Trekking in Ladakh

DIARIO DI VIAGGIO DI CRISTINA ROVELLI L’idea di fare un trekking tra le montagne dell’Himalaya nasce nel gennaio 2000, a maggio si riesce finalmente ad organizzarlo, a settembre si parte : destinazione Ladakh, nell’estremo nord dell’INDIA. Dovevamo vivere questa avventura in sei persone, ma all’ultimo momento...
Scritto da: Cristina Rovelli
trekking in ladakh
Partenza il: 25/08/2000
Ritorno il: 24/09/2000
Viaggiatori: fino a 6
DIARIO DI VIAGGIO DI CRISTINA ROVELLI L’idea di fare un trekking tra le montagne dell’Himalaya nasce nel gennaio 2000, a maggio si riesce finalmente ad organizzarlo, a settembre si parte : destinazione Ladakh, nell’estremo nord dell’INDIA. Dovevamo vivere questa avventura in sei persone, ma all’ultimo momento partiamo soltanto in tre: Cristina, Carla e Paolo.

LA PARTENZA Dalla Malpensa un aereo ci porterà a Dubai negli Emirati Arabi, il giorno dopo un altro aereo ci condurrà a Delhi, capitale dell’India. Purtroppo non siamo riusciti a trovare un volo diretto. Sarà un lungo viaggio ma la nostra preoccupazione principale non è certo quella ma bensì quella di cosa troveremo a Delhi; infatti siamo in viaggio senza l’appoggio di un’agenzia italiana in quanto abbiamo contattato direttamente un indiano che, a suo dire, ci organizzerà il tutto… Ma!? Speriamo in bene. Il suo recapito ce lo ha consigliato un nostro amico il quale ci ha però anche consigliato di non inviare soldi, pagherete quando sarete là… Dopo ore e ore di attesa, finalmente arriviamo a Delhi : sono le tre di notte e, appena usciti dall’aeroporto, un’aria terribile umida e calda ci annienta! La cosa più bella è che ad accoglierci c’è il misterioso indiano che avevamo contattato via e mail qualche mese di prima. Ci guardiamo increduli : che potenza internet !!! Ok. L’avventura ha inizio. Il tipo farfuglia qualcosa in inglese e in indiano, poi ci fa larghi sorrisi e ci invita a salire in macchina. Mentre siamo seduti sul sedile posteriore, non riusciamo a vedere dove ci sta portando in quanto i nostri bagagli sono stati letteralmente caricati addosso a noi e il caldo diventa sempre più fastidioso. L’unica cosa che abbiamo capito è che nel prezzo concordato non è previsto per quella notte un pernottamento in albergo. Bene, vorrà dire che ci starà portando in giro per Delhi per una visita by night… Ma tanto non vediamo niente con questi bagagli.

Poco dopo ci fermiamo in uno dei quartieri più vecchi di Delhi : quel che restava di quella notte la passeremo in un microscopico negozio di tappeti, sdraiati su delle polverose stuoie, ma lusso sfrenato… C’è l’aria condizionata. Incominciamo bene !!! Be’! Non volevate l’avventura ? Eccovi serviti.

Il giorno dopo una visita veloce della città e poi, all’alba si parte : un volo interno ci porterà da Delhi a Leh, la capitale del Ladakh. Ancora non sapevamo che nei giorni successivi avremmo vissuto una delle più belle avventure della nostra vita.

PRIMI GIORNI Leh : 3400 metri di altitudine. Appena scesi dall’aereo siamo invasi da un’aria tersa e frizzante, così piacevole che ci fa dimenticare tutto il faticoso viaggio dei giorni precedenti. Tutto intorno appare in una limpidezza tale da invaderti il cuore di pace e nello stesso tempo di euforia per trovarti in un posto così incredibile : tutto è luminoso, i colori accesi, il clima magnifico. Verso sera il mal di testa comincia a farsi sentire e l’indomani la nausea ci accompagna per ore. L’altitudine non perdona ed è una saggia decisione fermarsi a Leh per tre giorni perchè è indispensabile acclimatarsi.

Trascorriamo tre giorni magici perchè senza rendercene conto… Visitando un monastero, passeggiando per i vicoli di Leh, pieni di bambini, osservando il blu di quel cielo incredibilmente nitido, rimanendo abbagliati dalla luce dorata e splendente che invade tutte le cose … Pian piano la tensione accumulata nei giorni precedenti si è trasformata in una serenita’ che invade i nostri animi, una strana carica emotiva ci fa vivere ogni momento con euforia e la voglia di partire per il trekking si fa sempre piu’ prorompente.

PRIMO GIORNO DI TREKKING Finalmente si parte : la jeep ci lascia lungo il fiume Indo, abbiamo una montagna di bagagli; le tende, i sacchi a pelo e la spartana batteria da cucina con i viveri vengono caricati sui cinque cavalli che ci accompagneranno per tutto il viaggio, tutto il resto è dentro i nostri zaini. Con noi partono due ragazzi: Dorgey e Stanzin, due guide tibetane, nonché cuochi e stallieri. E cosi’ ha inizio il lungo tragitto che ci condurrà attraverso le vallate himalayane raggiungendo la quota massima di 5800 metri. Cominciamo a camminare costeggiando il grande fiume indiano, addentrandoci sempre di più nell’interno delle montagne, stiamo attraversando un’immensa prateria desertica e ogni passo ci porta sempre più lontano dalla civiltà, dalla gente, dalle case, da tutto ciò che ci è conosciuto… davanti a noi l’ignoto, attorno a noi solo il deserto dei 3500 metri , sopra di noi soltanto il cielo di un azzurro così intenso, così incredibilmente bello da farmi sentire migliore, mi sento come se navigassi sulle onde del vento ed è una sensazione esilarante. I rumori della città sono ormai scomparsi e a farci compagnia c’è soltanto il silenzio, quel grande silenzio che vive sulle montagne, sarà il nostro compagno inseparabile per i prossimi giorni. Paolo si ferma per spalmarsi di crema solare, la sua pelle chiara è messa a dura prova sotto questo sole himalayano… Dorjey lo guarda e dal sorrisetto che è spuntato sul suo viso olivastro immagino quanto devono divertirlo gli occidentali, questi visi pallidi che lasciano la loro terra per trovare qui qualcosa… ma cosa possono trovare quassù, dove la vita è così difficile, dove nelle case vivono senza l’acqua, dove l’inverno avvolge tutto di bianco isolando il Ladakh dal resto del mondo, dove anche una penna regalata a un bambino è sufficiente a farlo sorridere ; già… I sorrisi della gente del Ladakh… Li ho impressi nel cuore come qualcosa di prezioso. Dorjey e Stanzin, l’altra guida tibetana, ci stanno distanziando sempre di più e noi, poveri occidentali, ci sentiamo un po’ delle schiappe ma ci consoliamo subito nel pensare che camminiamo piano a causa della quota… La scusa regge ! Abbandoniamo il fiume per virare decisamente all’interno di una vallata selvaggia, la via sulla quale stiamo camminando serpeggia , scavata nella roccia, non riusciamo a scorgerne la fine e attorno a noi gli orizzonti si susseguono all’infinito, senza un inizio, senza una fine ed io non posso fare a meno di fermarmi per osservare tutto quello spazio senza confini, il mio sguardo si perde e una meravigliosa sensazione di libertà s’impossessa di me, mi schiaccia per poi rilasciarmi , è come se le mie ali, tenute chiuse per troppo tempo, d’un tratto si fossero aperte in tutta la loro maestosità e come d’incanto si fossero librate verso quel cielo blu. Ora so che cosa prova un’aquila quando, splendida e reale, si lascia trasportare dal vento valicando le vette , attraversando le praterie , senza seguire una meta precisa, e più si avvicina agli orizzonti , più questi si allontanano per regalarle lo spazio infinito… L’aquila non ha confini e anch’io oggi non ne ho. Sono le due del pomeriggio e giungiamo presso un tendone bianco costruito con la stoffa con cui si confezionano i paracaduti : Dorjey e Stanzin ci stanno aspettando. All’interno vi sono due donne, ci sorridono e poi proseguono a chiaccherare con i due ragazzi in una lingua a noi incomprensibile. Un pranzo semplice: una patata lessa, un uovo sodo, un te’… Il te’ del Ladakh, tè con burro di yack e sale, e poi si riparte… In marcia, ci aspettano ancora molte ore di cammino prima di giungere al campo dove pianteremo le nostre tende. Ci stiamo alzando di quota e l’aria diventa sempre più frizzante, incontriamo un microscopico villaggio, una donna e un bambino, non si vedono altre anime. La donna ci vende delle albicocche piccolissime ma sono così buone da sembrare finte: sarà questa atmosfera così irreale, questo eterno silenzio, quest’aria così pura e questi colori così incredibilmente nitidi, sarà quest’euforia che ci ha catturato… Tutto fa sembrare di vivere in un mondo incantato, i miei occhi passano da un angolo all’altro di questa terra e increduli assorbono tutta quella meraviglia, quasi volessero portarla sempre con sé. E’ sera e l’arrivo al campo è una vera delizia per i nostri piedi, siamo stanchi ma non abbastanza : corriamo al torrente, togliamo gli scarponi e Paolo (il solito esagerato) , dopo essersi messo il costume, si fa un vero e proprio bagno. Intanto le nostre guide hanno già piantato le tende, una spicca tra le altre : ampia e biancastra ci ospita per la cena. Ci sediamo direttamente sul terreno, sopra di noi la tenda composta da un’unico strato di stoffa, ricorda molto quelle dei film degli indiani d’America, la stessa forma, la stessa atmosfera. Dorjey sta preparando una strana brodaglia con vari tipi di verdure semicrude e una montagna di riso in bianco, nessun condimento, solo un quintale di spezie, tutto è preparato utilizzando soltanto due pentole e due fornellini a gas : è incredibile come riesce a destreggiarsi con così poche cose . Notiamo una raffinatezza : sul tavolo, che non è altro che la cassetta di metallo che contiene i viveri per tutto il viaggio, è stata distesa una salvietta colorata che funge da tovaglia.. Il silenzio della notte è rotto soltanto dal rumore del torrente, quell’acqua, che scorre senza mai fermarsi, dove andrà, avrà i miei stessi pensieri ? Sarebbe bello poterle parlare e mi addormento con quel sogno nella mente.

SECONDO GIORNO DI TREKKING All’alba esco dalla tenda, vado al torrente e mi lavo come si lavano i gatti, l’acqua è gelida e in quest’ora del mattino ha un colore indefinibile, pare che abbia rallentato la sua corsa, il sole ha già dorato le cime dei 5000 metri, cosa ci riserverà questa giornata? Torno alle tende, le guide tibetane hanno svegliato tutti con un litro di tè al burro e sale… Una delizia di primo mattino … Eppure lo mando giù fino all’ultimo sorso perché è caldo e non c’è nient’altro per colazione… Questo è quello che credevo, ma mi sbagliavo alla grande… Dorjey ci prepara una colazione da re : latte in polvere, uova, marmellata, pane cotto in tenda e quindi ancora crudo, miele e dell’altro tè. Mentre ci prepariamo a partire, noto che Dorjey sta lavando le stoviglie e le asciuga con la salvietta che da tovaglia si è trasformata in asciugapiatti. Partiamo prima delle nostre guide e dei cavalli e quando racconto dei vari modi di utilizzare la salvietta, Paolo mi sorprende dicendomi che quella salvietta è servita a Stanzin come letto, era l’unica cosa che c’era tra lui e il terreno nudo. Carla, invece, mi dice che mentre io ero al torrente, ha visto Dorjey mentre recitava le sue preghiere inginocchiato, in contemplazione, su quella salvietta che, come per magia, si è trasformata, nel giro di poche ore da tovaglia ad asciugapiatti, a letto e a tappettino per le preghiere… Scoppiamo in una fragorosa risata. Intanto ci siamo ritrovati a dover attraversare il torrente, scopriremo poi che quel ponte traballante sarà l’unico ponte esistente durante tutto il viaggio ma che quel torrente non sarà certo l’unico da attraversare ! Per tutta la mattina infatti la traccia di sentiero salta da una parte all’altra del fiume ed ogni volta ci troviamo a doverlo attraversare, saltando da un sasso all’altro. I modi per guadarlo sono tra i più disparati : Paolo salta da una masso all’altro con una disinvoltura che mi fa venire una rabbia!!! Carla, dopo vari tentativi, si toglie gli scarponi e inizia il guado ma all’ultimo metro, uno schifoso, viscido sasso la tradisce e il bagno nel torrente è inevitabile. Io, sull’altra sponda sto riprendendo la scena con la mia inseparabile videocamera e non riesco a trattenermi dalle risate… Ma come dice il proverbio, ride bene chi ride ultimo ! Io, che nel guadare i fiumi, sono al numero uno tra gli imbranati, scarto decisamente il metodo di guado di Paolo perché non mi sento all’altezza e poi ho una videocamera da proteggere, quindi, dato che mi ritengo molto furba, decido di non seguire nemmeno il metodo di Carla perché i suoi piedi scalzi l’hanno tradita sui sassi viscidi e così, con una “ grande strategia”, decido di attraversare il fiume camminando con disinvoltura nell’acqua senza togliere gli scarponi ! Che gran bella idea starsene poi tutto il giorno con i piedi fradici, proprio una gran bella idea!!! Evito di fare commenti e mi dichiaro soddisfatta della mia strategia. I guadi del fiume ci hanno fatto perdere un bel po’ di tempo e così ci hanno raggiunto i cinque cavalli carichi di bagagli e le due guide. Dorjey mi passa accanto proprio mentre sto strizzando le calze e sul suo bel viso olivastro spunta lo stesso sorriso del giorno prima, quando Paolo si era spalmata la crema solare. Mi sento davvero un’oca giuliva, che imbranata, non sono neanche capace di guadare un fiume e voglio arrivare a 5000 metri di quota… Intanto Paolo mi dà una gomitata : “Hai visto cosa porta in testa il nostro Dorjey?” “No!! Non è possibile “ sono davvero divertita nel constatare che la famosa salvietta ha subito un’ennesima trasformazione : ora è diventata un cappello ! Dopo un fugace pranzo servito da due donne, sotto un tendone fissato in mezzo alla prateria, ricominciamo la nostra marcia, ci aspettano molte ore, dobbiamo raggiungere i 4500 metri di altezza, siamo rimasti da soli perché i due tibetani sono andati avanti con i cavalli, più volte siamo indecisi sulla strada da percorrere, a turno ci superiamo per aspettarci a vicenda e decidere dove andare, ci sono innumerevoli tracce di sentieri che s’intersecano tra loro. Questo pomeriggio è davvero pesante, gli zaini sembrano macigni oggi e la fine del sentiero sembra non arrivare mai.. Domani dovremo affrontare la fatica maggiore, dovremo valicare un passo di 5000 metri salendo lungo un ripido sentiero che a quella quota, ci sembrerà un muro, ma ce la faremo, so che ce la faremo … Mi accorgo di un bambino che mi sta osservando incuriosito, poi con una vocina tenera mi dice “Jule”. “Jule anche a te ! ” salutandolo le porgo una caramella e sorpresa lo vedo mettersela in bocca con tutta la carta.

“No, tesoro, tirala fuori che te la sbuccio”. Mi guarda come se gliela volessi portare via ma poi capisce. “Jule” e si riparte. Dopo circa due ore mi ritrovo in uno strano villaggio : una sola casa grigia, due prati coltivati a grano che luccicano al sole come gemme dorate, alcune coturnici mi zampettano intorno, il fischio delle marmotte mi spinge a cercarle tra la pietraia, mi sembra di essere in un villaggio fantasma, apparso dal nulla, deserto e sospeso su queste solitarie montagne, dove saranno gli abitanti, perché non sento le loro voci ? Forse sto sognando e niente di ciò che sto vivendo è reale, fra poco questo villaggio scomparirà nel nulla, guardo le spighe dorate che si piegano al vento e mi piace. In questo mio oblio sono rimasta sola, Paolo e Carla sono già andati avanti, cammino lentamente e lo zaino mi pare sempre più pesante, poi qualcosa mi spinge a fermarmi e a voltarmi verso quelle montagne da cui mi sto allontanando, sto salendo in direzione del campo base, dove trascorreremo la notte e alle mie spalle sto lasciando le immense vallate che mi hanno ospitato nei giorni scorsi. Appare d’improvviso un picco innevato : 6500 metri di quota, è splendido ! E’ in quel momento che mi rendo conto di quale spettacolo si è aperto di fronte a me : le ombre della sera si sono proiettate come giganti sulle montagne e sono emersi dei colori irreali, non ho mai visto montagne simili !!! Sono di mille colori, dalle striature rossastre, alle macchie verdi e marroni, ai punti dorati, il viola si unisce al giallo, il grigio si mischia al rosso, sono così fantastiche che un nodo mi stringe la gola e sento le lacrime rigarmi le guance, si può piangere per tanta bellezza, per tanta armonia, ho voglia di urlare tutta la mia felicità e non so più chi sono, mi sento fragile di fronte a tanta meraviglia e nello stesso tempo è come se non avessi più un corpo, sono un’essenza che vaga in questo paradiso…

“Grazie montagne per essere così belle, grazie cielo per essere così blu, grazie aria per essere così pura, grazie vento per rendere tanto magiche le spighe di grano e grazie a chi mi ha dato la vita e mi ha permesso di vivere degli attimi così intensi, così incredibilmente profondi, grazie, grazie a tutti ! “. Riprendo il cammino come in estasi, e mi tornano in mente le parole di un monaco incontrato a Leh: “ Solitudine? Ma quando si raggiungono le profondità del proprio essere non si è più soli. Si comincia a percepire che si è uno con l’universo. Allora la vita trabocca. “ In lontananza scorgo il campo base : 4500 metri di quota, le tende sono già piantate, il cuoco è già all’opera e sta preparando dei ravioli ripieni fatti a mano; sono sempre più sorpresa di quante cose riesce a fare con quella minuscola batteria da cucina. Questa sera siamo davvero stanchissimi ma io mi sento così strana che per reagire a questo miscuglio di emozioni che mi tormenta, decido di dormire all’aperto ed esordisco dicendo “Voglio vedere le stelle del cielo himalayano, questa notte dormirò fuori dalla tenda!” Carla mi guarda incredula “Ma sei proprio strana, chissà da dove salti fuori? ”. Paolo mi guarda incredulo ma afferma “Allora anch’io!” “E se dopo ti prendi una polmonite?” “Naturalmente sarà tutta colpa tua!” “Ma io non ti obbligo a dormire all’aperto…” “E allora chi avrebbe avuto questa bella idea !?” Che notte fantastica : un risotto di stelle e la via lattea, così evidente, così vicina… “Paolo? Sei sveglio? Hai freddo?” “No, sto benissimo?” “E allora perché hai messo su il passamontagna e i guanti? Vuoi rientrare nella tenda?” “Non ci penso nemmeno! Ho messo i guanti e il passamontagna così non potrò dire di averli portati per niente” “Hai visto quante stelle, chissà se qualcuna di esse è abitata? Tu partiresti per un viaggio verso una di esse?” “Perché no… Domani ci aspetta la salita al passo, cerchiamo di alleggerire gli zaini il più possibile.” “OK. Ciao, a domani …

TERZO GIORNO DI TREKKING L’alba ha tinto di rosso l’orizzonte : che spettacolo ! Da quassù tutto appare immenso e sembra di osservare il mondo seduti sulle nuvole. Dorjey e Stanzin hanno già detto le loro preghiere e stanno trafficando con le stoviglie. “Jule !” e intanto che ci salutano ci fanno capire che è stata una notte molto fredda… Per forza, dormire a quella quota senza sacco a pelo, avendo come letto una minuscola salvietta … Eppure sono sereni e il loro sorriso mi conquista ogni volta, quel sorriso così aperto che ho visto in tutta la gente del Ladakh, i denti così bianchi in contrasto al loro bel viso scuro, quella luce strana che traspare dalla loro espressione tranquilla, sono così poveri e così sereni, così minuti di costituzione ma così forti da sopportare le fatiche e il freddo himalayano, così semplici nell’usare le loro cose che disarmano ogni nostra abitudine… E chi ci pensa più all’igiene, cose che a casa non riusciremmo mai a sopportare qui sembrano così naturali, mangiamo per terra in piatti non sempre ben lavati, dormiamo in tende che sembra abbiano passato la guerra, abbiamo dimenticato cos’è uno specchio e cos’è una doccia, mangiamo patate lesse senza sbucciarle, i nostri zaini hanno cambiato colore e appaiano di un aspetto indefinibile, completamente ricoperti della polvere di questa terra desertica, anche la gomma piuma su cui dormiamo è irriconoscibile… Eppure tutto sembra così normale. La salita al passo è lenta, respiriamo a fatica e contiamo i passi, uno per uno, ogni cento mi fermo a riposare per qualche secondo. A metà salita ci raggiungono i cavalli e ci superano, incuranti di noi. E su, sempre più su… Le marmotte e le coturnici accompagnano la nostra marcia … Ancora pochi passi e saremo al passo, mi volto a guardare Carla, sta arrivando anche lei, indomita e determinata. Al passo, appena sopra di me, vedo Dorjey mentre sta radunando i cavalli, Stanzin ha già valicato il passo per scendere nella vallata sottostante. Ancora pochi passi, ansimo mentre osservo che lungo tutta la cresta sono stese delle bandierine : sono tutte preghiere dei buddhisti, le lasciano al vento perché le trasporti in ogni angolo del mondo. Uno, due, tre, quattro… Eccomi al passo: rimango senza fiato non so se è per la fatica o per ciò che sto guardando… Dall’altra parte del valico un susseguirsi ininterrotto di cime si estende a perdita d’occhio e sotto di me una grandissima vallata si rivela in tutto il suo splendore, tutte le creste delle montagne hanno forme e colori diversi, le pietraie si mescolano al verde brillante delle oasi e tutto pare non avere fine, quattro aquile stanno attraversando questa fetta di cielo, si attaccano per poi lasciarsi, per poi librarsi in larghi cerchi, si allontanano e poi mi ritornano incontro, oh! che cosa divina … Se un bimbo mi chiedesse cos’è l’immensità, gli direi di venire qui e di guardare ciò che sto guardando io. Vedo Dorjey che sta tremando di freddo, il vento quassù non lascia respiro e quel piccolo tibetano è vestito con una misera giacchetta. “ok. Scendiamo!” ma mentre lo dico commetto un errore imperdonabile, passo sotto le bandierine, il viso di Dorjey si rabbuia, mi fa notare le preghiere scritte sui sassi, in variopinti colori, posti sotto le bandiere “ Ave al gioiello nel fiore di loto “. Non comprendo il significato di quelle parole ma mi scuso per il mio comportamento a dir poco scostumato.

E giunge la sera, una cena a base di verdure e curry e poi arriva quell’invito inaspettato… è già buio pesto quando i due tibetani ci invitano nella tenda indiana per offrirci una bevanda alcoolica tibetana: un miscuglio di rum acido con birra fermentata. Mai ho bevuto una cosa più schifosa, ma non voglio offendere i nostri due tibetani e così, a fatica e a piccoli sorsi lo mando giù tutto, che supplizio… Anche Paolo si sacrifica e lo beve tutto, Carla non ce la fa proprio e ne avanza un terzo. Fra l’altro i bicchieri erano grandi il doppio del normale !!! “Ne volete ancora” ridacchiano i due ragazzi e intanto ne mandano giù un altro sorso generoso. Gli piace proprio! “No grazie! E’ sufficiente questo, è troppo forte per noi” Questa sera i due ragazzi sono particolarmente socievoli, non hanno mai parlato così tanto, ridono e parlottano tra di loro, ogni tanto ci rivolgono la parola e tra un po’ d’inglese e un po’ di tibetano, ma soprattutto con i gesti, riusciamo a mettere insieme una frase. Dorjey vuole parlare di sé e scopriamo che ha 35 anni, è sposato con tre figli. Pazzesco ! In tutti questi giorni ho sempre pensato a lui come ad un ragazzino di 18 o 20 anni ed ora scopro che è un uomo con tanto di prole ! “E tu Stanzin?” “Io ho 36 anni e ho due figli” “Ma cosa fate in inverno quando tutto è bloccato dalla neve?” “Incidiamo le Mani stone, pietra su cui è scritto il mantra tibetano-buddhista – ave al gioiello nel fiore di loto – “ e intanto che parlano cominciano ad incidere, lettera dopo lettera, quelle sacre parole, le incidono su una pietra che hanno raccolto dal terreno, sono dei veri artisti, è bello guardare le loro piccole dita mentre si muovono velocemente e intanto la preghiera prende forma. “Un regalo per voi”. Siamo emozionati, non sappiamo come ringraziarli e gli chiediamo di lasciarci il loro indirizzo…

QUARTO GIORNO Camminiamo ogni giorno incontrando panorami sempre diversi e la varietà di questa terra himalayana mi sorprende sempre più. Dorjey ci avvisa che per arrivare all’ultimo campo, dove troveremo la jeep che ci riporterà a Leh, dovremo valicare un passo di 5800 metri e attraversare un fiume molto impetuoso, ma il ponte è crollato” Ci guarda e le nostre espressioni devono fargli molta impressione… “Non pensateci , mancano ancora diversi giorni prima di arrivare” “Come attraverseremo il fiume se il ponte è crollato?” “No problem! No problem!” “Se lo dici tu!” Stiamo salendo sempre di più, il tempo sta cambiando , incrociamo dei soldati e Dorjey ci spiega che siamo vicino al confine pakistano e che ci sono numerose guerriglie. Comincia a nevicare, mi chiedo come respirerò quando mi troverò lassù, sono impressionata nel vedere i soldati, vestiti con misere giacche, sotto la neve, imbacuccati nel loro berretto di lana. La neve ci sferza contro il viso, sono intirizzita dal freddo e mi nascondo nel bavero della giacca vento. Stiamo salendo con una lentezza estrema, sento lo stomaco che mi si contorce, devo fermarmi ogni dieci passi altrimenti vomito, respiro a fatica e ho la testa che mi gira. Paolo è più avanti e ogni tanto ci chiama. La difficoltà maggiore sta nel fatto che non stiamo camminando su un sentiero ma su una grande pietraia composta da massi di dimensioni diverse e per ogni passo, spesso è necessario usare sia le braccia che le gambe per poter risalire la china. Il passo sembra vicino ma non arriva mai. Ha smesso di nevicare, ma il vento è ancora gelido. Guardo Carla che sembra non avere problemi, la più scarsa sono io ma, d’altra parte, io ho la mia solita inseparabile videocamera e, se mi fermo tanto spesso, è perché sto documentando ogni passo di questo lungo, incredibile viaggio. La scusa regge… Mi impongo di fare almeno cinquanta passi prima di fermarmi e riesco nel mio intento… Giungo sulla cima in preda a un’euforia a me sconosciuta. Mi siedo sulla forcella e guardo l’incantevole vallata che si allarga sotto di noi. Paolo mi passa la macchina fotografica, io gli passo dei biscotti, Carla imposta l’autoscatto e immortaliamo quella nostra presenza ad una quota che mai ci saremmo aspettati di arrivare. Ogni movimento, anche il minimo, ci costa fatica, ad ogni piccolo sforzo lo stomaco si contorce e il respiro si fa affannoso. Per degli alpinisti, abituati a scalare le cime dell’Himalaya, probabilmente questa salita potrà sembrare una sciocchezza ma per noi è molto di più di quanto ci aspettassimo di fare, noi siamo venuti fin quassù per la sete di avventura, per ritrovare il proprio spirito giovane ed ora che siamo quassù, l’emozione ci sta sopraffando. Io sto respirando a fatica, sento il cuore battere forte, ma non so più se è a causa dell’altitudine o se è la gioia che mi sta divorando, l’emozione di trovarmi in un posto così incredibile, una sensazione così sconosciuta per me, mi ha preso di sorpresa , mi sento come svuotata da ogni pensiero, se la felicità esiste davvero deve essere qualcosa di molto simile a ciò che sto provando ora. E’ uscito il sole e quel dolce tepore invade tutto il mio corpo, una grande pace si è impossessata di me, io non esisto più, lo spirito si dilata, mi sento parte del profondo del cielo e della terra, è una beatitudine senza limiti…

Cominciamo a scendere verso la verde vallata. Mentre cammino sul pendio in discesa penso che la fatica maggiore l’abbiamo superata, ma le ultime ore di cammino trascorrono come in un sogno, andiamo avanti a forza di inerzia …

GLI ULTIMI GIORNI I giorni successivi volano, siamo un po’ agitati, cerchiamo di scoprire come faremo ad attraversare il grande fiume. Soprattutto io sono preoccupata perché con i guadi ho un gran brutto rapporto… Le grandi vallate, i passi che toccano il cielo, le immense praterie, si susseguono ininterrotamente, ad ogni villaggio i bambini ci corrono incontro e in ogni monastero cerchiamo di respirare quella pace che accompagna i monaci buddisti. Finchè giungiamo al fiume più grande che avessimo incontrato in quei giorni. Dorjey ci indica qualcosa sull’altra sponda e intanto Stanzin, seguito dai cinque cavalli, comincia a tornare sui suoi passi. Mentre cerchiamo di capire cosa sta succedendo, il tibetano comincia a tirare delle funi di metallo e quella cosa che vedevamo sull’altra sponda e che si avvicina sempre più si rivela per quello che è : un cassettone di metallo, tutto traballante, tipo quello che si usa per le teleferiche. Intanto i cavalli e Stanzin si stanno allontanando sempre più. Guardiamo Dorjey con aria interrogativa, ci spiega che i cavalli non possono passare di lì e così tornano indietro per la stessa via dalla quale sono venuti. Poi, con aria candida, ci dice che invece noi attraverseremo il fiume su quella specie di trabiccolo.

“Prego!? Stai scherzando?”. Con la sua aria serena continua a tirare le corde finchè quell’inaspettato mezzo di trasporto raggiunge la sponda sulla quale ci troviamo. Carla è la prima a salire su quel “coso”: viaggia appeso a un filo metallico, e si sposta grazie a Dorjey che si sta dando un gran da fare nel manovrare le corde, a metà fiume si blocca, rimaniamo con il fiato sospeso, sotto, il fiume ha una corrente impetuosa, riusciamo a scorgere Carla mentre guarda giù nel baratro, ma l’espressione serena di Dorjey ci tranquillizza, poco dopo il mezzo di trasporto riprende la sua corsa. Scendere da quel “coso” è tutto un programma, va a sbattere contro le rocce e da lì bisogna arrampicarsi fino a superare il gradino sopra il quale c’è la terra ferma. Poi passo io e infine Paolo. Ad aiutare Dorjey ci pensa un personaggio che ha assistito a tutta la scena dall’altra sponda del fiume, ci chiediamo se viva lì o se il suo lavoro sia quello di curare quello strano trabiccolo. Ok. Fin qui siamo arrivati, ora ci aspettano un po’ di chilometri per arrivare a una jeep. L’ARRIVO Sono gli ultimi passi, gli ultimi silenzi… Ci sediamo sul muretto che fiancheggia la strada sterrata e rimaniamo in attesa, quanti pensieri si affollano nella nostra mente … Io sto pensando al motivo che ci ha condotti fin quassu’ e gli altri a cosa staranno pensando ? Sono accadute cosi’ tante cose e noi non siamo piu’ gli stessi, cambiati dalle emozioni profonde che ci hanno sopraffatto …Dopo aver trascorso giorni e giorni fra le montagne himalayane, attraversando immense vallate, valicando passi che arrivano al cielo, guadando torrenti impetuosi, incontrando strani e solinghi villaggi, camminando per chilometri e chilometri tra una quota compresa tra i 3500 e i 5800 metri. Uniche presenze, oltre noi, due guide tibetane e cinque cavalli che hanno trasportato le tende e i viveri per tutti questi incredibili giorni. Come tutto sembra lontano ora e nello stesso tempo cosi’ vivo nella mia mente… Ed è qui che io, in cerca di avventure, ho provato emozioni che mi fanno sentire migliore, all’esterno sono ancora io ma nel profondo del mio essere qualcosa è cambiato, è qualcosa che non riesco a spiegare, ma che mi fa sentire più ricca, più vera…

Siamo seduti su un muretto in attesa che ci vengano a prendere… Un fuoristrada ci riportera’ all’aereoporto di Leh, la capitale del Ladakh. Ecco la jeep… Il trekking è finito. Domani comincerà la seconda parte del viaggio : ritorneremo a Delhi per cominciare a vagabondare in giro per il Rajasthan, la terra dei Maraja, ma questa è un’altra storia.



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