La nostra India: Rajasthan e Agra

Un breve viaggio in una terra di grandi contrasti e contraddizioni
Scritto da: laurasergio
la nostra india: rajasthan e agra
Partenza il: 06/01/2018
Ritorno il: 15/01/2018
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €

6 – 7 gennaio 2018

Partiamo fiduciosi – Rajasthan in 9 giorni, compresi i voli. Chissà se basteranno per un piccolo assaggio della India classica. Partiamo senza troppe aspettative e senza avere organizzato nulla, tranne le prime 2 notti a Udaipur. Voliamo con Air India fino a Delhi e Jet Airways fino a Udaipur. Già due particolarità: l’aereo era pieno pieno di bambini e famiglie indiane e come bibita offrono il Ballantine!? A Delhi ci vuole parecchio tempo per passare al volo nazionale per Udaipur; in coda conosciamo due italiani e ci uniamo a loro per raggiungere la guesthouse in centro ad Udaipur. Siamo un po’ assonnati, traffico caotico, periferia; ma il centro e il lago lasciano il segno. Ci riposiamo un po’ e usciamo per il tramonto sul lago, bella atmosfera con i piccoli e grandi templi induisti.

Ci infiliamo in uno spettacolo folcloristico: molte famiglie indiane e pochi turisti, balli tradizionali di donne, costumi e colori sgargianti, una spettacolare 78enne che balla tenendo in testa una marea di cesti, un burattinaio… insomma , da vedere. Un giro per i templi frequentati, dove cantano e i locali pregano e cantano, una bella atmosfera, stando attenti al traffico di moto e alle mucche vaganti. Certo che l’unico animale sfigato è il pollo: nessuna religione l’ha preso sotto la sua protezione, o forse mi sbaglio?

8 gennaio: UDAIPUR

Nottata silenziosa, o forse eravamo cotti e non abbiamo sentito nulla. Ci siamo svegliati presto e usciti per visitare il City Palace. Alle 8.30 però non c’era ancora nessuno, il museo infatti apriva solo alle 9.30 e così abbiamo potuto assaporare la vista dell’alba e della città ancora dormiente e i giardini del palazzo deserti. All’interno abbiamo poi percorso una marea di stanze, un vero labirinto: ogni maraja che ci è passato ha pensato bene di addobbare propri locali, ampliando il palazzo, il risultato è comunque un tutto armonico che abbraccia la collina di fronte al lago. I loro ritratti esposti nelle sale, sono inspiegabilmente tutti simili! Bassi, di profilo verso destra, coi baffi, in abito tradizionale e sciabola. Un posto da visitare. Usciamo alle 11.00 quando l’affollamento in entrata era notevole; ci siamo presi una pausa di colazione alla nostra guesthouse con un tè/chai deludente, al latte e troppo speziato per i nostri gusti. Dolce e proficuo riposino in camera per poi tuffarci nel Buda market. Ma non è un mercato, è un labirinto di strade piene di negozietti, con tante sorprese, a cominciare da forme simil-parmigiano che in realtà sono forme di miele!!! incredibile. Gioiellerie/bigiotterie e negozi di tessuti, quasi tutti pieni di donne, senza scarpe, comodamente sedute su tappeti o cuscini in terra davanti ai venditori in una contrattazione che immaginiamo lunga. Cibo di ogni tipo, cocco, street food, scimmie pronte a sfamarsi alla sera con i resti. Moto, tuktuk, pedoni indaffarati, ambulanti, clacson. Tutti attenti a non deviare la propria traiettoria, altrimenti l’investimento è sicuro. Beh, un bel quartiere colorato e variopinto; nessuno ti importuna o ti viene addosso o insiste per vendere merce. Ma gente sorridente cordiale indaffarata. Diverso da come ci aspettavamo. Al tramonto, siamo andati a vedere il sole calante, sul lato del lago dirimpetto alla città. Splendido, una vista mozzafiato, colori romantici e Udaipur infuocata dagli ultimi raggi del sole. Aquiloni: bambini bravissimi e piccoli aquiloni colorati svolazzanti in cielo, guidati dalle mani sicuri di questi ragazzini. Pensieri di massima libertà, ma pensieri ben ancorati a terra. Come gli aquiloni. Mai visti in vita mia così. Per concludere la giornata abbiamo fatto gli acquisti: un piccolo telo coloratissimo per addobbare una parete. Laura in un centro Ayurvedico, per un bel massaggio godurioso, sotto mani energiche, mentre io ho girato un po’ e poi mi sono imbucato a vedere gli ultimi 20 minuti dello stesso spettacolo di ieri, sempre bello!! Cena seduti all’indiana e preghiera al tempio indù a sentire i loro canti. Riflessione su questa religione, se così si può chiamare. Ci sembra libera e gioiosa e aperta, con poche regole o sensi di colpa. Una gran bella giornata e una città da non perdere: a Udaipur

9 gennaio: JODHPUR

Sveglia presto. Alle 7.30 ci mettiamo in moto. A quest’ora c’è poco traffico anche in città. Méta Jodhpur, con intermezzo a Ranakpur, che però apre solo alle 12, prima l’accesso è solo per le funzioni religiose. Peccato, non possiamo visitare l’interno. Dopo qualche altra sosta arriviamo a Jodhpur alle 15. Prendiamo possesso della bella stanza in bellissima guesthouse raggiunta con il tuktuk che si è districato mirabilmente nel caos assurdo delle viuzze superaffollate. Ci fiondiamo al castello, sopra la collina adiacente. Bello e maestoso e ben organizzato, molto affollato. La musica sembra uscire dai muri grandiosi. Torniamo con calma, con Umberto e Sergio, i nostri compagni di viaggio in questi giorni. Troviamo un buon ristorante, elegante, in location tipica, ceniamo con calma. Alle 9 siamo a letto. Ancora un po’ stanchi, il fuso è di 4 ore e mezzo, lo sento ancora. Domani sveglia presto.

10 GENNAIO: PUSHKAR

Oggi siamo arrivati a Pushkar, partenza alle 7.40, aggregati sempre alla coppia di italiani, pentastellati e yoghisti… si dice cosi? Domanda al nostro autista condiviso: se un musulmano si innamora di una induista, o viceversa, cosa succede? Risposta: è una situazione impensabile, inimmaginabile! La giovane coppia sarebbe ripudiata dalle rispettive famiglie! Anche l’induismo che pare così libero e leggero, impone pesanti pressioni social-religiose. Arriviamo a Pushkar intorno a mezzogiorno. Anche nelle autostrade le regole sono diverse, arriviamo a pregare Shiva e tutto il pianeta delle divinità induiste ed arriviamo sani e salvi! Questo luogo non è Varanasi, ma quasi. Qui c’è l’unico tempio dell’India dedicato a Brahma, è molto frequentato e un po’ blindato da guardie armate! Una marea di templi e tempietti. Solo il freddo inusuale di questi giorni ci impedisce di vedere il bagno nel lago sacro, dove furono gettate le ceneri del Mahatma Gandhi. Gli abitanti sono imbacuccati, ci saranno 10 gradi, ma noi stiamo benone. Il riscaldamento non esiste, in qualche angolo della strada, davanti ai negozi ecco dei fuochi per scaldarsi. Il mio karma ha voluto che mi sentissi influenzato in questi giorni e sarà colpa del mio sankara delle mie vite passate, così imparo a fare il ridicolo e l’ironico. Recuperiamo le energie con una dormitina e poi affrontiamo il giro completo del sacro lago. Rigorosamente senza scarpe! Se ti avvicini alle acque e cammini sul Ghat, le sponde a gradoni del lago, i piedi scalzi sono obbligatori. Bisogna stare però ben attenti a non pestare quello che producono i piccioni-mucche-cani. Il tramonto è unico, vengono accesi i fuochi della preghiera, ci sono i canti, il sole scende dietro i templi. Andiamo a coprirci ben bene e ci tuffiamo in un simil ristorante italiano, rigorosamente vegetariano come tutti gli altri, sufficiente e con la pasta scotta. Il nostro sankara sta sognando un bel piatto di spaghetti. È una vacanza di sofferenza e perdono, oltre che di dieta. Domani rimaniamo qui. C’è un tempio sopra un cono di 500 di altezza, ci vogliamo andare, per sgranchirci e meditare che siamo vicini all’Himalaya e abbiamo scelto questa regione. Per Shiva, Visnu e tutti gli altri, compresi i nostri dèi che ci riempiono di risposte, quando si sta più leggeri a rimanere fermi alle domande e ad amare e basta.

11 gennaio: PUSHKAR

Oggi giornata completa a Pushkar, un posto delizioso e rilassante. Dopo una dormita colossale, passiamo per il lago sacro e prendiamo contatto con i gruppi indiani in gita di pellegrinaggio. Spesso ci si trova invitati nei gruppi di foto e in molti selfie. Assistiamo ai bagni purificatori, di cui anche noi avremmo bisogno! La vita quotidiana, con le solite moto che strombazzano e il paese che si mette in attività. Colazione con succhi di frutta e cannuccia infilata in una noce di cocco. Incontriamo anche un giovane italiano che nel periodo invernale vive qui, mentre in quello estivo lavora in montagna. Saliamo, noi e i nostri compagni di avventura, su una collina con in cima un tempio di Krishna. Il passeggio è attorniato da scimmie, che ti ignorano, sempre che non tiri fuori una banana da mangiare, perché vieni subito circondato! In un nano secondo la banana finisce nella nostra bocca e la buccia nelle loro. Dall’alto si vede tutta Pushkar, con il suo laghetto e la sua campagna circostante. Scendiamo lentamente e torniamo ad immergerci nelle viuzze e nell’atmosfera induista, fatta di preghiere offerte e immagini. Alla sera di nuovo il tramonto multicolore tra i riflessi sul lago sacro, i canti e i fuochi, pochi stavolta, gli aquiloni svolazzanti, in preparazione del Kite Festival di domenica. Ci ritroviamo ancora con il maestro Umberto e il simil Confucio Sergio. Con loro la serata è sempre piena di battute e condivisioni induiste e pentastellate, a volte non si capisce se dell’uno e dell’altro.

12 gennaio: JAIPUR

Partenza da Pushkar alle 7.30, sempre con auto e autista di Umbertoesergio, gli italiani con cui viaggiamo in questi giorni, dividendo un po’ le spese. Méta Jaipur, la capitale del Rajasthan, 3 milioni di abitanti, un traffico indicibile. Sostiamo al Monkey temple: fuori dall’indicibile caos che ci circonda: in una vallata chiusa ci appaiono nella loro maestosità e tranquillità numerosi templi, perfino una fonte/piscina: un paradiso di quiete, pieno di scimmie e di immagini di Krishna e altri da adorare. I relativi sacerdoti richiedono il “pizzo” per una fugace benedizione: così diversi e così uguali a tutti gli altri. Un posto affascinante, non citato dalla Lonely. Arriviamo in città, in un traffico che ormai ci stordisce. L’autista ci porta in una fabbrica e vendita di tessuti, abiti e foulard. Tessuti splendidi, ci sembrano di gran qualità, raffinatissimi ed economici. Purtroppo è come un cliché a cui non puoi sfuggire: non siamo amanti dei grandi acquisti. Questa sosta ci fa perdere tempo e la visita al Forte. Non ci resta che comprare i biglietti del treno per Agra domani e prendere possesso della stanza di un misero hotel, Rangoli, dove sono tutti molto gentili e disponibili, ma occorre chiedere espressamente asciugamani e lenzuola. Un tuktuk ci porta tutti in centro: si contratta il prezzo e si controlla il percorso per il ritorno. A piedi in mezzo alla folla e ai negozietti, una umanità così viva e attiva da tenere sempre in testa, una avventura attraversare le strade, un commercio unico, pochi ristoranti, pochissimi, e anche pochi bar, pare incredibile. Mangiamo all’unico ristorante che troviamo, consigliato e frequentato anche dai locali. Ma per il cibo siamo davvero perplessi! Rientriamo in albergo lentamente e stanchi, io con un po’ di mal di ossa, di pancia, di schiena che mi porto dietro da qualche giorno, forse il mio karma era proprio quello di immergermi in questo modo per capire meglio la fatica del vivere, tutto al contrario stranamente dall’Etiopia, dove la fatica è simile ma la prospettiva è diversa, più primordiale, e dal nostro occidente, comodo bello costruito e guidato.

13 GENNAIO – AGRA

Oggi lasciamo Jaipur e i nostri nuovi amici. Usciamo dallo scomodissimo e puzzolente Rangoli Hotel, fa un bel freddo e con un tuktuk raggiungiamo la stazione ferroviaria. Abbiamo il treno alle 7.05 e abbiamo in mente la visione dei treni indonesiani, affollati all’inverosimile. Invece le indicazioni sono buone, l’orario di partenza è perfetto, il treno non è pieno, è comodo più delle nostri Frecce, con servizio meglio che su un aereo! In tre ore e mezzo siamo ad Agra. Qui ci informiamo subito sul ritorno a Delhi e poi con un tuktuk ci facciamo portare alla nostra homestay, la guesthouse, stavolta un po’ più cara di proposito per superare il ricordo del Rangoli: 16 euro anziché 8! In una casa privata il giovane proprietario ci dà molte esaurienti spiegazioni e consigli per sfruttare al meglio le nostre due giornate ad Agra. Ci riposiamo un po’, cambiamo vestiti e poi partiamo per il giro, sempre in tuktuk. Prima il Fort, una gran bella sorpresa, veramente strepitoso e con una vista sul TajMahal che mi ha lasciato senza fiato per una decina di minuti. Ci siamo rimasti un’ora e mezza, davvero imperdibile. Poi al piccolo TajMahal, delizioso e delicatissimo. Un’anteprima del TajMahal. Infine il parco di fronte al TajMahal, parco recente dove riposare, stendersi e vedere il favoloso TajMahal al tramonto. Siamo un po’ cotti, ci facciamo portare in un ristorante con terrazza e vista sul bellissimo palazzo che visiteremo domani. Mangiamo senza troppe aspettative sul cibo.

14 GENNAIO: AGRA

Stamattina sveglia prestissimo. Alle 6 usciamo, è notte fonda ancora. Il traffico è scarso, anzi non c’è nessuno, riusciamo a prendere un tuktuk elettrico che ci porta davanti alla biglietteria ovest alle 6.20. Siamo i quarti della fila, davanti alla cassa che apre alle 6.40. Fa molto freddo, ci dividiamo per fare contemporaneamente la fila per il portone di ingresso, dove fanno accurati controlli delle borse. Ancora c’è poca gente: entreremo alle 7:15 in un TajMahal praticamente vuoto. Davanti ai nostri occhi si apre uno spettacolo mozzafiato che si fa fatica a descrivere e raccontare. Albeggia. Una brina leggera tutt’intorno. Ho il cuore in gola. Qualche foto, c’è ancora poca gente. I riflessi sull’acqua, piano piano prendono corpo. Il TajMahal è imponente e leggero, con il sole all’orizzonte. Un banco di nebbia rasoterra lo eleva tagliandogli le fondamenta. Pare sospeso. Ho avuto le stesse sensazioni solo alla vista di Abu Simbel e al Machu Pichu all’alba. Come una corrente che mi prende il cuore e la mente contemporaneamente. Rimaniamo due ore, ma ci sarei rimasto l’intera giornata. In ogni caso sono preso e catturato. Tutte le prospettive sono fantastiche. Usciamo a malincuore verso le 9.30. Il TajMahal vale il viaggio in India e vale i chiaroscuri di questo paese. Ritorniamo a far colazione alla guest house e a riposarci. Sappiamo già che il resto conterà molto meno e per fortuna abbiamo programmato questa visita alla fine del nostro giro in India. Ci facciamo portare alla bus station, dove, con un bus di linea che pare il rottame di un rottame, andiamo a vedere le mura e i palazzi vuoti di Fatehpur Sikri a 40 km da Agra. Finché non si entra nella zona a pagamento, siamo assaliti dai venditori ed è la prima volta che questo accade, per fortuna. All’interno, nella quiete di questa bellissima città abbandonata, incontriamo di nuovo Sergio e il maestro Umberto: baci e abbracci. Contenti per esserci ritrovati, finita la visita torniamo con loro ad Agra e ci diamo appuntamento per la cena. Prepariamo gli zaini, siamo quasi alla fine del viaggio e decidiamo come muoverci domani mattina. Ceniamo in un posto decente e moderno, grandi abbracci con i nuovi amici e camminata per smaltire la cena. Giornata indimenticabile.

15 gennaio

È il giorno della partenza. Vista la buona esperienza con il treno Jaipur-Agra, decidiamo di riprovarci prendendo un treno per Dehli in partenza alle 5.20 del mattino. Arrivo previsto alle 9 a Dehli. Tempistica perfetta per l’aereo in partenza alle 14.20. Nel caso qualcosa andasse storto, ci sarebbe stato un treno alle 6, altrimenti un bus alle 7, oppure, al limite, un taxi privato. In base al sito delle ferrovie, il nostro treno proveniente da Sud, da 1100 km di distanza era perfettamente in orario! Usciamo quindi fiduciosi alle 4.30, alle 5 siamo in stazione, col solito freddo mattutino. Ma… il treno arriva al binario in ritardo, dall’altoparlante annunciano un cambio di programma. Partiamo alle 6. L’avranno trasformato in quello previsto per le 6. Il treno non è certo come quello preso due giorni fa; un mondo di pendolari notturni, ammassati sulle cuccette, venditori ambulanti di chai ad ogni fermata, o di calze e oggetti non ben identificati. Storie di miseria assoluta. Piano piano ci accorgiamo che qualcosa non quadra, ogni tanto il nostro treno si ferma, si fa superare, diventa pieno come una scatola di sardine, la nostra tensione aumenta, aumenta. Con il tempo che passa troppo in fretta e i chilometri che non passano mai. Cerchiamo soluzioni alternative per arrivare in tempo all’aeroporto, che però ci paiono poco convincenti. Siamo schegge ansiose, animali in gabbia, non possiamo fare nulla. Arriviamo a Delhi alle 12.15, con ben tre ore di ritardo. Tra la folla corriamo a prendere la metropolitana, per fortuna super efficiente e veloce. AirIndia ci aveva scritto di presentarci almeno 4 ore prima del volo: arriviamo che mancano solamente un’ora e 10 minuti. Per fortuna, nei controlli, l’inefficienza aeroportuale dell’andata si è trasformata in efficienza. Ce la facciamo, siamo al gate, altre code. Con le gambe ancora tremanti per le corse, il cuore in gola per l’ansia, possiamo finalmente tirare un sospiro di sollievo… partiamo!

Un breve viaggio in Rajasthan, terra di grandi contrasti e contraddizioni. Luoghi imperdibili ed emozionanti e visioni da non riuscire a sopportare. Fra tutti, è imperdibile il TajMahal: non ci sono parole. Per quante aspettative si possano avere, le supera, intriso come è di amore e percorso dal sangue e dalla bellezza pura. L’induismo, nelle sue manifestazioni a Pushkar, ma anche a Udaipur e in ogni piccolissimo tempio e tempietto, con i suoi colori e la sua leggerezza rispetto alle religioni monoteiste. L’induismo che ci manda in confusione con i suoi numerosi nomi e la moltitudine delle sue rappresentazioni, significati, che così bene Umberto ha cercato di spiegarci, sapendo bene di avere di fronte due agnostici pieni di sarcasmo e non conoscenza. Gli indiani, multicolori simpatici e diversi e le loro fortezze e i loro templi, i bellissimi bambini che si divertono con gli aquiloni fantastici, la sabbia delle città, il niente. E poi tutto quanto non volevi toccare con mano, la sporcizia – un girone dantesco – solo a Jaipur stanno provando a cambiare; i clacson continui, indifferenti assordanti, simboli di esistenza di uomini motorizzati, le mucche, neutre più che sacre, i cani vagabondi; il cibo che pare un fuoco; i programmi e gli orari che ci hanno stupito sempre, nel bene e nel male; gli ingorghi, i contromano, le strade come piste da sci affollate. Forse abbiamo sbagliato qualcosa nell’approccio, forse bisogna venire qui come un re e una regina, chissà, ma non è stato facile, ci siamo incrinati molto di più che in altre parti , chissà se ritorneremo mai, la visita al TajMahal però è stata come farsi un tatuaggio dentro.



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