letteralmente “locazione per piantagione e frutto”). Ma per popolare le isole, l’idea è la solita: deportare forzati e prostitute. E questa vocazione a diventare un carcere caratterizzerà e perseguiterà le isole fin quasi ai giorni nostri.

LE TRACCE DEL PASSATO

Questo non vuol dire che dobbiamo guardare gli abitanti attuali con sospetto, in quanto discendenti da una stirpe di delinquenti, anzi! Da sempre i devianti sono la parte paradossalmente migliore di una società, e questa gente deportata e disperata, ma dotata di grande tempra, ha dovunque rappresentato l’avanguardia e la frontiera: basti pensare all’Australia, al West americano, alla Nuova Zelanda ecc. Comunque, andando ancora avanti. 1768: i primi forzati a Ventotene. 1769: costruzione della Chiesa di Santa Candida (da vedere, vista la sua importanza storica) sempre a Ventotene. 1772: arrivano i primi coloni “liberi” dalla Campania, da Torre del Greco. E qui, altra cosa importante! Adesso le Pontine sono in provincia di Latina e quindi nel Lazio, ma in realtà hanno radici napoletanissime, e questo ancora si vede, si mangia e si sente. 1795 apre il carcere dell’Isola di Santo Stefano (che sta davanti a Ventotene) che sarà un luogo d’importanza storica a livello europeo. 1810: Murat per un poco “libera” Napoli dai Borboni e le isole diventano Liberi Comuni, e tali resteranno. Dopo una breve parentesi addirittura inglese, nel 1815 tornano i Borboni, che però non sono del tutto male: nel 1857 inaugurano un collegamento regolare fra isole e terraferma (con la nave Messaggiera, ogni 15 giorni!) e anche il telegrafo. Per un traghetto più frequente (estivo) bisogna aspettare il Regno d’Italia che nel 1904 inaugura la rotta della nave Lampo: per noi che ci lamentiamo oggi dei collegamenti, che giudichiamo magari pochi e lenti, è una bella lezione di relatività. Ma il traghetto estivo non ci deve trarre in inganno: più che dei turisti, le Pontine erano più che mai le isole dei forzati. Ci hanno portato prigionieri Libici, poi Serbi (1910) e poi dal fascismo i condannati al confino. In compenso, da qui è passata la crema della classe dirigente antifascista: Amendola, Nenni, Basso, Pertini, Camilla Ravera, Secchia, Terracini, Di Vittorio, Longo… Gente che poi avrebbe diretto la nostra politica e le nostre libere istituzioni, una classe intellettuale che – proprio qui! – avrebbe anche ipotizzato il nostro futuro: deportati a Ventotene Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli hanno scritto il “Manifesto per una Europa libera e unita”. Secondo voi questo quanto conta rispetto a un luogo?! Per me moltissimo. Non cambia il sapore delle granite (buonissime) che si mangiano in Piazza a Ventotene… ma quasi! Poi dal 1979 è arrivato il Parco del Circeo, ma questa è ormai storia di oggi.

PONZA

Nel 1930 Ponza aveva 7.000 abitanti, adesso molto meno della metà. Ironia della sorte: i Ponzesi che erano stati immigrati (da Ischia, in particolare) sono diventati loro malgrado emigranti e molti si sono spostati sulla costa di fronte, in Sardegna, dove hanno popolato Arbatax e la ma­gnifica costa orientale, Cala Gonone ecc. La prima “villeggiante” (suo mal­grado) è stata Agrippina, mandata qui in esilio da Caligola. Qui comunque i Romani ci hanno dato dentro, e tra le tante attrazioni dell’isola ci sono an­che molti ruderi Romani, a cominciare dalle Ville e dalle cisterne, fino al tunnel di tufo che ha permesso di mettere in comunicazione la zona del Porto con una delle meraviglie del Mediterraneo, la spiaggia di Chiaia di Luna. Una delle spiagge più belle del mondo, assieme a Cala Fonte, a Cala Feola, alla spiaggia delle Felci ecc. Io e Syusy siamo andati a Ponza tante volte. La prima fu moltissimi anni fa (vogliamo dire 30? Diciamolo pure…) e – pur non avendo una lira – abbiamo dato fastidio ai mediatori immobilia­ri per chiedere il prezzo di un ovile diroccato in vendita, che stava in mezzo al nulla, sulla montagna. Sogni a occhi aperti. Ma Ponza si presta moltissimo a sognare il concetto di isola per eccellenza… Poi ci siamo tornati diverse volte in barca, per lavoro. L’ormeggio obbligato davanti al porto è molto difficoltoso e ben poco ridossato, ma – al di là del pescaggio – non è mai possibile attraccare al porto, perché Ponza è sempre affollatissima.

LA VIGNA DI EMANUELE

Eppure il turismo non riesce mai a snaturarla. I negozi, le pescherie, i pescherecci attraccati coi pescatori che fanno manutenzione alle reti, i bar sopra la scalinata: è una comunità “vera”, che vive sì di turismo, ma mantiene una sua identità. Sarà il carattere post-campano e ancora con qualche goccia di sangue “deportato”, ma i Ponzesi accolgono tutti, senza però scomporsi troppo. Sarà una mia deformazione professionale, ma secondo me conta anche il fatto che l’agricoltura, cioè l’attaccamento alla terra e ad attività che vivono di turismo, ma solo di riflesso, a Ponza – e vedremo poi anche a Ventotene – non sono mai state interrotte e anzi adesso le stanno caparbiamente rilanciando, perché hanno capito che il paesaggio lo fa per il 50% il mare, ma per il resto l’agricoltura, a terra. Ed ecco che ancora resiste (un po’) la pesca, la coltura della vigna e delle lenticchie. A proposito di vigne: noi arrivando dal mare a Chiaia di Luna ci siamo arrampicati su per Punta del Fieno, a piedi, e abbiamo conosciuto Emanuele Vittorio (come il Re, ma al contrario) che ci ha fatto vedere (dopo che ci siamo ripresi dallo sforzo) la sua vigna, recuperata dal 2000 a oggi, rifacendo i terrazzamenti (con l’aiuto di Liberato, che di cognome fa Mazzella, ex emigrato tornato a casa) e ripristinando l’impianto tradizionale ad alberello, che riesce a resistere al vento. Il recupero dei terrazzamenti, che naturalmente fa un gran bene al territorio e al paesaggio, è stata un’impresa titanica, a volte è servito l’elicottero… Ma a proposito di Chiaia di Luna: era stata chiusa, per frana, e dichiarata inaccessibile. Chissà se ora è riaperta?

 

VENTOTENE

Anche a Ventotene il pericolo è (è stato) l’abbandono: a fine 800 aveva 2.000 abitanti e ora ne ha 700. Ma allora erano soprattutto carcerati… Adesso l’attività in assoluto è il turismo, fermo restando che l’Isola – come del resto Ponza – ha mantenuto da sempre la propria fisionomia identitaria. A Ventotene ci siamo arrivati diverse volte con Adriatica, cercando un ormeggio al porto comunale (quello privato, almeno la volta che ci siamo stati noi, aveva prezzi altissimi). E fin da subito, cioè fin dall’arri­vo, il porto ti regala l’immagine storica del Porto Romano, dove ancora sono conservate le vecchie bitte in pietra a cui attraccavano le triremi, e le peschiere dove allevavano il pesce, il tutto solo un po’ sotto il pelo dell’acqua, a causa del bradisismo. Poi, volendo, ci sono da vedere i resti della Villa Romana, o Villa d’Augusto, an­che qui luogo d’esilio di matrone ec­cellenti: Agrippina (esiliata da Tiberio), Claudia (da Nerone) e Flavia (da Domiziano, perché era cristiana). La rampa, cioè la scalinata che dal Porto sale in paese, è opera dei Borboni. Da sopra si vede Santo Stefano, che sembra a poche bracciate, dominata dal famoso penitenziario costruito nel 700 secondo le teorie di un inglese, Jeremy Bentham, uno che si dava arie da progressista-animalista, in realtà era un vero sadico, che ha inventato appunto la struttura con cui è stato costruito il carcere, detta a panopticon, cioè a ferro di cavallo, in cui i carcerati erano continuamente osservati e controllati dalle guardie che stavano al centro. Noi siamo stati a visitare i resti del penitenziario, dove è morto fra gli altri (forse assassinato) Gaetano Bresci, l’anarchico che uccise Umberto I, e dove hanno vissuto i membri della Resistenza a cui abbiamo accennato poco fa. Il penitenziario è stato chiuso nel 65, e adesso l’Isola di Santo Stefano non è più visitabile. I progetti per recuperare il carcere e farne un centro culturale sono stati diversi, per ora senza esito, purtroppo.

 

PIAZZA CASTELLO

In Piazza Castello c’è… il Castello, che ora ospita un museo, costruito per resistere ai pirati saraceni. Poi, poco lontano, c’è la chiesa: a proposito, Santa Candida si celebra il 20 settembre (c’è una festa con mongolfiere di carta) e ad agosto sull’isola c’è un festival cinematografico. Al cimitero c’è la tomba di Altiero Spinelli. Dal 1997 le acque di Ventotene sono state dichiarate Area Marina Protetta. Noi ci siamo immersi – col permesso e la guida di Salvatore – sulla secca che sta a Nord dell’Isola, ed è un magnifico spettacolo. Ventotene, da Punta Eolo e Cala Rossano a Nord, fino a Cala Nave a Sud, è un fazzoletto di terra, ma è piena di cose belle. Sono belle le casette e le viuzze. Se si arriva al Promontorio del Semaforo c’è l’Osservatorio Ornitologico. Per me, comunque, Ventotene è soprattutto stare a guardare la gente mangiando una granita o bevendo un latte di mandorla, in piazza. Ventotene è la meta di un turismo di villeggianti, soprattutto romani. Sembra di essere un po’ a San Lorenzo, con le famigliole di semi-alternativi, spesso piene di bambini. È il corrispettivo tirrenico della costa romagnola, però in una cornice naturale e storica di assoluto rilievo… Dopo Ponza e Ventotene siamo risaliti fino a Pianosa, ma questo è un altro viaggio…

 

Patrizio