Taj Mahal

Il Taj Mahal ad Agra: monumento di una bellezza che ti fa venire la sindrome di Stendhal. Lo visito insieme alla mia ragazza, Marilena. È settembre, fa caldo, ma non desisto dall’abbracciarla...
Scritto da: onofrio
taj mahal
Viaggiatori: 6
Spesa: 3000 €
Il Taj Mahal ad Agra: monumento di una bellezza che ti fa venire la sindrome di Stendhal. Lo visito insieme alla mia ragazza, Marilena. È settembre, fa caldo, ma non desisto dall’abbracciarla. Restiamo nei pressi della fontana, distanti circa cinquanta metri a rimirare questa meraviglia completamente rivestita di marmo bianco, che uno dei tanti sovrani ha voluto edificare in onore della moglie morta. Il monumento è così bello, che a volte le autorità indiane lo impacchettano per renderlo meno visibile a eventuali nemici che dall’alto possono decidere di bombardarlo. Ieri l’abbiamo visto da lontano, dal Forte Rosso, un altro dei gioielli di Agra, città non lontana da New Dheli. Il monumento però non incanta Marilena, che è stanca e vorrebbe tornare in albergo. – Sei sicura di stare bene? le chiedo. – Forse ho la febbre, comunque vorrei andare in bagno. – Va bene, però potevi dirlo prima, ci evitavamo il biglietto… – Pensi al biglietto, quando io sto male. – Hai visto anche tu quanto è costoso, e poi dovrò tornare da solo. – Ti prego, Alberto, andiamo in albergo. – Certo, cara, volevo soltanto distrarti… comunque è davvero una meraviglia. Non puoi aspettare qualche… – Voglio tornare in albergo. Me la sto facendo addosso. – Pilloletta? – No, hotel. Usciamo dal sito e ci avviciniamo ad un tuctuc. – E non ti azzardare a contrattare, mi previene. Saliamo sul mezzo e diamo il nome dell’albergo. – Ce la farai? le chiedo allegro. – Vedrai quando capita a te. La bacio sulla bocca con tenerezza. Non le piaceva l’India, è venuta per farmi contento. Saliamo in stanza e lei si precipita nel bagno. Io mi accendo una sigaretta indiana ed esco sul balcone. Si sente un puzzo fastidioso, guardo in basso e vedo quella che dovrebbe essere una fogna a cielo aperto. Non ho finito la sigaretta che la vedo. E’ uscita dal bagno ed ha un sorriso raggiante. Mi sento pervaso dal piacere. Entro in stanza e spengo la sigaretta. – Tutto passato? – Ti amo, mi dice e mi si getta al collo. La stringo, la sollevo appena e la poso sul letto. Non smetto di baciarla. – Aspetta, mi dice, voglio fare una doccia. – Anch’io. – E dopo mi porti al… – E dopo ti porto al… – Taj Mahal – Al Taj Mahal, sembra uno spot. Ride. E’ felice. Sono contento di vederla felice. Lei è contenta. Torniamo al monumento poco prima che chiuda e un senso di benessere sembra pervadere anche Marilena, mentre ci aggiriamo tra le decine di pilastri. Poi di nuovo le prende il mal di pancia (In fondo siamo latrine ambulanti, mi dice), di nuovo ci precipitiamo verso un tuctuc, ma stavolta non fa in tempo a raggiungere l’albergo, se la fa addosso. Diamo una mancia molto alta all’autista e ci avviamo nuovamente verso l’albergo. Una mucca occupa l’ingresso, la scacciamo infastiditi e poi mi guardo attorno, preoccupato che qualcuno si sia offeso. Raggiungiamo la stanza, lei pare claudicante. Va in bagno immediatamente. – Vuoi che faccia qualcosa? Chiedo accostandomi alla porta del bagno. – No, mi dice con voce sofferente, è tutto sotto controllo. L’indomani dovremmo partire per il Rajastan, però è impossibile dire cosa faremo. – Ho deciso, chiamo un medico. – Ma no, sto già facendo la terapia. – Anche antibiotica? – Si, ho cominciato anche quella, mi dice dal bagno. Mi stendo sul letto e sto per accendermi una sigaretta, quando mi ricordo che io ho smesso di fumare e non è il caso che ricominci in India. Qualche minuto dopo Marilena esce dal bagno. La vedo pallida. Si stende sul letto accanto a me e resta immobile a guardare il soffitto. – Per la diciassettesima moglie, vero? Si riferisce alla donna per la quale è stato costruito il Taj Mahal. – Credo di sì, la diciassettesima. Mi volto sul fianco e la guardo. – Come ti senti? – Non troppo bene. Queste continue scariche diarroiche. – Andiamo da un medico, scusa… – Non ce n’è bisogno: so di che si tratta e sono già in terapia. – L’India è anche questa, lo sappiamo. – Vedrai che domani starò meglio. – Domani riso in bianco e banane, banane a bizzeffe, che ne dici? – E rinunciamo alle loro salsine piccanti e al loro yogurt? – Qualche sacrificio dovremo pur farlo. – Ma tu stai bene… – Solidarietà. – Credo di amarti come non ho mai amato nessuno. Resto in silenzio a godere il piacere riflesso di quelle parole. Non le dico ti amo non le dico anch’io. Me ne sto a riascoltare all’infinito: “Credo di amarti come non ho mai amato nessuno”. Ci voleva proprio questo viaggio in India. La vita è anche un entrare ed uscire dal bagno.


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