Guatemala, ci rivediamo in Paradiso

L'incontro con la terra e le tradizioni Maya in un mese ad Antigua: tra bellezze naturali, corsi di spagnolo e incontri indelebili...
Scritto da: Momo1991
guatemala, ci rivediamo in paradiso
Partenza il: 10/08/2012
Ritorno il: 10/09/2012
Viaggiatori: 1
Spesa: 3000 €
Pioggia. Insomma ti sei informata, lo sapevi; lo sapevi che durante la stagione delle piogge, piove. Ma ti sorprendi comunque, ti sorprendi della pioggia. Perché sorprenderti è l’unica cosa che farai in questo viaggio, è tutto ciò che sei. Tutti i cinque sensi che possiedi impareranno a sorprendersi come se avessi di nuovo cinque anni, si apre per te il palco di un Nuovo Mondo.

Sono arrivata in Guatemala alle 18 di un anonimo sabato di inizio agosto. Europea con due valigie piuttosto piccole, perché si sa, conviene viaggiare leggeri. Il Guatemala alcune volte non si riesce nemmeno a trovare sulla cartina: è quella macchia tutta verde in Centro America, sotto il Messico e sopra San Salvador. Prima di partire alcuni miei amici mi hanno augurato di trovarmi bene in Africa: probabilmente loro il Guatemala sulla cartina del Mondo non l’hanno trovato.

Comunque eccomi qua, all’aeroporto della capitale che tanto per cambiare è la città più pericolosa di tutto il paese. Sbarco dopo 11 ore di volo ed uno scalo a Madrid, i vestiti stropicciati come il mio cervello. Attendo speranzosa la valigia che ho imbarcato, passo il controllo della frontiera, mi chiedono perché sono arrivata fino lì. Mi guardano con diffidenza: donna gringa sola con aspetto trasandato che ha scelto il Guatemala per frequentare un corso di spagnolo. E’ qui per divertimento? Lo spero, rispondo. Quando rientra in Italia? Tra 30 giorni esatti. Allora benvenuta in Guatemala.

Ad attendermi c’è Leonel, signore che ha il compito di accompagnarmi sana e salva alla mia famiglia ospitante. La famiglia si chiama Marin Hernandez e di loro prima di partire sapevo solamente che erano tutte donne. Per far davvero parte di un luogo, devi entrare in contatto con la gente che a quel luogo appartiene, è la mia filosofia. Questo non toglie la paura. Questo non toglie la distanza culturale: qui la corrente salta quotidianamente, la strada diventa un fiume quando piove e le camere non hanno finestre. Qui l’acqua è come l’oro,quella da bere deve essere strettamente purificata perché da poco c’è stata un’epidemia di colera. Niente doccia calda, niente sprechi. Solo l’essenziale.

Arrivo ad Antigua alle 9 di sera, ma a causa del jet leg il mio corpo è convinto siano le 5 del mattino. Chi dice di non soffrire il cambio di ora quando questo supera le 6 ore, mente. Per i primi 4 giorni coesistono in te due persone diverse, un dottor Jeckly e Mr Hyde del sonno: quando tu vorresti dormire, ti chiamano perché è pronta la colazione, e mentre tutti sono nella fase REM tu vorresti solamente poter correre.

Antigua è la perla di questa nazione. E’ una città dall’anima coloniale, porta le cicatrici della lotta tra gli spagnoli e i Maya. Conta più di una trentina di chiese, perché è qui che il Cristianesimo ha potuto prosperare indisturbato per molti secoli, prevaricando con prepotenza le religioni precedenti. Storia e Modernità ogni giorno illuminano la città con le loro contraddizioni e la rendono unica al Mondo. È una città sicura, dove i tratti Maya di mischiano a quelli dei gringos in una convivenza pacifica. Tre imponenti guardiani la circondano: sono i tre vulcani che qui dettano le regole della vita.

La scuola di Spagnolo che ho scelto e la mia famiglia sono vicine, così posso ritornare a casa nelle pause. Alle 7 c’è la colazione, alle 8 scuola e poi si torna alla 1 per il pranzo e al pomeriggio a scuola per le attività e le escursioni proposte dalla guida. Mi sento di nuovo sedicenne: devo avvisare se faccio tardi, se non torno per pranzo o per cena devo dirlo, e mi dicono di fare attenzione se esco da sola. Insomma, mi sento in famiglia.

Il primo giorno di scuola conosco coloro che renderanno indimenticabile questa esperienza: quando usciamo insieme e ci chiedono da dove veniamo, sorridono e dicono che perfino l’abito Maya ha meno colori.

C’è Johannes, il mio amico di tutti i giorni, quello che c’è per ridere e per piangere: finito le Scuole Superiori ha deciso di viaggiare per il Mondo perché della sua vita proprio non sapeva che fare. In nove mesi passerà in Guatemala, Costa Rica, Galapagos e Nuova Zelanda e sono sicura che in ognuno di questi luoghi lascerà il cuore. Credo che sia nato senza radici perché già mi parla di frequentare un’ università in Asia. Lui è il faro di questa mia esperienza, la bussola, l’energia di tutti i giorni.

C’è Romana, l’amica dai problemi sentimentali con tanta voglia di fare: è stata prima un mese a Cuba poi si è stufata di quel finto paradiso ed è venuta in uno vero. Deve tornare in Austria per l’inizio dell’università di Geologia e porterà con sé tante foto, di pietre e di persone. Abbiamo una tradizione io e lei qui in Guatemala: ad ogni mercato che andiamo compriamo un braccialetto di stoffa fatto dalle donne Maya per ricordarci chi siamo e dove siamo. Io lo pago per lei e lei per me. E’ come un dono alla nostra amicizia.

Ci sono poi Frauke e Lena, le due amiche dalla Germania. Si portano dietro la loro terra negli occhi e nei capelli chiari. Sono diverse, ma sempre insieme. Con loro ci sono i discorsi seri, quelli fatti sulle amache in attesa del sorgere del sole, quelli fatti sul perché ci ritroviamo tutti qui in Guatemala, tutti in cerca di qualcosa.

C’è Larson, l’Australiano, che ha dieci anni in più di noi e tutta l’esperienza che a noi manca. Una mattina è andato nell’ufficio dove lavora come avvocato e ha chiesto un anno di libertà: niente più cravatte per lui, niente più pensieri. Viaggia non si sa dove e non si sa per quanto tempo. A lui va la mia ammirazione e la mia stima, nel suo sguardo fiero si può leggere la forza del continente solitario.

Ci sono poi Theresa, Kathrin, Sara che hanno vissuto in famiglia con me. Sono state le mie guide, loro mi hanno insegnato i segreti di questa città. Sono state le mie sorelle di tutti i giorni.

Ci sono poi tutti quegli amici che hanno spruzzato un po’ di colore nella tela della mia vita, quegli amici di cui mi ricordo tutto anche se li ho conosciuti solo per poco tempo. Quegli amici con cui passo la pausa caffè seduta al sole a scuola, quegli amici con cui esco la sera a bere una birra perché da sola a casa proprio non ci voglio stare.

E poi c’è lei, la Natura. La Regina del Guatemala, la Regina delle mie esperienze. Incontaminata e bella come una dea, la Natura troneggia ogni mio ricordo di questo Stato. Le acque cristalline, le montagne imponenti, la foresta che tutto ricopre. È lei a dettare le regole qui, è a lei che l’uomo si deve adattare. A lei tutto si inchina qui in Guatemala, perfino il potere del denaro.

E poi ci sono le anime di questo paese, i guatemaltechi. Quelli che rendono migliore e rovinano questo Paese. Quelli che ti aiutano sempre, anche quando dovrebbe essere il contrario. Quelli che vivono per strada, perché proprio non sanno dove andare. Quelli che ti cercano di derubare di quel poco che necessitano e quelli che cercano di capire perché siamo così diversi.

Ci sono i bambini. Tanti in Guatemala, perché di educazione sessuale qui la Tradizione proprio non vuole sentirne parlare. Sono così piccoli, così indifesi abbracciati alle loro piccole mamme. Per te hanno sempre un sorriso e un bacio, perché del Mondo si fidano. Sono felici quando piove e quando gioca la loro squadra di pallone preferita. Ma la partita la sentono alla radio, perché in genere non hanno la televisione.

Ci sono i giovani, che si danno i primi baci nascosti dietro agli alberi delle vie secondarie. Perché se ti vedono, tu quella ragazza te la devi sposare. Alcuni sono arrabbiati con noi stranieri, ci chiamano gringos, ci chiedono perché veniamo qui a comprare il loro paese. E tu vagli a spiegare che in fondo vuoi solo imparare lo Spagnolo. Non discuti, è bene che siano arrabbiati, è la risorsa che gli serve per riappropriarsi di ciò che è loro.

Ci sono gli adulti, non i vecchi. Sorridono con pochi denti, perché qui andare dal dentista costa e l’anestesia non è poi così comune. Ti spiegano cosa è il Guatemala e che cosa sarà. Ti raccontano la cultura Maya, c’è l’hanno nelle vene. Non vogliono niente in cambio, solo che tu lo racconti a qualcun altro. Perché l’idea che l’Europa si ricordi di loro solo per la la storia della fine del Mondo proprio non gli va giù. Ci chiedono perché prima di improvvisare una cavolata tanto grande non hanno chiesto ai Maya che cosa è per loro questo Dicembre. Ci spiegano che finisce un ciclo e ne inizia un altro, ci dicono che è una rinascita non la morte. Ci danno degli ignoranti. Chiediamo scusa anche se la colpa non è nostra; in fondo qualcuno prima o poi dovrà farlo per tutto quello che hanno passato.

Sorpresa. È tutto ciò che sento. È la chiave di questi miei 30 giorni. Sorpresa nel vedere gente veramente povera godere della vita come si può godere di un dono raro; sorpresa nello scorgere nello sguardo degli abitanti di questa nazione la determinazione di chi ne ha passate veramente tante ma che non si ferma mai. Sorpresa perché quando tutto manca, allora tutto c’è. Sorpresa perché ognuno di noi è venuto qua in Guatemala per ragioni diverse e ci siamo ritrovati tutti insieme, come attirati da una forza superiore.

A ognuno di loro dedico questi miei ricordi, dedico le mie ore, le nostre ore, passate sempre insieme.

Domenica quando le nostre strade si sono di nuovo divise, qualche lacrima ha bagnato le nostre guance. È normale, abbiamo vissuto tutto il giorno, tutti i giorni insieme per un mese. Ormai ci conosciamo, perché il Guatemala ha tirato fuori tutto dalla nostra anima.

Ci siamo promessi di ritornare, ritornare ad Antigua, di ritornare qui. Ci siamo detti: ci rivediamo in Paradiso.



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