Il vento sospeso della Giordania, a maggio

Al rientro dalla Giordania è stato come sempre accade quando Veronica ed io torniamo da un viaggio coinvolgente. Ci sembra di lasciare un’esperienza incompiuta, di non averne abbastanza. Poi realizziamo che le emozioni sono talmente intense da dover correre a casa a raccontarle. Perché in Giordania lungo una linea verticale di poche centinaia...
Scritto da: aledoo
il vento sospeso della giordania, a maggio
Partenza il: 24/05/2008
Ritorno il: 02/06/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Al rientro dalla Giordania è stato come sempre accade quando Veronica ed io torniamo da un viaggio coinvolgente. Ci sembra di lasciare un’esperienza incompiuta, di non averne abbastanza. Poi realizziamo che le emozioni sono talmente intense da dover correre a casa a raccontarle. Perché in Giordania lungo una linea verticale di poche centinaia di kilometri si possono raccogliere sensazioni contrastanti, passare attraverso paesaggi, climi, storie, culture difformi e ben distinti. La Giordania può intrigare vacanzieri di ogni tipo, da chi ricerca momenti culturali a chi ama puro svago e natura. Noi ci siamo andati in maggio e ci è sembrata un’ottima soluzione: il caldo è sostenibile, è un periodo di bassa stagione e c’è meno confusione.

ITINERARIO Mezzo: auto Civic 1.8 benzina. Km percorsi 1.850 1 giorno: arrivo in serata Amman Queen Alia Airport, hotel a Madaba.

2 giorno: Castelli Deserto, Amman.

3 giorno: Madaba, Monte Nebo, Kerak, Shobak, hotel a Petra, Petra by night.

4 giorno: Petra.

5 giorno: Wadi Rum, hotel ad Aqaba.

6 giorno: Aqaba.

7 giorno: Riserva di Dana, Betania, hotel a Madaba.

8 giorno: Jerash, Ajilun.

9 giorno: Madaba souvenir, Hammamat Ma’in, Mar Morto, arrivo in aeroporto, rilascio auto.

Raccomandazioni: – Raccomandiamo l’uso dell’auto a noleggio per vari motivi. E’ facile muoversi, mezzi alternativi non esistono o sono molto vincolanti, il traffico ad eccezione dei centri cittadini più grandi è praticamente inesistente, con la propria auto si godono a pieno i magnifici paesaggi e si respira di più l’atmosfera del paese, che si coglie passando di città in città. Le strade principali sono tre e si sviluppano parallele dal nord al sud, raggiungendo le principali località turistiche. Restando su quelle, è difficile sbagliarsi, anche perché i cartelli sono in inglese e su queste sono anche frequenti. Quando non vedete scritte in inglese, allora siete su strade secondarie e lì conviene pensare di ritornare indietro e provare a chiedere… – L’inglese non è molto diffuso e la pronuncia è un po’ masticata, bisogna farci l’orecchio. Considerate che la traslitterazione dall’arabo non sempre è univoca (ad es. Wadi Rum/Ram, hummus/hommos, Kerak/Karak). – Tra le regole stradali, sembrerebbe, almeno come pratica diffusa, che nelle frequenti rotonde abbia precedenza chi vi sta per entrare, non chi vi è già entrato e curva. Per maggiore tranquillità procuratevi una mappa, magari dall’autonoleggio. La Lonely ha guide imprecise e insufficienti. Infine prestate attenzione al manto stradale, anche sulle “autostrade”: si passa spesso dai centri urbani e i dossi si susseguono impietosi e frequenti. Forse in numero sono inferiori solo alle immagini delle famiglia reale e ai furgoncini giapponesi colorati, che sguazzano impazziti dappertutto, con orecchioni di pelo che languono dagli specchietti retrovisori. – Specie se non frequentate alberghi o ristoranti di lusso o sopra la media, considerate che il livello di pulizia è generalmente accettabile, ma non eccelso. Spesso le strutture sono vetuste, negli alberghi non esistono coprimaterasso e nei ristoranti tipici non fanno uso di tovaglie. In compenso molti posti, persino nel deserto, in bagno hanno fantastici scopini idraulici per WC! – Al ritorno, non recatevi nell’aeroporto di Amman molte ore prima, o almeno cercate di recuperare informazioni in proposito. Nel nostro caso persino l’accesso all’area dei check-in era regolato in base all’ora di partenza del volo ed era consentito solo a quelli con biglietto e passaporto. Dopo una lunga attesa, quasi due ore, per essere autorizzati all’area del check-in abbiamo dovuto aspettare più di un’ora per passare al gate. Questo perché di fatto abbiamo visto un solo gate funzionante e piuttosto angusto, che ha probabilmente indotto a gestire i flussi per fasce orarie. Non dimenticate di passare dal duty free, che può avere una certa convenienza persino nei souvenir.

PERNOTTAMENTI – 8 notti Madaba – Hotel Mariam (4 notti: 24/25, 30/31).

Petra – Hotel Petra Moon (2 notti: 26/27).

Aqaba – Hotel Moon Bedouin Village – detto anche Duna Beach (2 notti: 28/29).

PRINCIPALI VOCI DI COSTO Volo: Bologna – Parigi – Amman 720 euro.

Cambio: 100 euro = 105 JD.

Visto ingresso: 10 JD cad.

Auto: Noleggio 181 JD (Montecarlo, www.Montecar.Net), Benzina 90 JD (costo a litro 0,74 JD). Hotel: Totale 250 JD, ovvero Madaba 30 JD, Petra 35 JD, Aqaba 30 JD (prezzi x camera x notte).

Ingressi (per persona): – Siti archeologici: Amman Teatro romano, Petra 21 JD, Petra by night 12 JD, Jerash 8 JD – Siti religiosi: Madaba chiesa 1 JD, Monte Nebo 1 JD, Betania 7 JD, – Castelli crociati/islamici: Castelli Deserto (Karana, Qusayr Amra, Azraq) 1 JD, Shobak 1 JD, Kerak 1 JD, Ajilun 1 JD – Siti naturalistici: Wadi Rum 2 JD, Jeep Tour Wadi Rum Little Bridge 44 JD diviso 4 persone, Hammamat Ma’in Hot Springs 10 JD, Dead Sea Spa Hotel 15 JD.

Cibo (Prezzi Medi): ristoranti a buffet 10/14 JD, birra alcolica 3,5 JD. Souvenir Madaba: 100 JD (Quadretti mosaici 1medio + 2 piccoli, piatto ceramica) Sabato 24 Maggio Arriviamo ad Amman via Parigi intorno alle 19 locali. Siamo in viaggio da un po’ e forse un po’ rintronati dobbiamo esserlo. Siamo partiti con Air France alle 10 da Bologna, ripartiti da Parigi alle 13.45. Il volo procede bene, ma contrariamente alle previsioni di dormicchiare, chiacchieriamo di gusto con Denis, un ragazzo giordano vicino di poltrona. Torna in vacanza in Giordania da Houston ogni 6 mesi per ritrovare moglie e famiglia. Lavora grazie ad una green card e attende di prendere il passaporto americano in modo da facilitare il trasferimento di sua moglie. E’ tale il suo entusiasmo per il rientro a casa che ci trasmette una certa ansia di atterrare. Ci parla di una Giordania ricca di tesori antichi e bellezze naturali, come di progetti di modernità e continua evoluzione, di rispetto delle tradizioni e senso della famiglia. Inconsapevolmente attraverso queste chiacchiere cortesi riceviamo da Denis un quadro della Giordania affascinante e veritiero, che ci farà da introduzione al nostro viaggio.

Usciti dal gate, prime pratiche da sbrigare: cambio moneta sulla sinistra, fila di fianco per il pagamento dei visti, fila di fronte per le procedure di ingresso. Ad attenderci in aeroporto con nostra grande soddisfazione troviamo Ayman dell’autonoleggio. Più che la conferma visiva della prenotazione via internet, a rallegrarci è la concretizzazione di un sogno cullato da anni: vedere in aeroporto, sventolato tra ali di folla, il nostro nome stampato su un cartello. Passato il momento autocelebrativo, seguiamo Ayman di gran passo verso il parcheggio dell’aeroporto per il ritiro dell’auto. Le procedure, benché ai margini della strada, sono curate e veloci. Inviare i nostri documenti via mail ha ridotto i tempi. Abbiamo prenotato un’onesta Getz 1000 e ci ritroviamo a pari prezzo una fiammante berlina Civic 1800. Una circostanza fortunata, e opportuna. Stazza robusta e cilindrata più alta hanno reso il viaggio indubbiamente più confortevole sotto il sole e lungo i tragitti a volte ripidi. Ci sorprende dover pagare il parcheggio, ma 1 JD è un obolo accettabile. E non c’è tempo per riflettere, fuori c’è Ayman, che scalpita in un’aggressiva Picanto per indirizzarci sulla strada per Madaba. Giusto il tempo di prendere confidenza con il cambio automatico che sfrecciamo nel buio all’inseguimento di Ayman, convinto probabilmente dal piglio sicuro che avrò mostrato al ritiro dell’auto. Forse le ore di volo, forse una dose di eccessiva sicurezza, forse una cattiva confidenza con la segnaletica e in particolare l’illustrazione delle svolte, e mi trovo a salutare impulsivamente ad un bivio un allibito Ayman, che procede sulla strada parallela alla nostra. Avrei potuto evitare di sottolineare il momento imbarazzante con un’energica clacsonata di commiato, mentre Ayman allontanandosi irreparabilmente sbraitava con fare convulso. Ma non avrei mai immaginato di venire ricambiato 3 kilometri dopo da uno scatenato Ayman, che ci tagliava la strada. Finalmente riagguantati, ci instrada verso Madaba e capiamo quanto preziosa è stata la sua solerzia. Arrivati a Madaba, alla prima rotonda, a destra e poi dritto forse per meno di 1 km fino ad un bivio a sinistra e siamo al Mariam, il miglior hotel del nostro viaggio, con uno standard simile al nostro e prezzi contenuti. Proviamo il ristorante dell’albergo. L’atmosfera è un po’ sonnacchiosa, ma la fame è compensata da una buona cena a base di mezze (crema di ceci hummus e crema di melanzane su tutte) e pollo alla griglia, due capisaldi della vacanza.

Domenica 25 Maggio Alle 9 siamo in auto direzione Kharana, prima tappa della visita ai Castelli del Deserto. Prendiamo per Amman e poi per Al Azraq. Giriamo a destra di un semaforo prima del dovuto e ci scoraggiamo per l’assenza di indicazioni stradali intellegibili. Dopo venti minuti di smarrimento e qualche inutile domanda in giro, scommettiamo opportunamente di proseguire sulla strada parallela a quella che abbiamo lasciato. In realtà il riferimento più comodo per chi intende raggiungere i castelli, è strano a dirsi, ma è l’Iraq, la direzione è quella. A sud est di Amman si percepisce di trovarsi sulla strada giusta per la massa di tir polverosi che stazionano ai lati degli incroci principali e bivaccano prima di ripartire per il confine iracheno. Dopo un lungo tragitto tra tir e polvere, degno della migliore iconografia delle strade del deserto, direttamente sulla destra della strada sorge il primo castello, Kharana. E’ quello forse più affascinante come costruzione; il gioco di passaggi tra stanze, finestre, scale e l’affaccio sul cortile rende l’immaginazione di vita di corte più vivida. Al secondo castello Qusayr Amra paghiamo i biglietti che avremmo dovuto pagare al primo. E’ piccolo all’interno e la bellezza dei mosaici ne ingentilisce l’aspetto, ma girandoci intorno lungo i perimetri esterni si riceve una sensazione di forza vitale. Il terzo castello, Al Azraq, sede di battaglia di Lawrence d’Arabia, è praticamente a 240 km dall’Iraq, all’inizio dell’abitato. Il fatto che sia circondato da case sgarrupate e parabole satellitari richiede una buona dose di astrazione per apprezzarne il valore storico. Tuttavia la pietra curiosamente scura e l’alternarsi di archi e scale in rovina, di luce e controluce, riescono quanto meno a creare un buon set fotografico. Tutti i castelli in Giordania, in verità, essendo ricchi di pietre e rovine e dunque di piani d’appoggio, rappresentano per chi viaggia in coppia una golosa occasione per esaltarsi in complicati ma appaganti esercizi di equilibrismo con l’autoscatto. Si è fatta ormai ora di pranzo e torniamo indietro sulla strada, a 5 minuti dal castello sulla destra, al ristorante Azraq Palace Restaurant. Il pranzo al buffet è decoroso e il servizio è cortese, benché sia tappa obbligata della grandi comitive. Siamo pronti verso le 14 per ripartire per Amman, la segnaletica è più che sufficiente. Arrivati in prossimità, la strada verso il centro città è incredibilmente semplice. E’ un continuo fluire dritto tra saliscendi di colli nel traffico, che procede spedito e chiassoso. L’impatto è forte, e più che per le auto, la tensione è dovuta ai pedoni che spuntano dappertutto e ai cartelli stradali da non mancare. Memori di varie testimonianze di smarrimenti ad Amman, decidiamo di proseguire per il centro e di parcheggiare al primo parcheggio privato disponibile. Su Hashemi Street ci troviamo a superare il Teatro Romano sulla destra e per non perdere contatto con il centro parcheggiamo dietro la stazione di pullman e taxi di Raghadan. Il teatro è a due passi. Forse il giorno di festa nazionale ha reso più facile l’accesso alla città e il parcheggio. Visitiamo il teatro romano, imponente, verticale e facciamo un giro al curioso museo del folclore. Ci avviamo verso la moschea di Re Hussein seguendo la Hashemi St, ricca di negozi. Sono quasi le 16 ed è incredibile come molti rispondono al richiamo del muezzin. Li vediamo confluire da ogni angolo a passo deciso verso la fontana, dove si lavano prima di accedere alla moschea. E’ un momento di sospetto inquinamento acustico: la litania melodiosa del muezzin si sfalda con il traffico impazzito e il vociare indistinto nelle strade. Mi affaccio all’ingresso della moschea, ma non voglio disturbare il momento di preghiera. Infine, non potendo comunque entrarvi assieme a Veronica, decidiamo di andare verso il mercato delle spezie, appena dietro la moschea. E’ stupefacente l’abbondanza di spezie e arachidi di ogni tipo e colore che si avvicendano di negozio in negozio e dietro cui compaiono a stento i venditori. Incerti se andarci a piedi o in taxi, alla fine ci incamminiamo per inerzia verso la Cittadella prendendo per Al Malek Faisal e poi Al Malek al Hussein. La strada si inerpica per salite impegnative e vie un po’ desolate, lontane dalla vitalità della zona della moschea. Giriamo attorno alle mura e finalmente all’ingresso realizziamo che non potremo andarci. Le guardie ci dicono che la chiusura è alle 18 ed essendo le 17.30 ci invitano a stare solo 15 minuti. Prendiamo atto e dietrofront scendiamo in direzione parcheggio, osservati da nugoli di bambini insistenti. Raggiungiamo l’auto e seguendo le indicazioni per l’aeroporto e poi per Madaba usciamo indenni dal traffico e raggiungiamo senza traumi l’hotel. Lunedì 26 Maggio Poco prima delle 9 facciamo il check out e confermiamo la prenotazione degli ultimi due giorni. Prima di avviarci al Monte Nebo, facciamo un giro a Madaba e raggiungiamo a piedi la Chiesa di San Giorgio. Ci rendiamo conto per strada che è una città vivace e al contempo tranquilla, si percepisce effettivamente quell’atmosfera di concordia, che nella storia ha avuto per via della convivenza tra cristiani e musulmani. La chiesetta non ha interesse architettonico, se non per i pavimenti decorati dai famosi mosaici, che poi hanno dato vita alla tradizione manifatturiera della città. Tornati all’auto seguendo le indicazioni raccolte in hotel, ci dirigiamo verso il Monte Nebo. Troviamo dopo pochi chilometri flotte di pullman e viaggiatori indipendenti, ma ciò che ci rammarica è l’impossibilità di visitare i resti dell’antica chiesa in restauro. Nella quiete del posto, dove si intuisce la mano dei francescani, vediamo il piccolo museo e sostiamo sulle terrazze panoramiche a godere la splendida vista delle montagne brulle di fronte a noi e dei tornanti che digradano fino al Mar Morto. Di lì a poco li percorreremo per la prossima tappa, il castello di Kerak. Veniamo fermati al check point pochi chilometri dopo Monte Nebo. Il controllo è accurato, ci tocca persino mostrare il bagagliaio e aprire i bagagli. E’ una formalità, ma è l’unico check point dei tanti dove avvertiamo un po’ di tensione e un approccio spigoloso da parte dei militari. Si ripetono altri controlli di routine fino al Mar Morto (ne contiamo quattro) e finalmente prendiamo per i ripidi tornanti della Kings Road che portano con un po’ di fatica a Kerak. Certo, il sole cocente e la totale solitudine rendono il tragitto impegnativo e un po’ inquieto, ma i paesaggi sono d’incanto e l’aspetto lunare dei luoghi è affascinante. Purtroppo capita spesso in prossimità dei campi beduini di vedere svolazzare sacchetti di plastica e tende lacerate. Un’inevitabile distonia con la purezza del paesaggio.

Il Castello di Kerak è proprio nel centro cittadino, ci si arriva dopo una serie di salite. Parcheggiamo di fronte l’ingresso. La costruzione è estesa ed è divertente curiosare nei sotterranei, che sono ampi e suggestivi. Una torcia può rivelarsi utile per infilarsi nei bui cunicoli. All’uscita pranziamo lì vicino, al Kir Heres, un ristorantino tipico dall’aspetto curato e rilassato, dove mangiamo bene bene (pollo grigliato con timo, verdure grigliate, fattoush, lebaneh hummus), riveriti e a poco prezzo. Riprendiamo la strada assai tortuosa tra le desolate montagne per raggiungere una meta intermedia prima di Petra, poco frequentata, il castello di Shobak. Si impone alla vista in tutta la sua grandezza, appartato, appena superato il Visitor Centre. La struttura è imponente, benché più piccola di altri. Sapevamo dalla Lonely di poter avventurarci giù per un passaggio segreto ed in effetti così è stato, ma le emozioni sono state contrastanti. Presi dall’entusiasmo con torcia alla mano ci inoltriamo per una discesa buia dove 3 ragazzi americani temporeggiavano per via della luce insufficiente della loro videocamera. Prendo in mano la situazione e faccio da capo spedizione. La discesa è ripida, su terra liscia, e senza scarpe trekking è rischiosa, così a volte scendiamo anche di sedere pur di non scivolare. Ci accorgiamo che è sempre più buio pesto e l’aria inizia a scarseggiare, sudiamo, ci giriamo tutti indietro, ma tornare su è impossibile, troppo ripido. Iniziamo a scherzare per stemperare un po’ la tensione, ma il tragitto sotterraneo è molto più stressante di quanto potessimo immaginare dalla guida. Dopo quasi mezz’ora dalla discesa, increduli, vediamo in lontananza uno spiraglio di luce, proviene da una botola. Saliamo dalla scala a pioli entusiasti e ci accorgiamo di essere almeno un kilometro sotto l’ingresso, ci tocca risalire dove è l’auto. A conti fatti è stata un’esperienza adrenalinica, vissuta in compagnia, che ci ha entusiasmato. E’ pur vero tuttavia che la Lonely non ci aveva preparato spiritualmente ed è capitato che nel corso dell’escursione si alternassero momenti di curiosità a preoccupazione vera. Appagati comunque dall’esperienza forte ci immortaliamo con gli americani e il custode beduino. Dopo rigorosa spolverata, riprendiamo l’auto destinazione Petra a 40 km. Raggiungiamo alle 19.30 l’hotel che si trova dietro il magnificente Movenpick, a pochi passi dall’ingresso al sito archeologico. La posizione comoda ripaga dei disagi della struttura vetusta e fatiscente (inclusa la moquette). E’ Lunedì, ci organizziamo per arrivare puntuali alle 21 per iniziare il giro di Petra by night: doccia veloce, giubbino di ordinanza per rispondere al vento che si sta alzando, biglietti in reception e panino al volo da una rosticceria. Siamo decisamente tanti, ci raggruppano all’ingresso, breve briefing in inglese e via a fila indiana a passo sostenuto lungo il sentiero del Siq fino al Tesoro. L’ambientazione è emozionante, le candele, il cielo stellato e il silenzio rotto dai soli passi rendono la serata piena di pathos. Ci disponiamo per terra sui tappeti davanti al Tesoro. Ci offrono un bicchierino di tè e ascoltiamo prima il suono di una sorta di sitar, poi un flauto, infine il racconto del capo delle guardie. Al di là della musica, forse un po’ monotona, il fascino di Petra di notte è nella maestosità del Tesoro, che sembra quasi respirare o sussurrare a chi lo ammira. Non ci sembra che l’organizzazione abbia dato un reale valore aggiunto alla serata e forse il prezzo non corrisponde al servizio, anche perché non ci sono biglietti agevolati per chi abbina visita di notte e di giorno. Tuttavia ci sentiamo di dire che è un’esperienza unica, che aggiunge un aspetto più intimo alla fruizione di un sito così popolare e così trafficato di giorno. E poi consente di trascorrere una bella serata, dato che a Petra (città o sito) non c’è nulla da fare, tanto che ha la parvenza di una città dove è più rigoroso il culto religioso (… quindi non avrete birre alcoliche!). Martedì 27 Maggio Alle 6 sveglia, alle 7.20 siamo già dentro al sito armati di crema solare, cappellino e scarpe comode. Ci incamminiamo per il Wadi Musa e finalmente riscopriamo dietro gli spigoli delle rocce il Tesoro colorato da una luce soffusa del primo mattino. Lo spettacolo è mozzafiato. Riprendiamo il cammino visitando il teatro e tutte le suggestive tombe reali lungo il percorso (Lonely Planet fa confusione nel nominarle sulla cartina). Superiamo i resti romani e verso le 11 ci riposiamo a bere al bar prima delle fatiche del Monastero. Restiamo incerti se prendere il passaggio di quelli che guasconamente i bambini chiamano taxi o Ferrari, e non sono altro che asinelli malconci e angosciati. Decidiamo di andarci a piedi e dopo 1 ora di saliscendi su scalini rocciosi, terra rossa e sole in picchiata, arriviamo stravolti. Ci riprendiamo mezz’ora al bar di fronte al Monastero bevendo acqua e ingurgitando cioccolata. Ammiriamo e visitiamo il monumento e da solo do un occhio ai punti panoramici sulla salita di fronte al monumento, niente di più di quanto visto percorrendo la Kings Road. Infine verso le 14 torniamo giù non senza stressare i polpacci già provati. Pranziamo al ricco buffet del ristorante Nabatean e torniamo verso l’ingresso. Alle 16.30 siamo fuori dal sito, dopo aver nuovamente sostato al Tesoro per ammirarlo con una nuova luce, più morbida, più dilatata. Usciamo con la convinzione di aver visto e vissuto qualcosa che da solo vale il viaggio. Rientrati in hotel, dopo una rigorosa doccia, collassiamo appagati, ma esausti, per 2 ore. La sera ci avviamo con l’auto a Petra città, dove ceniamo all’anonimo Al Arabi. La cucina non è cattiva, ma sembra meno genuina e fresca di altre volte.

Mercoledì 28 Maggio / Giovedì 29 Maggio Mattina alle 9 siamo in strada per il Wadi Rum. La Desert Highway è molto comoda, rimpiangiamo solo in parte di non averla fatta nei giorni precedenti, perché tutto sommato la Kings è più affascinante, anche se a tratti impervia. Alle 10.30 entriamo al Visitor Centre, dove troviamo una coppia di signori francesi interessati al tour in jeep. Ci accordiamo per un tragitto breve chiamato Little Bridge, per assecondare il loro bisogno di non restare esposti troppo al sole. In realtà delle 3 ore previste questo tour ne impiega solo 2 e obiettivamente non c’è granchè da vedere (ad es. È escluso il famoso passaggio lungo l’arco roccioso di Burdah da tutti fotografato), fatta salva chiaramente l’esperienza di scorazzare nella sabbia. Per apprezzare al meglio il deserto a detta di molti conviene restare a dormirci o quanto meno spenderci 6/7 ore in tour. Tuttavia riteniamo sia un’esperienza da fare, un buon momento di svago, protetti però di tutto punto e provvisti di acqua e cibo, recuperabili nel mini market del visitor centre.

Nel giro di un’ora la Desert ci spinge di filata ad Aqaba, unica tappa senza certezza di alloggio. Giriamo per resort a South Beach nella speranza di un colpaccio di bassa stagione, ma i prezzi sono esagerati (130 JD per notte). Puntiamo a quello che sembra il villaggio contattato via mail senza risposta di conferma di prenotazione, il Bedouin Village, altrimenti detto Moon Village. Via mail 35, di persona 30 JD a notte. Facciamo una gag per portarci a casa il risparmio. Restiamo 2 notti, unici ospiti, ad eccezione di una fugace apparizione di un intrepido fiorentino. L’albergo di fronte è pieno, viviamo 2 giorni in una condizione sospesa tra sentirci privilegiati della minoranza o esclusi dalla maggioranza. L’hotel è molto spartano, i bagni peggio, ma un paio di spiate nell’hotel dirimpettaio ci convincono che anche gli altri non se la passano poi così bene. La colazione e la cena compresi nel prezzo sono accettabili, ma rinunciamo alla seconda cena sia per sottrarci all’aria malinconica del posto, che per gustarci una cena a base di pesce in un buon ristorante della città, il Floka (dove ci cucinano il pesce indicato da noi nella vasca). Aqaba è una vivace cittadina dal sapore mediterraneo, dove si passeggia in relax e ci si muove facilmente. E’ deludente dal punto di vista delle strutture e delle spiagge che si alternano al porto. L’acqua è limpida, ma il confronto con Sharm el Sheik è quasi provocatorio. Il primo giorno restiamo sulla spiaggia di fronte l’hotel, ci sono solo ombrelloni gratuiti e una baracchina bar. Il secondo lo passiamo al più grazioso Marine Park, dove su un barcone spiaggiato gravita un simpatico ristorantino, Al Sambouk, dove rilassarsi mangiando mezze. Entrambi i giorni il vento in spiaggia ci tormenta, ma è un utile disagio per alleviare le sofferenze del caldo intenso. Venerdì 30 Maggio Dopo una notte tormentata dal micidiale mix di caldo e zanzare, ci alziamo alle 7 per iniziare una giornata di grandi spostamenti verso Nord. Sosta al panificio per raccogliere una scorta di pane arabo e grissini (solo 0,60 JD) e dal benzinaio, prima di intraprendere il viaggio verso la Riserva di Dana. Sulla strada sono diverse le baracchine che vendono bibite, ad una di queste inevitabilmente immolo i miei spiccioli pagando 3 volte il prezzo solito per una bottiglia di acqua (0,80 JD): nei posti poco frequentati è facile che non vi diano resto, né è possibile ribattere a causa della lingua. Cercate di avere sempre piccoli tagli. Dopo 3 ore di viaggio circa raggiungiamo il villaggio medievale di Dana da Husseinyah. Facciamo un breve giro, il sole picchia implacabile e decidiamo di rinunciare al tour di qualche ora a piedi spaventati dal paesaggio arido e roccioso. Prima di riprendere la strada, però, raggiungiamo il Rummana Camp, dove ci rilassiamo sulla torretta panoramica per scorgere gli ultimi paesaggi del deserto. Riprendiamo il viaggio determinati ad anticipare una meta del giorno dopo, Betania sul fiume Giordano. Sappiamo di essere in grande affanno sui tempi, il sito chiude nel pomeriggio, le distanze sono notevoli e nelle vicinanze di Amman il traffico si intensifica. Così decido di darci col gas, venendo meno al proposito di guidare con cautela per l’intera vacanza. Dopo una lieve salita eccomi sgommare impunemente di fronte ad una pattuglia di poliziotti, che intimano l’alt con autovelox laser alla mano. Siamo preoccupati, le facce sono scure e scocciate. Il loro inglese però si limita a nomi e geografia, chissà che riusciamo a svignarcela. Ed infatti dopo qualche scenetta di insofferenza e allarmismo sui miei 30 km orari eccedenti, fatta di sbuffi e occhiate paternalistiche di 10 minuti, si raccomandano sulla mia guida slow e mi lanciano un sempreverde welcome to Jordan. Il contrattempo rischia di far saltare la nostra meta, sarebbe un bel contraccolpo psicologico, visti i 400 km fatti finora e i tanti da fare l’indomani in caso di chiusura odierna. Così quando arriviamo all’ingresso e scopriamo che l’autobus è appena partito e il prossimo, ovvero l’ultimo, è dopo un’ora alle 17, la viviamo più come una sofferta vittoria che una sconfortante attesa, attorniati da mosche giganti. L’ultimo ingresso concede un giro di soli 30 minuti scortati da guida e guardie. La visita è frettolosa e l’aspetto militarizzato del posto non ne agevola il suo senso storico e religioso, per altro sancito da Papa Giovanni Paolo II. Incamminandoci per sentieri in parte alberati, vediamo sommariamente la fonte battesimale del Vangelo, i resti di alcune chiese con resti di mosaici, una fonte battesimale moderna sul limitare del fiume di fronte ad Israele e una luccicante chiesa ortodossa. Nei suoi pressi a quanto pare l’anno prossimo inizierà la costruzione di una chiesa cattolica. Ne usciamo inappagati, in queste condizioni è difficile soffermarsi e provare pensieri più profondi. Al di là della fretta contingente, ci è parso difficile coniugare momenti di fede a luoghi di nazionalismo e militarismo così esibiti e lacerati. Raggiungiamo l’hotel di Madaba alle 19, dove otteniamo una bella camera moderna, nella parte opposta alla precedente, al 3° piano con una bella vista sulla piscina. Pagheremo dazio questa volta per la comodità della camera con il canto del muezzin alle 3 del mattino, molto più udibile da questa posizione. Per cena decidiamo di andare all’Haret Jdoudna, il ristorante più bello della città. Si tratta di un antico splendido palazzo signorile, dove ha vissuto il primo sindaco della città. Gli interni e il patio alberato interno sono ristrutturati con cura e gusto. I posti sono tutti prenotati e con molta riluttanza e quasi fastidio i camerieri ci assegnano un posto, defilato, come se i turisti non fossero graditi (tanto che il giorno dopo veniamo rifiutati). Il cibo è ottimo, ci si può venire anche solo per il pane arabo, sfornato caldo, come se fosse pizza. Con 30 JD mangiamo ricche mezze, due secondi (uno di pollo, uno di verdura), un dolce, vino e acqua. Vediamo il locale popolarsi di giovani dell’alta borghesia, uomini e donne, probabilmente di fede cattolica, in vestiti trendy e occidentali, che fumano narghilè, bevono con sobrietà e simulano lievi balletti al ritmo delle canzoni giordane del piano bar. L’ambiente ci piace molto ed è divertente curiosare tra i vari gruppi. Scopriamo in particolare l’usanza del saluto con il bacio sulle guance che si alterna, prima da un lato, poi due volte consecutive dall’altro e infine sull’altro, come se fosse una morbida danza di convenevoli. Sabato 31 Maggio E’ il giorno del Nord. Ci svegliamo alle 8 e alle 9 siamo fuori, in direzione della romana Jerash. Passiamo dalla parte moderna più ricca di Amman, dove si susseguono ville sontuose, costruzioni futuristiche, ministeri possenti, un magnificente centro commerciale Carrefour, cantieri infine che decantano la costruzione di residenze dai nome esotici, come Andalusia o Amman Gardens. Proseguendo il paesaggio fuori della città sembra cambiare e si arricchisce di colline verdeggianti, ricche di frutteti, dove emergono spesso grandi vivai e negozi di vasi e rame. Ai bordi della strada ragazzini indisciplinati e anziani esausti espongono in verticale cassette multicolori. Il bianco del polistirolo esalta la fluorescenza del viola delle prugne, del verde dei fichi e dell’arancio delle albicocche. Così lungo il percorso veloce in auto proviene dai finestrini come una pennellata di impressionismo, che si intervalla costante ad ogni bancarella. Arriviamo alle 11 a Jerash, dove rovisteremo tra le stupende rovine per circa 3 ore. Il sito è imponente, ben conservato ed è facile abbandonarsi all’immaginazione storica, mirando l’ippodromo dall’alto, calpestando i ciottoli delle vie commerciali e dell’agorà, isolandosi al centro del colonnato o dei templi pagani, riposandosi infine sui gradoni dei teatri come spettatori in attesa di una recita. Dietro le rovine, incredibilmente, scopriamo vagare provati dal sole i nostri amici francesi del Wadi Rum. Lei ci mostra gli acquarelli, ormai completi, che aveva abbozzato a matita nel deserto. Sono attimi bloccati, emozioni carpite, molto più che immagini ritratte di aride rocce e volti severi di beduini. E’ così che capiamo perché riescano a fare a meno della fotocamera digitale durante il loro viaggio. All’interno del teatro sud è curioso ascoltare le cornamuse di due suonatori della banda dell’esercito a dimostrare l’incredibile acustica del teatro. Alle 14 terminiamo entusiasti la visita per pranzare all’ottimo, ma caro, self service interno al sito. Lasciamo quindi Jerash per raggiungere il castello di Ajilun. Benché sontuoso e dominante sulle colline, a visitarlo appare piccolo e agevole. In più è per così dire ripulito, spolverato più di altri, e tuttavia il rimando all’epoca dei mammalucchi, il gioco delle ombre e delle luci soffuse, combinato con gli squarci di nitidi panorami, lo rendono una meta curiosa e affascinante. Rientriamo a Madaba alle 19.30, per cenare di buon’ora nuovamente all’Haret. L’impresa non ci riesce, indispettiti dall’indifferenza e dalla spocchia dei camerieri puntiamo al ristorante Al Bawabit, che ha l’aria di essere nuovo e trendy. Il menu è povero e la cucina non eccezionale, mangiamo solo mezze pasteggiando con due calici di vino, che lieviteranno il prezzo finale.

Domenica 1 Giugno / Lunedì 2 Giugno E’ l’ultima mattina in Giordania e facciamo il check out con un po’ di indolenza: dovremo trascinarci in giro fino a notte tarda, l’aereo è alle 1.45. Ci avviamo con calma da Madaba verso la strada per il Monte Nebo per visitare i negozi di souvenir e manufatti e soprattutto curiosare nei laboratori di mosaici, dove a lavori in corso ci spiegano tecniche e risultati. Decidiamo di acquistare quadretti di mosaici di pietruzze con tecnica antica nel negozio dove ci siamo sentiti più coinvolti e, dopo un estenuante quanto inutile negoziazione, capitoliamo alla cifra di partenza. Verso le 11 prendiamo indietro la direzione per la cascata naturale di Hammamat Ma’in, dove vorremmo concederci una sosta rilassante, dotati di costume da bagno. La strada da Madaba ci sembra complicata, forse perché qualche segnale è stato rimosso. Ci troviamo con un po’ di fatica sulla strada montuosa che sotto il sole a picco porta alla riserva. L’ingresso è costoso rispetto alla struttura spartana, priva di interesse e senza servizi in uso. Arrivati, osserviamo invidiosi dalla piattaforma la calca di goduriosi che sosta in estasi sotto le secchiate di acqua calda proveniente dalla cascata soprastante. C’è solo uno spazio libero sotto la cascata, isolato dal gruppo, e lì ci avviamo tra gli sguardi sornioni dei vicini. E’ un tranello, cinico. Per raggiungere l’agognata doccia ci tocca attraversare il ruscello incandescente a 50° che tutti hanno evitato. Sembriamo due impavidi giucascasella. Dopo una sofferta permanenza con i piedi immersi nella colata lavica e frustate di acqua bollente sul cranio, torniamo sconvolti con i piedi fumanti alla piattaforma tra gli sguardi beffardi di approvazione. Attesa tattica e riproviamo questa volta nella calca, dove veniamo ripagati da una doccia questa sì rigenerante, con i piedi coccolati da un’acqua tiepida e riposante. Verso le 13.30 ripartiamo affamati per il Mar Morto, vorremmo concederci qualche ora di sole e relax sulla spiaggia del Dead Sea Spa Hotel. La struttura ha l’aria di essere un po’ usurata, il personale al bar è indisponente e persino un’innocua insalata ci viene servita con fastidio. Le insegne e gli ambienti del centro benessere poi lo ritraggono come una sorta di ambulatorio senile, a vedere l’età degli ospiti. Così rinunciamo alle velleità iniziali di coccole e massaggi e ci rifugiamo in spiaggia. Nuotare nel Mar Morto è un’esperienza unica, imperdibile. Restare immobili e incuranti della ricerca di equilibrio è una rivincita sugli accidenti patiti in mare fin da piccoli. Restiamo in hotel fino alle 21 a goderci il tramonto che cala sulla nostra vacanza. Alle 22 in aeroporto c’è Ayman a recuperare la sua auto, ma questa volta lascia che a notte fonda il nostro volo ci porti via.

CONCLUSIONI I giordani ci sono apparsi diversi dall’iconografia dei paesi arabi. Non brillano per cordialità e mostrano una serenità controllata. Talvolta, presi singolarmente, appaiono così fieri e distanti, che sembrano quasi incuranti dei turisti, benché sia evidente lo sforzo dello stato di accoglierli al meglio. Il turista ne ricava una sensazione certamente di benvenuto, ma non di spasmodica, prevalentemente falsa, attesa, come in altri paesi turistici. Esempio di questo approccio è la negoziazione commerciale: per loro si limita alla concessione di sconti del 10, al massimo del 20%, non ha gli ampi margini di manovra dei paesi arabi del mediterraneo e non si sviluppa su toni divertiti, gioviali. Insistere su richieste già negate una volta crea irrimediabilmente una definitiva rottura. D’altro canto è proprio questa pacatezza e rigore che piace. Non c’è irruenza nell’approccio al turista, gli sguardi verso le donne occidentali tendono più all’ammirazione che alla morbosità, una richiesta di informazioni riceve sempre una risposta cortese, anche nella difficoltà della lingua e della comprensione. Pur tra gli sguardi insistiti di alcuni, girovagare in Giordania è possibile senza disagio e timori. Da un lato la presenza costante e diffusa di polizia ed esercito, dall’altro il clima di serenità diffusa, rendono la permanenza gradevole e a proprio agio. Indubbiamente, però, la Giordania resta un paese profondamente ancorato alle sue radici mediorientali e islamiche, e i segnali sono tanti e forti. Ad esempio le giovani donne appaiono coperte da hijab o peggio oscurate in toto da niqab o burqa; è frequentissimo che di mattino siano accompagnate in processione da flotte di mature parenti e di sera nelle piazze rigorosamente scortate da uomini della famiglia. E poi è curioso vedere l’influenza della cultura beduina, che emerge in tutta la sua libertà negli accampamenti sfilacciati che spesso compaiono ai bordi delle strade principali. Eppure è evidente, al contempo, nelle strade, nei richiami alla modernità dei nuovi cantieri, nelle pubblicità dei cartelloni che ammiccano ai valori occidentali, negli squilli delle suonerie più disparate dei cellulari in mano ad avvizziti signori con la keffiya, il desiderio di evadere da quelle terre così intricate ed ambire alla serenità e al benessere dei paesi occidentali. E’ come un vento sospeso, come i sacchetti neri che si vedono sulla Kings Road fuggire dagli accampamenti beduini e rimanere lì incerti, se proseguire il cammino verso le città, verso la modernità, il rumore, la frenesia, o tornare al deserto, al silenzio, all’immobilità.



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