Ecco, adesso ho il mal d’Islanda!

Nove giorni in un posto che è molto vicino al paradiso. Nove giorni di Islanda: di mare, di montagna, di ghiaccio, foreste, cascate. Di freddo, di vento, di pioggia, di nebbia, di arcobaleni e di sole - magari nel giro dello stesso pomeriggio. Di persone gentili e sorrisi. Di vulcani, di geyser e di fanghi bollenti. Di pecore, di pecore, di...
Scritto da: 83maya
Partenza il: 04/08/2009
Ritorno il: 13/08/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Nove giorni in un posto che è molto vicino al paradiso. Nove giorni di Islanda: di mare, di montagna, di ghiaccio, foreste, cascate. Di freddo, di vento, di pioggia, di nebbia, di arcobaleni e di sole – magari nel giro dello stesso pomeriggio. Di persone gentili e sorrisi. Di vulcani, di geyser e di fanghi bollenti. Di pecore, di pecore, di pecore. Di zuppe, di aragoste e caffè. Di case colorate, di tetti di torba e di rifugi caldi. Di felicità, soprattutto. Volo: EasyJet MilanoMXP-Londra Gatwick, IcelandExpress Londra-Reykjavik + IcelandExpress Reykjavik-Copenaghen, EasyJet Copenaghen-MilanoMXP. Circa 350€ A/R (a persona) Pernottamenti: pacchetto “9 Days Explore Iceland” notti catena Hotel Edda (http://en.hoteledda.is), prenotando a fine aprile (quindi con sconti) circa 97mila corone, ovvero 550 euro (in due). Ultima notte in aeroporto. Autonoleggio: Hertz, Toyota Yaris della categoria più economica, con guidatore aggiuntivo, 7 giorni: 690 euro + circa 60 di assicurazione aggiuntiva (in due) Altre spese: benzina, pasti, cd, souvenirs, taxi per l’aeroporto, eccetera… Circa 600 euro in tutto (a testa) Giro dell’Islanda, in senso antiorario, sulla “Ring Road”: 2233km (visti sul contachilometri dell’auto), cioè più o meno 300 al giorno. Sono tanti, ma vi assicuro che anche solo guidare in Islanda è un’esperienza appagante, e alla fine – condividendoli in due – questi chilometri si sentono meno di quanto temessimo. *PREPARAZIONE* Quest’estate si va in Islanda. Sì, approfitteremo cinicamente della bancarotta islandese, della loro miseria, e dei loro prezzi stracciati. Bè, mica tanto stracciati, proprio no. E non penso proprio siano in miseria lassù. Comunque abbiamo il volo: anzi, quattro voli, quattro decolli e quattro atterraggi in tutto, e solo tre ore per la coincidenza a Londra. Sto già facendo scorte di Valium. E poi l’alloggio, la catena degli Hotel Edda (http://en.hoteledda.is) scelta perché sembra carina, non costa tanto, e soprattutto si poteva prenotare in anticipo (tra l’altro risparmiando ancora). Nota: scoperta la prima abitudine stramba degli Islandesi. Per le prenotazioni ti chiedono di mandare il tuo numero di carta di credito via email. Pare che si usi così. Che è tipo una delle cose che non dovresti mai fare nella vita. Però va tutto liscio, e il nostro itinerario (con qualche minima variazione, perché a fine aprile alcuni hotel sono già tutti prenotati) è stabilito. Scegliere un “pacchetto” Edda si è rivelato davvero l’ideale proprio per pianificare delle ottime tappe in un Paese che non conosciamo e in cui non abbiamo idea delle distanze stradali. Per quanto riguarda gli indumenti: una scorta di magliette, tre paia di pantaloni leggeri ma impermeabili, scarpe da trekking molto andanti (un minimo di suola scolpita è utile), felpe, una giacca “windstopper” e un K-way per completare gli strati quando tira vento freddo. Si è rivelato tutto più che sufficiente per temperature da 5 (ma in casi estremi, e per poco) a 20 (raramente) gradi, con clima che cambia frequentemente e passeggiate su sentieri facili. Ottima idea portarsi un cappello di lana per coprirsi le orecchie quando il vento è fastidioso. Niente ombrello. Noi ci siamo portati anche una mascherina per dormire, di quelle che a volte danno in aereo, anche se poi non l’abbiamo usata perché abbiamo sempre trovato tende pesanti alle finestre, e ad agosto la notte cominciava ad avere una durata ragionevole. Ma è molto consigliata se viaggiate a luglio e sapete di poter dormire solo col buio completo. Altri suggerimenti utili – VALUTA: non si possono cambiare le corone in Italia, ma lo si può fare subito arrivati in aeroporto. Consiglio di cambiare una somma piccola: in Islanda ogni pagamento, anche minimo, si fa con la carta di credito. Anche un caffè, anche i biglietti dell’autobus, anche i taxi si pagano con la carta. Ho strisciato la mia Mastercard più in 9 giorni in Islanda che nel resto della mia vita. Se alla fine del viaggio vi rimangono delle corone islandesi, ricordatevi di cambiarle prima di ripartire: a noi a Copenaghen si sono rifiutate di cambiarle in corone danesi, per via della svalutazione ci hanno detto. E in Italia la nostra banca non le cambia in euro. Quindi ora ci rimangono corone per circa 60 euro… Non una cifra astronomica, piuttosto un pretesto per tornare in Islanda l’anno prossimo, prima che anche lassù adottino la nostra moneta 🙂 – GUIDARE: la Ring Road è quasi del tutto asfaltata: quasi, appunto, ci sono dei piccoli tratti dove la strada è sterrata, ma tranquilla. Conviene comunque andare col piede di velluto, specie se c’è un’insidiosa ghiaietta. Conviene anche rispettare i limiti di velocità: in molte zone, anche sperdute, ci sono controlli elettronici; lo si capisce da alcuni strani cartelli con disegnata una specie di macchina fotografica simile a quelle di una volta (eh sì) e con una scritta solo in islandese… Infatti noi non abbiamo capito subito di cosa si trattasse. Resta il mistero, vista la mancanza di alberi e la rarità di costruzioni a bordo strada, di dove piazzino gli autovelox. Forse dentro il vello delle pecore. Il limite sulla Ring Road è di 90 all’ora, e scende sugli sterrati a seconda delle condizioni del fondo stradale. Nei centri abitati, il limite è di 45 o 35 km/h. Noi siamo riusciti a prendere una multa per aver superato di circa 10km il limite previsto, ed è stata di 10.000 corone (50/60 euro), addebitateci poi dall’autonoleggio.

*GIORNO 1 – Si parte* Milano – Reykjavik La valigia è pronta ed è, sorprendentemente, semivuota. Dopo una levataccia alle cinque, un volo, i noiosissimi controlli di sicurezza di Gatwick e un altro volo, posso smettere di essere tesa. L’Islanda ci accoglie con cielo grigio, pioggerellina e sassi. Di sassi neri di lava è fatta la penisola di Reykjanes, dove sorge l’aeroporto a quaranta chilometri da Reykjavik: un po’ come atterrare sulla Luna. C’è subito la conferma che è quasi inutile cambiare denaro contante: anche i biglietti dell’autobus per Reykjavik si possono comprare semplicemente passando la carta di credito in un lettore. Un gesto così comodo che ancora adesso, qui a casa, tendo a tirare fuori la carta anche per un caffè… Abbiamo il tardo pomeriggio per farci un’idea del centro di Reykjavik: con i suoi 120mila abitanti non è una metropoli, e quelle che sulla cartina sembrano grandi distanza sono in realtà percorribili a piedi. Ma la città ci sembrerà grandissima quando ci ritorneremo alla fine del nostro viaggio. Le vie centrali si direbbero commerciali: negozi di souvenir, boutiques, ristorantini e caffè che avremo modo di esplorare una settimana dopo. Ma niente shopping mall o catene di fast food 🙂 Siamo stanchi e prima di addormentarci in albergo facciamo solo un breve giro e una cena veloce: il primo impatto con i famigerati prezzi islandesi è abbastanza soft. Grazie, crisi.

* GIORNO ” – Giorno della zuppa d’agnello* Reykjavik – Skógar (con visita al Circolo d’Oro: Þingvellir, Geysir, Gullfoss) Con Reykjavik ingrigita dalle nubi come nel giorno precedente, ritiriamo la Toyota Yaris che ci servirà fedelmente per sette giorni: ha qualche ammaccatura e 38mila chilometri sul groppone. Noi la restituiremo con una bella strisciata da portiera aperta distrattamente (non colpa nostra), il parabrezza scheggiato da un sasso, le gomme probabilmente da cambiare e 2233 chilometri in più nel conteggio. Un mezzo agile e solido messo alla prova dagli sterrati – inevitabili, anche sulla “Ring Road” che è la principale strada di collegamento islandese – con un unico difetto: cambio automatico particolarmente esasperante che ci costringe ad arrancare in salita tipo a cinquanta all’ora, in quinta. Evabè. 60 euro di assicurazione aggiuntiva contro bozzi vari: worth it. Sappiatelo. Dopo una cinquantina di chilometri che sono quasi di *niente* (nel senso di presenze umane fisse) arriviamo a Þingvellir. Qui facciamo conoscenza in un colpo solo con alcune delle peculiarità dell’Islanda: – le strane lettere derivanti dall’alfabeto runico: la Þ (pronuncia “th” come in “think”) e la ð (pronuncia “th” più dura, come in “that”); – i repentini cambiamenti climatici: le nubi sono sparite quasi di botto – le forze della terra Þingvellir infatti è il luogo dove chiaramente si vedono gli effetti dell’allontanamento delle placche continentali, americana ed eurasiatica, perché si trova proprio sopra la dorsale medioatlantica. In sostanza, si vedono diverse faglie, e la principale lì prende la forma di un vero e proprio canyon; infatti i turisti ci camminano dentro. Il tutto è immerso fra pascoli e fiumi, e si trova sulle rive di un lago: un posto che deve essere parso molto bello e scenografico anche ai primi islandesi, che nel 930 vi fondarono il loro parlamento – uno dei primi del mondo – e vi celebrarono tutte le occasioni storiche più importanti. Tutte queste cose fanno di Þingvellir un monumento nazionale, un sito patrimonio dell’Unesco, e una delle mete turistiche più affollate dell’Islanda: ma ci accorgiamo con piacere che la parola “affollato”, in questo Paese, identifica un concetto molto relativo. Anche la zona che visitiamo dopo Þingvellir è, per gli standard del luogo, molto turistica: Geysir, Gullfoss e le valli circostanti sono punteggiate di fattorie e piccoli “cottages” di legno che sono le case-vacanza degli islandesi. Geysir è appunto Il Geyser, per antonomasia, e per estensione una zona di geyser e attività geotermale. Però il Geysir “original” non erutta più, se ho ben capito, dagli anni ’50, anche perché la gente ci buttava dentro pietre per “stimolarlo” (questo ho letto sulla Lonely Planet…). In compenso vicino c’è Strokkur – i geyser hanno un nome, come i cani 🙂 – che erutta ogni 4-7 minuti. No, non sono stata capace di immortalare come volevo il momento in cui l’acqua si gonfia, prima di alzarsi per una ventina di metri: sono stata troppo pigra per reggere la macchina fotografica in attesa del momento, però ho visto gente mummificata per minuti nel tentativo… Saranno stati premiati, provate a fare un giro in google immagini. Terza tappa di quello che chiamano “Circolo d’Oro” è la cascata di Gullfoss: due salti che finiscono in una specie di canyon, davvero imponente. Al vicino caffè ci rifocilliamo con un’ottima zuppa di agnello e verdure: d’ora in poi l’andazzo sarà di una zuppa al giorno. Il primo italiano che dice che in Islanda (o all’estero) si mangia male perché non c’è la pasta della mamma, lo meno. In Islanda si mangia quello che mangiano gli islandesi, ed è buonissimo. Magari non fa testo lo squalo putrefatto, ecco. Poi ci muoviamo verso il prossimo albergo e verso le nubi: la nostra destinazione, Skógar, ci porta nel sud-est dell’Islanda, dove i ghiacciai si incontrano col mare. Noi vedremo poco a causa del brutto tempo, ma prima che venga ora di riposarsi ci godiamo la vicinissima cascata di Skógafoss. Purtroppo non ho fatto foto (perché? mah), e le nuvole bassissime rendevano il panorama un po’ meno da cartolina, ma Skógar mi ha impressionata, e non so come mai. Forse perché la cascata era giusto dietro l’albergo, perché nel silenzio se ne sentiva il rumore, perché la gente in giro era pochissima e il luogo una specie di sottile pianura stretta fra il mare e il gradone roccioso, tutto verde, sopra il quale bisognava immaginare i ghiacciai. Il secondo giorno di vacanza è bastato a staccarci definitivamente da casa e a immergerci nell’Islanda che sognavamo.

* GIORNO 3 – Giorno della zuppa d’aragosta* Skógar – Höfn (con tappe al parco di Skaftafell e alla Jökulsárlón) Eravamo andati a letto dentro una nuvola, e ci siamo svegliati allo stesso modo: immersi nel grigio. Sarà l’unico giorno della vacanza dal tempo veramente inclemente. La mattinata trascorre guidando fra paesaggi di cui non riusciamo a capire i confini, pianure di lava formate dai corsi d’acqua che colano dai ghiacciai che non vediamo, ma che ci sovrastano. Sono tutte propaggini del Vatnajökull, il più grande ghiacciaio d’Europa. Sotto questi ghiacciai ci sono vulcani attivi che ogni tanto provocano ulteriori sconquassi: gli islandesi chiamano jökulhlaup le disastrose alluvioni che seguono le eruzioni (l’ultima della zona è stata nel 1996), e noi passiamo effettivamente in luoghi pieni di strani cumuli di pietre nere ricoperti da spessi strati di quello che sembra muschio. Alla nostra destra, perso nella nebbia, il mare; a sinistra, sopra le nostre teste, gradoni di roccia e lingue di ghiaccio. Verso mezzogiorno, quando arriviamo nel Parco Nazionale di Skaftafell e le nuvole si diradano, riusciamo a vedere il fronte del ghiacciaio Skeiðarárjökull che scende fra le cime. La nostra meta, raggiunta dopo forse mezz’ora di sentiero, è Svartifoss, la cascata che fa il suo salto in un anfiteatro di colonne basaltiche nere. Tanti altri sentieri percorrono il Parco, e verrebbe voglia di fermarsi più giorni ad esplorare questo luogo fuori dal mondo, magari attendendo il bel tempo. Ma noi abbiamo ancora tanti chilometri da fare oggi, e ripartiamo. La nebbia nasconde talmente il paesaggio che solo all’ultimo mi accorgo che è ora di fermarci a Jökulsárlón: una laguna dove il Breiðamerkurjökull va a frantumarsi in mille iceberg. Ho tentato due foto che credo diano l’idea del freddo barbino e dell’atmosfera che c’era, ma sicuramente il posto dà il meglio di sé nelle rare giornate di sole: un giro su Flickr a vedere di cosa si tratta è davvero consigliato. Provata dal freddo, temo che non potrò godermi la cena, ma per fortuna mi sbaglio: a Höfn – il paesino vicino al nostro albergo, dove vediamo indomiti ragazzini divertirsi sugli scivoli della piscina all’aperto mentre noi in giaccavento battiamo i denti – ci rifugiamo al Kaffi Hornið, caldo locale rivestito di legno dove faccio la conoscenza dell’aragosta, in forma di zuppa. Non me la dimenticherò mai 🙂 Segue un bel piatto di agnello e decido definitivamente che la cucina islandese fa per me. Höfn tra l’altro ospita a settembre anche un “festival dell’aragosta” che promette molto bene: un motivo in più per tornare in questa cittadina che con i suoi 2000-e-qualcosa abitanti è praticamente la metropoli dell’Islanda del sud-est. E dopo l’aragosta, riscaldati e satolli, possiamo andare a dormire sperando che durante la notte le nubi scompaiano.

* GIORNO 3 – Giorno della zuppa di verdura I* Höfn – Neskaupstaður (con visita a Seyðisfjörður) Ci svegliamo e le nuvole sono ancora lì. Facciamo colazione in albergo con marmellata e cialde fatte da noi (a disposizione per tutti c’erano la pastella e la piastra! yum! amo gli islandesi) e le nuvole sono ancora lì. Ci mettiamo in macchina e le nuvole sono ancora lì, basse e incombenti, quasi una nebbia della valpadana, che ci impedisce di vedere le cime e i fiordi che caratterizzano la strada di oggi. Siccome le nuvole non sono divertenti, passo a un argomento importantissimo che mi accorgo di avere finora tralasciato: non ho ancora parlato delle pecore, vere signore e padrone dell’Islanda. Questi animali, qui particolarmente lanosi e boccolosi, sono la presenza più incombente del nostro viaggio. Queste pecore non possono lasciare indifferente alcun viaggiatore: loro ci sono sempre, ovunque e in posti inspiegabili. Il punto è che si trovano in qualsiasi luogo dove ci sia dell’erba da mangiare: e se quest’erba è una piazzola di dieci metri quadrati circondata da chilometri e chilometri di pietre, ghiaccio, lava o deserto, loro sono lì. E sono in tre. Le pecore si muovono, dormono, mangiano in gruppi di tre. Lontane chilometri da qualsiasi fattoria, ed essendo animali visibilmente lenti, dove passano la notte? All’addiaccio? E come fanno a tornare alla fattoria per essere tosate e fornire i famosi maglioni islandesi? Chi le recupera, e come? Ma soprattutto: come possono aver raggiunto da sole cime, passi, costoni così improbabili? Siamo arrivati a immaginare aerei che spargono pecore (imballate tre a tre) e a ipotizzare che siano dei robot che controllano il territorio. Ma torniamo a noi. Dopo questa digressione siamo ormai a mezzogiorno e finalmente, finalmente dopo una mattinata di lieve depressione comincia a fare capolino il sole! Ci siamo persi qualche fiordo interessante, e quando le nuvole si diradano è tempo di deviare all’interno su una lunga strada sterrata che ci porta Egilsstaðir, la città più importante della regione: non è una meta particolarmente turistica, ma è lo snodo stradale da cui si raggiungono i fiordi orientali e il nord del Paese. Cerchiamo di capire se è stata ultimata e dove si trova la diga di Kárahnjúkar, protagonista di uno dei progetti più controversi che abbiano mai interessato l’Islanda: semplificando molto, una “grande opera” che da una parte permetterebbe un minimo (per gli standard a cui siamo abituati noi) di industrializzazione nella regione, fermandone così lo spopolamento, ma dall’altra comporterebbe una devastazione ambientale che è una novità totale in Islanda. Per andare oltre la mia semplificazione, c’è un documentario italiano che mi piacerebbe vedere, e qui ne parlano gli autori: http://www.90est.it/karahnjukar.html Passando velocemente sulla Ring Road non vediamo segni della diga, e dopo una sosta a Egilsstaðir prendiamo una strada meravigliosa che si inerpica velocemente su per un passo e ridiscende fra prati e cascate verso il fiordo dove si trova Seyðisfjörður. La guida ci aveva tentati parlando di un piacevole villaggio dall’aria bohemien, e così è: soprattutto col sole caldo e l’aria limpida del primo pomeriggio estivo, Seyðisfjörður è un paesino colorato e raccolto dove si concentrano piccoli caffè, musei, atelier di artisti, botteghe di artigiani e un microcinema. Seyðisfjörður è anche il porto d’arrivo del traghetto della Smyril Line che fa la spola fra Norvegia, Danimarca, Isole Faroe, Scozia e Islanda, perciò è una cittadina sicuramente animata per gli standard della zona. A noi è piaciuto rilassarci crogiolarci al sole e rilassarci ai tavoli all’aperto del caffè dell’Hotel Aldan, un vero gioiellino immacolato dall’arredamento vintage, in compagnia di un tè e di una fetta di torta. Poco più in là, sul set di un video non meglio identificato, gente vestita strana inscenava una bizzarra festa di compleanno… Poi, dopo una quarantina di chilometri e un paio di fiordi, ci spostiamo a Neskaupstaður, altro porto immerso in un paesaggio da sogno. Fra le cose degne di nota: lungo la strada, la fonderia di alluminio dell’Alcoa che viene alimentata dalla summenzionata diga ed effettivamente ha fatto raddoppiare la popolazione della regione e incombe sul fiordo; una galleria a senso unico metà in salita e metà in discesa per arrivare a Neskaupstaður; i gusti metal-tamarri della popolazione locale, a giudicare dai prodotti offerti dal negozio di cd e strumenti musicali e dai macchinoni personalizzati che girano. Gente che mi sta simpatica. Finiamo la serata con una zuppa di verdure (saporita! ma che spezie ci mettono, così buone?) e ritirandoci nella nostra stanza vista fiordo.

* GIORNO 5 – Giorno della zuppa di verdure II* Neskaupstaður – Akureyri (con sosta Námaskarð, Dimmuborgir e alle terme del lago Mývatn) Quinto giorno in Islanda, e oramai siamo a metà vacanza. La tappa di oggi è molto lunga: da Neskaupstaður dobbiamo arrivare ad Akureyri, e sono più di 300km. Dobbiamo anche fare una tirata di 200km prima di arrivare nel luogo in cui abbiamo deciso di spendere la maggior parte del tempo, e cioè la zona del lago Mývatn, talmente piena di cose da vedere che ci si potrebbe passare una settimana. Il “lago dei moscerini” (questo il significato del suo nome) di per sé è un paradiso del birdwatching, e per di più si trova in una zona di intensa attività vulcanica, proprio sopra la dorsale medio-atlantica. Questo significa che le forze della terra (che qui è terra giovanissima) qui hanno formato cose strabilianti quali il lago stesso, montagne, vulcani dormienti o attivi, pseudocrateri che sembrano delle bolle pietrificate quando sul punto di scoppiare, fantastiche cattedrali di lava, fumarole, solfatare, pozze di fango ribollente, azzurrissime piscine termali. Insomma, alcune delle caratteristiche più spettacolari dell’Islanda concentrate in pochi chilometri. Per la prima volta ci allontaniamo dal mare e attraversiamo prima verdi pascoli e poi altopiani desertici; poi finalmente la nostra meta si preannuncia con un vasto campo pietroso da cui vediamo uscire sbuffi di vapore. Parcheggiamo lungo la strada e scopriamo che siamo arrivati all’area geotermale di Hverir, vicino al passo di Námaskarð: la leggenda dice che questa sia la cucina del diavolo, e non è difficile capire perché. I fianchi delle montagne fumano, il suolo diventa rosso e poi giallo, e infine si aprono pozze di roccia fusa grigio-azzurra che ribolle ed emana vapori sulfurei. Alcune fumarole fischiano come enormi bollitori e l’aria è calda e sa di uova marce. Sicuramente uno dei posti più spettacolari e unici che abbia mai visto. Oltre il passo, si scende subito al lago e al piccolo villaggio di Reykjahlid, e a pochi chilometri c’è un’altra popolarissima meta del turismo islandese: Dimmuborgir (la “fortezza oscura”) è un altro prodotto della millenaria attività vulcanica del luogo. Si tratta di formazioni di lava nera, guglie, archi e pinnacoli circondati da una vegetazione di betulle nane. Un vero labirinto in cui si dipanano tantissimi sentieri che sarebbe bello esplorare per giorni… Magari in tranquillità, visto che i percorsi più battuti sono meta della maggiore concentrazione di turisti che abbiamo visto finora. La giornata è bellissima, anche perché siamo un una delle località d’Islanda più riparate dalle nubi e dalle pioggie, fermate dai ghiacciai del Sud. La temperatura è mite e noi decidiamo che è l’ideale per un bagno nelle sorgenti calde 🙂 Sìììì! Siccome non avremo tempo per visitare la famosissima Blue Lagoon vicino a Reykjavik, vogliamo goderci il suo omologo in miniatura, ma ugualmente bello e rilassante. Entriamo nelle pozze circondate da rocce nere e fumanti e l’acqua a 38°, opaca e azzurrissima. Volendo si possono anche fare saune, massaggi e trattamenti di bellezza, ma a noi basta sguazzare in questo paradiso per un paio d’ore. Riposati e felici, facciamo gli ultimi 100km verso Akureyri e l’albergo. Passeremo due notti qui. Akureyri è la seconda città d’Islanda e conta ben… Diciassettemila abitanti e rotti. Ma c’è tutto: scuole, università, un giardino botanico, un centro cittadino con negozi e ristoranti. Esploreremo tutto meglio domani pomeriggio; stasera gustiamo un’altra ottima zuppa di verdure e poi, visto il freddo, ci rintaniamo nel caldo Café Paris: fuori blu e rosso, dentro rivestito di legno e pieno di atmosfera, questo locale offre tè, caffè, bevande, pasti leggeri e meravigliosi dolcetti, muffins, torte e biscotti. Decidiamo all’istante che ci torneremo domattina per fare colazione, prima di passare un’altra giornata al lago Mývatn per nuove esplorazioni.

* GIORNO 6 – Giorno della zuppa di frutti di mare* Akureyri (con ritorno al lago Mývatn e visita alla zona del Krafla e alla cascata di Godafoss) Oggi giornata rilassante: ci svegliamo ad Akureyri e ci addormenteremo nello stesso posto, facendo solamente 200km in auto fra andata in tutto. A questo punto del viaggio ci vuole una giornata calma – se così si può definire, dal momento che visiteremo la caldera di un vulcano che potrebbe esploderci sotto i piedi senza preavviso. Ritorniamo infatti nella zona del lago Mývatn: è ancora piena di cose da vedere! Prima però, come promesso, ci concediamo una colazione a base di cappuccino e muffin nell’adorabile Café Paris. Oggi esploreremo il sistema del Krafla: una estesa zona vulcanica di cui il giorno precedente avevamo già visto qualche “effetto speciale”, come i fanghi bollenti e le fumarole di Hverir. Da lì ci addentriamo in un’ampia valle occupata da una centrale a energia geotermale, e subito dopo saliamo su un altopiano che risulta a dir poco tormentato dalle forze della terra: nei secoli ci sono state (e continueranno a esserci) eruzioni su eruzioni, l’ultima delle quali nel settembre del 1984 dopo circa dieci anni di sconquassi vari. Per prima cosa saliamo sul cratere del vulcano Víti, con il suo azzurrissimo lago: sembra che la Lonely Planet consigli di fare il bagno nelle sue acque tiepide – e infatti ho portato il costume – ma non vedo davvero modo di scendere. O meglio, forse si può rotolare giù, ma vedo la risalita alquanto ardua. Zampettando in zona troviamo un piccolo cratere gemello, con laghetto annesso, più accessibile: forse è questo quello a cui si riferisce la guida, ma il sentiero segnato se ne discosta, e visto che in giro ci sono altre zolfatare e zone dove il suolo è mooolto sottile e caldo, decidiamo che non è prudente comunque tentare il bagno. Peccato! La vista che si gode da qui è comunque bellissima, ed esploriamo con lo sguardo la zona che andremo a visitare successivamente: un altro mare di lava che si estende a perdita d’occhio sull’altipiano con lingue nere che – leggeremo poi – si insinuano ancora per 30km a nord, fra valli e ghiacciai. Un luogo che potrebbe ricordare Dimmuborgir, ma che è visibilmente più giovane: arrivandoci, constatiamo che la terra è “appena fatta”, fuoriuscita dalla dorsale medioatlantica in tutta la sua gloria; spaccature nel suolo emettono vapore, e nessun tipo di vegetazione è ancora riuscito ad attecchire. Insomma, visitiamo il luogo di un’eruzione più che recente, un vero inferno di pietre nere e terra rossastra. In tutto ciò scherziamo sul fatto che, almeno qui, non c’è traccia di pecore. Errore! Dovremmo avere imparato a non dubitare mai dei poteri demoniaci delle pecore islandesi, e infatti, su un fazzoletto d’erba circondato da lava e crepacci, ne incontriamo due, che ci lanciano uno sguardo di muto rimprovero per la nostra poca fede. Cerco di immaginare quali cataclismi possano succedere da queste parti: per la mia e la vostra gioia l’ultima eruzione ha potuto essere fotografata e documentata, e in rete si può trovare molta documentazione. Di tutto questo, mi hanno colpito alcune immagini (da questa in poi) su flickr: il fotografo si trovava lì durante una tempesta di neve, quindi – anche se non sono particolarmente spettacolari – sono state scattate in un momento decisamente emblematico di quali sorprese possa riservare l’Islanda. Per pranzo organizziamo un picnic con vista del lago Mývatn, e poi ci avviamo per tornare ad Akureyri in modo da visitarla prima che tutti i negozi chiudano (in Islanda la maggior parte tira giù la saracinesca alle 18.00), perché vogliamo fare alcune spese. Sulla strada del ritorno ci aspetta una sosta a un’altra grande attrattiva della zona, e dell’Islanda intera: la famosa cascata di Goðafoss. “La cascata degli dei” si chiama così perché un importante islandese dal nome e dal ruolo impronunciabili e inscrivibili (vedi voce wiki) intorno all’anno mille vi gettò le statue degli idoli pagani, facendo dell’Islanda una nazione cristiana. Anche questo è un posto spettacolare, e ancora una volta notiamo come molte attrattive incredibili di questo Paese si trovino praticamente a portata di mano (e di auto), sempre: le vedi spuntare da dietro una curva, o svelarsi lentamente nella nebbia, e sono lì nella loro grandezza. Non c’è che da accostare e ammirare. Soddisfatti, torniamo placidamente ad Akureyri, a fare i turisti e a bighellonare fino all’ora di cena. Scegliamo un ristorante e andiamo sul sicuro col menu: zuppa di aragosta e frutti di mare (non eccelsa come la prima che abbiamo gustato, ma comunque ottima) e un piatto di carne e patate. Yum! C’è da segnalare che in questo posto, per la prima volta in Islanda, notiamo che si serve carne di balena. Ebbene sì, qui la mangiano. O meglio, sembra che la mangino in realtà pochi cultori (dicono abbia un gusto particolare, simile a quello del fegato), ma la maggior parte degli islandesi è comunque decisa, per orgoglio nazionale, a difendere la tradizione contro il resto del mondo che vorrebbe bandire la caccia ai cetacei. Se, però, gli islandesi entreranno nell’Unione Europea i cartelli “si serve carne di balena” quasi sicuramente spariranno. Altra nota sulla serata ad Akureyri riguarda il “runtur”. Il runtur sarebbe il pub crawl, la movida di Reykjavik, il saltare di pub in pub, di locale in locale. La versione di Akureyri del runtur – dice la guida – prevede che questo si svolga in macchina, ovvero con i truzzi locali che girano in tondo per le due strade del centro, sfilando sui macchinoni dalle grosse ruote e dal motore rombante che gli islandesi amano tanto. Ora, di auto sbanfone ad Akureyri ne abbiamo viste tante, parcheggiate: si è segnalato solo una specie di runtur solitario di un tizio a bordo di un fuoristrada pimpato, che sfilava mentre altri suoi connazionali, seduti ai tavolini dei bar, sghignazzavano alla grande. E così satolli anche stasera e un po’ più consapevoli che la fine della vacanza è più vicina del suo inizio, ci avviamo a nanna.

* GIORNO 7 – Giorno della zuppa di verdure (l’ultima)* Akureyri – Laugar í Sælingsdal Terzultumo giorno in Islanda: ritorna il maltempo. Ci svegliamo in una Akureyri grigia e umida, e forse questo fa in modo che ci spiaccia un po’ meno, solo un po’ meno, lasciare questa città. I paesaggi di oggi saranno molto più tranquilli di quelli che abbiamo visto nei giorni scorsi: strade che si snodano fra pascoli verdi, fiordi ampi e tranquilli, piccoli porti sonnacchiosi sul mare. Una zona che meno spettacolare rispetto ad altre, ma che ha parecchio da dire per quanto riguarda la storia d’Islanda: questa cartina ha segnate parecchie chicche interessanti sull’argomento. L’attrazione della mattinata sono le case di torba del piccolo agglomerato di Glaumbær: una fattoria distesa in una placida vallata, con il piccolo cimitero, la chiesetta di legno, e le costruzioni ricoperte d’erba. L’insediamento è lì dal 900 (sì, non 1900), le costruzioni hanno raggiunto l’aspetto attuale nel 1700, e fino agli inizi del XX secolo nell’Islanda rurale le case di torba sono rimaste una cosa comune. Sono casette basse e buie, e le piccole finestre, col tempo che c’è stamattina, lasciano passare ben poca luce. Con questo clima malinconico abbiamo proprio voglia di rintanarci da qualche parte a sorseggiare qualcosa di caldo, e accanto alle case e al punto informazioni c’è un piccolo caffè che alle nove del mattino ha appena aperto: è l’Askaffi, e chi visita questo luogo non deve perderselo. L’Askaffi è delizioso, arredato in uno stile tradizionale che nulla ha di falso. Mobili di legno, foto d’epoca, pizzi e porcellane danno carattere alle stanzette con i tavolini e alla cucina d’altri tempi, mentre adorabili ragazze in gonnellona nera vi riforniscono di zollette di zucchero. D’atmosfera, decisamente, ma con molta semplicità. Proseguiamo per la strada cercando di lasciarci alle spalle il maltempo, ma sarà un’impresa piuttosto lunga e lenta: attraversiamo fiumi famosi per la pesca al salmone, costeggiamo litorali dove dimorano le foche e visitiamo sonnacchiosi villaggi di pescatori dai nomi come Sauðárkrókur, Blönduós, Hvammstangi e Laugarbakki. Questa è anche la terra dove sono ambientate le più importanti saghe islandesi, che la gente qui sa a memoria. E noi attraversiamo questo territorio, alle porte dei selvaggi fiordi occidentali (che non visiteremo *sigh*) facendoci un bello sterrato fangoso che imbratta per bene la nostra auto. Oh yeah. Anche se a metà pomeriggio è spuntato finalmente il sole, noi abbiamo addosso una certa malinconia dopo tutto il grigiore accumulato. Non siamo in vena di grandi esplorazioni, e una volta lasciati i bagagli nel nostro albergo di Laugar í Sælingsdal, effettivamente lontano da qualsiasi altro insediamento umano, ci dedichiamo a una breve passeggiata nei dintorni, fra i mirtilli, e a qualche partita a biliardo nella sala comune. Sono una sega, ma è divertente. Visto che non c’è tanto altro da dire, due parole utili per i futuri viaggiatori riguardo i nostri alloggi: gli Hotel Edda, una catena di hotel estivi organizzati in scuole e convitti islandesi. Sono puliti, abbastanza a buon mercato, essenziali e vicini ai luoghi più turistici. Si mangia bene (a proposito, ancora zuppa di verdure e agnello, a questo giro, gustoso come sempre). Sono tutti gentili. Pernottare agli Edda è anche un modo carino per venire minimamente a contatto con la vita che fanno i ragazzini islandesi: in un Paese così grande e scarsamente popolato non possono certo pensare di avere una scuola superiore in ogni villaggio, e così gli istituti sono attrezzati per ospitare chi ha la famiglia lontano. Ci sono mense, attrezzature sportive, piscine (naturalmente calde!) e sale comuni, e si fanno anche un sacco di attività – a giudicare dalle foto di classe appese nei corridoi. Guardare queste foto è il nostro passatempo della serata, insieme al biliardo; e quando la notte, molto tardi, si fa finalmente buia ci addormentiamo, ignari delle presenze minacciose che nell’oscurità stanno per venire a farci visita sotto le nostre finestre…

* GIORNO 8 – Giorno della zuppa cinese* Laugar í Sælingsdal – Reykjavik (con visita alla Penisola di Snæfellsnes) L’ho tirata in lungo con questo post. Perché è dedicato a una giornata lunga e piena, ma anche perché volevo portarmi dietro ancora un po’ i ricordi islandesi. All’ottavo giorno la vacanza sta per finire: rientriamo a Reykjavik, dobbiamo cercare di consegnare l’auto entro le sei del pomeriggio. In mezzo, un bel po’ di chilometri: la giornata è meravigliosa, quindi decidiamo di dedicarla a una rapidissima (in confronto a quanto ci sarebbe da vedere) ricognizione della penisola di Snæfellsnes. Troverete su Wikipedia, sulle guide e sugli opuscoli che viene definita “Islanda in miniatura”: 100 chilometri di ghiacciai, spiagge di lava, un paio di vulcani, cascate, colorati villaggi di pescatori, uccelli, balene… Tutto quanto, in chiave raccolta e pittoresca, più che grandiosa. Il risveglio è clamoroso: scostiamo le tende e troviamo tre pecore in agguato oltre il parcheggio dell’hotel. Devono aver tramato qualcosa di pauroso contro di noi nottetempo, dal momento che ne troviamo tracce fin sotto la finestra. Poi forse, come i vampiri, sono state se non distrutte rese più miti dalla luce del sole, e ora fingono di pascolare poco lontano. Baldanzosa mi lancio nell’aria frizzante armata di macchina fotografica, ma il loro sguardo di ovini disturbati da presenze inopportune mi fa capire che non posso spingermi troppo in là con l’inseguimento. Dopo l’incontro ravvicinato, non perdiamo tempo a saltare in macchina verso la penisola: dopo una trentina di chilometri di sterrato eccoci a Stykkishólmur, col suo porto variopinto. “Baciato dal sole”, si direbbe, troppo bello. Andando avanti nell’esplorare la penisola, incontriamo le uniche nuvole della giornata: siamo arrivati praticamente alla punta estrema, che in questo grigiore ci sembra un luogo un po’ inospitale. Eppure è abitata da tempi antichissimi: ci sono resti degli insediamenti dei monaci irlandesi – che, bisogna dirlo, notoriamente eleggevano a dimora dei posticini leggermente difficili. A fare un po’ impressione sono anche i vari scheletri di balena sparsi in giro: un cranio di questi fa anche da architrave a un antichissimo pozzo. A sovrastarci, il ghiacciao Snæfellsjökull, sotto il quale dorme, come da copione, un simpatico vulcano. Verne ci ambientò l’ingresso del passaggio verso il centro della terra, mentre alcuni credono che la zona sia piena di strane energie e che ci atterrino delle navicelle spaziali. La cosa più strana della zona, comunque, è un enorme, altissimo radar americano costruito non so per quali scopi. Tornando indietro, e poi costeggiando il lato sud della penisola per avvicinarci a Reykjavik, nel lungo viaggio valichiamo passi, attraversiamo campi di lava e praterie, avvistiamo spiagge sabbiose. Ritorna il sole, ed è forte e caldo, decisamente da maglietta. Questo sole, avremo modo di constatare per tutto il pomeriggio e anche a Reykjavik, elettrizza particolarmente gli islandesi. Diventa automaticamente giorno di grandi pulizie e di lavori all’aperto: taglio dell’erba, cura delle aiuole, pittura di muri e steccati, dappertutto, olè. Sì, Reykjavik: il momento in cui, a qualche minuto ancora dalla città, incontriamo il punto in cui, una settimana prima, avevamo deviato per Þingvellir, è un momento solenne. Si chiude il cerchio lungo 2233 chilometri che ci ha fatto scoprire un Paese che ha superato tutte le nostre aspettative (che pure erano alte!) in quanto a bellezza e grandiosità. Ma non c’è tempo per versare la lacrimuccia: una bella pacca sulla nostra Toyota Yaris, lenta ma solida, e il tempo di lasciare i bagagli in una stratosferica – per i nostri standard – camera dell’Hotel Hilton (compresa nel pacchetto, wow). Poi è tempo di godersi un po’ la capitale e di cercare un posto per la cena. Il posto ideale dove tirare il tardo pomeriggio è 12 Tónar. Il negozio di dischi de-fi-ni-ti-vo. Cosa succede in questo posto, e quale musica ci si può scoprire, l’ha già raccontato Lui. I divani, i libri, gli album da ascoltare liberamente e l’espresso offerto dall’adorabile proprietario mi riconciliano con l’acquisto dei cd. Me ne torno a casa con alcuni dei brani che avete trovato in fondo ai miei post. Rimaniamo solo una mezz’ora prima che chiuda, ma è solo un assaggio: domani si replica. Poi bighelloniamo in cerca di un posto dove cenare. Che zuppa scegliamo stasera? Decidiamo di provare un ristorante cinese, curiosi di sapere se e come cambia, all’estero, una cucina che si trova dappertutto anche da noi. Bè, apriamo con una tranquilla zuppa di verdurine e gamberetti per poi dedicarci ad assaggi vari, serviti da gentilissimo personale… Islandese 🙂 Il cielo è ancora chiaro, ma domani sarà una giornata che sarà seguita da una nottata lunghissima e da un’altra giornata più lunga ancora… Quindi ci affrettiamo a goderci la nostra ultima notte in un letto (e che letto) prima della sfacchinata che ci attende nei due giorni successivi. Infilo il mio nuovo cd di Mugison nel mirabolante sistema Tivoli Audio e scatto un’ultima foto al tramonto, con lo Snæfellsjökull visibile lontano lontano, prima di godermi le altre delizie dell’Hilton.

* GIORNO 9 – Giorno della zuppa di carote e curry, e della partenza* Reykjavik Il nostro ultimo risveglio in Islanda. Toccheremo nuovamente un letto più o meno 36 ore dopo. La giornata, nuvolosa e non proprio calda, è dedicata a Reykjavik e a un po’ di shopping. In realtà non riesco a decidermi a comprare uno dei celebri maglioni islandesi, temo a) che qui a casa non lo metterò mai, b) che acquistarlo in centro a Reykjavik sia una discreta sòla. Avrei dovuto pensarci all’inizio del viaggio, magari cercando qualche negozio anonimo, “per islandesi”, lungo la strada. Perché comunque, il famoso maglione, gli islandesi lo indossano, e molto spesso: non è un’invenzione per turisti. Per il resto, la moda locale prescrive di indossare diversi strati di indumenti presi a caso dall’armadio, accostati in modo bizzarro. Per le ragazze, imperano i fuseaux (morire se li chiamo leggings, quei cosi) sotto la gonna. Insomma, fare un giro nel centro di Reykjavik fra i gggiovani modaioli è un po’ come passare una serata al Magnolia, levando però certe menosità e pseudo-ricercatezze e aggiungendo i maglioni di lana. Visto che dovremo passare la notte in aeroporto per prendere l’aereo prestissimo al mattino, abbiamo bisogno di tanto kaffi, cioè caffè: e Reykjavik non si fa certo pregare. Ci sono locali a ogni angolo, uno più rilassante e più strano dell’altro. C’è il caffè di Eymundsson, che è una bella catena di librerie, dove bere qualcosa in mezzo ai libri. Turistico forse, ma avercene. C’è il caffè che non ha una sedia o un tavolo uguale all’altro, dove in un angolo una band si attrezza per suonare. C’è il caffè-libreria di un appassionato di libri di religione, un tizio adorabilmente gentile che ci porta il tè dentro due tazze con scritto “speranza” e “gioia”. C’è anche l’espresso di 12 Tónar, di nuovo: non potevamo non fare un secondo giro, stavolta piazzandoci nel seminterrato, dove a disposizione ci sono anche giradischi e vinili. Tutti questi posti hanno in comune: gentilezza del personale, nessuno che rompe, sedute comode, prese per i propri laptop. Ci si può stare, per i fatti propri, un pomeriggio intero. Perché da noi tutto questo non esiste? E non è che bisogna per forza invocare Starbucks. La zuppa del giorno stavolta è per pranzo: carote e curry + pane e burro, una goduria per poche corone. Il resto della giornata trascorre appunto tra caffè, negozietti, 12 Tónar, la biblioteca con il suo museo di fotografia (una mostra sulle foto pubblicitarie islandesi degli anni ’60, più una collezione permanente di foto d’epoca sulla capitale e sul Paese), librerie di ogni genere, musicisti che girano strani video per strada. Il tempo è un po’ grigio, e penso che forse aiuterà a partire con meno magone. Ma mi sbaglio. Il viaggio in taxi verso l’aeroporto riattraversa il paesaggio nero e lunare dell’andata, mentre il sole tramonta sul mare e da lontano si vedono gli sbuffi di vapore della Laguna Blu. Non. Voglio. Andare. Via. 🙁

* POST SCRIPTUM: GIORNO 10 – In giro per aeroporti* Reykjavik – Copenaghen – Milano A causa del volo alle 7 del mattino, con check-in alle 5, decidiamo che è inutile e antieconomico prendere una camera d’albergo per poche ore: dormiremo in aeroporto. Dormire – bè, passare la notte – all’aeroporto di Keflavik è possibile, anche se tutti gli uffici di informazioni turistiche ci avevano detto il contrario, e l’aeroporto stesso è pieno di cartelli che vietano ai passeggeri dei voli del mattino di sostare in aeroporto di notte. Noi abbiamo sfidato la sorte (e non eravamo gli unici) e nessuno del personale dell’aeroporto ha nemmeno fatto finta di disturbarci… Ci siamo sistemati nell’area partenze il più comodamente possibile (con scarsi risultati… I sedili sono scomodi!) e abbiamo atteso che si aprisse il check-in senza incidenti. Ci sono toilettes ampie e pulite e non troppo lontano dall’area partenze c’è quella degli arrivi, con atterraggi per tutta la notte e quindi frequentata, e con un minimarket aperto per poter prendere qualche snack e qualche bevanda. Certo la notte insonne ci ha devastati per benino, e nel pomeriggio a Copenaghen fra un volo e l’altro sembravamo due zombies, ma tutto è andato bene 🙂 Sul mio blog potete trovare lo stesso resconto, ma in più ci sono link, foto e qualche suggerimento musicale 🙂 http://strawberryfields.iobloggo.com



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