Destinazione Indocina

Da Saigon ad Angkor, passando per Doha e Kuala Lumpur.
Scritto da: Oli79
destinazione indocina
Partenza il: 20/12/2014
Ritorno il: 06/01/2015
Viaggiatori: 3
Spesa: 3000 €
Ormai siamo diventati segugi alla perenne ricerca di offerte aeree. A giugno abbiamo acquistato il volo della Qatar Airways per Kuala Lumpur con partenza il 20 Dicembre e rientro il 6 Gennaio (praticamente tutte le vacanze di Natale) a un prezzo accettabile anche se non proprio di saldo. Abbiamo “riempito” questi giorni dando sfogo a fantasie e sogni, costruendo così il nostro super regalo di Natale: un viaggio che ci ha fatto sostare a Doha, ci ha portato a Kuala Lumpur sotto le mitiche Petronas Twin Towers, a Ho Chi Minh City (la vecchia Saigon, tanto per intenderci), nel Delta del Mekong e infine a Phnom Penh e nell’enigmatico sito di Angkor, l’antica capitale khmer. In diciotto giorni abbiamo toccato quattro Paesi, siamo venuti a contatto con quattro culture differenti e abbiamo vissuto grandi emozioni.

Sabato 20 Dicembre 2014 / Domenica 21 Dicembre – Milano/Doha

Arriviamo alla partenza con più affanno del solito per via del lavoro e per un trasloco non ancora sedimentato. Quasi senza rendercene conto ci troviamo alle 12 sullo shuttle (si ferma proprio sotto la casa nuova ed è supercomodo) che ci porterà a Malpensa. Il terminal 1 si è fatto il trucco per Expo 2015: si è dotato di negozi superlusso e si è allineato agli standard degli aeroporti più glamour… peccato che i voli e i passeggeri siano veramente pochi! Speriamo che nei prossimi mesi la situazione migliori e che l’Italia, grazie anche all’Esposizione Universale, torni a prendersi il posto che si merita nel turismo internazionale. Abbiamo fatto il check-in on line, ma ci aspetta una coda non indifferente per consegnare le valigie (ormai questo sistema è molto usato e in più ci sono numerosi viaggiatori medio-orientali con vagonate di bagagli).

Si parte per Doha alle 15.20 in perfetto orario. Il volo è tranquillo e la Qatar Airways ci coccola con film di ultima uscita, snack e bevande di ogni tipo e una cena niente male. Atterriamo alle 22.30 ora locale (il fuso orario è di +2 ore rispetto all’Italia), dopo poco più di 5 ore di viaggio, e passiamo all’ufficio immigrazione, dove ci fotografano e ci fanno pagare, rigorosamente con la carta di credito, i 100 QR (Rial del Qatar) necessari per il visto turistico. Non dobbiamo aspettare i bagagli perché li troveremo (lo speriamo vivamente!) dopodomani a Kuala Lumpur e così usciamo dall’aeroporto alla ricerca dello shuttle del Moevenpick Tower & Suites Doha che ci porterà in albergo per il meritato riposo (il transfert è compreso nel prezzo dell’hotel).

L’albergo è situato nella down town, in una zona ricca di grattacieli (alcuni, pur essendo nuovi, risultano vecchiotti come stile, altri sono degni di nota per le linee slanciate e avveniristiche). La camera (una deluxe per tre persone) è spaziosa, ben arredata e dotata di ogni comfort. Al mattino ce la prendiamo con comodo, facciamo il check-out, lasciando trolley e giacche a vento in albergo, e ci dirigiamo a piedi verso il centro commerciale City Center Mall. Qui cambiamo un po’ di soldi in moneta locale (ci impieghiamo più di mezz’ora a causa della lentezza degli operatori) e, finalmente, verso le 11 riusciamo a fare colazione (non era compresa nel prezzo della camera) in uno Starbucks (ormai una certezza in ogni parte del mondo, come se il cappuccino lo avessero inventato gli americani…). Prendiamo al volo un taxi con tassametro e ci facciamo accompagnare al Museo d’Arte Islamica, un edificio progettato da Pei (lo stesso della Piramide del Louvre) e costruito sull’acqua. Esternamente la struttura è massiccia e ricorda nel colore la sabbia del deserto, l’interno, invece, è leggero, trasparente per via dei vetri utilizzati e protende verso l’alto come una chiesa gotica (l’accesso al museo è gratuito). Gli spazi espositivi, con percorsi obbligati, sono molto scenografici, meno (a nostro avviso) gli oggetti esposti, un miscuglio proveniente da varie zone dell’Asia Minore. Sorge spontanea la domanda perché non vendere a questi Paesi, ricchi di soldi ma non di un passato, le tante opere d’arte che giacciono nell’incuria totale nelle cantine di molti musei italiani. Terminata la visita raggiungiamo a piedi il Souq Waqif, ricostruito in perfetto stile arabo: ci sono moltissimi negozi ma, inspiegabilmente, la maggior parte è chiusa. Il 18 Dicembre è stata celebrata la festa nazionale e forse si tratta di un mega ponte cui i negozianti hanno aderito. In uno dei pochi chioschi aperti troviamo l’ennesima pallina per il nostro albero di Natale superetnico e non ci lasciamo scappare questa decorazione (un po’ kitsch) con tanto di cammello! Diamo anche un’occhiata al vicino Gold Souq, ma anche qui è tutto chiuso…

La giornata è splendida con sole caldo e brezza marina (siamo lontanissimi dal grigio inverno milanese) e, passo dopo passo, percorriamo i quasi sette chilometri di Al Corniche Street, il lungo mare di Doha, fino al nostro albergo. Lungo la Corniche sono ancorati i “dhow”, le barche tradizionali utilizzate dai pescatori di perle (prima della scoperta dei giacimenti di petrolio questa era la sola attività del Qatar), ma il tempo per un giro nella baia non c’è. Poco dopo le quattro il sole inizia a calare, l’aria diventa fresca e rende ancora più nitido lo skyline di questa città in divenire.

Alle 17 riprendiamo lo shuttle per l’aeroporto in mezzo a un traffico inverosimile (ci impieghiamo ben 40 minuti, il doppio dell’andata). Non capiamo dove vadano tutte le auto, perché le strade sembrano portare nel nulla!

Il volo parte alle 19.45 e arriverà a Kuala Lumpur alle 7.55 ora locale (il fuso orario è di +5 ore rispetto a Doha). In aereo siamo tra i pochi occidentali, per lo più ci sono asiatici e gruppi di terza età malesiana in pellegrinaggio in qualche località sacra islamica. Il volo questa volta è ballerino, la cena un po’ troppo speziata e manca il tempo per riposarsi (ne risentiremo il giorno seguente!).

Lunedì 22 Dicembre 2014 – Kuala Lumpur

In prossimità delle coste malesi il cielo si infittisce di nuvoloni (purtroppo sarà così per tutta la nostra permanenza in questo Paese…). Riusciamo tuttavia a scorgere la giungla, un vero e proprio “mare” impenetrabile color verde scuro.

Atterriamo in perfetto orario, passiamo all’ufficio immigrazione dove ci prendono le impronte digitali e poi ci mettiamo in ansiosa attesa delle valigie, che miracolosamente arrivano quando ormai le davamo per disperse. In aeroporto cambiamo un po’ di dollari in Ringgit (il cambio non è particolarmente favorevole), in quanto dobbiamo acquistare i biglietti del KLIA Ekspres (costo 35RM), il treno che in 28 minuti ci porterà alla KL Sentral. Qui decidiamo di raggiungere il nostro hotel con la Monorail Line, il cui capolinea si trova in un edificio separato, collegato alla stazione centrale da una passerella sopraelevata. Al costo di 2.10RM compriamo il gettone (token) per salire sulla monorotaia. È importante non perderlo, in quanto dovrà essere inserito nelle apposite macchinette all’uscita. Il percorso dura circa 15 minuti e ci offre la possibilità di avere un primo colpo d’occhio sulla città. Scendiamo alla fermata Raja Chulan e usciamo così nell’umidità di Kuala Lumpur (KL per gli abitanti): la sensazione, non proprio piacevole, è quella di essere in una stanza da bagno dopo una doccia caldissima. Abbiamo qualche difficoltà a trovare la strada per l’albergo, anche perché gli attraversamenti pedonali sono davvero difficili (i pedoni non sono minimamente presi in considerazione…). Verso le 11 arriviamo all’Hotel Impiana, prenotato tramite Venere grazie a un’offerta. L’albergo è splendidamente decorato per Natale e questo sarà il leitmotiv di tutto il viaggio: Natale ormai è un fatto consumistico e addobbi e canzoni si sprecano ovunque! Riusciamo a prendere possesso subito del nostro alloggio, anche se il check-in avrebbe dovuto iniziare alle ore 14… meno male, così abbiamo la possibilità di fare una doccia e di cambiarci. La nostra è una camera deluxe con vista sul KLCC: pensavamo che avremmo visto le Petronas, in realtà le torri si intravedono solamente, a causa del piano relativamente basso (l’ottavo).

Verso mezzogiorno prendiamo un taxi per andare alla KL Tower, la settima torre di comunicazione più alta al mondo. Qui alle 12.30 abbiamo prenotato il pranzo a buffet presso il famoso ristorante girevole Atmosphere 360° (http://www.atmosphere360.com.my). Il locale, posto a 282 metri di altezza, impiega circa un’ora per effettuare il giro completo e domina l’intera città. Il buffet è ricco e il cibo ha prevalentemente matrici indiane.

Una volta usciti con una spiacevole sensazione di sbandamento (sarà stato il ristorante girevole o la notte insonne?) ci accorgiamo che incomincia a piovere (in effetti ci mancava un po’ d’acqua dopo tutta quella presa in Giappone l’estate scorsa!). In taxi (alla cifra esorbitante di 20RM) raggiungiamo la Masjid Jamek, la moschea più antica e suggestiva della città realizzata in stile Mogul (è l’ora della preghiera e pertanto non entriamo). A piedi raggiungiamo la vicina Medan Pasar, l’antica piazza del mercato caratterizzata da alcune shophouse dell’inizio del ‘900 dipinte con colori vivaci (niente a che vedere con quelle bellissime di Singapore). Qui la pioggia diventa insistente e la stanchezza mista al nervosismo causato dal brutto tempo aleggia pesantemente, ma non ci diamo per vinti e cerchiamo di effettuare il percorso che avevamo stabilito. Ci dirigiamo verso la Dataran Merdeka, piazza dedicata all’indipendenza della Malesia dalla corona inglese e utilizzata in epoca coloniale come campo di cricket.

Successivamente entriamo nel Pasar Seni, il mercato centrale coperto, in stile art déco, dove si può trovare ogni tipo di oggetto artigianale (non compriamo nulla, perché prevale la paccottiglia!). Percorriamo poi Jalan Petaling, una lunga strada piena di bancarelle di venditori ambulanti (siamo nel cuore della Chinatown malese). Tra una via e l’altra, ci imbattiamo nel tempio induista Sri Maha Mariamman, dedicato alla dea protettrice dei fedeli che vivono in terre lontane e caratterizzato da numerose statue colorate, tipiche dell’India del Sud. Togliamo scarpe e calze e veniamo “catturati” da una cerimonia religiosa con tanto di benedizione del santone (vista la giornata e quello che ci aspetta nel viaggio non fa certo male!). A questo punto, stanchi e assonnati, decidiamo di tornare in albergo utilizzando la metropolitana (RapidKL LRT – Kelana Jaya Line). Le indicazioni sono abbastanza chiare: si controlla il percorso, si calcola il costo, si inseriscono i soldi in una macchinetta che non dà resto (c’è un omino addetto al cambio) e si ottiene un gettone di plastica blu, praticamente il biglietto. Una volta arrivati a destinazione, prima di uscire dalla stazione, si inserisce il gettone in una macchinetta e si è liberi (sistema furbo, poco costoso e riciclabile all’infinito!). Scendiamo alla fermata KJ10 KLCC e abbiamo così il nostro primo vero impatto con le Petronas Twin Towers. Che dire… imponenti sono imponenti! Peccato solo che siano circondate da numerosi grattacieli senza un particolare appeal architettonico. In albergo ci stendiamo sul letto e Morfeo ci cattura fino al mattino successivo con una dormita memorabile (più o meno 12 ore di sonno).

Martedì 23 Dicembre 2014 – Kuala Lumpur

La prima cosa che facciamo è guardare dalla finestra il colore del cielo: purtroppo è ancora di un bel grigio intenso e così rimarrà per tutta la giornata!

Optiamo per la colazione occidentale (in alternativa a quella asiatica) presso il roof garden dell’hotel con vista sulle Petronas Twin Towers: notevole sia l’impatto visivo sia quello gustativo! Ci abbuffiamo con dolcetti, frutta di ogni tipo, uova e bacon croccante, anche perché la sera precedente non abbiamo cenato causa stanchezza.

Siamo diretti alle Batu Caves, un complesso di templi indù situati all’interno di alcune grotte che dista circa 15 kilometri dalla città. Prendiamo la RapidKL LRT – Kelana Jaya Line alla stazione KJ10 KLCC e scendiamo alla quinta fermata (KJ15 KL Sentral). Qui cambiamo linea (è necessario acquistare un nuovo biglietto) e utilizziamo il treno della KTM Komuter (partenze ogni 30’), che in 20’ circa ci porta a destinazione. Nel primo tempio che visitiamo ci sono numerose statue che narrano la storia del Ramayana (ingresso 2RM). Per raggiungere la grotta principale, la Temple Cave, è necessario scarpinare per ben 272 scalini, cosa non facilissima per via della loro scivolosità (piovicchia!), per il quantitativo di locali in pellegrinaggio e per una colonia di macachi molto dispettosi. Incamminandosi all’interno della grotta si raggiunge una caverna più piccola, dove una grande apertura nel soffitto lascia entrare la luce naturale (… e la pioggia!). Per accedere ai templi le donne devono indossare abiti che coprano le gambe (è sufficiente un pareo). I templi in sé non sono niente di eccezionale ma l’insieme è suggestivo: per colori, suoni e odori sembra di essere in India!

Riprendiamo i mezzi dell’andata e alla KL Sentral, dopo un veloce spuntino, utilizziamo la Monorail Line per raggiungere velocemente la zona centrale di Bukit Bintang, in attesa della visita alle Petronas Twin Towers, prenotata via Internet con molta difficoltà, visto che il sito è stato inutilizzabile per più di un mese (http://www.petronastwintowers.com.my). Gironzoliamo per il Pavilion, uno dei mall più importanti della città, super addobbato per Natale. Chi l’avrebbe mai detto che a due passi dall’equatore Santa Claus andasse alla grande? Tra le innumerevoli decorazioni rimaniamo affascinati da un bastone di Babbo Natale bianco e rosso e, naturalmente, lo compriamo!

È giunta l’ora di dirigerci verso le Petronas e le raggiungiamo utilizzando il Pedestrian Bridge, un passaggio pedonale sopraelevato completamente vetrato e climatizzato. Come da regolamento, ritiriamo i biglietti mezz’ora prima della visita presso l’E-ticket Counter (è necessario avere con sé il passaporto o la carta di credito con cui si è effettuato l’acquisto e il numero di conferma della prenotazione). Alle 17.15 arriva la nostra guida e con una ventina di persone andiamo alla scoperta di questa meraviglia architettonica. La prima tappa è la passerella al 41° piano, lo Skybridge, che collega le due torri. Se dall’esterno fa una certa impressione, una volta che lo si percorre non sembra di essere sospesi e non si avverte nessun tipo di pericolo. Purtroppo c’è un po’ di nebbia mista a pioggia e la vista non è un gran che… Un ascensore ci accompagna in un attimo all’81° piano e un secondo ascensore all’86°. Qui è situato il Viewing Deck, un punto di osservazione da dove facciamo tutte le foto di rito, avvolte in una “magica” nebbia molto English. Incontriamo un folto gruppo di ragazze (tutte altissime e con tacco 20) che partecipano al concorso di Miss Vattelapesca (la rappresentante italiana non c’è) e che si fanno selfie a gogò. Ormai il selfie è un must e ovunque trovi venditori di bastoni per selfie di misura inusitata e persone che sorridono e si fotografano (mah… è una moda, una forma di esibizionismo o solitudine allo stato puro?). Nello shopping centre acquistiamo l’immancabile calamita che ora fa bella mostra di sé in cucina e poi ci concediamo un riposino in albergo.

Verso le 19 usciamo, ripercorriamo la strada sopraelevata (collegata direttamente al nostro hotel) e raggiungiamo la piazza con le fontane proprio davanti al centro commerciale Suria KLCC. Ogni sera alle 20 c’è uno spettacolo di luci colorate, getti d’acqua e musica (da non perdere, anche se non ha niente a che vedere con quello di Singapore o Dubai). Ceniamo velocemente in uno dei tanti ristorantini della piazza, il Limoncello KLCC (di chiara matrice italiana), e poi ci lanciamo a fotografare le Petronas da tutte le angolazioni possibili. Le torri illuminate danno il meglio di sé e, finalmente, ci lasciano davvero senza fiato!

Mercoledì 24 Dicembre 2014 – Kuala Lumpur/Saigon

Questa mattina ce la prendiamo comoda: facciamo colazione, prepariamo le valigie e ci rilassiamo a bordo della piscina a sfioro dell’hotel (qui in Oriente le piscine cool sono così!). Finalmente vediamo uno spiraglio di sole e un pezzettino di cielo quasi azzurro, in compenso il caldo è soffocante e l’umidità è alle stelle (per fortuna che questo è l’inverno, che cosa sarà l’estate?). In piscina scopriamo che i malesi, anche i bambini, per motivi religiosi fanno il bagno con una specie di tutina che copre gambe e braccia. Paese che vai, usanza che trovi… certo che nuotare così non deve essere il massimo!

A mezzogiorno facciamo il check-out, lasciamo i bagagli in hotel e andiamo a visitare l’Aquaria KLCC, che si trova presso il Kuala Lumpur Convention Centre, situato proprio di fronte al nostro albergo. Si tratta di un acquario carino anche se non paragonabile a quello di Genova (costo 50RM). Ci facciamo così un’idea della fauna dei mari malesi, alcuni pesci sono veramente strani, e rimaniamo affascinati dall’eleganza di enormi mante (pare che i vetri aumentino le dimensioni del 30%). I malesi hanno la mania di fotografare tutto e, giustamente, si fanno un selfie con ogni pesce! La visita ci porta via un’oretta. Dopodiché immortaliamo per l’ultima volta le Petronas, riprendiamo i bagagli e con i mezzi locali (con noi i taxisti lavorano poco) ripercorriamo il tragitto dell’andata e raggiungiamo il KLIA2, il nuovo aeroporto destinato ai voli lowcost (prevalentemente AirAsia).

La consegna dei bagagli è rapida (con AirAsia il check-in on line è obbligatorio) ma interminabile è la coda per passare la dogana. Impieghiamo quaranta minuti d’orologio per accedere al desk (non ci saranno state più di trenta persone davanti a noi): a un certo punto il funzionario lascia la postazione ed è sostituito da un collega che si mette a controllare i viaggiatori di una fila che non è la nostra! Ci riprendono le impronte (chissà perché!) e finalmente, dopo due controlli dei bagagli a mano e dei passaporti, siamo pronti per imbarcarci. Salutiamo così la Malesia, un paese relativamente giovane, dove abbiamo incontrato persone non particolarmente gentili e collaborative con i turisti (un classico è entrare in metropolitana prima che i viaggiatori scendano… quasi come a Milano).

Siamo in partenza per il Vietnam, il paese che negli anni ’70 è stato teatro di una brutta e sporca guerra fratricida, che ha visto, come conseguenza, la ribellione dei pacifisti di tutto il mondo e che ora si sta riprendendo e sta diventando la nuova tigre asiatica. Per cui, anche noi possiamo dire “Good morning, Vietnam!”. Il volo è tranquillo, dura circa due ore e arriva in perfetto orario (ore 19.45 locali). Tiriamo indietro le lancette di un’ora e, una volta scesi dall’aereo, iniziamo l’avventura del “visa on arrival” (costo 45$ a persona). All’apposito sportello consegniamo la lettera di invito (acquistata a 10$ a cranio dalla Tonkin Travel), il passaporto, una foto formato tessera e il modulo per la richiesta del visto opportunamente compilato al momento. Il numero di turisti è notevole, il caos tragico e tutto avviene senza logica. Un gruppo di turisti russi, inspiegabilmente, bypassa tutti e ottiene velocemente il “famigerato” visto. Noi invece aspettiamo… Dopo un’ora di attesa incominciamo a protestare: sarà per questo o perché è giunto il nostro momento, ma dopo poco ci vengono finalmente consegnati i documenti. Purtroppo il supplizio non è finito! A questo punto dobbiamo passare la dogana e questo significa un’altra coda. Fortunatamente interviene il doganiere addetto ai passaporti diplomatici che, forse a causa delle nostre facce sconvolte, ci fa passare! Prendiamo le nostre valigie, che giacciono ormai solitarie accanto al nastro bagagli. Pensavamo di poter uscire, invece dobbiamo passare noi stessi e i nostri averi sotto il metal detector. Inaspettatamente (visto il ritardo con cui siamo usciti dall’aeroporto) troviamo ad aspettarci il driver dell’albergo (nel prezzo della camera era compreso questo servizio).

È la notte della Vigilia di Natale e veniamo letteralmente avvolti dal traffico caotico, dalle luci e dal rumore assordante di Saigon: macchine, ma soprattutto motorini con intere famiglie a bordo (le donne vestite rigorosamente di rosso, i bambini da piccoli Babbo Natale). Il rumore è reso ancora più forte dalle canzoni di Natale che risuonano ovunque. Arriviamo in albergo, situato in una zona centrale e molto vivace della città, vicino al mercato di Ben Thanh. Il nostro cenone, vista la tarda ora e la stanchezza, si riduce a qualche tarallo e a un mini panettone Esselunga portati da casa e a un piatto di buonissima frutta esotica, gentile omaggio dell’hotel. Il Grand Silverland Hotel & Spa è un albergo di piccole dimensioni. La nostra camera, una Silver Suite, è grande e comoda e il bagno è dotato di un’enorme vasca jacuzzi. Peccato solo che, scopriremo, non sia insonorizzata!

Giovedì 25 Dicembre 2014 – Saigon

Con una colazione senza infamia e senza lode (prevalgono i cibi asiatici, fantastici per un lunch ma non adatti alle nostre abitudini mattutine) ha inizio la nostra avventura vietnamita.

Per prima cosa cerchiamo di cambiare i dollari in dong (la moneta locale): sarà opportuno cambiare il denaro al bisogno perché è difficile riconvertirlo in dollari o euro. Utilizziamo la Vietcombank, poi, su suggerimento dello staff del Grand Silverland Hotel, utilizzeremo un negozio della zona che vende gioielli dove il cambio è decisamente più favorevole. Per attraversare le strade seguiamo le indicazioni della Lonely Planet e, anche se con un po’ di titubanza, ci lanciamo: bisogna andare dritto, senza correre e senza mostrare esitazione, in quanto sono i motorini che trovano il modo per non investire i pedoni (speriamo bene…). In effetti, ci rendiamo conto che il sistema funziona!

Siamo in centro e, quindi, il nostro tour della città è rigorosamente on foot: cominciamo la nostra visita dal Mercato coperto di Ben Thanh, dove compriamo qualche piccolo gadget (c’è ogni genere di articolo ma i prezzi non sono sempre convenienti). Poi percorriamo la DL Le Loi, la via che rappresenta il cuore commerciale della città e raggiungiamo la Saigon coloniale, un angolo di Francia in terra indocinese: l’Hotel de Ville (purtroppo impacchettato perché in ristrutturazione), il Teatro dell’Opera e i mitici hotel Caravelle e Rex (il primo utilizzato dai giornalisti di tutto il mondo durante la guerra, il secondo sede del comando americano). Tutta questa zona è in fase di ripristino, per via dei lavori della metropolitana in costruzione. Percorrendo viali larghi e alberati che “ricordano” i boulevard Parigi, arriviamo alla Cattedrale di Notre Dame (niente a che vedere con l’omonima parigina) e all’Ufficio della posta centrale, ancora in funzione, progettato da Eiffel (sì, proprio quello della torre per eccellenza!). Il caldo si fa sentire e un buon gelato della catena Häagen-Dazs (costato uno sproposito) è quello che ci vuole e sostituisce egregiamente il pranzo di Natale. Siamo nei pressi del Palazzo della Riunificazione (simbolo del governo sudvietnamita), per cui diamo un’occhiata all’esterno.

Nel primo pomeriggio raggiungiamo in taxi la Pagoda dell’Imperatore di Giada, non senza qualche fatica (i taxisti non sanno dove si trovi o non riescono a leggere i nostri caratteri). Conosciuta anche come Phuoc Hai Tu o Chua Ngoc Hoang, è un tempio cinese dedicato all’Imperatore di Giada, la divinità più importante della religione taoista. Ogni statua e ogni oggetto hanno un preciso significato allegorico, che noi non conosciamo, ma l’insieme è affascinante. Decidiamo di tornare in albergo a piedi, anche se la strada è lunga. Nelle vicinanze dell’hotel, facciamo una breve sosta al tempio dedicato alla dea indù di Mariamman e prenotiamo in un’agenzia l’escursione alle gallerie di Cu Chi per il giorno seguente.

È Natale e, come da tradizione, è doveroso andare a teatro… quindi lo spettacolo di marionette sull’acqua del Golden Dragon Water Puppet Theatre è ciò che fa per noi (abbiamo prenotato lo show attraverso l’hotel, pagandolo con un piccolo sovrapprezzo 190.000 dong a persona). Il Mua Roi Nuoc è una delle espressioni più autentiche della cultura vietnamita e racconta storie popolari appartenenti alla vita rurale. È una sorta di “spettacolo multimediale” perché, oltre alle marionette, ci sono semplici effetti speciali e cantanti e musicisti che esaltano i momenti culminanti. Nell’insieme lo spettacolo è interessante e il tempo passa velocemente (durata 50 minuti).

Ceniamo presso il Quan An Ngon, un locale pieno di giovani che festeggiano allegramente il Natale, e assaggiamo per la prima volta la cucina tradizionale vietnamita. Niente male!

Venerdì 26 Dicembre 2014 – Saigon

Al mattino alle 8.30 partiamo con il van dell’agenzia per l’escursione alle gallerie di Cu Chi (in realtà la partenza da Saigon avverrà non prima delle 9.30 perché devono essere recuperati tutti i partecipanti dai vari alberghi). Le gallerie di Cu Chi (a circa 50 km da Saigon) sono una serie di cunicoli sotterranei collegati tra di loro, una vera e propria città costruita sotto terra su più livelli dai Vietcong con dormitori, cucine, magazzini, fabbriche di armi e perfino ospedali da campo. La visita alle gallerie di Ben Dinh inizia con una presentazione audiovisiva di quello che è stata la “sporca guerra” in Vietnam. La guida ci mostra le ingegnose trappole realizzate dai Vietcong, che rendevano le gallerie inespugnabili dai soldati americani. Chi non soffre di claustrofobia può entrare in alcuni cunicoli, costruiti su misura per il fisico piccolo e sottile dei vietnamiti (e ora ampliati per essere accessibili al pubblico). Il percorso si snoda in un ambiente naturale molto tranquillo, in netto contrasto con la guerra che per tanti anni si è combattuta in questi luoghi. L’escursione è stata esaustiva e più interessante del previsto. Peccato solo che siamo tornati in hotel a pomeriggio inoltrato (con un’ora e mezza di ritardo) e questo ci ha impedito di visitare in cyclo il quartiere cinese di Cholon.

Dopo una doccia rinfrescante e un po’ di riposo, usciamo per salire sull’osservatorio della Bitexco Tower, il grattacielo più alto della città. Ormai si sta facendo buio: le strade sono illuminate da luminarie dai colori fosforescenti e gli attraversamenti risultano ancora più difficoltosi. Ci imbattiamo in un folto gruppo di persone (uomini, donne e bambini) che praticano una qualche forma di arte marziale e incontriamo un giovane che, una volta conosciuta la nostra provenienza, ci chiede se veramente l’Italia sta andando “deeper and deeper” (in poche parole vuole sapere se siamo realmente alla canna del gas!). Saliamo sul grattacielo e riusciamo così a cogliere la configurazione della città.

Vista l’ora e il calo di zuccheri andiamo alla ricerca di un ristorante e nei pressi della torre ci imbattiamo in un’insegna che ci suona famigliare, La Bettola. Si tratta di un ristorante italiano con un ottimo rapporto qualità prezzo, dove ceniamo molto bene e scambiamo due chiacchere con lo chef, un giovane triestino da poco approdato in questi lidi. Felici per le pappe di casa nostra, ritorniamo in albergo a preparare le valigie perché domani ci aspetta il Delta del Mekong. Finalmente ci rendiamo conto da dove viene il rumore che sentiamo dalla nostra camera: il Mercato di Ben Thanh continua a vivere anche di sera, in quanto all’esterno vengono improvvisate cucine all’aperto (i profumi sono accattivanti ma le condizioni igieniche non altrettanto…).

Sabato 27 Dicembre 2014 – Saigon/Ben Tre/Can Tho

Alle 8 abbiamo appuntamento con la guida e l’autista della Tonkin Travel, l’agenzia con la quale abbiamo prenotato gli ultimi giorni in Vietnam e quelli in Cambogia ; email: quan@tonkintravel.com). Il Sig. Quan, con il quale abbiamo scambiato numerose email in italiano, si è sempre mostrato gentile, disponibile e professionale. Grazie a lui è stato possibile personalizzare il viaggio al 100%.

Saldiamo il conto e cominciamo la nuova avventura nel Delta del Mekong. In questo angolo di mondo la vita di migliaia di persone ruota, oggi come centinaia di anni fa, attorno al grande fiume che prima di arrivare al mare si divide in un reticolo di piccoli fiumi e canali navigabili. Il modo migliore per apprezzare e comprendere questa terra è viverla come fanno gli abitanti: sull’acqua. Notiamo che ogni piccolo centro ha una chiesa cattolica. La nostra guida, che parla un discreto inglese, ci spiega che questa religione, dopo il buddismo, è la più praticata in Vietnam, grazie alla colonizzazione francese. Alle 11 arriviamo a Ben Tre, una cittadina lontana dai soliti percorsi turistici, e iniziamo la nostra escursione sul fiume. Abbiamo una barca tutta per noi e, sorseggiando della fresca e dissetante acqua di cocco, ci immergiamo in questa realtà. Ci fermiamo a visitare alcuni laboratori locali, dove si fabbricano mattoni e si producono i tradizionali dolciumi al cocco (keo dua). Assistiamo alla realizzazione di queste caramelle, completamente ecologiche e commestibili, in quanto avvolte nella carta di riso. Ne assaggiamo di diversi gusti e approfittiamo di una promozione per un buon rifornimento per le fredde serate milanesi!

Sempre in barca attraversiamo i canali Cai Sơn e Nhơn Thạnh, dove continuiamo a vedere lo svolgersi della quotidianità. In seguito, su un carretto a motore (xe lôi), tocchiamo con mano la vita rurale vietnamita attraversando campi coltivati. Ci fermiamo in una fattoria, dove gustiamo il miglior pranzo vietnamita del viaggio: ci vengono serviti ottimi involtini avvolti nella sempre presente carta di riso da intingere in salsine piccanti, fiori di banano fritti e l’eccellente elephant ear fish, il piatto tipico del Delta. Nel primo pomeriggio, a bordo di una tradizionale imbarcazione a remi, percorriamo un altro tratto di fiume e, attraverso un dedalo di canali, ci immergiamo in una natura meravigliosa ricca di palme da cocco. Non ci sono rumori, solo quello del remo che fende l’acqua: sembra che il tempo si sia fermato.

A malincuore ritorniamo a Ben Tre, riprendiamo la macchina e alle 18 circa arriviamo al Victoria Can Tho Resort, il miglior albergo della zona, costruito in perfetto stile coloniale e circondato da giardini curatissimi che si affacciano sul fiume. Abbiamo giusto il tempo, prima che scenda la notte, per una nuotatina in piscina e una passeggiata sul lungofiume (non ci sono altre attrattive turistiche degne di nota).

Domenica 28 Dicembre 2014 – Can Tho/Chau Doc

La colazione a buffet è ricca e varia e viene servita a partire dalle 6 per permettere ai clienti di visitare i mercati galleggianti. Alle 6.30 la guida ci viene a prendere e ci accompagna sul fiume per la visita in battello ai mercati di Cai Rang e di Phong Dien, da vedere entro le 8 perché è il momento in cui sono più animati. Il mercato di Cai Rang è il più grande del Delta del Mekong: vediamo barche stracolme di frutta e verdura e assistiamo alle contrattazioni tra i venditori su una barca e gli acquirenti su un’altra. Ogni barca commercia uno o al massimo due tipi di prodotti e, affinché i compratori capiscano qual è la merce venduta, li “espone” su un’asta (una sorta di primitiva forma pubblicitaria). Tra queste barche si muovono piccolissime giunche che offrono un servizio di breakfast. Le foto si sprecano, ma non riusciamo a imprimere nelle immagini l’atmosfera che respiriamo. Il mercato di Phong Dien, osannato perché meno affollato e meno turistico, ci delude un po’, forse perché ormai le contrattazioni sono alla fine, vista l’ora non proprio mattiniera in cui arriviamo. In seguito facciamo una sosta in una casa tradizionale, circondata da un ampio frutteto, dove assaggiamo frutti tropicali, tra cui litchi superlativi e il pomelo, un pompelmo gigante dolcissimo.

Ripresa la macchina in direzione Chau Doc, ci fermiamo per una breve visita all’antica casa di Binh Thuy, dove sono state girate alcune scene del film L’amant, tratto dall’omonimo romanzo autobiografico della scrittrice francese Marguerite Duras. Verso l’ora di pranzo arriviamo in un allevamento di coccodrilli, utilizzati sia per la loro carne sia per il pregiato pellame. Alcuni coccodrilli, di notevoli dimensioni, sembrano statue ma basta un nonnulla che aprano le fauci… Qui pranziamo (anche il pranzo di oggi è compreso nel costo dell’escursione), senza però assaggiare la carne di coccodrillo.

Arriviamo in albergo, il Victoria Chau Doc, alle 15 e salutiamo la nostra guida, che si è rivelata seria e affidabile. L’hotel, meno prestigioso di quello di Can Tho, ha un fascino particolare e la posizione sul fiume lo rende, a nostro avviso, unico. Abbiamo il pomeriggio libero, per cui decidiamo di noleggiare una barca, attraverso l’agenzia Buffalo Tours presente in albergo, e facciamo un’escursione di circa un’ora e mezza lungo il fiume per visitare le caratteristiche case galleggianti (il costo per tre persone è di 1.323.000 dong, circa 55€, una cifra decisamente alta per gli standard del Paese). Partiamo dal molo dell’hotel e dopo aver percorso il fiume in lungo e in largo raggiungiamo una casa-shop, dove ci sono allevamenti di pesci (di razza imprecisata) e dove acquistiamo collanine di legno. L’escursione in questo luogo silenzioso e ancora incontaminato ci trasmette un senso di tranquillità e ci dona uno di quei momenti che rimarranno per sempre impressi nella memoria.

Una volta tornati, ci rinfreschiamo in piscina e poi ceniamo nel ristorante dell’hotel (la vista sul fiume che si gode dalla terrazza è impagabile). Ordiniamo piatti locali (involtini primavera alla vietnamita ripieni di verdure, riso con latte di cocco e pesce “basa”), cucinati molto bene e presentati in modo accurato e scenografico. Dopo cena facciamo due passi sul lungofiume ma rientriamo subito perché nella cittadina non c’è assolutamente nulla. In camera abbiamo due spiacevoli sorprese: scopriamo che un aereo dell’AirAsia (compagnia che dovremo utilizzare per ritornare a Kuala Lumpur) si è inabissato e dobbiamo “lottare” con un geco (per fortuna un inserviente dell’hotel ci viene in aiuto).

Lunedì 29 Dicembre 2014 – Chau Doc/Phnom Penh

La sveglia suona presto, ma già alle 5 sul lungofiume c’è il mondo (gente che fa ginnastica, altra che passeggia). Oggi lasciamo molto a malincuore il Vietnam per l’ultimo Paese del viaggio, la Cambogia. Alle 7.15, dopo una lauta colazione, ci dobbiamo trovare all’imbarcadero dell’hotel per prendere il battello della compagnia “Hang Chau Speed Boat” ) che ci porterà a Phnom Penh. Dalla barca vediamo scorrere scene di vita quotidiana lungo le rive del fiume. Dopo circa un’ora di navigazione ci fermiamo alla dogana vietnamita per uscire dal Paese: la burocrazia regna sovrana e il rilascio dei passaporti è abbastanza lungo. Riprendiamo il battello e dopo poco ci attende un nuovo stop: siamo in Cambogia e quindi dobbiamo passare la frontiera. Nuova dogana, nuova attesa: ogni persona lascia passaporto e fototessera, paga la quota per il visto (34$, incluso la “mancia” obbligatoria…) e si arma di infinita pazienza. I funzionari se la prendono comoda, guardano i documenti, scrivono qualcosa, giocano con il telefonino e finalmente restituiscono i passaporti. Alle 11 finalmente riprendiamo il viaggio. Dalle immagini che ci scorrono davanti agli occhi ci rendiamo subito conto che la Cambogia è molto povera: il fiume è lo stesso ma le case sono molto più fatiscenti rispetto a quelle vietnamite.

Alle 14, con ben due ore di ritardo, arriviamo a Phnom Penh, recuperiamo i bagagli e veniamo “accolti” da un giovane che si offre di accompagnarci con il suo remork (tuk-tuk) in albergo (paghiamo 6$, che scopriremo essere una cifra elevata!). The Plantation è un boutique hotel situato in pieno centro, vicino al Palazzo Reale e al Museo Nazionale. Si tratta di un edificio francese degli anni Trenta, recentemente ben restaurato.

Non perdiamo tempo e dopo un breve spuntino ci incamminiamo verso il Palazzo Reale, stando attenti perché pare che scippi e rapine, viste le condizioni economiche del Paese, siano all’ordine del giorno. Il Palazzo Reale, che vagamente ricorda quello più ricco e imponente di Bangkok, è la residenza del re e per questo motivo alcune parti sono interdette al pubblico. Inoltre per una questione di rispetto viene richiesto di indossare un abbigliamento consono (niente shorts né canotte). Visitiamo l’intero complesso, tra cui la famosa Pagoda d’Argento, che deve il suo nome al pavimento (ora parzialmente coperto) costituito da piastrelle in argento. Per ritornare in albergo percorriamo la St 240, quella che dovrebbe essere la via più “alla moda” della città. Per la verità non ce ne rendiamo conto, in quanto negozi e ristoranti sono piuttosto malmessi!

Decidiamo di cenare in hotel (pare che il ristorante sia di buon livello anche se non a buon mercato) e scegliamo i soliti involtini primavera, gamberi con succo di tamarindo e lime e sea bass fish alla griglia. Il tutto, cucinato al momento, è ottimo ma tra l’ordinazione e l’arrivo dei piatti passa quasi un’ora. Vorremmo terminare la cena con qualcosa di dolce. Peccato che per averlo ci vogliano 45 minuti… così soprassediamo!

Martedì 30 Dicembre 2014 – Phnom Penh

Alle 9 abbiamo appuntamento con il driver che ieri ci ha portato in albergo (ci siamo accordati, dopo una lunga trattativa, per 15$ per l’intera mattinata). In Cambogia non è necessario cambiare i soldi nella moneta locale (il riel), perché il dollaro, preferibilmente di piccolo taglio, è la moneta ufficiale per il turismo. Come in molti altri Paesi, non sono accettate le banconote rovinate né quelle antecedenti il 1998 e il resto è generalmente dato in valuta locale.

Dedichiamo la mattinata alla visita di due “teatri” degli orrori del regime di Pol Pot: il Museo Tuol Sleng e i campi di sterminio di Choeung Ek. Pol Pot voleva rifondare la società cambogiana su base comunista e contadina: gli abitanti delle città furono deportati nelle campagne, migliaia di professionisti furono uccisi in quanto considerati nemici e tutti i simboli della civiltà occidentale furono distrutti. Il Museo Tuol Sleng, noto come S-21, è un ex-liceo occupato dalle forze di sicurezza dei khmer rossi e trasformato in carcere e luogo di tortura per migliaia di persone, non solo cambogiani ma anche cittadini stranieri. Ora è sede di un museo che ha lo scopo di testimoniare i crimini perpetrati dal regime nei confronti di tutti coloro che venivano considerati nemici del governo. Non conosciamo questo periodo storico, per cui la visita è ancora più sconcertante: vediamo le pareti delle aule tappezzate con le foto dei prigionieri, le brande di ferro utilizzate per le torture e le piccolissime celle in mattoni e in legno dove le vittime venivano rinchiuse.

Riprendiamo il remork e in silenzio (nessuno ha voglia di parlare) percorriamo i 15 chilometri che separano la città dai campi di sterminio. Qui erano condotti i prigionieri dell’S-21 per essere uccisi: uomini, donne, bambini, intere famiglie. Colpiscono particolarmente le fosse comuni, dove sono ancora oggi visibili i resti dei deportati, e il famigerato Killing Tree, un albero contro il quale i khmer rossi uccidevano i bambini più piccoli (sbattendoli con forza) per risparmiare le pallottole. Ogni commento, ogni parola è superflua. Il costo dell’ingresso è di 6$ e comprende un’audioguida (c’è anche in italiano) con le testimonianze di quanto è accaduto e dei superstiti, indispensabile per comprendere appieno questo pezzo di storia. Camminiamo tra i prati di quello che è stato un campo di sterminio, augurandoci che niente di tutto ciò possa accadere di nuovo (purtroppo la storia non è maestra di vita e queste atrocità, sotto altri cieli e con il pretesto di altri “ideali”, sono all’ordine del giorno).

Torniamo in albergo, percorrendo una strada secondaria meno trafficata. Dopo un rapido spuntino, riprendiamo la visita di Phnom Penh con il Museo Nazionale (costo 5$). Costruito all’inizio del secolo scorso in stile tradizionale, il museo custodisce splendide sculture khmer, provenienti soprattutto dal sito archeologico di Angkor. All’interno troviamo numerose scolaresche di ogni età, tutte schierate in fila e tutte sorridenti.

Terminata la visita, a piedi ci dirigiamo al Psar Thmei. Siamo in pieno centro ma, a parte un paio di negozi che vendono sciarpe di seta bellissime ma carissime, il degrado è notevole. Il Psar Thmei è il mercato centrale, situato in un edificio in stile art déco. Come in tutti i mercati che si visitano in giro per il mondo, la parte più interessante è quella dedicata alla vendita del cibo: qui ogni cosa che cammina è commestibile!

Siamo stanchi a causa del caldo umido e della giornata psicologicamente pesante, per cui ritorniamo in hotel con il remork e optiamo per un po’ di relax in piscina. Ceniamo ancora una volta in albergo con lo stesso menù del giorno prima e ordiniamo come dessert un’ottima tarte tatin, cucinata rigorosamente al momento e servita calda al punto giusto.

Mercoledì 31 Dicembre 2014 – Phnom Penh/Siem Reap

Alle 7.30 il driver della Tonkin Travel ci aspetta nella hall dell’albergo per accompagnarci a Siem Reap. Abbiamo scelto di effettuare il percorso in macchina per vedere l’interno della Cambogia, passando tra cittadine e piccoli villaggi, e per viaggiare più comodamente rispetto ai mezzi locali. Il driver non parla una parola d’inglese ma è a conoscenza delle soste che abbiamo preventivato. Il viaggio è lungo e difficoltoso, in quanto le strade non sono tutte asfaltate e molti tratti sono ancora in costruzione, ma ci permette di vedere da vicino lo svolgersi della vita quotidiana. Il popolo cambogiano è giovane: ci sono tanti bambini e ovunque incontriamo scuole. Ci fermiamo a Skuon per visitare il mercato, famoso per le “prelibatezze” vendute: insetti di ogni genere e grandezza e, soprattutto, ragni. Un vero orrore, perché non si tratta di ragnetti, ma di signori ragni neri pelosi, da sognarseli di notte. La seconda sosta è a Kompong Kdei per vedere un ponte del XII secolo, inserito in un paesaggio bucolico molto rilassante.

Siem Reap è deludente al primo e… anche ai seguenti approcci: la immaginavamo diversa, invece è una cittadina molto turistica, con una quantità inaudita di alberghi (saranno tutti pieni?). Il driver fatica a trovare il Lotus Blanc Resort e dobbiamo aiutarlo (sappiamo che l’hotel si trova lungo la strada che porta all’aeroporto, per cui seguiamo queste indicazioni). L’albergo, dove ci fermeremo per ben cinque notti, non è niente male: c’è un ristorante, una bella piscina con zona relax e il personale è molto gentile. Arriviamo alle 14, facciamo un breve spuntino e un giro di perlustrazione nei dintorni. Visto che non c’è nulla di interessante e che la piscina non è utilizzabile perché stanno allestendo il cenone, decidiamo di riposarci… questa sera dovremo fare le ore piccole! Compreso nel pacchetto (prenotato tramite Expedia) e molto caro in rapporto al costo della camera, c’è il cenone di Capodanno. Il buffet a self service non è particolarmente ricco, ci sono musica dal vivo, giochi, premi e cotillon (mascherine e trombette imperano), il problema è restare svegli fino a mezzanotte. L’albergo fa le cose in grande e, per festeggiare il nuovo anno, spara fuochi d’artificio e consegna a ogni ospite palloncini da mandare in cielo e candele galleggianti (tipo le offerte votive di Varanasi) da mettere in piscina. L’effetto è molto suggestivo!

Giovedì 1 Gennaio 2015 – Siem Reap

Quest’anno deve essere un anno con i fiocchi: se il primo gennaio visitiamo il mitico sito di Angkor, che cosa ci riserveranno gli altri giorni? Alle 8.30 abbiamo appuntamento con il driver del tuk-tuk (prenotato tramite la Tonkin Travel) che ci accompagnerà alla scoperta del sito archeologico più esteso del mondo. Questo è senza dubbio il mezzo migliore per visitare i templi, perché dà l’opportunità di immergersi nella natura rigogliosa e di avvicinarsi alla realtà locale (molti contadini vivono e lavorano nei pressi delle rovine). Lungo la strada ci fermiamo alla biglietteria per completare l’acquisto dei ticket (abbiamo scelto la formula di tre giorni a 40$ a persona), già pagati tramite la Tonkin Travel. Abbiamo con noi una fototessera, che si rivela inutile, in quanto ci fotografano e stampano il biglietto con tanto di foto. Non bisogna perdere questo pass perché serve per entrare in ogni tempio e i controlli sono costanti… La zona archeologica apre alle 5.30 del mattino e chiude alle 17.30. L’accesso ad alcuni templi è consentito solo se si è vestiti in modo adeguato (ginocchia e spalle devono essere coperte) e nelle zone più isolate è bene non allontanarsi dai sentieri perché ci sono ancora mine antiuomo inesplose.

Dedichiamo la mattinata alla visita dei templi che fanno parte del Grande Circuito. Il primo è il Preah Khan, conosciuto anche come “Tempio della Sacra Spada”: non ci sono molti turisti e possiamo godercelo in tutta tranquillità. Andiamo alla ricerca dei bassorilievi che raffigurano le apsara, le dee danzatrici dai corpi sinuosi i cui costumi e copricapi sono uguali a quelli usati nelle danze tradizionali messe in scena ai nostri giorni. La presenza di alcuni monaci e la giungla che entra prepotentemente nelle antiche rovine rendono il tempio particolarmente mistico e suggestivo.

Terminata la visita, ritorniamo dal nostro driver: è sempre lui che, molto attento, riesce a individuarci in mezzo a tanti turisti, anche se non ci diamo mai un orario. Siamo ora diretti al Preah Neak Pean, un piccolo tempio-isola inserito in una sorta di vasca ormai quasi asciutta. Per raggiungerlo si percorre una passerella sospesa su un acquitrino. La natura la fa da padrone, mostrando anche il suo aspetto decadente ma affascinante: sembra di essere immersi in una “natura morta”.

Terzo stop: Ta Som. Si tratta di un piccolo tempio buddista costruito alla fine del XII secolo, caratterizzato dalle forme tipiche dell’architettura cambogiana. Da non perdere è il maestoso albero che avvolge il gopura (portale d’ingresso) orientale, una delle immagini più iconiche di Angkor.

Ci fermiamo poi a visitare il Pre Rup, un tempio-montagna che si snoda su tre livelli e dalle cui terrazze si ha la vista impagabile sul mare di verde della giungla.

Nel primo pomeriggio, dopo un brevissimo spuntino, visitiamo il sito per eccellenza: Angkor Wat, il più grande edificio religioso al mondo (sarebbe meglio visitarlo tra le 12 e le 14 perché dovrebbero esserci meno visitatori). Il colpo d’occhio è notevole, un sogno che si è realizzato, anche se è difficile coglierne pienamente l’essenza a causa delle dimensioni. Il tempio-montagna consacrato a Vishnu, con tutte le sue torri e i suoi pinnacoli, è senza dubbio il capolavoro dell’architettura e dell’arte khmer. La torre centrale rappresenta il Monte Meru, considerato il centro dell’universo sia per la religione induista sia per il buddismo. Con una scala super ripida saliamo al terzo piano del tempio centrale (è doveroso, in segno di rispetto, togliersi il cappello). È inutile dire che anche qui la vista è stupenda! Molto raffinati sono i bassorilievi che ornano la parte esterna della struttura centrale e che rappresentano temi epici. Mentre percorriamo i lunghi corridoi del tempio, ci vengono in mente le parole di Pierre Loti, autore del libro Un pellegrino ad Angkor: le sue descrizioni, risalenti all’inizio del ‘900, sono pervase da un forte senso di angoscia e claustrofobia dovute al pessimo stato di conservazione del sito, non ancora restaurato e completamente sopraffatto dalla giungla.

Malgrado la stanchezza, decidiamo di salire sulla collina dove è situato il Phnom Bakheng (la collina è bassa ma, inspiegabilmente, il sentiero è lunghissimo). Dalla cima ammiriamo in lontananza il sito di Angkor Wat in tutta la sua imponenza, circondato dalla foresta. Il tempio è preso d’assalto dai turisti che vogliono assistere al tramonto. Noi preferiamo scendere (anche per evitare la marea di persone) e ritorniamo in albergo.

La giornata è stata lunga e faticosa (nove ore di visite senza pause), per cui decidiamo di cenare nel ristorante dell’hotel a bordo piscina.

Venerdì 2 Gennaio 2015 – Siem Reap

Alle 8 partiamo in tuk-tuk per visitare Angkor Thom e i templi del Piccolo Circuito. L’aria è fredda e ci copriamo con un maglione (l’escursione termica tra la notte e il giorno è notevole). Entriamo nella città fortificata di Angkor Tom, l’ultima capitale dell’antico impero khmer, attraverso la porta sud. Breve sosta per fotografare, lungo la strada rialzata, l’Oceano di Latte con i demoni e le divinità impegnati nel tiro alla fune. Al centro della cinta muraria si trovano i monumenti più importanti, tra i quali predomina il Bayon, il tempio famoso per i 216 volti del bodhisattva Avalokiteshvara, che somigliano al re Jayavarman VII. Consigliamo di salire al terzo piano, dove si è letteralmente circondati dagli enormi volti un po’ enigmatici del sovrano. Interessanti sono anche i bassorilievi presenti nel primo livello, dove sono rappresentate scene quotidiane della Cambogia del XII secolo (c’è persino l’arrivo del circo in città). A piedi raggiungiamo il Baphuon, una struttura piramidale a cinque livelli. Saliamo con una certa fatica a causa delle scale ripide ma ne vale la pena. Scendendo (si deve scendere dalla parte opposta rispetto all’ingresso) ci si trova di fronte a un’enorme statua di Buddha sdraiato (a dir la verità, solo il volto è ben visibile, per il resto ci vuole un po’ di immaginazione…). Altra fermata al Phimeanakas, una struttura piramidale a tre livelli non in perfetto stato di conservazione. Avevamo letto che dall’alto si poteva ammirare il Baphuon, per cui decidiamo di salire. In realtà gli alberi hanno preso il sopravvento e del tempio si vede pochissimo (autori della Lonely Planet, aggiornatevi!). Infine arriviamo alla Terrazza degli Elefanti e a quella del Re Lebbroso. La prima, così chiamata per la presenza di sculture e bassorilievi di elefanti, è una tribuna utilizzata per assistere alle cerimonie pubbliche e per le udienze del sovrano. La seconda, probabilmente usata come crematorio per la famiglia reale, è caratterizzata da numerosi e raffinati bassorilievi (alcuni dei quali rimasti intatti).

All’ora di pranzo, ritroviamo il nostro driver che in tuk-tuk ci accompagna a visitare il Thommanon e il “gemello” Chau Say Tevoda, due piccoli templi induisti, posizionati uno di fronte all’altro. Proseguiamo poi verso il Ta Nei, una versione in miniatura del ben più famoso Ta Prohm. Il tempio è particolarmente affascinante, in quanto non è facilmente raggiungibile (e, quindi, i visitatori si possono contare su una mano) e la natura ha ancora il sopravvento sull’opera dell’uomo (sia degli antichi khmer sia dei restauratori). Consigliamo vivamente la visita.

Ed eccoci finalmente al Ta Prohm, purtroppo preso d’assalto dai turisti. Dovrebbe essere il tempio più suggestivo tra quelli in rovina. Attualmente stanno facendo “pesanti” opere di restauro e ci domandiamo se non lo stiano snaturando troppo! Qui sono state girate alcune scene del film Lara Croft – Tomb Raider (2001) con Angelina Jolie. Nei punti simbolo del tempio, cioè l’Albero del Coccodrillo e l’Albero di Tomb Raider, è stata messa una sorta di passerella per permettere ai turisti, rigorosamente in coda, di scattare la classica foto ricordo (manca solo il red carpet…). Il tempio sicuramente è da vedere ma non ci regala le emozioni che abbiamo provato durante la visita del Ta Nei.

Ultimo stop al Banteay Kdei, un monastero buddista della seconda metà del XII secolo (non ancora restaurato), nei cui pressi si trova il bacino d’acqua Sra Srang. Vicino a tutti i templi si trovano le immancabili bancarelle e bambini che chiedono in modo insistente “one dollar”. La colpa non è la loro, ma della povertà che spinge i genitori a farli mendicare (speriamo ci si limiti solo a quello!). Noi offriamo caramelle ma non sono per nulla gradite!

Verso le 16.30 ritorniamo in albergo per un po’ di relax, salutiamo e ringraziamo il nostro driver, sempre puntuale e affidabile. Stasera siamo di vita: in tuk-tuk andiamo in centro, dove troviamo le solite bancarelle che vendono tutte le stesse cose. Per cena optiamo per il mega hamburger (scegliamo quello più piccolo, ma è lo stesso enorme) dell’Hard Rock Cafe Angkor. Poi facciamo due passi lungo Pub Street, animata da numerosi ristoranti e bar per tutte le tasche, e ritorniamo in hotel sempre in tuk-tuk (andata 2$, ritorno 3$, chissà perché?).

Sabato 3 Gennaio 2015 – Siem Reap

La notte è passata un po’ agitata per il caldo, il rumore proveniente dalla strada (ma i cambogiani non dormono mai?) o più probabilmente per l’hamburger. Anche questa mattina sveglia milanese perché alle 7.30 si parte, questa volta in macchina (prenotata come sempre con la Tonkin Travel), per l’ultima giornata di visita ai siti più lontani di Angkor.

Il primo stop, dopo un’oretta di viaggio, è al Banteay Srey, un piccolo tempio (si fa per dire, perché tutto è rapportato ad Angkor Wat) conosciuto come “Cittadella delle Donne”. È mattina presto e nel sito ci sono pochi turisti, per cui possiamo godere in una pace inusuale degli splendidi bassorilievi scolpiti nell’arenaria rosa, tra cui prevalgono figure femminili (da qui il nome) in atteggiamenti sensuali. Facciamo appena in tempo a scattare le foto d’obbligo che arrivano le solite masnade di asiatici urlanti (pare che siano coreani). Il mercatino annesso al sito (ovunque una costante) espone oggetti diversi, così la nostra collezione di borse etniche si arricchisce di un nuovo esemplare in paglia intrecciata, pagata ben 10 dollari, dopo la solita estenuante trattativa, sempre con il sorriso sulle labbra.

La nostra prossima meta è Kbal Spean (siamo a circa 50 km da Siem Reap). Percorriamo a piedi un sentiero in salita di 1,5 chilometri, letteralmente immerso nella giungla, e finalmente arriviamo all’alveo di un fiume, dove si trovano bassorilievi di divinità indù e sculture di linga (simbolo legato alla fertilità). Il fiume è conosciuto con il nome di “Fiume dei Mille Linga”, anche in questa zona è vivamente consigliato di restare nel sentiero tracciato per la presenza di mine antiuomo. Non è facile scorgere nell’acqua i bassorilievi: vista la nostra aria smarrita, ci viene in soccorso un uomo privo di un braccio (sarà stata una mina?) che ci accompagna lungo il fiume (sbarca il lunario in questo modo). Il ritorno è un po’ più faticoso dell’andata a causa del terreno scivoloso. Impagabile è la passeggiata in mezzo alla natura rigogliosa, i bassorilievi invece non sono niente di speciale.

Terza e ultima tappa, sulla via del ritorno, è il Banteay Samré. Il driver si impapocchia e dobbiamo percorrere la strada due volte perché, quando ce ne accorgiamo, siamo già quasi arrivati a Siem Reap. Il sito, risalente allo stesso periodo di Angkor Wat, è isolato rispetto agli altri templi e di conseguenza non è molto visitato. Questo lo rende, ai nostri occhi, più suggestivo: si respira un’aria di tranquillità e finalmente di spiritualità che manca nei siti più importanti.

Torniamo in albergo nel primo pomeriggio per una nuotata rilassante in piscina. Il sole tramonta presto, non più tardi delle 17.45, ed è subito buio. Ritorniamo in centro per la cena e scegliamo il ristorante italiano Terrazza, situato all’interno del “King’s Road Angkor” (niente di entusiasmante). I profumi del cibo di strada sono invitanti ma le condizioni igieniche lasciano a desiderare e preferiamo non rischiare. Siem Reap by night è un susseguirsi di bancarelle, negozi, centri massaggi a un dollaro, immersi in un rumore assordante fatto dai clacson e dalla musica perennemente a palla, in una parola una specie di grosso luna park. Non mancano scene da pugno nello stomaco: vediamo una donna senza età con il suo piccolo dormire in un giardinetto circondata da sacchetti pieni di lattine di alluminio usate, che probabilmente raccoglie per poi rivenderle.

Domenica 4 Gennaio 2015 – Siem Reap

Questa mattina ci si sveglia con calma perché abbiamo appuntamento alle 8.45 con la guida che ci accompagnerà al villaggio galleggiante di Kompong Phluk, situato nei pressi della foresta alluvionale. Abbiamo prenotato questa escursione di mezza giornata attraverso l’agenzia Tara Riverboat (http://www.taraboat.com) al costo di 38$ a persona. La guida è un ragazzo che non sta zitto un attimo e che ci intontisce con le poche parole di italiano che conosce. Il suo inglese non è sempre comprensibile, come spesso succede in questi Paesi. Il fiume è in secca e pertanto siamo costretti a percorrere una strada piena di buche per una buona mezz’ora (i turisti in tuk-tuk soffriranno molto più di noi…). Saliamo poi su una barca, che più basica di così non si può, per raggiungere il villaggio di palafitte. Si tratta di case di lamiera costruite su strutture in bambù alte anche 6 metri. Apparentemente non c’è niente di turistico: ognuno vive la sua vita serenamente, le donne lavano, stendono i panni, accudiscono i bambini, i più piccoli sono vestiti solo nella parte superiore così le mamme hanno meno da lavare. Sono molto dignitosi perché non chiedono nulla, anche quando attraversiamo a piedi il centro del villaggio con le migliaia di gamberetti stesi al sole a essiccare. Arrivati nei pressi del Tonlé Sap saliamo su una minibarchetta dal fondo piatto e una giovane, utilizzando un solo remo, ci porta alla scoperta della foresta alluvionale. L’acqua è torbida e per nulla invitante e ci auguriamo di non finirci dentro. Siamo completamente immersi nella natura, circondati da alberi che con i loro rami intricati rendono la zona un po’ opprimente e la sensazione che proviamo, seppur piacevole, è di essere fuori dal mondo. Facciamo un break con spuntino in una specie di bar galleggiante al limitare del Grande Lago, di cui non si intravedono le sponde, offuscato da una nebbia di calore. Ripercorriamo in barca il percorso dell’andata e verso le 13.30 facciamo ritorno in albergo.

Un breve relax in piscina e siamo pronti per il prosieguo della giornata. In tuk-tuk andiamo all’Artisans d’Angkor, un negozio che vende gli articoli di artigianato realizzati nei propri laboratori (purtroppo è domenica e non vediamo gli artigiani al lavoro). Qui acquistiamo una pashimina color fucsia e alcune spezie e profumatori a prezzi cari e rigorosamente fissi. A piedi, costeggiando il fiume Siem Reap, raggiungiamo il Raffles Grand Hotel d’Angkor, uno splendido albergo in stile coloniale, dove abbiamo prenotato la cena e lo spettacolo che si tengono presso il ristorante Apsara Terrace (dining.grandhotel@raffles.com). Alle 19 ha inizio la cena a buffet con una vasta gamma di cibi cambogiani e asiatici, mentre alle 19.45 si aprono le danze. Lo spettacolo dura un’ora e dà la possibilità di avvicinarsi a questa forma d’arte, così lontana dalla nostra. Non si tratta di danze come le intendiamo noi, ma piuttosto di posizioni che le ballerine assumono con un’abilità e un equilibrio straordinari. Superluccicanti e coloratissimi sono i costumi caratterizzati da copricapi che ricordano le torri di Angkor Wat. La serata è piacevole, un po’ meno il conto. È buio pesto anche se sono solo le nove di sera e in giro oggi c’è poca gente (ormai le vacanze sono finite per molti turisti). Torniamo in albergo con l’ennesimo tuk-tuk, questa volta dotato di musica a manetta, che il portiere del nostro hotel definisce “tuk-tuk disco”.

Lunedì 5 Gennaio 2015 – Siem Reap/Kuala Lumpur

La lunga vacanza volge al termine: il relax previsto per la mattina è sostituito da uno stato ansioso dovuto al volo AirAsia diretto a Kuala Lumpur (il 28 Dicembre un aereo di questa compagnia è precitato al largo delle coste indonesiane). Alle 12.50 la navetta gratuita dell’albergo (da prenotare al momento del check-in) ci accompagna al piccolo aeroporto internazionale di Siem Reap. Con riluttanza saliamo sull’aereo e per due ore è una vera sofferenza per via di turbolenze non indifferenti. A Kuala Lumpur (terminal KLIA2) solita solfa alla dogana per l’ingresso nel Paese e, una volta raccattati i bagagli, prendiamo il KLIA Ekspres (costo 2RM) e in cinque minuti arriviamo all’aeroporto KLIA. Al livello 2 troviamo il buggy che ci porterà al Sama-Sama Hotel, situato all’interno del terminal. Albergo cinque stelle, camera carina e superinsonorizzata, cena più che accettabile presso il ristorante Degrees. Peccato che alle 4.30 del mattino (due ore prima del previsto) siamo svegliati dall’allarme antincendio che invita alla calma. Mezzi addormentati, ci infiliamo qualcosa, cerchiamo le scale e scendiamo nella hall, dove lo staff si profonde in mille scuse perché si è trattato di un falso allarme. Appena rimettiamo la testa sul cuscino, scatta di nuovo l’allarme e questo succede altre due volte: il sonno scompare e così ci prepariamo con grande anticipo.

Martedì 6 Gennaio 2015 – Kuala Lumpur/Milano

Facciamo colazione in aeroporto da Harrods (niente di che) e alle 9.30 ci imbarchiamo sul volo per Doha. Dopo un breve scalo, ripartiamo per Milano, dove arriviamo in perfetto orario nel tardo pomeriggio. Siamo così tornati nella routine quotidiana con le solite mille cose da fare ma negli occhi e nel cuore abbiamo la dolcezza del paesaggio del Mekong, l’imponenza delle Petronas, la magnificenza di Angkor e la voglia di ripartire per vedere un altro pezzettino di mondo…

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