60 anni d’indipendenza indiani

Delhi è caotica, rumorosa, sporca e sovraffollata. Ti fa venire il mal di testa e la prima cosa che vorresti fare appena la incontri è scappare via, ma a ben conoscerla dopo un po' si inizia ad apprezzarla, non dico ad amarla, sia chiaro, per questo ci vuole tempo e poi si sa l'amore non è mai duraturo, ma se la si prende per il verso giusto...
Scritto da: Mercedes
60 anni d'indipendenza indiani
Partenza il: 08/08/2007
Ritorno il: 18/08/2007
Viaggiatori: da solo
Spesa: 500 €
Delhi è caotica, rumorosa, sporca e sovraffollata. Ti fa venire il mal di testa e la prima cosa che vorresti fare appena la incontri è scappare via, ma a ben conoscerla dopo un po’ si inizia ad apprezzarla, non dico ad amarla, sia chiaro, per questo ci vuole tempo e poi si sa l’amore non è mai duraturo, ma se la si prende per il verso giusto questa città saprà ripagare con la dovuta riconoscenza. Delhi, con una popolazione di circa 12 milioni di abitanti è come l’India, contrastante e struggente, con i risciò a farla da padroni e gli autisti a dettare legge, con un traffico congestionato, disordinato, rumoroso e onnipresente, e con le sue incoerenze sempre pronte a straziare l’animo, come le mille mani tese a cui non si riesce mai a dare una risposta. Essere a ridosso del ferragosto a Delhi significava per me essere nel posto giusto al momento giusto, in tempo per vedere gli sforzi fatti dall’amministrazione per allestire le manifestazioni in onore dei 60 anni trascorsi dalla dichiarazione d’indipendenza. E nonostante il clima non desse tregua e la colonna di mercurio toccasse i 38 gradi, poter assistere al continuo prodigarsi di tante persone in onore delle celebrazioni è stato entusiasmante quanto la sensazione di poter far parte, anche solo per un attimo, della storia di questo paese. Le strade per l’occasione sono state pulite con una cura sconosciuta alla capitale e le mucche ribelli del centro storico ricondotte nei recinti, così da scongiurare l’eventualità che qualche bisbetico quadrupede volesse prendere parte alle parate militari allestite nei giardini del Forte Rosso. Il Red Fort (Lal Qila), fatto costruire per volere del potente imperatore mogul Shah Jahan nel 1648 (lo stesso che fece costruire il Taj Mahal), al tramonto s’infiamma dei colori del sole, e fu da qui che Nehru si rivolse al popolo nel giorno della dichiarazione d’indipendenza, il 15 agosto 1947, qui sventolò per la prima volta la bandiera indiana. Ed è da qui che lo scorso ferragosto il nuovo presidente Pratiba Patil, si è rivolta al paese, nel suo primo discorso alla nazione, celebrando i traguardi raggiunti ed esortando ad una crescita più egualitaria, tesa ad eliminare le forti diseguaglianze tra ricchi e poveri.

Anche l’India Gate, l’arco commemorativo che riporta i nomi dei 90,000 soldati indiani, morti durante il prima guerra mondiale e nello scontro contro l’Afganistan durante il conflitto del 1919, è stato ripulito e liberato dai favi delle api, che indisturbate per tutto l’anno avevano costruito le loro fortezze e stivato il loro miele, protetti dall’alto dei 42 metri della porta. L’operazione ha richiesto l’ausilio di speciali gru, speciali forze dell’ordine e speciali macchinari, ma soprattutto ha richiesto le braccia di un miniscolo signore che scalzo, in calzoncini e a petto nudo, con in mano un fascio di ramoscelli fumanti, in equilibrio precario sulla speciale gru, ha fatto staccare i nidi lasciando milioni di api d’improvviso senza casa, ma regalando alle persone di passaggio diversi chili di miele caldo e fragrante.

Gli inglesi andarono via da Delhi alla mezzanotte del 14 Agosto del 1947, e d’allora molte cose sono cambiate anche se a tratti, una volta usciti dalla città, il tempo acquista una nuova valenza, ed a fronte della velocità cavalcata da città come Bombai, Bangalore e Delhi, nelle campagne nulla o quasi è cambiato da quel lontano agosto in cui l’ultimo vicerè inglese, all’ombra del Forte Rosso, rimetteva il potere nelle mani di Pandit Jawaharlal Nehru, primo capo del nuovo governo Indiano e reale fautore della sua indipendenza, dopo che Gandhi, il padre della patria, aveva regalato agli indiani l”abhaya, finalmente la libertà dalla paura.

Sotto l’egida della nuova democrazia, il bilancio di questi primi 60 anni d’indipendenza è senz’altro positivo, e la nazione si è trasformata da un insieme di principati feudali sotto l’egida inglese in un paese moderno ed industrializzato. L’India con una popolazione multi etnica, multi religiosa, multi linguistica e multi culturale è senz’altro l’esperimento di convivenza del XX secolo meglio riuscito, grazie alla formazione di uno stato laico che ha cercato di non cadere nelle trappole tese dalle diverse fazioni religiose. Durante le prime tre decadi dalla dichiarazione d’indipendenza, il paese, intento più a creare le basi della nuova democrazia piuttosto che a migliorare lo sviluppo economico, cresceva ad un ritmo del 3,5% annuo. Nel ventennio seguente, grazie ad una serie di ambiziose riforme economiche mirate ad uno sviluppo razionale delle infrastrutture agricole, la crescita aveva raggiunto la soglia del 6%. Ma è in questi ultimi anni che l’India ha raggiunto un tasso di crescita eccezionale che ha portato il paese a toccare l’incredibile cifra del 9% d’incremento annuo. Questo è stato possibile grazie ad una politica atta a favorire gli investimenti stranieri ed ad una aumentata produttività pro-capite, seguita da un aumentato potere d’acquisto Dal luglio 1991 in tutti gli stati indiani è stato avviato un progetto di liberalizzazione pianificata dell’economia e dal 1995 è stato snellito il procedimento burocratico ed il limite di partecipazione del capitale straniero a controllo delle società è arrivato al limite del 51%. Gli investimenti stranieri sono aumentati in maniera esponenziale, concentrandosi in settori quali l’energia, il petrolio, l’elettronica, le telecomunicazioni, l’industria alimentare e da ultimo l’industria automobilistica e quella del software.

L’India di oggi è la più grande democrazia esistente, un esempio di pluralismo e tolleranza unico nel suo genere, un laboratorio dove coabitano una miriade di gruppi etnici, convivono miriadi di lingue e religioni nonostante i dislivelli socioeconomici siano ancora impressionanti. Eppure è qui che sotto la guida di uno stato laico riescono a convivere tutte queste diversità all’apparenza inconciliabili. Le celebrazione per i 60 dall’Indipendenza festeggiavano tutto questo, e a dispetto delle recenti bombe di Hyderabad, e dei disordini di Agra, con la scia di morti che si è portata dietro, per strada a Delhi, la notte del 15 agosto non si avvertivano differenze di credo, di razza o di ceto, e se chiedevi a qualcuno se era sikh, muslim o hindu, tutti ti rispondevano che prima di tutto erano indiani. L’India intera festeggiava la sua unità, dimentica dei suoi problemi, delle divisioni fra ricchi e poveri, fra città e campagna, tra fondamentalisti hindu e mussulmani. L’India mi piace pensarla come il masala, una miscela di aromi unica e varia composta da una infinità d’ingredienti, eppure questa miscela, questo variegato aroma non potrebbe fare a meno neanche del più piccolo dei suoi ingredienti, senza il quale rischierebbe di perdere il suo carattere di unicità. Ed è questa la vera forza dell’India, riuscire a rimanere unita nonostante tutto, nonostante la storia e nonostante gli eventi gli remino contro. A dispetto degli isolati episodi d’intolleranza, il sentimento d’appartenenza alla nazione funziona da collante, ed è questo il reale miracolo del paese, scoprire che la sua forza risiede nell’unione delle sue infinite diversità.

Mercedes Lopez www.Freeblogging.It/indianmonsoon



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