Itinerari inconsueti: Maharastra, sud Rajastan

Mentre l’aereo era in procinto di atterrare a Bombay, non potevo fare a meno di pensare alla prima volta che arrivai in questa città 10 anni or sono e alle emozioni provate e rimaste a lungo impresse nella mente. L’India è davvero il paese che più di ogni altro lascia traccia e riesce a smuovere anche gli animi apparentemente più...
Scritto da: giubren
itinerari inconsueti: maharastra, sud rajastan
Partenza il: 11/10/2007
Ritorno il: 29/10/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Mentre l’aereo era in procinto di atterrare a Bombay, non potevo fare a meno di pensare alla prima volta che arrivai in questa città 10 anni or sono e alle emozioni provate e rimaste a lungo impresse nella mente. L’India è davvero il paese che più di ogni altro lascia traccia e riesce a smuovere anche gli animi apparentemente più imperturbabili, come pensavo fosse allora il mio, donando quelle sensazioni di spaesamento e di shock culturale che sono così ben descritte in tanti libri. Ma le cose cambiano anche qui e l’impatto con la nuova realtà la si percepisce sin dall’arrivo all’aeroporto: non più locali afosi e dipinti di bianco scrostato, con grandi ventilatori impolverati e rumorosi alle pareti, ma un ambiente completamente rinnovato ed al passo con tanti altri hub internazionali. E’ l’India che, lanciata dal suo vertiginoso decollo economico, scopre la modernità e l’efficienza e che si presenta, già nel suo primo impatto, come un paese meno “diverso” rispetto a quanto apparisse rispetto a pochi anni fa.

Il primo giono è dedicato alla visita della città, che decidiamo di compiere a piedi nelle eleganti via coloniali dei quartieri di Colaba e di Fort. Sono sparite le vacche sacre ed i risciò a pedali. Ma soprattutto noto meravigliato la quasi completa assenza di mendicati deformi che prima si vedevano ad ogni angolo oltre ad una maggior pulizia. Il giro comincia nei pressi dell’Apollo Bunder dove si trova la famosa “porta dell’India”. Il piazzale antistante è attualmente oggetto di lavori di riqualificazione, cosi come la pavimentazione stradale e le isole spartitraffico lungo Marine Drive in gran parte già terminate. Girare 10 anni fa a piedi sarebbe forse stato impensabile, al contrario oggi è stato assolutamente gradevole scoprire i vari angoli caratteristici del centro storico. Oltre alle varie chiese ed edifici dell’epoca del Raj britannico che ospitano antiche librerie ed università, abbiamo visitato il Prince of Wales Museum (oggi ribattezzato Chhatrapati Shivaji Museum), che conserva raccolte di miniature e sculture indiane oltre a porcellane orientali ed oggettistica proveniente da altri paesi asiatici. Il palazzo è di stile indo-saraceno d’inizio ‘900. Tra gli edifici degli di nota anche la stazione ferroviaria Victoria Terminus (anch’essa formalmente ribattezzata Chhatrapati Shivaji Terminus, anche se il nuovo nome sembra incontrare maggiori resistenze per affermarsi).

Non può mancare la visita ad una delle “istituzioni” della città: il Taj Mahal Hotel, presso il quale ci sono i migliori ristoranti. Anche qui, gli ambienti sono stati rimaneggiati rispetto a come li ricordavo, con un design decisamente più elegante e raffinato. Una galleria di negozi iperlusso sfoggiano le più importanti firme mondiali, un contrasto con la povertà esterna che tuttavia oggi appare molto meno stridente rispetto al passato.

Raggiungiamo Aurangabad (seconda città dello stato del Maharastra) con il primo volo del mattino e subito si va alla scoperta delle vicine grotte di Ellora (patrimonio dell’umanità sotto l’egida dell’UNESCO, come le altre vicine grotte di Ajanta). Prima di raggiungere Ellora ci fermiamo al forte di Daulatabad. Una lunga passeggiata conduce alla scoperta di questo luogo affascinante, dove il folle progetto del sultano di Delhi Tughluq impose l’improvviso trasferimento della capitale e di tutti i suoi abitanti. Si ammira all’interno della cinta muraria uno splendido minareto di 60 metri – appena restaurato – oltre ad una moschea ed altri edifici in rovina. La salita è abbastanza impegnativa ma la fatica è ampliamente ripagata dallo splendido panorama che si gode dalla sommità della cittadella.

Ellora è famosa soprattuto per le splendide sculture realizzate all’interno di cavità scavate nella roccia. Il percorso si snoda lungo le grotte passando attraverso suggestivi scenari naturali tra cui una cascata visibile solamente dopo il periodo dei monsoni. Assolutamente spettacolare il Kailasanatha Temple, interamente scolpito all’interno di una immensa parete rocciosa. Ajanta è invece famosa per i dipinti che decorano le pareti delle grotte e che pare risalgano a circa il I secolo a.C. Questo luogo fu riscoperto agli inizi dell’800 da una pattuglia di militari inglesi, che si accorse dall’alto dell’esistenza di questo complesso templare ipogeo all’interno di uno splendido canion a forma di ferro di cavallo.

Anche la città di Aurangabad è interessante, sebbene trascurata dai più. Oltre al Panchaki – antico mulino ad acqua ancora funzionante – la città ospita il più importante monumento Moghul a queste latitudini: Bibi Ka Maqbara. Si tratta di una replica del Taj Mahal di Agra, con il quale potrebbe essere distrattamente confuso se non fosse per le sue dimensioni inferiori e alle decorazioni di stucco. Nonostante le guide lo definiscano il “Taj Mahal dei poveri”, noi l’abbiamo trovato molto affascinante. Durante la visita siamo stati continuamente circondati da ragazzini che ci hanno bersagliato di foto e che rimanevano a fissarci di continuo. La cosa può anche essere divertente, e noi ci siamo volentieri prestati alla loro curiosità e alle loro continue richieste di posare per i loro scatti. Il motivo di tale interesse è probabilmente da imputarsi ai divi “Bollywodiani”: bellissimi, in genere di carnaggione chiara, spesso con occhi verdi e di elegante abbigliamento occidentale e che ora – soprattutto i teenagers di sesso maschile – sembrano voler emulare ad ogni costo… Non a caso infatti ci è stato richiesto persino l’autografo (!!!). I ragazzi sembravano più interessati a noi che al monumento.

A due chilometri dal Bibi Ka Maqbara sorgono le grotte di Aurangabad. E’ un sito tranquillo e praticamente privo di visitatori, ma anche qui ci sono lavori in corso per renderlo più facilmente accessibile. Si visitano delle grotte con interessanti sculture, ma la concorrenza di Ellora e Ajanta renderà difficile l’affollamento turistico.

Dal Maharastra al Rajastan: si vola via Bombay ad Udaipur, la città dell’Aurora. Si nota rispetto ai luoghi precedenti una massiccia presenza di turisti ed una maggiore abitudine dei locali alle fattezze occidentali. Udaipur sarebbe stata la base delle nostre visite successive nel Rajastan del sud.

Nel mio primo viaggio in India era stata l’unica delle città principali del Rajastan che non avevo potuto visitare per mancanza di tempo. La presenza del lago Pichola la rende unica rispetto a tutte le altre e gli scorci panoramici sulle tante terrazze ne fanno tra le destinazioni più romantiche. Vale la pena di trascorrere almeno 2 giorni pieni, scoprendo le molteplici attrazioni che la città offre. In particolare, Ahar ospita i cenotafi dei maharana di Mewar, componendo una piccola città di candide cupole affastellate le une sulle altre. Spettacolari il city palace ma soprattutto la galleria dei cristalli che si compone di una collezione unica al mondo di mobilio di cristallo (tra cui un letto, un trono e divani) che un maharana dell’800 aveva commissionato in Inghilterra senza tuttavia poterne mai usufruire: morì prima che il prezioso carico giungesse a destinazione. E’ l’attuale maharana (che ancora occupa con la sua famiglia un’ala del palazzo) ad aver deciso l’esposizione facendo spacchettare quei mobili che dal loro arrivo erano ancora rimasti imballati.

Gli scorci di sera sul lago dai ristoranti delle haveli con il Lake Palace e l’isola di Jag Mandir illuminati sono il modo migliore per concludere la giornata, ma anche il modo migliore per iniziarla con la prima colazione.

Ad Udaipur ricompaiono le vacche sacre, anche se soprattutto i giovani di sesso maschile appaiono molto occidentalizzati nell’abbigliamento. Con le escursioni verso Kumbalgarh e Ranakpur si riscopre l’India rurale, con i suoi costumi e le sue abitudini millenarie. Lungo la strada, mandrie di vacche e bufali condotti dai contadini rallentano piacevolmente il nostro percorso, donne in variopinti sari e gioielli con grandi fasci di fieno sulla testa camminano ai bordi della strada seguite da carri trainati da buoi e cammelli.

La prima tappa è il forte di Kumbalgarh, un tempo denominato “l’occhio del Mewar” in quanto costruito dai maharana di Udaipur su un colle imprendibile ai confini del regno. La cinta muraria è molto estesa e racchiude al suo interno numerosi templi ed edifici. Si tratta di un luogo ben tenuto e poco frequentato. Ranakpur è forse più nota per i suoi templi jainisti tra cui spicca l’Adinath Temple, con le sue 1444 colonne di marmo bianco scolpito, così come ogni angolo dell’affascinante edificio che stupisce per l’incredibile e raffinato lavoro di intaglio della pietra.

Da Udaipur raggiungiamo anche Chittorgarh e visitiamo il più grande forte del Rajastan con i suoi palazzi in rovina e le sue torri invasi dalle scimmie e poi la cittadina di Bundi. La strada per raggiungerla si percorre con difficoltà a causa dei lavori che, alla fine del 2008, porteranno alla conclusione di una enorme superstrada a due corsie per ogni senso di marcia (…) La relativa difficoltà nel raggiungere Bundi infatti fa di queta città un gioiello da scoprire, mantenendola lontana dagli itinerari più battuti. Un tempo sede di un piccolo principato Rajput indipendente, la città è dominata dal City Palace che conserva delle bellisime sale affrescate. Il palazzo – ancora di proprietà del raja locale – è rimasto a lungo in stato d’abbandono. Spesso si è del tutto soli all’interno dei suoi cortili e delle sue stanze, ma soprattutto vale la pena di salire fino al forte in rovina di Taragarh da cui si gode uno splendido panorama della città, con i suoi edifici dipinti di blu in lontananza. Le guide sostengono che il posto non è valorizzato come dovrebbe, ma forse è meglio così: girovagare soli tra gli edifici, l’erba alta e babbuini aggressivi regala ancora quelle emozioni od immagini degni di un set cinematografico. Dopo un giro presso il mercato locale siamo tornati ad Udaipur per continuare il giorno successivo il nostro percorso verso il Gujarat.

La spettacolarità dei forti e delle città rajastane fa si che lo stato del Gujarat sia piuttosto trascurato dal turismo. Questa prima impressione viene confermata anche dall’accesso quasi sempre gratuito ai siti di interesse storico e ai monumenti oltre che dalla curiosità dei locali verso gli occidentali.

La prima tappa è Modhera che ospita lo spettacolare Surya Mandir (tempio del sole), uno dei principali di tutto lo stato. Oltre alle raffinate sculture che lo ornano, è soprattutto il baorì (pozzo a gradini) di fronte al complesso ad impressionare il visitatore. Il bacino d’acqua a forma di piramide capovolta doveva rappresentare l’oceano primordiale da cui, secondo la mitologia indu, è nato il sole. Le rampe di scale che conducono verso la parte bassa, creano un effetto ondulatorio quasi a rappresentare delle onde marine.

Adalaj Vav è uno splendido pozzo a gradini (baorì) che sorge a 19 chilometri da Ahmedabad. Tali strutture sono caratteristiche della zona e non servivano solamente a raccogliere l’acqua (preziosissima in un’area semi desertica) ma anche a costituire un luogo di ristoro e di aggregazione sociale.

Ahmedabad è la quinta città indiana. Si è notevolmente sviluppata grazie all’industria ed oggi si trovano moderni quartieri alla cui costruzione hanno contribuito anche architetti insigni come Le Corbusier. Soprattutto nelle ore di punta, la città è ingolfata dal traffico e dal rumore e si assiste ancora a scene di estrema povertà nelle strade, ciò nonostante merita una visita per il fatto di ospitare notevoli edifici islamici e monumenti d’interesse. Il Calico Museum, ospitato in una antica haveli con giardino, merita da solo il viaggio fin qui. L’ingresso è gratuito e la visita è guidata. L’esposizione è suddivisa in due parti con una sezione aperta solamente al mattino ed una aperta nel pomeriggio (entrambe meritano di essere visitate). Si espone una incredibile collezione di stoffe, arazzi e tessuti antichi – forse unica al mondo – in una cornice suggestiva ed elegante, oltre a miniature di epoca Moghul e sculture in bronzo e pietra. Nella città vecchia sorgono numerose ed antiche moschee caratterizzate dai jalis (finestre di pietra traforata talvolta molto elaborate) tra cui la maggiore Jama Majid con un vasto cortile nel bel mezzo del quartiere musulmano pieno di bazar e di uomini barbuti con caftani e donne velate. Particolarmente suggestivo l’albergo d’epoca House of M.G., risalente agli anni ’20, che ospita 2 ottimi ristoranti. Squisiti i thali del Gujarat che si preparano sulla terrazza dell’edificio. Sia i pasti che le sistemazioni alberghiere hanno costi incredibilmente bassi.

Terminato il nostro soggiorno ad Ahmedabad, si prosegue verso sud e lungo la strada ci fermiamo a visitare le rovine di Lothal, una antichissima città che pare risalga al 4500 a.C. Appartenente alla civiltà dell’Indo, anche se le sue origini sono avvolte nel mistero. Il piccolo museo (ingresso 2 rupie) espone interessanti manufatti ritrovati durante gli scavi iniziati solo di recente. A 7 chilometri dal sito, sorge il villaggio di Utelia con il palazzo del raja locale che si erge maestoso con le sue cupole tra le case basse. Attualmente l’Utelia Palace è stato trasformato in hotel ma, a causa del terremoto del 2001, sono in corso dei lavori di ristrutturazione. Il raja che ci ha accolto ci ha permesso una breve visita del palazzo e delle stanze, ammobiliate con grandi e pesanti letti di legno scuro. Infine raggiungiamo Palitana, famosa per gli splendidi templi jainisti sulla collina antistante che avremmo visitato il giorno seguente. Riusciamo con il nostro autista a raggiungere Rampur, una piccola frazione a 8 chilometri da Palitana, dove sorge il Vijai Vilas, un altro incantevole residenza di campagna costruita nel 1906 dal fratello del maharaja di Palitana. Anche questa antica residenza è stata trasformata in hotel ed è attualmente condotta da un’elegante signora che parla un ottimo inglese, figlia del costruttore del palazzo. E’incredibile trovarsi lontani da tutto in un edificio decadente ma dall’atmosfera familiare, con stanze dall’altro soffitto, vecchi armadi e vecchie stampe di caccia inglesi alle pareti. Ottimi i pasti e la colazione, preparati personalmente dalla proprietaria in grado di venire incontro ai delicati palati occidentali qualora ci si sia stancati del cibo speziato. Il pomeriggio è così trascorso all’insegna del relax, tra i dondolii delle vecchie e grandi altalene pendenti dal soffitto e brevi passeggiate nella campagna circostante al palazzo.

Ci si alza la mattina presto per affrontare la lunga scalata di almeno 2 ore alla collina Shatrunjaia di Palitana con più di 3100 scalini. Ma per chi non dovesse riuscire, sono pronti i portatori di dholi a caricare i pellegrini (e i turisti) per arrivare alla cima, dove si trova uno spettacolare complesso di 900 templi jainisti, ciascuno circondato da una propria cerchia di mura. E’ davvero un posto spettacolare, con una vista che spazia fino al mare e con un aria mistica che ne fa il luogo principale di pellegrinaggio per i fedeli jaina. Il tempio principale è quello di Adinath, che coinvolge in una profusione di incensi e di candidi marmi bianchi scolpiti.

Infine, il nostro girovagare si conclude a Diu, dove trascorriamo gli ultimi giorni prima di far ritorno in Italia. L’isola di Diu è un luogo remoto ma esercita una notevole attrazione per il fatto di essere stata una colonia portoghese fino al 1961 poi restituita (assieme alla ben più nota Goa)all’India. La lunga dominazione lusitana ha lasciato anche qui le sue vestigia, tra cui un forte imponente che domina la città con i suoi bastioni. Indubbiamente il forte è la principale attrazione dell’isola e le pubbliche autorità sembrano essersene accorte, procedendo al restauro di parti delle mura crollate e della piccola chiesa di Santiago al suo interno. La vista che si gode dall’alto è incantevole, con le bianche chiese che spuntano dal verde. La cattedrale di Sao Paulo è l’unica ancora aperta al culto per la piccola e morente comunità cattolica che ancora si trova a Diu e che abita il quartiere di S.Francesco dove l’omonima chiesa è stata trasformata in ospedale. La chiesa di S.Tommaso invece è oggi un museo che raccoglie antiche statue lignee di santi un tempo sparse su tutte il territorio. La chiesa accoglie anche un simpatico hotel economico, dove la sera si organizzano divertenti barbeque di pesce alla griglia. Ed è qui che i pochi turisti europei preferiscono alloggiare. La città si caratterizza anche per le sue mura e per il dedalo di stradine su cui si affacciano variopinte haveli ormai in rovina.

Il mare non è eccezionale. Abbiamo alloggiato presso Nagoa Beach, tuttavia, essendo molto frequentata dai locali, è difficile starsene in pace a prendere il sole, per cui è preferibile optare per le spiagge di Chakratirth o nei pressi del Sunset Point raggiungibili da Diu Town in bicicletta. Il breve volo da Diu ci riporta all’aeroporto internazionale di Bombay dove tra computer e cellulari i pochi turisti fricchettoni appaiono sempre più fuori luogo… Buon viaggio in India da Giuseppe & Gabriella



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