Iran, col vento fra i capelli

Quando un viaggio ti prende a tal punto da non pensare più a quanto hai lasciato, da restare stupito di fronte a tanta magnificenza, da indurti ad amare ogni pietra, ogni leggenda, ogni persona; quando senti di essere “narrazione nella narrazione”, sperando ogni momento nuovi incontri e sollecitazioni che ti aiutino a crescere nella...
Scritto da: frasca giuseppe
iran, col vento fra i capelli
Partenza il: 13/05/2009
Ritorno il: 27/05/2009
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
Quando un viaggio ti prende a tal punto da non pensare più a quanto hai lasciato, da restare stupito di fronte a tanta magnificenza, da indurti ad amare ogni pietra, ogni leggenda, ogni persona; quando senti di essere “narrazione nella narrazione”, sperando ogni momento nuovi incontri e sollecitazioni che ti aiutino a crescere nella conoscenza, allora puoi anche cominciare a sognare di incontrare Sharazad, alla corte del re persiano Shahriyar, ed ascoltare le favole di “mille ed una notte”. Allora vedi immagini e luci, riflesse nei mosaici di specchi, che esaltano e confondono la realtà. Quella di uno stato teocratico e dei pasdaran, che impongono regole ma conservano una purezza di cuore che in occidente abbiamo perduto, in nome della libertà; quella dei “guardiani della rivoluzione”, che intimidiscono già controllando il vestiario femminile, ammonendo a vivere nella legge della sharia. Ascolti rispettoso l’evocazione di un canto di un muhazin che invita alla preghiera all’alba, a mezzogiorno ed al tramonto, mentre ombre nere e silenziose, avvolte nello chador, ti dilaniano il cuore con una rassegnata tristezza; accanto, piccole donne col capo coperto da una hejab ed un destino scritto dalla famiglia. Uomini, sciiti, prostrati in preghiera davanti alla stessa divinità dei loro fratelli-nemici sunniti, pronti a rinnovare i fatti di Kerbela, conservano nel cuore il ricordo dell’ultima guerra contro l’Iraq sunnita, “martiri come candele nell’agorà degli amici”; belli come i guerrieri dell’ “esercito degli immortali” di Persepoli, di Dario e Ciro, ma sottomessi alla volontà dell’ayatollah che tiene lontana la forza malefica del “grande satana”. Non un canto, non un divertimento, non una risata liberatoria; ma una vita per il lavoro, per la famiglia, per Allah. Uomini passati dallo stordimento della rivoluzione alla disperazione della guerra; dal controllo della “savak” dello scià a quello dei pasdaran della rivoluzione; uomini con la speranza che nuove riforme allontanino lo spettro dell’embargo e della guerra, stavolta atomica.

Immagini di un frammento di realtà, percepiti con gli occhi di un turista che vorrebbe ricordare dell’Iran solo le gesta del “re dei re” e le melodiose poesie di Hafez.

Visitiamo la provincia di Kerman, camminando tra muri di paglia e fango della “arg”- cittadella di Rayen; godiamo dei freschi profumi degli improvvisi giardini “paradisi” nel deserto, tra rose e frutti del giardino del principe di Mahan; partecipiamo dell’aurea sacra evocata nel mausoleo di un mistico sufi e percepiamo un dolce benessere nell’hammam-museo di un califfo del XIV sec., degustando i biscotti più buoni del mondo, ”colompè”, ripieni di datteri e pistacchi.

Andando nel deserto di sabbia indurita, verso Yadz, assaggiamo un thè nelle sale di un caravanserraglio e godiamo dell’accoglienza nello stile degli antichi carovanieri.

Nulla potrà farci dimenticare il silenzio mistico che, specie al tramonto, fa rivivere nella memoria i rituali antichi di un funerale zorastriano: torri del silenzio, sulle quali, per non contaminare terra, fuoco e aria, venivano dati in pasto agli avvoltoi i corpi dei defunti. Il fuoco sacro di Zoroastro, alimentato con legno di noce, di mandorlo e di albicocco, continua imperterrito a bruciare da 1515 anni ammonendo a pensare bene, dire bene, fare bene! L’acqua, proveniente dai ghiacciai, continua ancora a scorrere nei millenari ghanat: gallerie scavate in profondità con pozzi d’ispezione, come piccoli crateri, lungo le direttrici nel deserto. Ancora un giovane, accompagnandosi con un grande tamburo, dum, canta le poesie di Hafez e Sa’di, mentre i compagni eseguono movimenti ginnici, approvando con invocazioni ad Allah. Ancora ricordano il giorno di Ashura, conducendo per le vie un “nakhl”, simbolico sarcofago, ricoperto di tappeti verdi e fiori, per non dimenticare il martirio di Hussein.

A Pasargade, accanto ad una tomba semplice ma maestosa, un’epigrafe ammonisce a non invidiare la terra che ricopre il grande Ciro, re degli Acmenidi ma uomo mortale come tutti.

A Persepoli, un tripudio di grandi spazi per celebrare il trionfo di un re e della bella stagione: il caldo leone che azzanna, per scacciarlo, un toro ricco di umori freddi; una scalinata ricca di bassorilievi simbolici e storici che fanno rivivere popoli sottomessi, l’esercito degli immortali, girasoli con petali come i mesi, palme come augurio di abbondanza; le tombe assolate di Artaserse I e II. Poco più avanti, bassorilievi sassanidi di Schapur che sottomette Valeriano, ed ancora le tombe di Serse e Dario.

A Shiraz, nella tomba del fratello dell’VIII Iman, un inaspettato luccichio, riflesso da mosaici di specchi ed invisibili crocchi di donne, fantasmi neri. Intorno alla tomba di Hafez, un’aria di misticismo per la gente che ancora, dopo tanti secoli, chiede una risposta ai problemi della propria vita, aprendo a caso il suo libro di poesie.

A Isfahan, l’incanto della piazza, della moschea Jameh con grandi iwan colore del cielo e il brulichio di un bazar chilometrico.

A Teheran musei di tappeti, vetri e gioielli ed un palazzo reale immerso nel verde metropolitano.

Ma la magia di questi luoghi non è scritta nella guida turistica. La cogli nello sguardo spaurito dei bambini, nel sorriso fiducioso delle giovani donne, nel volto triste delle donne invecchiate precocemente per la morte dei figli in guerra, nel duro lavoro di un fabbro. La magia l’ha svelata l’allegro sorriso di Soheila, di viaggio in Iran, la nostra guida, e di Sciabab, il nostro autista, che ci sorprendono con inaspettati picnic sui giardini fioriti; con la proposta di soggiorno in un caravanserraglio nel deserto di sabbia compatta e pietre, oggi albergo a 5 stelle; con un impensabile blitz-partecipativo ad un comizio del candidato presidenziale Moussavì, in veste di delegazione diplomatica; con uno chador svolazzante per meglio mimetizzarsi tra le donne della rilucente moschea di Qom, sino alla tomba della sorella dell’ottavo Iman; con una calda accoglienza, nella propria casa di Teheran, tra frutta e dolcini. E’ quello che non ti aspetti di trovare e che ti stupisce come un bambino, che ti solleva dal quotidiano aprendo il mondo della favola che hai dimenticato crescendo in sapienza ma non in immaginazione. Puoi programmare una visita ma non puoi prevedere lo stupore del tuo cuore dinanzi a ricordi evocati o ad eventi inaspettati.

Purtroppo, al ritorno, i giornali del dopo votazione, hanno rotto l’innamoramento, turbandoci con le notizie da Teheran. L’uso della forza contro manifestanti pacifici ha esplicitato quello che solo scavando nell’intimo dei giovani iraniani era stato possibile percepire: un’ansia di confrontarsi con noi, di conoscere come si vive fuori da un regime teocratico, non basato sul “primato dei teologi”, depositari ed interpreti della sharia. Il desiderio di sentire tra i capelli la carezza del vento della libertà! I mass-media, malgrado il blocco degli sms, la disattivazione del web dei riformisti ed il mancato rinnovo del visto agli osservatori occidentali, denunciano la rabbia verso un regime arrogante che perde di credibilità politica e religiosa per miserevoli brogli elettorali. E’ una ferita mortale alla teocrazia di Khamenei che interpretava la legittimità del’Islam politico come derivata dall’autorità divina. I giornali europei parlano di tradimento dell’Islam e della rivoluzione; di scontri violenti con i “basiji”in motocicletta, combattenti per un mondo medioevale; di centinaia di feriti e decine di morti; di minacce all’occidente che fomenta disordini; di nuove alleanze con gli hezbollah. Ma i giovani iraniani, che costituiscono il 70% della popolazione, stanno gettando il seme da cui verrà il cambiamento nei prossimi anni: l’autorità deriva dal sostegno popolare, dal vento di libertà che accarezza i capelli.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche