Islanda, into the wild

Due settimane, più di 3000 km, un'automobile, una tenda e due valigie... per un indimenticabile giro tra fiordi deserti, ghiacciai, pozze termali, pascoli verdi, distese di lava, scogliere popolate di uccelli...
Scritto da: ludiaman
islanda, into the wild
Partenza il: 16/07/2011
Ritorno il: 30/07/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
“Dove siete stati quest’estate?”

“In Islanda”

“Bello, come avete girato?”

“In tenda…”

“…”

A questo punto la reazione dell’interlocutore oscilla di solito fra l’incredulità e il compatimento. Il pensiero probabilmente corre verso quelle immagini che anche noi avevamo in testa prima di partire: lande desolate ricoperte di cenere e lava, vento che soffia, ghiacciai e neve… e allora, perché mai in campeggio?!

Ma l’Islanda è molto di più: ci sono scogliere inaccessibili su cui soffia continuo il vento dell’oceano, ma anche fiordi tranquilli, il cui silenzio è rotto solo dal lento sciabordio delle acque; ci sono distese di polvere nera, geyser e pozze sulfuree, ma a pochi chilometri si aprono colline verdi, tra i cui fiori pascolano pecore e cavalli; i ghiacciai fanno capolino dalle nubi cariche di pioggia, ma mille cascate scorrono fra arcobaleni di tutte le dimensioni.

Insomma, la varietà dei paesaggi islandesi va oltre ogni immaginazione. E lascia spazio persino per una tranquilla vacanza in campeggio, vacanza peraltro molto popolare anche fra gli islandesi stessi, e proprio per questo molto facile da organizzare. Basta qualche accortezza.

Per questo motivo iniziamo subito con tre note pratiche, riguardanti i primi dubbi che sempre ci vengono in mente non appena si parla di Islanda. Subito dopo, pronti via, comincia il diario…

Nota pratica n°1: COSTA TANTO?

È vero, l’Islanda costa. Il cambio euro-corona per ora non è male, ma varia velocemente, e se i prezzi dei supermercati – per esempio – sono paragonabili a quelli italiani (o almeno a quelli milanesi), lo stesso non si può dire per ristoranti, ostelli, alberghi… Le pensioni ad esempio sono piuttosto care, e offrono servizi scarsi: tutte pulitissime e accoglienti, hanno però solitamente il bagno in comune, non c’è prima colazione, e in alcuni casi se sono piene offrono posti in camerata. I campeggi viceversa costano pochissimo, sui 5 o 6 € a testa, sono ben attrezzati (spesso anche con cucina e sala comune al chiuso), e ottimamente frequentati: islandesi in vacanza con la roulotte o il carrello-tenda; tedeschi in bicicletta, inglesi in camper… grandi barbecue e bimbi che giocano all’aperto, godendosi la luce fino a mezzanotte (ma poi sono vicini tranquilli e gentilissimi)…

Cos’altro costa poco? I bagni termali (persino quelli più lussuosi), gli hot dog (si chiamano “pilsu” e sono ottimi), alcune panetterie che fanno dei dolci fenomenali… Benzina più o meno come da noi: abbiamo speso, per due settimane e 3.300 km, circa 800 € di carburante e altrettanti di autonoleggio (“Saga car rental”, trovata su Internet, auto nuova di pacca e tariffa più bassa).

Nota bene: se volete cucinare in campeggio risparmiate molto, ma non dappertutto si trovano cucine attrezzate con fornelli. Visto che presumibilmente siete venuti in aereo, avrete bisogno di acquistare in loco un fornelletto con bombola (il gas non viaggia in stiva!): il consiglio è di acquistarla subito a Reykjavik, perché poi in giro non si trova molto.

Nota pratica n°2: CLIMA, STRADE, TERRE SELVAGGE…

Ovvero: non spaventatevi. Si sa, il clima islandese non è dei migliori – specie al sud – però cambia, e tanti paesaggi a dire il vero sono affascinanti anche col maltempo. Di sole comunque ce n’è tanto anche a queste latitudini, e quando è alto e non tira vento capita persino di poter girare in mezze maniche. Come l’estate in montagna da noi, insomma.

E poi non bisogna spaventarsi per le strade: avevamo trovato siti che incutevano il panico, raccomandando l’uso del fuoristrada. Invece tutte le mete principali si visitano anche senza il 4×4 (che serve più che altro per le regioni interne). Le strade sterrate sono tenute benissimo, sempre ben indicate, e ci si viaggia anche veloci, tanto che il limite di solito è 80 km/h (e se ci sono pericoli trovate immancabilmente il cartello che vi avvisa di rallentare). Se invece la strada è solo per 4×4 lo indicano chiaramente prima.

Non è indispensabile nemmeno il Gps: le strade non sono tante e con una buona cartina noi non ci siamo mai persi. E poi c’è questo sito: www.vegagerdin.is/english: cliccando su “road conditions” troverete sempre lo stato aggiornato della viabilità.

A proposito, il cellulare prendeva praticamente ovunque.

Nota pratica n° 3: COME GIRARE, COSA VEDERE

Esiste una sola strada che fa il giro completo dell’isola, e in due settimane la si può percorrere tranquillamente, a patto di avere una macchina noleggiata e di non voler affrontare escursioni o trekking troppo lunghi (cosa che in verità varrebbe la pena di fare, con qualche giorno in più a disposizione). Se avete più tempo, potete fare qualche deviazione in più, oppure viaggiare coi mezzi pubblici: tenete presente che i pullman di linea sono poco frequenti, ma è anche vero che da quelle parti è abbastanza diffuso l’autostop, e questo può aiutare ad accorciare i tempi o a spingersi in località non collegate. Le guide dicono che l’Islanda è il paese più sicuro al mondo… Noi abbiamo caricato molti giovani che giravano zaino in spalla, persino ragazze sole, ma anche coppie di adulti, pensionati, gente che si muoveva sfruttando il couch sourfing, il car pooling, gli scambi di casa, le vacanze-lavoro, persino spostandosi in bicicletta… insomma, pur di farsi una vacanza in Islanda senza spendere un capitale, le idee ci sono.

E se è vero che un viaggio itinerante come il nostro permette poco di conoscere gli islandesi, è anche vero che condividere un’ora di viaggio o una camerata in ostello con francesi, tedeschi e inglesi permette di entrare in un mondo di viaggiatori che a casa nostra vediamo poco. Ci si sente più europei, per così dire.

Ma veniamo al diario…

GIORNI 1-2. Da Reykjavik verso nord: si parte!

Atterriamo a Reykjavik nel primo pomeriggio, dopo un viaggio piuttosto impegnativo: Lufthansa aveva cancellato una tratta pochi giorni prima (senza avvisare) e l’unica alternativa possibile prevedeva ben due scali intermedi. Voli in ritardo, tempi stretti, corse fra i gate… la valigia la davamo per persa, ma il pilota ha ritardato la partenza finché non sono stati caricati tutti bagagli dei passeggeri in transito. Insomma, efficienza tedesca persino quando sbagliano! Una volta arrivati, ci siamo sistemati nella nostra pensione (Reykiavik Cosy Guesthouse, molto carina, 70€ la doppia) e poi via in giro per la città. Un hot dog per cominciare nel più famoso baracchino di “pilsu” della città (Baejarins Beztu, vicino al porto: c’è stato anche Clinton!), poi un giro per le vie, e qualche foto nel parco intorno al lago Tjornin. Non sembra di essere nel centro di una capitale, tra laghetti, uccelli, casette di legno e lamiera colorate, giardini curati, gente che si gode il sole estivo facendo picnic in piazza… Poi siamo saliti sul campanile della moderna chiesa di Hallgrimskirkja, che svetta sulla città, per una visione a 360° dell’abitato e della costa circostante. Infine, cena da Saegreifinn, vicino al porto, con un’ottima zuppa di aragosta e ricchi spiedini di pesce. Poi, a letto alle nove: tra il viaggio e il fuso orario, eravamo stanchi come se fosse mezzanotte, anche se la luce era quella del pieno pomeriggio.

On the road

Il giorno dopo facciamo in tempo a visitare l’interessante e ben organizzato Museo Nazionale, poi prendiamo la macchina e partiamo.

L’idea era fare il giro lungo la strada n° 1, la “Hringvegur”, in senso antiorario, ma scopriamo che la via è temporaneamente chiusa vicino a Vik, di conseguenza optiamo per la soluzione opposta, sperando che riaprano il passaggio per quando che arriveremo da quelle parti. Appena fuori città il paesaggio si fa nordico, la vegetazione bassa, i colori incredibili, ci fermiamo ogni dieci minuti a scattare una foto: colline, vulcani, fiorellini viola e bianchi che spuntano nella terra nera, rossa, gialla… Per sgranchirci le gambe facciamo una passeggiata verso l’Eldborg, il nostro primo cono vulcanico islandese, lungo la strada. Ma come scopriremo nei prossimi giorni, questo è niente rispetto a ciò che ci attende.

Il viaggio procede tranquillo e arriviamo al primo campeggio, a Stykkisholmur: è vicino al campo di golf, indicato dalla Lonely come “cinque stelle”, e in effetti il paesaggio è davvero a cinque stelle: spettacolare! I servizi invece sono piuttosto scarsi: nessun locale coperto per cucinare e pochi bagni. Tutto però perfettamente pulito e ordinato, come ovunque nei giorni successivi.

La prima notte in campeggio presenta alcune difficoltà: prima di tutto, il montaggio della tenda nuova, per niente facilitato dal vento e dalla posizione che avevamo scelto (con l’esperienza miglioreremo). Secondo, la luce: il panorama di mezzanotte è affascinante, col sole appena tramontato e una luce rosa che illumina tutto; è anche divertente accorgersi che non serviva portarsi dietro le torce elettriche; ma dormire dove non fa mai buio può essere un po’ faticoso! Terzo e ultimo, ma non per importanza, la temperatura. Il freddo non era eccessivo, ma per la prima notte non ci eravamo attrezzati a sufficienza… dopo qualche esperimento, con il nostro sacco a pelo (peraltro un po’ leggero) abbiamo dovuto aggiungere: pigiama pesante, doppie calze, felpa. Dopodiché, nessun problema!

GIORNI 3-4. Snaefellsnes, viaggio al centro della terra

Comincia l’avventura: dopo un’ottima colazione in panetteria, partiamo in direzione del vulcano Snaefell, che dà il nome alla penisola, identificato da Jules Verne come la porta di accesso al centro della terra. Dall’autoradio risuona la colonna sonora di “Into the wild”, senz’altro la più adatta al paesaggio. A tratti il verde quasi “irlandese” si trasforma d’improvviso in distese scure, percorse da crepe e spaccature, su cui cresce una fragile vegetazione. Sono i campi di lava, antiche colate solidificate, residuo di passate eruzioni. A metà di uno di questi, Berserkjahraun (la “lava dei folli guerrieri”), un’insegna di legno con la sagoma di uno squalo ci rassicura sulla deviazione da imboccare per la prossima meta: il museo della fattoria di Bjarnarhofn, ovvero il maggiore produttore islandese di carne di squalo (“hakarl”, il cosiddetto “squalo marcio”). Il museo in sé è una curiosa accozzaglia di vecchi oggetti contadini e reperti naturali vari. I proprietari non parevano molto accoglienti, ma sapendo dalla Lonely cosa ci potevamo aspettare, abbiamo espressamente chiesto di visitare anche l’essicatoio del pesce e di assaggiare il prodotto finito.

Bisogna sapere che la carne degli squali islandesi è di per sé velenosa, poiché contiene alcune sostanze antigelo che per l’uomo sono nocive. Queste sostanze possono però trasformarsi in innocua ma puzzolente ammoniaca, a patto di lasciar “maturare” (leggi marcire) i pezzi di squalo per alcune settimane, e poi far seccare il tutto all’aria aperta. Risultato: una via di mezzo tra il pesce secco e il taleggio iperstagionato. Per ulteriori commenti sul gusto, si veda fra qualche pagina. Ma non si confonda l’ “hakarl” con l’ “hardfiskur”, che è un’altra specialità di pesce, molto diffusa e davvero ottima: è un tipo di merluzzo essiccato all’aria, che può essere sgranocchiato come un pacchetto di patatine ed è venduto in tutti i supermercati.

Finita la digressione gastronomica, il giro della penisola prosegue su una piacevole e quasi vuota strada sterrata, con tappa alla spiaggia bianca (quasi caraibica!) di Skardsvik, e poi deviazione al faro con picnic: ci siamo goduti il sole con vista sul mare, e un bel panino al salmone affumicato! Dopodiché, tappa alle scogliere di Svortuloft, con avvistamento di vari uccelli marini, poi la salita sul cono vulcanico Saxholl, e dopo ancora una passeggiata alla spiaggia nera di Djupalonssandur; infine, il rientro verso Stykkisholmur. Cena da Narfeyrarstofa, accogliente ristorante poco sopra al porto, e poi a letto presto, perché l’indomani ci aspetta il traghetto per Brjanslaekur, nei fiordi occidentali.

Purtroppo la giornata successiva comincia male: pioviggina e il traghetto è tutto prenotato. Ma come il tempo da queste parti muta rapidamente, così anche la nostra fortuna: ci mettiamo in coda per la lista d’attesa e troviamo un posto. La traversata è tranquilla, e dal ponte della nave riusciamo a intravvedere il vulcano Snaefell, ammiriamo le decine di isolette della baia, e con l’aiuto del binocolo identifichiamo diversi pulcinella di mare che ci volano accanto.

Arrivati infine a Brjanslaekur ci rendiamo subito conto di quanto deserta sia la regione: quello che dalla cartina parrebbe un paese, di fatto è solo un molo. Ci dirigiamo dunque verso Latrabjarg, il punto più occidentale d’Europa.

GIORNI 4-5. I fiordi occidentali, regno del pulcinella di mare

Non c’è verso: da questa parte della penisola né un chiosco, né un negozio, né un distributore. Deserto completo. Per fortuna con la benzina eravamo a posto (fare sempre il pieno appena possibile!), e per il pranzo avevamo qualche scatoletta portata dall’Italia.

Dopo un lungo sterrato, che ad ogni svolta riserva panorami mozzafiato, giungiamo finalmente a destinazione: Latrabjarg, una delle maggiori colonie di uccelli marini. Gabbiani, urie, e naturalmente pulcinella di mare, il simbolo dell’Islanda. Per la gioia dei fotografi, questi simpaticissimi uccelli si lasciano avvicinare fino a pochi centimetri, forse consapevoli del fatto che restando in equilibrio sul ciglio di una scogliera è abbastanza difficile che un essere umano si possa avventare su di loro.

Da notare che i pulcinella di mare non sono presenti 365 giorni all’anno: verso agosto partono per il largo, e restano in mare fino alla stagione successiva. Ecco perché, ad esempio, qualche anno fa in Irlanda non ne avevamo visto nemmeno uno.

Dopo esserci goduti lo spettacolo delle scogliere, con il vento che soffia dal mare portando con sé i richiami di migliaia di uccelli (e il relativo odore), ritorniamo sui nostri passi. Poco più a valle, cambiamo volatili ma rimaniamo ancora una volta affascinati: le sterne artiche migrano tutti gli anni dall’Antartide all’Islanda, e viceversa! Mediamente nell’arco della loro vita percorrono circa 70.000 km, e passano la maggior parte del loro tempo in regioni dove non scende mai la notte. Forse proprio per questo, sono particolarmente irritabili: nidificano nei prati, e chiunque si avvicini ai nidi – animale, uomo o macchina che sia – viene circondato e minacciato con spettacolari planate ed evoluzioni nel vento.

Infine, un po’ spaesati dalla solitudine in cui ci siamo nuovamente immersi, e con il dubbio su quanto tempo impiegheremo per arrivare al primo campeggio, ci rimettiamo in macchina e ci dirigiamo verso Thingeyri, dove arriveremo nel tardo pomeriggio, in tempo per piantare la tenda al riparo di una bella siepe, alle spalle del fiordo, nella quiete più assoluta.

Il giorno successivo non abbiamo mete particolari, ma ci aspetta la strada più panoramica della regione: la n°61, che attraversa innumerevoli fiordi. Per cominciare dobbiamo arrivare a Isafjordur, percorrendo un pittoresco tunnel che nella prima tratta altro non è che uno stretto buco scavato nella roccia viva. Ci sono addirittura le piazzole in mezzo alla galleria, per accostare e far passare le auto nel senso opposto!

Isafjordur è una cittadina tranquilla, molto gradevole, comunque grande e vivace se paragonata agli standard della regione. Facciamo in tempo a fare scorte di cibo al supermercato, e di birra nel locale “Vinbudin” (si chiamano così le rivendite autorizzate di alcolici), il cui simpatico proprietario attacca subito bottone raccontandoci dei suoi viaggi in Italia. Partiamo poi per un picnic sui fiordi. La strada alterna tratti costieri a valichi interni, che ci catapultano da un fiordo all’altro in un crescendo di panorami spettacolari, interrotti solo da rarissime automobili, fattorie e chiesette colorate.

Per concludere alla grande una giornata così bucolica, ma anche così densa di chilometri, ci concediamo una notte in un vero letto, al Saeberg HI Hostel di Reykir (3.100 corone, circa 19 € a testa in camerata da sei): è molto ordinato, tranquillo, accogliente… in una parola, nordico. Si affaccia sul fiordo, e nel prato antistante è possibile godersi gratuitamente l’acqua termale in una piccola vasca all’aperto: un bagno caldo davanti al panorama del tramonto… più o meno alle ore 23!

D’altra parte, “reyk” significa fumo, e tutte le località che contengono questa radice nel loro nome promettono terme e vapore che si sprigiona dalle fenditure nel terreno.

Nel complesso, i fiordi occidentali sono stati forse la meta più bella del nostro viaggio, e probabilmente varrebbe la pena spenderci qualche giorno di più, magari nelle zone non raggiungibili in automobile.

GIORNI 6-8. Tra Husavik e Myvatn (balene e vulcani)

Ci aspetta un giorno di spostamenti, di nuovo sulla strada n°1, in direzione di Husavik, ma anche qui il tragitto riserva sorprese: panorami, grandi spazi, cavalli al pascolo, e l’antica fattoria in torba di Glaumbaer, da visitare – tra l’altro – per provare a capire cosa significasse trascorrere un inverno a queste latitudini.

Segue la vivace città di Akureyri, e più avanti ancora la famosa cascata di Godafoss. Decidiamo infine di campeggiare per tre notti a metà strada fra Husavik e Myvatn, per poterci muovere comodamente far queste due mete dense di attrazioni: scegliamo quindi la località di Heidarbaer, lungo la strada 87, il cui campeggio è ben attrezzato, dotato di un ristorante, di un piccolo spazio per cucinare al coperto, e soprattutto di un paio di piscine termali, di cui naturalmente approfittiamo subito.

Il giorno dopo il tempo è un po’ incerto e decidiamo di dedicarlo al lago Myvatn, con tanto di visita al museo ornitologico, osservazione dell’avifauna, giro del lago, camminata nel regno dei troll (il campo di lava di Dimmuborgir), e acquisto di trota affumicata per il pranzo. Saliamo poi sul grande cono del Hverfell, un’enorme cratere di cenere (tefrite è il nome tecnico), e infine, tanto per cambiare, ci distendiamo alle terme: terme di lusso ai bagni di Myvatn, una bella struttura con saune, bar, e grandi vasche all’aperto. Immersi in un paesaggio lunare, con vista sulla piana sottostante, il caldo dell’acqua ci fa dimenticare la pioggerella che ha cominciato ad arrivare dall’alto. Il tutto per la modica cifra di 2.500 corone (circa 15 €).

Questa è una delle zone vulcaniche più attive di Islanda. Qui, come in tante altre parti del paese, se aprite l’acqua calda in un qualsiasi bagno sentirete odore di zolfo: non esistono infatti gli scaldabagni, ci pensa la natura a fornire quanto serve!

Nel frattempo il clima è migliorato, e il giorno successivo possiamo dedicarci alle balene di Husavik. Si tratta di una tranquilla cittadina molto piacevole, che si affaccia su una baia affollata di cetacei. Oggi è giorno di festa, motivo per cui torneremo nuovamente qui verso sera, per goderci l’atmosfera e una fetta di torta.

Nel frattempo partiamo per un’escursione, su una vecchia barca di pescatori riadattata, e proviamo l’emozione di avvistare (anche se un po’ lontana) la balenottera azzurra, il gigante dei mari. Al rientro pranziamo con un’ottima sogliola al Gentle Café, scelta e grigliata al momento. Ci spostiamo poi di nuovo verso Myvatn, dove ci era rimasto ancora qualcosa da vedere dal giorno prima: le pozze sulfuree e i soffioni di Hverir, e più a monte l’area del Krafla, che sorge sopra un bacino magmatico tuttora particolarmente attivo. Si passano i tubi metallici della centrale geotermica, e poi c’è l’imbarazzo della scelta: un lago in un cratere circondato da nevai, passerelle che attraversano i campi di lava, e poi pozze e fenditure, dove incredibili toni di verde, blu e rosso si stagliano su un terreno giallo e nero, e dove l’odore di zolfo che aleggia sembra suggerire la vicinanza delle porte stesse dell’inferno.

GIORNI 9-10. Intorno ai fiordi orientali

Anche oggi giornata di spostamenti, per spingerci verso i fiordi orientali, ma come sempre il paesaggio lungo la strada non ci permette di annoiarci. Da Husavik ci dirigiamo verso le cascate di Hafragilsfoss e poi di Dettifoss, che scorrono grige, impetuose e spettacolari in un canyon praticamente in mezzo al deserto. Consigliamo di percorrere la strada lungo la sponda orientale, che offre una vista migliore, e maggiore tranquillità.

Proseguiamo verso Egilsstadir, dove nei dintorni possiamo osservare i boschi più alti d’Islanda: abeti alti circa un metro!

Verso fine giornata ci concediamo una pausa “ecologica” nel posto più improbabile di tutta l’isola: un distributore automatico di bibite a energia solare ed eolica, ospitato in un baracchino di legno lungo la strada verso Borgarfjordur, in mezzo al nulla. Senza l’aiuto della Lonely non l’avremmo mai trovato.

Arriviamo infine a Bakkagerdi, tranquillo paese di elfi e creature leggendarie, dove ci concediamo una seconda notte in ostello (sarebbe in camerata, ma è solo per noi), e prima di dormire andiamo a vedere un’altra colonia di pulcinella di mare. Sono meno numerosi rispetto a quelli visti nei fiordi occidentali, ma altrettanto simpatici: il punto di osservazione si trova proprio lungo la traiettoria su cui questi uccelli planano dal mare verso i nidi con il becco carico di pesci.

L’indomani ci dirigiamo verso sud, con una deviazione nel fiordo di Seydisfjordur, valicando un passo immerso nella nebbia e scendendo poi a picco in una valle verdissima costellata di cascate. La cittadina è affascinante, con antiche casette in legno colorato e un’atmosfera di altri tempi, ben illustrata nel museo del telegrafo: qui arrivava la prima linea dall’Europa, e oltre alle telecomunicazioni il museo illustra anche innumerevoli altri aspetti delle vita locale, dalla falegnameria alla fotografia dei secoli scorsi.

Oggi Seydisfiordur è deserta, perché si anima solo al giovedì, quando sbarca il traghetto dalla Danimarca (altra esperienza da fare, prima o poi).

Il tempo intanto volge al brutto, e ci avviamo verso Hofn. Lungo il tragitto facciamo una breve pausa a Djupivogur, ma non troviamo molto interessante questo paesino, nonostante l’idilliaca descrizione della guida. Poco fuori però, sulla costa, una casetta rossa circondata di ossa di balena attira la nostra attenzione: un ometto un po’ svitato ha messo in piedi un negozio-museo pieno di cianfrusaglie locali, scheletri di cetacei, sculture in legno, corna di renna, teschi di animali e chi più ne ha più ne metta.

A Hofn dormiamo nella guestouse Hafarnesi: 8.200 corone (circa 50 €) per una doppia con sacco a pelo, ma il posto è carino e di piantare la tenda sotto la pioggia proprio non ne avevamo voglia.

Comunque, dopo un giro in paese, andiamo a letto speranzosi per il clima dell’indomani, perché a quanto pare da qua si gode la prima vista sul Vatnajokull, lo sterminato ghiacciaio che ricopre con la sua calotta l’entroterra di questa regione.

GIORNI 11-12 Pioggia ai piedi del Vatnajokull

Purtroppo il giorno dopo la situazione climatica è invariata, e non ci resta che puntare verso sud, rinunciando alle escursioni che avevamo ipotizzato sul ghiacciaio, e sperando che nel frattempo il meteo migliori.

Per fortuna diluvia solo ogni tanto, e a volte le nubi si alzano abbastanza per vedere qualche lembo di ghiacciaio. Ci godiamo la laguna di Jokulsarlon, dove numerosi iceberg blu e azzurri affollano il lago prima di essere spinti verso l’oceano.

Da qui iniziano le nostre foto in “bianco e nero”: il cielo rimane grigio; il ghiaccio che si scioglie sulla spiaggia è trasparente; la sabbia è nera; la spuma del mare bianca, come i ghiacciai in lontananza. L’effetto è surreale, amplificato dalla foschia che le onde producono sulla riva. Spettacolare nonostante il maltempo, o forse proprio per quello!

Nel corso della giornata riusciamo a visitare anche la vecchia chiesa in legno e torba di Hof, la cascata di Svartifoss che si getta tra colonne di basalto (ci si arriva dopo una bella passeggiata nel bosco), e poi alcune lingue glaciali a cui ci si può avvicinare fino a pochi metri con piccole deviazioni in macchina.

Ma soprattutto, chilometri e chilometri di “sandar”, le spettrali distese sabbiose formate dalle frequenti alluvioni: capita infatti che i vulcani sotto i ghiacciai si risveglino, sciolgano la calotta soprastante, e riversino a valle fiumi di fanghi neri. È questo il motivo per cui la strada era chiusa fino alla settimana precedente, e si poteva passare solo facendosi “traghettare” da appositi camion anfibi. Ora è tutto di nuovo a posto, ma si vedono ancora i ponti divelti e la scena è impressionante.

Quando finalmente in serata arriviamo a Vik, tanto per cambiare diluvia. Siamo un po’ demoralizzati e ci infiliamo nella prima pensione libera (Arsalir, che ci fa pagare le 3.500 corone della doppia per finire in una camerata da sei!). Praticamente un ostello, non era quel che volevamo ma anche questo contrattempo si trasforma in un’esperienza interessante. I nostri compagni di stanza sono infatti un belga, una tedesca, una lituana e un polacco, che viaggiano insieme facendo car sharing: passiamo così la serata a condividere racconti di viaggio e vodka, mentre sperimentiamo mille modi per provare a rendere gustosa… una confezione di “squalo marcio” aperta poco prima dai nostri coinquilini. Morale: dopo diversi esperimenti, fra cui la cottura, tutta la pensione puzza di pesce andato a male, e tutti decidiamo di andare a dormire, comunque soddisfatti della serata.

GIORNI 13-15. Il “circolo d’oro”, e poi di nuovo a Reykjavik

Visto che il tempo è migliorato ma il cielo non accenna a rasserenarsi, rinunciamo a malincuore a vedere meglio i ghiacciai, e lasciamo Vik. Ci fermiamo sulla spiaggia di Dirholaey, tra pinnacoli di roccia e scogli ad arco, e ammiriamo per l’ultima volta centinaia di pulcinella di mare che volano, svolazzano, atterrano, ripartono… Partiamo poi in direzione di Selfoss, nel cuore del cosiddetto circolo d’oro, che racchiude le più famose (e frequentate) attrazioni islandesi.

Lungo la strada ci fermiamo ad ammirare il museo delle saghe Hvolsvollur (il mondo delle saghe islandesi è tutto da scoprire), poi proviamo a visitare i paesi di Eyrarbakki e Stokkseyri, che la Lonely descrive come pittoreschi e caratteristici borghi di pescatori, ma a noi paiono solo vuoti e tristi… sarà il clima uggioso, ma sembra un po’ come essere a Rimini in inverno, con l’unica differenza che in teoria lì sarebbe estate.

Arrivati poi a Selfoss piantiamo la tenda nel bellissimo campeggio che sorge in città, con tanto di laghetto, vasca termale, bar, ed enorme cucina attrezzata.

L’indomani partiamo per Geysir, località che ha dato il nome a tutti i geyser del mondo, proprio per via dei suoi soffioni di vapore. E poi, poco più a nord, c’è Gulfoss, forse la cascata più famosa, anche se ormai ne abbiamo viste così tante che è difficile fare una classifica.

Dopodiché ci dedichiamo al parco di Thingvellir: vi si trova l’Althing, il primo parlamento del mondo, ovvero una radura dove già i vichinghi nel X secolo si radunavano una volta all’anno da tutta l’isola per discutere di leggi, problemi e controversie. In questo punto si può osservare chiaramente l’Europa che si allontana dall’America: una lunga frattura percorre infatti la valle, e si allarga di un paio di centimetri l’anno.

Essendo l’ultimo giorno prima di rientrare in capitale, ci concediamo poi il lusso delle migliori terme del Paese: la laguna blu. Acqua calda, vasche all’aperto in un paesaggio indescrivibile, sauna, bar a bordo vasca per bersi una birra restando a mollo, acqua blu cobalto, sabbia bianca, pietra nera… Insomma, una perfetta conclusione (30 € a testa, niente rispetto alle fasulle terme di Milano).

L’ultimo giorno rientriamo Reykjavik, lasciamo la macchina, gironzoliamo un po’, qualche acquisto, un buon ristorante (Thrir Frakkar, ottimo ma un po’ costoso), e poi per la notte ci dedichiamo allo sport preferito del venerdì sera: il “runtur”, cioè il giro dei pub. Al terzo siamo già stanchi morti e andiamo a dormire, ma almeno l’esperienza l’abbiamo provata. L’atmosfera è gioviale, tanta musica dal vivo, e ovviamente birra in quantità!

Il volo di ritorno, l’indomani, ci fa sperare di vedere i ghiacciai almeno dall’alto, ma il cielo si copre di nuovo e ci diciamo, come sempre, che ci toccherà tornare.



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