Viaggio in Persia: Islam, il deserto, la gente

Quindici giorni per esplorare l'Iran più conosciuto dai viaggiatori e per entrare in contatto con gli iraniani
Scritto da: viaggiatori2000
viaggio in persia: islam, il deserto, la gente
Partenza il: 21/04/2017
Ritorno il: 06/05/2017
Viaggiatori: 4
Spesa: 3000 €
Deciso: quest’anno è Iran. Quindici giorni in primavera. Non d’estate: troppo caldo. Né d’inverno: nevica!

Perché questa scelta? L’Iran è un paese in transizione e il passaggio, il cambiamento attirano l’attenzione, suscitano curiosità. Sta vivendo una certa apertura verso l’esterno, dopo l’accordo sul nucleare. E poi è la culla della civiltà e l’arte persiana è raffinatissima, il punto d’origine dell’arte islamica. Il regime politico e la mancanza di una forte opposizione interna lo rendono un paese “tranquillo”, non rischioso per terrorismo, com’è invece opinione comune, a meno di non essere smentiti da episodi concreti. Il viaggio ha rappresentato una conferma delle nostre aspettative, che sono state nel contempo ampiamente superate. Perché, se l’arte persiana ci ha catturati con la sua ricchezza affascinante, il deserto, i villaggi con le costruzioni in adobe, i sistemi raffinati per assicurarsi il rifornimento d’acqua sono stati una vera sorpresa, una variazione inaspettata. E, sopra a tutto, gli iraniani, con la loro gentilezza, disponibilità, amichevolezza… La preparazione del viaggio è stata lunga. Un biglietto aereo acquistato sei mesi prima della partenza. I contatti con l’agenzia locale per l’organizzazione. La ricerca di qualche libro che potesse inquadrare il paese dal punto di vista artistico, storico, politico.

L’ITINERARIO

Abbiamo seguito il classico itinerario di chi visita il paese per la prima volta, decidendo le tappe con Mustafa e Fatima, che gestiscono l’agenzia locale di cui ci siamo avvalsi: Iran free tours. Il contatto è avvenuto via mail, con diversi scambi fino ad arrivare all’itinerario definitivo. Sono stati precisi, attenti alle nostre esigenze, professionali; ci hanno inviato la documentazione per ottenere il visto, hanno effettuato per noi tutte le prenotazioni alberghiere, hanno organizzato i trasporti (auto con autista e due voli interni), ci hanno procurato le guide nelle principali città. Durante il viaggio siamo rimasti in contatto giornaliero via WhatsApp, per ogni evenienza o solo per dare loro un feedback sulla giornata.

L’itinerario ha toccato le principali città: Tehran, Isfahan, Shiraz e quelle meno note, ma ugualmente interessanti: Kashan, Yazd, Kerman e poi villaggi, fortezze, caravanserragli incontrati lungo le tappe di trasferimento. E il deserto: vicino a Kashan, il Maranjab e più a sud, nella provincia di Kerman, il Kalut.

LE CITTÀ

Tehran è una città non bella, caotica, inquinata. Proprio come si vede nei film di Farhadi. Per scoprirla e apprezzarla è probabilmente necessario viverla nella sua quotidianità e non riservarle i tempi contingentati del visitatore. È diventata la capitale dell’Iran solo in tempi relativamente recenti (nel corso del 1800) e quindi non ha monumenti di particolare pregio, se si eccettua il Palazzo Golestan, residenza degli Scià di Persia, ma soffocato da brutte costruzioni sorte intorno, muri scrostati, condizionatori fuori delle finestre. Venendo a tempi più recenti è bella l’architettura del famoso arco Azadi, ormai divenuto simbolo della città, e del ponte pedonale Tabiat che collega due parchi cittadini, scavalcando una strada trafficatissima. La torre Milad che arriva a oltre 250 metri di altezza, permette una vista della città dall’alto, che assume un fascino particolare la sera con le strade illuminate e i nastri di luci delle macchine che scorrono in continuazione. Noi siamo saliti di sera, appunto, e abbiamo cenato al ristorante “ruotante”, piuttosto costoso per gli standard iraniani (circa 39€, compresa la “salita”, che da sola costa circa 9€) e di media qualità per la cucina. Ma la vista di lassù è veramente impagabile!

Isfahan è una perla. La metà del cielo la chiamavano un tempo. La piazza centrale, immensa, con i monumenti più importanti (la Moschea dell’Imam, la Moschea di Lutfallah, il Palazzo di Ali Qipu) che vi si affacciano. Il bazar, che in un intrico di strade coperte porta fino alla Moschea del venerdì, se possibile ancora più bella di quelle della piazza, perché nelle sue diverse componenti testimonia più di 500 anni di arte persiana. Altri importanti palazzi – Palazzo delle 40 Colonne e lo Hasht Behesht (Otto Paradisi) con i loro giardini e le fontane zampillanti. I ponti storici che scavalcano il fiume cittadino: il ponte dei 33 archi e il Khajou Bridge, illuminati la sera e sempre affollati di persone che passeggiano, si incontrano, organizzano un picnic. Una scoperta, consigliataci dalla nostra guida, è il Museo della musica, nel quartiere armeno. È un museo privato che mostra una bella raccolta di strumenti tradizionali. Una visita guidata di alcuni musicisti che lo hanno creato, permette di apprezzarlo e alla fine: un breve concerto di musica tradizionale persiana ha catturato l’attenzione dei visitatori, anche di alcuni bambini che sono rimasti ad ascoltare, attenti, in religioso silenzio!

Shiraz, un’antica origine di cui non rimangono quasi testimonianze: nel ‘700 prima un’alluvione e poi l’invasione di popolazioni afgane distrussero la città, che risorse alla fine del secolo, in epoca Qajar con un’impronta raffinatissima, lievemente decadente, che si ritrova nelle sue bellissime moschee, nei ricchi palazzi con giardini fioriti e fresche fontane. E poi l’amore per la poesia, con i mausolei dei due poeti simbolo del paese, Saadi e Hafez, meta di “pellegrinaggio” culturale, affollati di iraniani di ogni età. A pochi chilometri da Shiraz, imperdibile, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, c’è Persepolis, testimonianza della civiltà persiana e del suo impero risalente al VI secolo a.C.

LA VITA NEL DESERTO

Il paesaggio iraniano ha chiara l’impronta del deserto. Nelle tappe di trasferimento da una città all’altra solo di rado si incontrano zone alberate, prati. In generale è un scenario brullo, sassoso, spazzato dal vento. Ma lungo la nostra strada ci siamo imbattuti in molte cittadine, villaggi che si sono sviluppati nonostante condizioni ambientali che a noi sembrano proibitive. Le costruzioni sono quelle tipiche del deserto in adobe (paglia e fango seccati), di colori più caldi, bruciati, come a Abyaneh, o più chiari, come a Nain, e ai nostri occhi sono veramente attraenti, oggetto di mille fotografie per riprendere ogni angolo, ogni sfumatura di luce. Ma quello che cattura l’attenzione e la curiosità sono i sistemi che i persiani hanno escogitato nei secoli per convivere e prosperare nonostante il clima difficile. L’approvvigionamento idrico era assicurato da tecniche per captare l’acqua dal sottosuolo, raccoglierla nelle cisterne e trasportarla con un sistema di condutture sotterranee, i qanot, con manufatti che ancora oggi sono ben mantenuti, anche se non più in uso. La presenza costante di vento era sfruttata con le cosiddette Torri del vento che ancora svettano numerose a Yazd, a Kashan, a Kerman e che riuscivano a rinfrescare l’aria delle case o l’acqua delle cisterne. La neve che in inverno cade abbondante era conservata nelle “Case del ghiaccio”. La capacità tecnica di sfruttare questi elementi ha consentito anche lo sviluppo di un’agricoltura importante e l’insediamento di bellissimi giardini, nonostante condizioni climatiche sfavorevoli. Uno per tutti quello di Mahan, vicino la cittadella di Rayen (Arg-e-Rayen), lungo la strada che dal deserto del Kalut porta a Kerman. Yazd, Kashan, Kerman sono città che si sono sviluppate nel deserto e che oggi si affacciano alla modernità. Yazd e Kashan hanno un bellissimo centro storico ben preservato e moschee, palazzi, hammam da visitare. Notevole il bazar di Kerman e anche quello di Kashan. Nel nostro viaggio itinerante, lungo il tragitto tra Isfahan e Yazd, abbiamo visitato la moschea di Nain, Meybod, con la fortezza che domina la città, Karanagh con un centro storico ormai abbandonato, ma in ristrutturazione, set di riprese fotografiche e, vicino a Kerman, la cittadella fortificata di Rayen, considerata una “piccola Bam”, troppo lontana, quest’ultima, per i tempi del nostro itinerario. Due escursioni nel deserto. La prima nel deserto del Maranjab, vicino a Kashan, dove convivono il deserto di sale e quello tipico con le dune. L’escursione è stata funestata da una tempesta di sabbia che, fortunatamente, ci ha sorpresi durante un tragitto in 4X4 e ci ha bloccati per una buona mezz’ora accanto a un caravanserraglio. La seconda nel deserto del Kalut a sud, vicino Kerman, un deserto di sabbia e formazioni rocciose modellate dal vento, piuttosto affascinanti, anche se il sole del tramonto è stato nascosto da uno spesso strato di foschia.

I BAZAR

I bazar sono belli, colorati, affollati. In qualunque città. Costituiscono microcosmi socio-economici paralleli rispetto a quelli ufficiali con proprie regole e istituzioni, abbiamo letto. All’occhio del viaggiatore si presentano come un labirinto di stradine coperte per consentire i commerci nelle lunghe e calde estati e nei rigidi inverni. E sono autentici. Sì, qualche negozio è più chiaramente indirizzato al turista, ma per il resto: spezie, tessuti, abiti sono chiaramente destinati agli iraniani. E nei bazar è possibile incontrare artigiani al lavoro e una sala da tè, dove gli iraniani bevono tè in continuazione, dolcissimo!

GLI IRANIANI

In occidente tendiamo ad accomunare i paesi islamici genericamente come arabi. Ma gli iraniani non sono arabi e fanno rilevare questa differenza con grande fermezza. L’esperienza che abbiamo avuto nel nostro viaggio ha confermato una distanza ben percepibile dell’Iran dal mondo arabo, che non è solo nella differente visione dell’Islam – gli iraniani sono sciti, mentre la maggior parte degli arabi sono sunniti. Il modo di porsi, di atteggiarsi delle persone, soprattutto dei giovani che abbiamo incontrato nelle città, è aperto e vivace. Le ragazze studiano, anche se le scuole, tranne la materna e l’università, sono separate da quelle dei ragazzi. Le donne portano il velo, tutte (è richiesto anche alle turiste e noi ci siamo adeguate) e dagli otto anni di età, ma nelle città copre solo in parte il capo e lascia intravvedere capelli curatissimi. Solo le donne più anziane, quelle che vivono in campagna, quelle più religiose indossano il chador, generalmente nero e all’inizio la loro visione è un po’ inquietante ai nostri occhi occidentali. Ma poi l’atteggiamento riesce a sdrammatizzare anche un abbigliamento così serioso. Durante le visite ai monumenti, palazzi, giardini abbiamo incontrato tante scolaresche di ragazze adolescenti che, sotto l’occhio vigile delle insegnanti, chiedevano con un pizzico di allegra impertinenza notizie su di noi, sul nostro paese di origine, sul nostro viaggio, mettendo in pratica l’inglese imparato a scuola. E alla fine volevano fare una foto con noi, attratte moltissimo da occhi chiari e capelli biondi. L’impronta religiosa non ci è sembrata troppo pesante. Le tre preghiere giornaliere sono un appuntamento rituale solo per pochi e, nonostante siano imperanti in tutte le piazze principali delle città le gigantografie di Komeini e Kamenei, ci è sembrato che la loro presenza fosse tutt’al più un monito, non una minaccia. Qualcuno con cui abbiamo parlato ci ha chiaramente e apertamente dichiarato la propria estraneità a ogni appartenenza religiosa. Insomma, gli iraniani sono stati una vera scoperta. Ci avevano raccontato della loro ospitalità, dell’amichevolezza che dimostrano nei confronti del visitatore, della curiosità che esprimono verso l’altro. Di fatto quello che abbiamo sperimentato di persona è qualcosa che non avevamo immaginato. Abbiamo comunicato in inglese che è una lingua abbastanza diffusa, ormai obbligatoria a scuola. Ma anche con chi non lo parlava siamo riusciti a stabilire un contatto. Le guide, gli autisti che ci hanno fatto visitare il paese sono stati amichevoli e gentili, non solo professionali. A Qom siamo stati invitati dall’autista che ci accompagnava e abbiamo pranzato nella sua casa, con la sua famiglia. Siamo stati fermati in strada non solo da ragazzi, ma anche da adulti che ci hanno chiesto del nostro itinerario, dei posti visitati, dandoci qualche consiglio e chiedendoci cosa pensavamo degli iraniani. A volte ci hanno offerto del cibo. In un paio di casi siamo riusciti addirittura a intavolare un discorso “politico”, collegato alle elezioni presidenziali che si sarebbero tenute di lì a poche settimane.

L’ORGANIZZAZIONE

Abbiamo volato da Roma su Tehran con un volo Alitalia diretto, della durata di 4h 40m, al costo di 250 € A/R, avendo acquistato il biglietto con grande anticipo. L’organizzazione dell’intero soggiorno in Iran, tramite Iran free tour (www.iranfreetours.ir), comprendente hotel, guide nella visita delle città, auto con autista, escursioni nel deserto, voli interni Kerman-Shiraz e Shiraz-Tehran ci ha comportato un costo di 1.660 € a persona, pagato in contanti a Kashan, nelle mani di Fatima. Abbiamo pagato separatamente tutti gli ingressi ai monumenti, abbastanza costosi per gli standard iraniani (ma con tariffe differenziate iraniani/stranieri) e i pasti.

La moneta locale è il Rial (1 € valeva circa 40.000 Rials ad aprile 2017) e le banconote sono espresse in Rials, ma spesso i prezzi sono indicati in Toma (1 Toma=10 Rials) e questo porta un po’ di confusione e qualche malinteso. Le carte di credito occidentali non sono accettate, se non per l’acquisto di oggetti particolarmente costosi, quali i tappeti, e in ogni caso le commissioni sono molto elevate.

Per le sistemazioni alberghiere abbiamo scelto, ove possibile, di soggiornare in strutture tradizionali. In mancanza, hotel con standard occidentali, anche se a volte l’arredamento ci ha riportato indietro agli anni ’70. Tra gli hotel tradizionali, cioè ricavati dalla ristrutturazione di case/palazzi d’epoca, segnaliamo il Boutique Hotel Khane Irani a Kashan (www.khane.ir), di grande fascino. Molto gradevole, a Yazd, il Fazeli traditional hotel (www.fazelihotel.com), con un buon ristorante. Gli hotel “occidentali”: a Tehran l’Enghelab hotel (www.enghelab.pih.ir); a Isfahan Hasht Behesht (www.hbahotel.com), molto comodo, a 5 minuti a piedi dalla piazza centrale; a Shiraz il Royal hotel, nuovo, moderno, con un buon servizio, ma del tutto anonimo. Molto apprezzabile il Nebka Ecolodge, in un’oasi nella provincia di Kerman, comodo per l’escursione nel deserto del Kalut, dove abbiamo avuto un’accoglienza amichevole da parte della famiglia che lo gestisce, in una struttura semplice, ma pulita e con un’ottima cucina. Per mangiare, nessun problema di ordine igienico.

La cucina persiana è famosa per essere di buon livello. Noi l’abbiamo trovata un po’ ripetitiva, con una presenza eccessiva di carne. Ci sentiamo di raccomandare a Isfahan lo Jarchibashi Restaurant (www.jarchibashi.com) dove è possibile ordinare diversi assaggi di piatti tradizionali e a Shiraz lo Haft Khan, un complesso situato accanto al Royal hotel, con 5 diversi ristoranti (tradizionale, internazionale, buffet, coffee shop, fast food).

Nella preparazione del viaggio e durante le nostre visite abbiamo consultato la guida della Bradt, in inglese e la Lonely Planet. I libri che ci hanno accompagnato: Viaggio in Persia di Silvia Tenderini e Il grande Iran, di Giuseppe Acconcia, quest’ultimo con un buon excursus dalla storia recente ai fatti politici degli ultimi anni, con un taglio socio-economico. Più letterari i testi di Kader Abdolah, La casa della moschea, Il Re.

Non esitate a contattarmi per altre informazioni.



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