Indimenticabile Giappone … Fai da te

INFORMAZIONI UTILI Durata del viaggio: 20 giorni Periodo: dal 9 al 28 agosto 2009 MEZZI DI TRASPORTO: Volo:JAL diretto da Milano Malpensa a Tokyo Narita (circa 750 euro a testa) Per spostamenti interni: treno (Japan Rail Pass valido per 2 settimane, 307 euro a testa). Nelle città ci siamo spostati sempre con la metropolitana o i...
Scritto da: Faith76
indimenticabile giappone ... fai da te
Partenza il: 09/08/2009
Ritorno il: 28/08/2009
Viaggiatori: in coppia
INFORMAZIONI UTILI Durata del viaggio: 20 giorni Periodo: dal 9 al 28 agosto 2009 MEZZI DI TRASPORTO: Volo:JAL diretto da Milano Malpensa a Tokyo Narita (circa 750 euro a testa) Per spostamenti interni: treno (Japan Rail Pass valido per 2 settimane, 307 euro a testa). Nelle città ci siamo spostati sempre con la metropolitana o i pullman.

ITINERARIO: Tokyo – Nikko – Kyoto – Nara – Koyasan – Hiroshima – Miyajima – Beppu – Kanazawa – Takayama – Tokyo PERNOTTAMENTO: Abbiamo dormito sia in hotel sia in ryokan tradizionali. Abbiamo prenotato tutto da soli prima di partire. Abbiamo speso una media di 70 – 80 euro a notte per una camera doppia. PASTI: La cucina giapponese è molto varia e la cosa migliore per scoprirla è scegliere ristoranti “monotematici”. Quelli in cui vengono serviti piatti di vario genere tendenzialmente sono posti troppo turistici. I ristoranti non sono così cari come si pensa. Alcune sere abbiamo cenato con l’equivalente di 30 euro in due. Da provare assolutamente il Sushi al mercato del pesce di Tokyo, l’okonomiyaki di Hiroshima e i takoyaki di Osaka.

DIFFICOLTA’ LINGUISTICHE: La cosa che mi spaventava di più prima di partire era la lingua. A differenza di cosa si pensa pochissimi giapponesi parlano l’inglese. Siamo comunque sempre riusciti a cavarcela senza grosse difficoltà. Nelle stazioni tutte le scritte erano anche in inglese, stessa cosa nei templi/musei/giardini che abbiamo visitato. Per quanto riguarda i ristoranti spesso ci sono menu in inglese.

Se avete domande più specifiche, in particolare su luoghi da visitare, su strutture in cui abbiamo soggiornato e su ristoranti che posso consigliare non esitate a scrivermi.

————————————————————————————————- RACCONTO DI VIAGGIO GIORNO 1 Domenica 9 Agosto 2009 – Milano Malpensa Anche quest’anno si parte per una nuova avventura, forse ancora più affascinante delle precedenti, essendo il Giappone un paese molto meno conosciuto e molto più misterioso.

Abbiamo passato mesi ad organizzare tutto e abbiamo fatto tutto da soli. A marzo abbiamo comprato i biglietti dell’aereo per Tokyo, poi consultando la guida e vari racconti di viaggio abbiamo definito un itinerario e abbiamo prenotato gli hotel.

Sono un po’ spaventata per i problemi che potremmo avere, soprattutto non conoscendo la lingua, ma sono certa che sapremo cavarcela, anche questo sarà divertente.

In Giappone ci sposteremo principalmente in treno, perciò abbiamo deciso di partire con gli zainoni. In realtà l’ha deciso Francesco, io sono troppo affezionata e abituata al mio trolley, ma alla fine è riuscito a convincermi. Ieri preparare i bagagli è stata un’impresa ardua. Avendo gli zaini abbiamo dovuto limitare i vestiti, sia per motivi di spazio, sia di peso. Forse in questo modo abbiamo ridotto il bagaglio all’essenziale, evitando quelle cose inutili che ogni anno giacciono per giorni in fondo alla valigia.

Siamo arrivati in aeroporto abbastanza presto, c’è un po’di gente che parte oggi.

Il nostro aereo parte dopo le 15, con quasi un’ora di ritardo. Quando arriveremo in Giappone, tra dodici ore, sarà già domani.

GIORNO 2 Lunedì 10 Agosto 2009 – Tokyo In aereo riesco a dormire pochissimo. Quando arriviamo a Tokyo sono circa le 10 del mattino, piove fortissimo. Trovo che l’aeroporto sia molto silenzioso. Entriamo subito in contatto con l’efficienza giapponese, le pratiche per l’immigrazione sono semplici e rapide. Nella zona per il ritiro bagagli ci sono uomini in guanti bianchi che mettono in perfetto ordine le valigie mentre arrivano. Ci sono addirittura occhiali messi a disposizione delle persone per compilare i vari moduli richiesti.

Scegliamo il treno come mezzo per arrivare a Tokyo, che è abbastanza lontana dall’aeroporto. La ragazza della biglietteria ci comunica, dispiaciuta, che il treno è in ritardo a causa di un incidente. In realtà aspettiamo solo una ventina di minuti, ma purtroppo, durante il tragitto, il treno si rivela essere molto lento e impieghiamo più dell’ora prevista per arrivare in città.

Non appena arriviamo alla Tokyo Station ci troviamo immersi nel via vai di migliaia di persone. Sappiamo di dover prendere la metropolitana, ma non sappiamo come arrivarci. Io sto già per andare in panico quando, con calma, riusciamo a capire dove andare. Purtroppo non avendo ancora chiara la topologia della città sbagliamo a cambiare metropolitana, riusciamo comunque, tornando indietro, ad avvicinarci all’hotel. Dalla stazione della metropolitana, chiedendo qualche indicazione, riusciamo facilmente a raggiungere a piedi l’hotel, che si trova proprio in pieno centro, a due passi dalla via principale di Ginza.

La prima impressione che ho della città nel tragitto stazione hotel è di ordine e pulizia.

In hotel posiamo i bagagli e ci facciamo una doccia, dato che dopo dodici ore di aereo e due di treno ci sentiamo dei mostri. Francesco rimane subito affascinato dal wahslet toilet, la tavoletta del wc riscaldata, che provvede anche al bidet.

Usciamo subito per esplorare la città. Iniziamo dalla via principale di Ginza e da quelle vicine, dove spuntano i negozi degli stilisti più famosi.

Visitiamo il Sony Building, dove assistiamo alla proiezione di un acquario in 3D. Raggiungiamo quindi il Palazzo Imperiale, che purtroppo è già chiuso. Lì incontriamo un anziano signore giapponese, che inizia subito a chiacchierare con noi in un inglese corretto ma “affaticato”. Ci chiede qualcosa di noi e ci racconta un po’ dei giapponesi. In particolare rimarca il fatto che i giapponesi amano molto il raw fish, il pesce crudo, che non a tutti gli occidentali piace. Ne parla così a lungo e con tanta enfasi che il signore lo soprannomineremo Raw Fish.

Facciamo un giro nella zona di Hibija, dove troviamo molta confusione e un camioncino della campagna elettorale, con sopra persone che parlano, mentre nessuno dei passanti le ascolta. Entriamo in un piccolo supermercato per comprare da bere e prendiamo anche due Onigiri, i panini di riso con l’alga intorno che ricordiamo di aver visto in molti cartoni animati.

Visitiamo qualche negozio, tra cui uno di musica e Itoya, un’enorme cartoleria di cui mi avevano parlato bene, ma da cui rimango un po’ delusa.

Arrivata l’ora della cena iniziamo la ricerca di un ristorante. Inizialmente cerchiamo un ristorante segnalato dalla Lonely Planet, ma non riusciamo a trovarlo, anche a causa della difficoltà a capire gli indirizzi giapponesi. Proviamo a chiedere consiglio in hotel, ma il ristorante in cui ci mandano non ci ispira molto. Decidiamo quindi di affidarci al caso e dopo aver girato un po’ scegliamo un locale che da fuori ci ispira, pieno solamente di giapponesi.

Appena entriamo una cameriera ci avverte che non hanno il menù in inglese. Noi ci guardiamo e le diciamo che non importa. Scegliamo la sala in cui vengono serviti gli Yakitori, gli spiedini cotti alla piastra.

Ci sediamo al bancone e grazie al mio piccolo dizionario di giapponese chiediamo alla cameriera di consigliarci lei cosa scegliere. Prendiamo io due spiedini di pollo e Francesco due di maiale. Vorremmo mangiare qualcos’altro e io inizio a guardare il menù cercando, invano, di tradurre qualcosa col dizionario. Un ragazzo seduto vicino a noi ci vede in difficoltà e gentilmente ci chiede se può aiutarci, peccato che anche lui, come la cameriera, parli pochissimo inglese. In ogni caso riesce a spiegarci alcune cose e ci consiglia, così assaggiamo delle specie di frittate sferiche di polpo, degli spiedini di collo di pollo e altri di uova piccole, credo di quaglia. Anche altre persone, vedendomi alle prese con la sezione culinaria della guida e con il dizionario, si avvicinano per chiedere se ho bisogno di aiuto. Ciò che abbiamo mangiato è tutto buono, ma abbiamo ancora fame. Vediamo che il ragazzo che ci ha aiutati e il suo amico stanno mangiando dei noodles dall’aspetto invitante. Gli chiediamo se può dirci il nome del piatto e lui gentilmente ce ne dà una porzione per farceli assaggiare. Sono ottimi, così li ordiniamo: si chiamano yakisoba. In conclusione stasera, senza capire niente, abbiamo mangiato tanto e bene, spendendo pochissimo.

Domani mattina ci alzeremo molto presto per visitare il mercato del pesce.

GIORNO 3 Martedì 11 Agosto 2009 – Tokyo Ci svegliamo alle 4:30 per andare a Tsukiji Fish Market, il più grande mercato del pesce del mondo e soprattutto per vedere le aste dei tonni, che si svolgono molto presto.

Mentre ci stiamo preparando per uscire sento muovere il pavimento, ci accorgiamo subito che il lampadario sta oscillando. Il terremoto sembra durare abbastanza a lungo, ma inspiegabilmente non mi agito, forse perché penso che qui sono abituati e se ci fosse realmente pericolo ce ne accorgeremmo dalla reazione delle persone. Il signore della reception controlla un misuratore e ci dice che la scossa è stata superiore al quinto grado, ma qui è costruito tutto con sistemi antisismici, inoltre l’epicentro è abbastanza lontano da Tokyo.

Ci incamminiamo verso il mercato, non riusciamo subito a trovarlo e anche quando finalmente lo raggiungiamo non troviamo l’ingresso. Dopo vari giri tra le corsie del mercato, cercando di non essere investiti dagli uomini che, con carretti con sopra enormi tonni, attraversano i passaggi velocissimi, riusciamo finalmente ad arrivare all’area delle aste. Ai turisti è riservato uno spazio strettissimo, giustamente, per non intralciare le persone che lavorano. L’asta appare come un vero spettacolo: i tonni, senza testa e con la coda mozzata, sono posizionati, in file ordinate, sul pavimento. I possibili acquirenti li esaminano uno ad uno. Poi alcune persone, a turno, salgono su un supporto, suonano una campanella per attirare l’attenzione, dopodiché iniziano a bandire l’asta, urlando monotone cantilene.

Facciamo quindi un giro per le bancarelle del mercato. Vediamo migliaia di cassette di pesci e molluschi di ogni specie, tutti ordinati. Pare incredibile, ma quasi non si sente puzza di pesce, è tutto molto pulito. Rimaniamo colpiti da un uomo che sfiletta pesci, praticamente ancora vivi, piantandogli prima un chiodo in testa per immobilizzarli. E’ certamente una pratica crudele, ma ci impressiona l’agilità con cui esegue quest’operazione.

Decidiamo quindi di assaggiare il sushi in uno dei ristorantini adiacenti al mercato. Un ragazzo, fuori da un negozio, ci spiega gentilmente che i ristoranti di sushi si possono distinguere in tre categorie, a seconda della loro età, e si possono riconoscere in base agli ideogrammi che compaiono sull’insegna. Se sushi è scritto in semplici caratteri hiragana significa che il ristorante è molto giovane. Esiste poi una categoria intermedia, quindi ci sono i ristoranti più antichi, che sono lì da più di centosessanta anni. Scegliamo di entrare in uno di questi. Fuori c’è la coda. Una signora, dai modi un po’ sgarbati, mentre aspettiamo, ci chiede di scegliere il menù. Il locale è molto stretto, solamente il bancone, dietro a cui i cuochi preparano il sushi e una fila di pochi sgabelli. Appena si liberano due posti entriamo, e ci sediamo. Sono circa le 8 e ci troviamo a fare colazione con sushi, zuppa di miso e tè verde. Il sushi, è buono, anche se, per i miei gusti, condito da troppo wasabi, che io trovo estremamente piccante e mi rovina un po’ il gusto del pesce. I pezzi di pesce sono enormi. La zuppa di miso, che io solitamente non amo, è ottima.

Dopo la strana colazione, con la metro, raggiungiamo nuovamente il Palazzo Imperiale. Due guardie ci dicono che il palazzo non è visitabile, mentre il giardino lo è,ma è troppo presto ed è ancora chiuso.

Decidiamo di non aspettare e di andare ad Asakusa. Prendendo la metro ci troviamo travolti dalla folla umana dell’ora di punta e vediamo per la prima volta gli addetti che, muniti di guanti bianchi, spingono le persone dentro al treno.

Arriviamo ad Asakusa, inizia a piovere. Visitiamo il tempio Senso-ji, incontrando per la prima volta gli elementi ricorrenti di molti templi: un enorme bruciatore d’incenso, dove le persone aggiungono bastoncini e con le mani attirano il fumo verso di sé, la fonte con i mestoli dove ci si dovrebbe lavare le mani e la bocca seguendo un opportuno rituale, le statue enormi di personaggi bruttissimi e molto colorati, che rappresentano i guardiani del tempio.

Prima di partire per la prossima destinazione facciamo una sosta da Starbucks, dato che io vengo colta da un attacco di fame, nonostante l’abbondante colazione. Lì, invece del caffè, scelgo di bere il tè matcha con il latte, immaginandomi un normale tè macchiato con un po’ di latte. In realtà mi ritrovo a bere una sorta di cappuccino verde, che nonostante l’aspetto è abbastanza buono.

Nel frattempo veniamo contattati da Luca, l’ex coinquilino di Francesco. Pochi giorni fa abbiamo casualmente scoperto che anche lui sarebbe stato a Tokyo proprio in questi giorni, così abbiamo deciso di vederci per salutarci. L’ultima volta l’avevamo incontrato casualmente quattro anni fa nel deserto australiano, poi, pur vivendo non molto distanti, non siamo mai più riusciti a vederci e ora lo ritroviamo qua, di nuovo dall’altra parte del mondo.

L’idea di Francesco è quella di andare ad Akihabara, il quartiere dell’elettronica, quindi ci diamo appuntamento con Luca lì, all’uscita della metropolitana.

Quando ci incontriamo Luca ci dice che oggi, nel tardo pomeriggio, arriverà il tifone, perciò dobbiamo sbrigarci a vedere ciò che ci interessa, per poi magari chiuderci in un locale e aspettare che il tifone passi.

La zona di Akihabara è costituita da centinaia di negozi di elettronica, di fatto tutti simili, per cui non avendo particolari interessi ed esigenze decidiamo di vederne uno a caso. E’ molto simile ai nostri supermercati di elettronica, si trovano dai telefonini alle lavatrice. Le cose particolari che noto sono le pentole elettriche per la cottura del riso e i washlet toilet.

Dopo la brevissima visita prendiamo nuovamente la metro e andiamo a Shibuya, dove Luca ci guida nelle zone che ha già visitato. Per prima cosa saliamo al primo piano della stazione per poter vedere dall’alto Shibuya Crossing, il famoso incrocio dove, quando scatta il semaforo per i pedoni, si vede una marea di persone attraversare in tutte le direzioni. Visitiamo velocemente un centro commerciale, quindi percorriamo alcune vie della zona. C’è tantissima gente, soprattutto giovani. Luca ci dice che gli sembra che ci sia meno gente rispetto al giorno in cui è venuto qui, probabilmente per via dell’imminente tifone. Ci fa anche notare che molti ragazzini, sia femmine che maschi, quando escono, usano indossare abiti tradizionali, come gli yukata, cioè specie di kimono più semplici, e gli zoccoletti di legno.

Cerchiamo ancora la statua del cane Hachiko, che è stata eretta per un cane molto fedele al suo padrone, che veniva tutti i giorni ad aspettarlo alla stazione e che, quando il padrone è morto, ha continuato a venire alla stazione tutti i giorni, per undici anni, fino alla propria morte. Prendiamo nuovamente la metropolitana e raggiungiamo Shinjuku. La fermata della metro ha un’uscita direttamente dentro il centro commerciale di Isetan. Ci ritroviamo nel piano sotterraneo, quello dedicato alla gastronomia. E’ incredibile, pare una gioielleria, cibi esposti come fossero pietre preziose, frutti che sembrano eleganti oggetti di arredamento.

Iniziamo a visitare il quartiere dalla zona ovest, quella definita commerciale, caratterizzata dai grattacieli di uffici. Saliamo sul Tokyo Metropolitan Government, dove si trovano due torri gemelle panoramiche. Da lì riusciamo ad ammirare la città dall’alto. Purtroppo il brutto tempo non ci permette di vedere il monte Fuji.

Giriamo un po’ per il quartiere, arrivando nella zona est e passando da Golden Gai, una zona piena di locali che a quest’ora sono ancora chiusi, ma sono comunque riservati ai soli giapponesi. Lì vicino si trova il santuario Hanazono-jinja.

Tornando verso la stazione della metropolitana ci troviamo davanti alla vetrina di GROM, la catena di gelaterie nata a Torino. Anche qui come a Torino c’è la coda davanti al negozio.

Con la metropolitana arriviamo ad Harajuku. Siamo un po’ stanchi, dato che è dalle cinque di stamattina che camminiamo, perciò entriamo in un locale per bere qualcosa e soprattutto riposare i piedi doloranti. Percorriamo Takeshita-dori, una via molto vivace, piena di negozi dedicati alla moda giovanile, che espongono tantissimi vestiti e accessori per ragazzine, alcuni molto particolari. Quindi ci spostiamo nella più lussuosa Omote-sando e passeggiando decidiamo di cercare un locale dove cenare e dove eventualmente ripararci dal tifone, che non è ancora arrivato. Cercando, invano, il ristorante che abbiamo scelto sulla guida arriviamo nuovamente in Takeshita-dori e lì entriamo in una specie di fast food di udon, cioè spaghetti grossi, serviti in brodo con condimenti vari. I piatti assomigliano molto ai ramen che vedevamo mangiare dai personaggi dei cartoni animati. Sono molto buoni, mentre le cose fritte, verdure e pesce, che assaggiamo sono fredde e non ci piacciono molto.

Finito di mangiare salutiamo Luca, che prende il treno in un’altra direzione, e torniamo a Ginza con i piedi distrutti. Intanto il tanto temuto tifone non si è visto.

GIORNO 4 Mercoledì 12 Agosto 2009 – Nikko – Tokyo Oggi è l’ultimo giorno a Tokyo e abbiamo deciso di andare a visitare Nikko, città dove si trovano numerosi monumenti storici, nominati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Prendiamo il treno e, cambiando a Utsonomiya, arriviamo alla stazione di Nikko, una cittadina ai piedi delle montagne. Dalla stazione occorre percorrere a piedi una lunga strada in salita per arrivare alla zona dei santuari. Ciò che vediamo della città non ci sembra molto caratteristico. Anche qui, come a Tokyo, ogni due passi si trova una macchinetta che distribuisce bibite.

Il primo monumento che si incontro Shin-kyo, un antico ponte rosso.

Si sale ancora per arrivare all’area dove sono raccolte le costruzioni religiose. Per primo visitiamo il tempio Rinno-ji dove rimaniamo colpiti dalle tre enormi statue dorate del Buddha.

Passando attraverso un enorme Torii di pietra arriviamo al Toshu-gu, caratterizzato da numerose costruzioni riccamente decorate. C’è anche una stalla dove si vedono raffigurate le famose tre scimmiette “non vedo, non sento, non parlo”. Visitiamo le la sala principale dove dobbiamo toglierci le scarpe. Una delle sale più particolari è la Honji-do, caratterizzata dall’enorme dipinto di un drago sul soffitto. Un monaco ci mostra le proprietà acustiche della sala battendo tra loro due bastoni e dimostrando che il drago “ruggisce” solo quando i bastoni vengono battuti in prossimità della sua bocca. In effetti in quel punto l’eco è diversa e più accentuata, ma sappiamo benissimo che non è a causa del drago, ma della conformazione della stanza.

Visitiamo quindi il Futarasan-jinja, che è il santuario più antico di Nikko e subito dopo il mausoleo dello shogun Tokugawa Ieyasu, dove si arriva salendo una lunga scalinata. Rimaniamo impressionati dalle statue dei guardiani del tempio, dalle facce orribili e tutti colorati con colori vivaci. Francesco dice che sembrano i cattivi di Dragon Ball.

Tornando in prossimità di Rinno-ji visitiamo il giardino e il museo del tesoro. Il giardino è piccolo, ma molto curato. Nel museo non trovo niente di veramente interessante.

Riusciamo a lasciare Nikko nel primo pomeriggio, così quando arriviamo a Tokyo abbiamo ancora un po’ di tempo per girare. Appena arriviamo alla Tokyo Station, ne approfittiamo per cambiare il voucher del Japan Rail Pass, un biglietto speciale che ci permetterà di viaggiare su tutti i treni delle linee Japan Rail per due settimane. Decidiamo poi di tornare a Shibuya, dato che ieri l’abbiamo vista un po’ di corsa.

Entriamo da Tokyu Hands, di cui ieri ci ha parlato Luca. Si tratta di un grande negozio, disposto su più piani, dove si trovano tantissimi oggetti, di ogni genere: borse, cartoleria, merceria, bricolage, giochi e scherzi, varie cose per ogni ambiente della casa.

Rimaniamo affascinati dal reparto dedicato agli oggetti per la cucina. Vorremmo comprarli tutti, ma, per motivi di peso dei bagagli, rimandiamo gli acquisti alla fine della vacanza, quando torneremo a Tokyo.

Cerchiamo un posto per cenare, rimanendo a Shibuya. Vediamo da fuori un ristorante di Okonomiyaki. Si tratta di un locale dove, in ogni tavolo, si trova una piastra, dove vengono cucinate le cose che si ordinano. Noi ordiniamo proprio l’okonomiyaki, cioè una specie di frittata con dentro carne, uova, pesce e verdura. La cameriera ci porta le ciotole con gli ingredienti e le prepara davanti a noi, cuocendo prima un po’ le verdure, la carne e il pesce sulla piastra, poi rimettendole nelle ciotole, dicendoci di mescolare il tutto all’uovo e alle verdure rimanenti. Dopodiché rovescia il composto sulla piastra, modellando la frittata a forma circolare, utilizzando speciali palette. Lascia cuocere cinque minuti per poi rivoltarla e farla cuocere ancora. Quando è pronta la spalma con una salsa marrone scuro e la cosparge di maionese, di una spezia verde che non riusciamo ad identificare e di scaglie di pesce essiccato. Il risultato è ottimo.

Facciamo ancora un giro per le vie di Shibuya, poi con la metro torniamo a Ginza, andiamo a vedere, da fuori, il teatro Kabuki-za, quindi ci fermiamo a bere una birra in un pub vicino all’hotel, prima di andare finalmente a dormire.

GIORNO 5 Giovedì 13 Agosto 2009 – Kyoto Ci svegliamo molto presto per chiudere gli zaini e partire alla volta di Kyoto. Prendiamo la metro fino alla Tokyo Station, dove raggiungiamo subito il binario e ci mettiamo in coda per il treno delle 8:33. Ieri purtroppo non siamo riusciti a prenotare il posto sul treno, in quanto le carrozze riservate erano già tutte occupate, per cui ci hanno consigliato di arrivare prima per poter salire sulle carrozze non riservate.

E’ incredibile l’estrema puntualità dei treni, che spaccano il secondo. Le stazioni sono organizzatissime, per accedere ai binari e poi per uscirne occorre sempre passare dagli appositi tornelli, si attende rispettando rigorosamente la coda ed è sempre possibile conoscere dove si ferma esattamente il treno, la precisa posizione delle carrozze, perciò sappiamo già dove fermeranno le carrozze non riservate. E’ impressionante come sullo stesso binario arrivi e riparta un treno ogni pochi minuti. Abbiamo inoltre notato che quando i treni arrivano al capolinea sale un addetto che gira tutti i sedili nel senso di marcia.

Il viaggio sullo Shinkansen è fantastico, i posti a sedere sono spaziosissimi, il treno è pulito. E’ buffo vedere che sia i ragazzi che passano a vendere caffè, bibite e snack, sia il controllore, prima di uscire dalla carrozza si girano verso i passeggeri e fanno l’inchino. Sul treno e nelle stazioni, ogni volta che c’è qualche annuncio, si sente sempre qualche piacevole musichetta. Abbiamo notato che i jingle in Giappone sono ovunque, tipo fuori dai negozi o nelle stazioni della metropolitana.

In meno di tre ore arriviamo a Kyoto. In stazione veniamo immediatamente avvicinati da una coppia di volontari per turisti che, vedendoci con gli zainoni, ci chiedono se abbiamo bisogno di aiuto. Io ho già tirato fuori la mappa con il percorso fino all’hotel, che ho stampato prima di partire e loro, che conoscono bene dove sia, ci danno indicazioni ancora più precise. Infatti lo troviamo facilmente e in meno di dieci minuti arriviamo. L’hotel in cui alloggeremo, il Matsubaya Inn, in realtà è un ryokan, cioè un albergo in stile tradizionale. In realtà ha stanze sia di tipo tradizionale giapponese, sia di tipo occidentale. Purtroppo dormiremo solo due notti nella camera tradizionale, perché per le altre due notti non c’era disponibilità.

E’ ancora presto per effettuare il check-in, comunque i gentili gestori ci mostrano la nostra stanza e ci permettono di posare i bagagli. La stanza è piccola molto carina, ha il pavimento rivestito da tatami ed è arredata solamente da un tavolino basso e tre sedie.

Arrotolati dentro un armadio stanno i futon, i letti costituiti unicamente da materassi, che dovremo prepararci da soli prima di andare a dormire.

Prima di iniziare a visitare la città ci fermiamo in un supermercato a comprare qualcosa da mangiare. Prendiamo una scatola di sushi e due onigiri e ci sediamo in un piccolo parco per mangiare. Il sushi del supermercato è più buono di quello che si trova in alcuni ristoranti in Italia.

Iniziamo la visita dal tempio Higashi Hongan-ji, che si trova proprio di fronte alla via del nostro hotel. E’ abbastanza bello da fuori, ma dentro è un po’ spoglio. Alcune parti sono in fase di ristrutturazione.

Raggiungiamo poi a piedi il vicino Nishi Hongan-ji, decisamente più curato. Per visitare ogni tempio occorre togliersi le scarpe e spesso vengono forniti dei sacchetti di plastica per potersele portare dietro, senza doverle abbandonare all’ingresso. I templi presentano gli stessi elementi caratteristici di quelli che abbiamo visto nei giorni scorsi. Facciamo una breve sosta nell’area di riposo adiacente al tempio, dato che fa caldissimo e lì c’è l’aria condizionata. Una simpatica vecchina offre il tè, ma fa troppo caldo per berlo, preferiamo le bibite delle immancabili macchinette.

Torniamo alla stazione da dove prendiamo l’autobus per raggiungere il castello Nijo-jo, che ospitò la residenza ufficiale a Kyoto del primo shogun, Tokugawa Ieyasu. Per visitarlo dobbiamo toglierci le scarpe, ormai sta diventando una consuetudine. Le stanze del castello sono molto belle, con pareti decorate d’oro e con disegni raffiguranti vari tipi di alberi. Una caratteristica è il pavimento “cinguettante”, fatto costruire appositamente scricchiolante, affinché si potessero sentire gli eventuali intrusi.

Finita la visita prendiamo il pullman e, passando per quella che immagino essere la via principale, dato che si vedono tantissimi negozi di marchi famosi, andiamo fino a Gion con l’intento di vedere il quartiere delle geishe, ma purtroppo sta iniziando a piovere forte. Vediamo velocemente il santuario Yasaka-jinja, che sicuramente rivedremo con maggior attenzione nei prossimi giorni.

Torniamo nel ryokan per rinfrescarci, dato che siamo devastati dal caldo umido di oggi e il mio piede destro è sempre più dolorante.

Nel ryokan indossiamo lo yukata, una specie di kimono da casa, che ci hanno lasciato in dotazione e ci prepariamo il tè. In questa stanza continuo a sentire uno strano odore di cavolo bollito, ma forse dipende dai tatami.

Andiamo a cena e siccome siamo un po’ stanchi decidiamo di non allontanarci troppo. Troviamo un ristorante specializzato in soba, cioè spaghetti di grano saraceno.

Appena entrati vediamo tre uomini che preparano i soba, uno impasta, uno tira la sfoglia con il mattarello e il terzo li taglia e li raccoglie in nidi, pesandoli.

Io ho mangiato un’ottima tenpura e i soba cucinati nel modo più classico, che vanno mangiati freddi intingendoli in una salsa di soia. Devo dire di non averli molto apprezzati, non tanto per il gusto, che non era male, ma in generale non amo la pasta fredda.

Dopo cena torniamo nel ryokan e dopo un altro tè prepariamo i futon.

GIORNO 6 Venerdì 14 Agosto 2009 – Kyoto Dopo una rapida colazione in un bar della stazione partiamo per la visita dei templi. A Kyoto ci sono tantissimi templi, per cui, avendo solo pochi giorni a disposizione, bisogna fare una selezione e visitare quelli più significativi. Scegliamo di iniziare con la zona di Higashiyama sud, dove seguendo un breve itinerario a piedi riusciremo a vedere molti monumenti importanti.

Arriviamo con l’autobus fino alla zona di Gion, praticamente la stessa in cui eravamo ieri sera, e iniziamo a percorrere una salita, passando nei pressi di un cimitero, dove persone portano fiori e fronde verdi. Le lapidi sono molto diverse da quelle a cui siamo abituati, si presentano come delle piccole torri e non mi pare di aver visto nessuna foto.

Arriviamo nei pressi della porta del tempio Kiyomizu-dera. Lì una bambina, giapponese, mi si avvicina e mi chiede, in inglese perfetto, se posso fare una foto con lei. Io accetto e lei mi dice se però posso togliermi gli occhiali da sole e di mettermi alla sua altezza. Restiamo un po’ stupiti da questo fatto, probabilmente voleva la foto perché siamo occidentali. Entriamo nel tempio, dove alcune persone pregano e accendono ceri e dove vediamo monaci inginocchiati che ripetono una monotona cantilena.

Scendendo dal tempio c’è una piccola cascata sacra, da cui vediamo che molte persone prendono l’acqua.

Qui notiamo delle strane statue di pietra, a volte solo semplici pietre, situate ai bordi della strada, con in bavaglino rosso e a volte anche un cappello rosso.

Proseguiamo il cammino e passando per una strada, piena di negozi e bar, chiamata via delle teiere, vediamo la Yasaka Pagoda, ma solo da fuori e arriviamo al tempio Kodai-ji, circondato da uno splendido giardino.

Lì vicino visitiamo il Ryozen Kannon, dove si trova la statua di pietra di Kannon, altra ventiquattro metri. All’ingresso, insieme al biglietto, ci danno un bastoncino di incenso acceso da mettere nel bruciatore situato davanti al tempio. La statua vista da sotto è davvero impressionante.

Passando attraverso il parco Maruyama Koen e salendo una lunga scalinata arriviamo al tempio Chion-in. Si tratta di un complesso di molti edifici, tra cui è situata la campana più grande del Giappone. Ho letto che per suonarla sono necessari diciassette monaci.

Proseguendo arriviamo a Shoren-in, un altro tempio, molto simile però ad un’abitazione, con stanze molto luminose, ricoperte da tatami e un bel giardino. Noto una cosa che a me pare molto buffa, ma sicuramente ha un significato: davanti ad alcuni altari c’è un’anguria e una pila di dolcetti. Prima di andare via ci sediamo sui tatami ad ammirare il giardino e il laghetto, provando un gran senso di pace e rilassamento.

In conclusione dell’itinerario arriviamo a Yasaka-jinja, il santuario dove siamo già stati ieri sera. Con la luce del giorno appare più bello: è’ molto colorato e appariscente. Qui noto altre cose tipiche dei templi e dei santuari: delle campane appese in alto, con una lunga corda che i fedeli tirano prima di pregare, una piccola struttura, o a volte un semplice albero, a cui vengono legati foglietti, contenenti preghiere, opportunamente arrotolati.

Davanti agli altari si trovano sempre delle specie di grate dentro le quali i fedeli buttano una moneta e poi pregano battendo due volte le mani e inchinandosi.

Andiamo alla stazione della metro passando prima per Hanami-koji, una via di Gion caratterizzata da case di legno molto antiche. In questa zona si trovano le case da tè frequentate dalle geishe.

Prendiamo il treno per raggiungere il santuario Fujimi Inari, che si trova nella zona sud di Kyoto.

Sulla guida ho letto che la caratteristica del santuario è una lunga fila di Torii rossi. Si chiamano Torii le porte che solitamente si trovano prima di raggiungere i templi. Dopo aver visto il tempio iniziamo la l’emozionante passeggiata sotto i Torii. Usciti dalla prima fila pensiamo che sia tutto lì, ma ci troviamo di fronte un’altra serie di Torii. Proseguiamo e camminando iniziamo a salire su dal bosco, la fila di Torii sembra non finire mai, finché non incontriamo un cartello raffigurante il tempio. Ci accorgiamo di trovarci dentro ad un enorme anello di Torii. Nonostante tutto continuiamo a salire ostinati, lungo il percorso incontriamo vari tempietti e statue. Più saliamo e meno persone incontriamo, inoltre notiamo che più saliamo più aumenta il prezzo dell’acqua dei distributori di bibite. Finalmente arriviamo in cima, e riprendiamo subito la discesa, sempre sotto i Torii. Non è stata la passeggiata defaticante che pensavamo, ma è stata comunque molto bella. Torniamo in albergo distrutti, desiderosi di una doccia.

Usciamo a cena, per festeggiare il compleanno di Francesco. Andiamo a Pontocho, una via piena di ristoranti e locali, vicino al fiume e non lontano da Gion. Mentre arriviamo Francesco dice di aver visto una geisha entrare in un locale. Io purtroppo non la vedo.

La scelta del ristorante è un po’ difficile, dato che spesso il menù esposto fuori è esclusivamente in giapponese. Alla fine Francesco sceglie un ristorante abbastanza tranquillo, dove mangiamo io Sukiyaki e Francesco Shabu Shabu. Si tratta di piatti di carne di vitello, che viene servita cruda, insieme a delle verdure e cotta al momento. Insieme alla carne vengono infatti portati dei fornellini con sopra l’occorrente per cuocerla. Nel caso del Sukiyaki si tratta di una particolare salsa a base di soia, in cui le verdure e la carne vengono immerse e lasciate cuocere per qualche minuto. Una volta cotta la carne, prima di essere gustata, viene intinta nell’uovo crudo. Per quanto riguarda Shabu Shabu la carne viene cotta nel brodo, tenendola con le bacchette e intingendola con un movimento ondulatorio, dal cui “suono” deriva il suo nome onomatopeico. Una volta cotta la carne viene immersa in una salsa a base di soia.

Mangiamo ancora una buonissima tenpura di verdure. Francesco, chiacchierando, dice al cameriere che è il suo compleanno. Ci offrono così il gelato con lo sherry e mentre lo stiamo gustando sentiamo in sottofondo una strana versione della canzone “Happy Birthday”.

Dopo cena passeggiamo un po’ per la zona, tornando in Hanami-koji, dove spero di avvistare qualche geisha, senza successo. La zona di notte è comunque molto carina.

GIORNO 7 Sabato 15 Agosto 2009 – Kyoto Ci svegliamo abbastanza presto per andare a visitare i templi della zona nord di Kyoto. Dopo una veloce colazione in stazione prendiamo l’autobus, ma purtroppo sbagliamo due volte direzione, finché non capiamo che la cosa più semplice e rapida da fare è prendere la metropolitana per avvicinarci velocemente alla zona e solo dopo prendere un autobus.

Mentre stiamo per raggiungere il primo tempio vediamo che su una collina stanno preparando uno dei Kanji che stasera verranno illuminati con numerosi falò, in occasione di Daimon-ji Yaki, la festa dei morti.

Per primo visitiamo il tempio Kinkaku-ji, conosciuto come Tempio d’Oro, in quanto quasi interamente rivestito da foglia d’oro. Il tempio, non visitabile all’interno, è situato in mezzo ad un laghetto ed affiancato da un grande giardino, dove si trovano edifici minori.

Cerchiamo poi di raggiungere a piedi il tempio Ryoan-ji, che non dovrebbe essere molto distante, ma anche stavolta sbagliamo strada. Ci accorgiamo però abbastanza presto dell’errore riuscendo facilmente a tornare sulla strada giusta. Riusciamo così a vedere un po’ di periferia della città Oggi, a differenza di ieri, il tempo non è molto bello. Ogni tanto pioviggina, ma comunque fa sempre molto caldo. Per fortuna i distributori di bibite, che si trovano in ogni angolo, ci aiutano a sopportarlo.

Il tempio Ryoan-ji è immerso in un grande parco. Dal tempio è possibile vedere un famoso giardino zen. A me non dice molto, nonostante tutte le persone siano sedute ad ammirarlo.

Fuori dal tempio vediamo anche la fontana da cui sgorga l’acqua utilizzata per la cerimonia del tè.

Il parco è molto curato, ci sono numerose piante di bambù e un lago, in mezzo a cui si trova un altro piccolo tempio.

Sempre a piedi raggiungiamo il tempio Ninna-ji, un tempio zen molto semplice, costituito da stanze con pareti decorazioni floreali, con pochissime statue e un curatissimo giardino zen, molto rilassante. Intorno al tempio si trova un grande parco, con tantissimi alberi di ciliegio, che all’epoca della fioritura devono apparire stupendi.

Facciamo una sosta in un’area dedicata, nel parco del tempio. Mangiamo frutta e onigiri che abbiamo comprato stamattina. Facendo la spesa ci siamo lasciati tentare e abbiamo comprato anche un uovo sodo, che viene venduto singolarmente nella sua scatolina, e dei dolci strani, bianchi con dentro una crema marrone, che non hanno un gusto ben definito e hanno una stranissima consistenza. Non samo sicuri di cosa si tratti, forse l’esterno è fatto di farina di riso e l’interno è marmellata di azuki … noi li chiamiamo mollicci.

Decidiamo poi di non visitare altri templi e di dedicare il resto della giornata al centro di Kyoto.

Facciamo una passeggiata in una via dedicata alla moda giovanile e successivamente in una grande galleria di negozi. Finalmente troviamo poi ciò che stavamo cercando: Nishiki Market, un grande mercato coperto di generi alimentari di ogni tipo. Lì vediamo cose stranissime, pesci essiccati, verdure sepolte da una sostanza che sembra sabbia, salse dall’aspetto curioso.

In un banco dove viene lavorato il tè ne compriamo tre diverse varietà.

Andiamo alla stazione a chiedere informazioni per la gita di domani a Nara e soprattutto per il complicato trasferimento che dovremo fare dopodomani per andare a Koyasan. Rimaniamo stupiti dal fatto che all’ufficio informazioni abbiano già dei fogli pronti con tutte le indicazioni necessarie.

Intanto visitiamo la moderna stazione di Kyoto. E’ una struttura futuristica, imponente. Con delle scale mobili all’aperto saliamo fino in cima, da dove è possibile ammirare tutta la città.

Visitiamo un negozio della stazione dove sono esposti vari gadget dedicati ad alcuni personaggi dei cartoni animati di Tezuka, che ci ricordano la nostra infanzia, come Kimba il leone bianco, la principessa Zaffiro e Astro Boy.

Fuori dalla stazione vediamo una macchinetta distributrice di cibo e ci torna in mente un video del cuoco-scrittore Anthony Bourdain che abbiamo visto poco tempo fa, in cui, in un suo giro del Giappone, prendeva delle patate fritte da una macchinetta come questa. Decidiamo di fare anche noi quest’esperienza, ma rimaniamo fortemente delusi quando capiamo che le patatine non vengono fritte al momento, come pensavamo, ma sono in realtà precotte e scongelate al microonde.

Per la cena torniamo a Pontocho, la stretta via dove si trovano numerosi locali, e come ieri iniziamo a guardare i locali cercandone uno che ci ispiri. Siccome dai menu capiamo davvero poco ci facciamo attirare dall’aspetto del locale e da ciò che vediamo che succede all’interno.

Ne scegliamo uno e appena ci sediamo rimango un po’ delusa, perché veniamo fatti accomodare in una sala separata e non vicino al bancone dove c’è un po’ più di movimento e perché leggendo il menu capiamo che la specialità è il tofu … ed io odio il tofu.

Per quanto riguarda il cibo mi devo ricredere, perché mangiamo molto bene: tenpura di polpo con salsa di prugne e riso con uovo e maiale. Francesco invece assaggia il tofu e poi oden, cioè una specie di stufato di verdure, tofu e qualcos’altro.

Dopo cena facciamo una passeggiata lungo il fiume e noto che molti locali di Pontocho hanno la terrazza con vista fiume. Sembrano molto carini e domani sera magari ne sceglieremo uno di questi. Intanto domani mattina faremo la gita a Nara.

GIORNO 8 Domenica 16 Agosto 2009 – Nara – Kyoto Oggi visiteremo Nara, un luogo di alto interesse artistico, nominato patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

Partiamo con il treno delle 8:49, come al solito puntualissimo e arriviamo poco dopo le 9:30.

Dopo una breve tappa al box informazioni, dove ci forniscono la mappa della città e ci consigliano un itinerario da seguire, iniziamo il cammino. Arriviamo nei pressi del tempio Kofuku-ji, dove vediamo le due pagode. Nei dintorni del tempio incontriamo i primi cerbiatti, che si aggirano tranquillamente per la città, avvicinandosi alle persone in cerca di cibo.

Arriviamo allo Yoshikien Garden, dove rimaniamo un po’ sorpresi in quanto l’ingresso è gratuito per gli stranieri. Il giardino è carino, ma decisamente meno curato di quello che abbiamo visitato ieri.

Raggiungiamo quindi il monumento più importante e famoso della città, il tempio Todai-ji, dove è situato un Buddha di bronzo alto sedici metri.

Tra i vari pilastri che sostengono il tempio ce n’è uno particolare, con un buco grande quanto la narice del Buddha. Si dice che chi riesce a passare attraverso il buco raggiungerà l’illuminazione. Nel periodo in cui restiamo nel tempio vediamo solo bambini cimentarsi nell’impresa.

Nel grande complesso di edifici adiacente al tempio vediamo la grande campana e il Nigatsu-do Hall, posto più in alto.

Dopo una breve sosta per consumare il nostro pranzo, che consiste in onigiri e uovo, nell’area di ristoro dove è anche possibile servirsi il tè, riprendiamo il cammino.

Arriviamo al Kasuga Taisha, un santuario caratterizzato dalle centinaia di lanterne.

Facendo il nostro solito giro dell’oca, non focalizzando bene sulla mappa il percorso appena fatto e la posizione in cui siamo, cerchiamo di raggiungere il centro e quindi la stazione. Camminando vediamo così una zona residenziale della città. Arriviamo nella zona vecchia di Nara e passeggiando tra le case di legno vediamo una serie di negozi dall’apparenza un po’ triste.

Passando nella via principale, per raggiungere la stazione, Francesco viene attratto da una fila di bambini che comprano strani dolci verdi, ricoperti da una polverina marroncina. Francesco non resiste e ne compra due. Ci ritroviamo così a mangiare un terribile molliccio verde, ripieno di marmellata di azuki, i fagioli rossi che sembrano essere l’ingrediente principale della maggioranza dei dolci giapponesi.

Torniamo a Kyoto e, dopo una sosta in hotel, per riposarci un po’ e per il tè quotidiano, usciamo abbastanza presto con l’intenzione di cenare e di trovare poi un posto da cui si possano vedere i kanji infuocati di Daimon-ji Yaki, la festa dei morti.

Andiamo nuovamente a Pontocho, dove però stasera vorremmo cenare in una terrazza sul fiume. Dopo una ricerca tra i locali del lato destro, che si affacciano sul fiume, ne scegliamo casualmente uno dove vediamo che viene servito il sushi. Ci dicono però che per mangiare in terrazza dobbiamo scegliere uno dei tre menù degustazione.

Ci fanno accomodare sulla terrazza, la vista sul fiume è molto bella. Francesco sceglie il più completo dei menù e ci ritroviamo a mangiare cose assurde. Oltre ai già noti sushi, sashimi e zuppa di miso ci portano antipasti strani, quali capperi immersi in una salsa gelatinosa, una sostanza non identificata della consistenza del fois gras, una zuppa calda, solida e gelatinosa e altre stranezze. Per concludere in bellezza il dolce è composto da tre cubetti verdi gelatinosi: anche a cena dobbiamo mangiare dei mollicci.

Mentre ceniamo, verso le 20, ci accorgiamo che sulla collina di fronte viene acceso uno dei kanji. Avevo letto che sarebbero rimasti accesi fino alle 22, ma purtroppo, quello che stiamo vedendo si spegne molto prima. Così, dopo cena, rinunciamo a spostarci per cercarne altri.

La cena è stata forse un po’ troppo particolare, ma ho apprezzato tantissimo la vista.

Facciamo un giro a piedi a Gion e finalmente vedo una geisha, solo per pochi secondi, mentre entra in un locale. Ha la faccia dipinta di bianco e i capelli raccolti in un’acconciatura elaborata, è accompagnata da due donne e un uomo. Visto che so che è così raro avvistarne una mi chiedo se sia autentica, ma penso di sì.

Domani ci aspetta la lunga e complessa trasferta a Koyasan.

GIORNO 9 Lunedì 17 Agosto 2009 – Koyasan Stamattina lasciamo Kyoto per raggiungere Koyasan. Il trasferimento sarà lungo perché dovremo cambiare diversi treni. Ci alziamo presto, chiudiamo i bagagli e scendiamo a restituire la chiave della stanza. I due gestori dell’hotel, immagino marito e moglie, che nei giorni scorsi sono stati così gentili con noi, ci donano due set di bacchette e mentre andiamo via escono in strada per salutarci e continuano a inchinarsi finché ci vedono. Io, come ogni volta in cui qualcuno si mostra molto gentile con me, mi commuovo.

Dopo aver fatto una spesa di frutta per pranzo raggiungiamo la stazione. Compriamo una confezione di mollicci da portare a casa, le brioches per la colazione e corriamo a prendere il treno per Osaka. Dalla stazione Shin-Osaka prendiamo la Loop Line fino alla stazione di Shinimamiya, da lì prendiamo un altro treno e dopo un paio d’ore arriviamo a Gokurabashi. Lungo il tragitto iniziamo a vedere zone dominate dalla natura, dove compaiono pochissime case. Infine prendiamo una funicolare, che, salendo su per magnifici boschi, ci porta finalmente a Koyasan.

Koyasan, uno dei luoghi sacri più importanti del Giappone e uno dei principali centri monastici, ospita numerosi templi e santuari. Noi trascorreremo la notte in uno di questi templi, lo Shojoshin-in.

Dalla stazione dobbiamo ancora prendere un autobus che ci porta fino al tempio in cui alloggeremo, proprio l’ultimo in fondo alla città.

Appena arriviamo un monaco ci accoglie e prima di mostrarci la nostra stanza ci espone il regolamento del tempio. Mentre sbrighiamo le pratiche del check-in un altro monaco, ci chiede se siamo italiani, e quando gli rispondo di sì mi mostra, fiero e ridendo, la maglietta che porta sotto la tonaca, con scritto “Ciao Bella”, con i caratteri della Coca Cola.

Posiamo i bagagli e partiamo subito per la visita della zona, in quanto abbiamo pochissimo tempo a disposizione: sono già le 14 e la cena nel tempio viene servita alle 17:30! Attraversiamo la città a piedi. Non è molto grande, quindi in poco tempo arriviamo al complesso templare Garan, costituito da numerose sale e pagode. Visitiamo il Dai-to, la grande pagoda, che presenta colori vivaci, dominati da un arancione acceso e il Kondo, la sala principale. Ci fermiamo su una panchina del parco antistante, per consumare il nostro pranzo ritardato, costituito da una mela. Andiamo quindi a visitare il Kongobu-ji, residenza dell’abate di Koyasan. Ogni stanza presenta pareti e paraventi riccamente decorati, principalmente con immagini naturali. Il grande giardino zen è caratterizzato da una notevole quantità di massi. Alla fine della visita ci viene offerto il tè, accompagnato da un biscotto di riso. Lo consumiamo in una grande sala, seduti sui tatami, mentre una donna, forse una monaca, sta spiegando animatamente qualcosa. Purtroppo, non capendo niente, ci accontentiamo di assaporare il tè e ammirare le decorazioni della sala.

Una delle cose più importanti da visitare a Koyasan è Oku-no-in, un cimitero molto importante per i fedeli buddhisti, dove riposa Kobo Daishi, il fondatore della scuola di buddismo esoterico di Shingon, una delle figure religiose più importanti del Giappone.

Il cimitero è situato in mezzo alla foresta ed è immenso. Ci addentriamo, camminando lungo il sentiero, costeggiato da lanterne di pietra, incontriamo numerose tombe e statue. Sarebbe bello potersi soffermare e trovare i monumenti più importanti, ma purtroppo il tempo stringe e ad un certo punto iniziamo a camminare molto velocemente, cercando almeno di raggiungere il Toro-do, la Sala delle Lanterne.

Torniamo velocemente indietro, sta scendendo la sera e alcune lanterne di pietra iniziano ad accendersi.

Arriviamo al tempio giusto in tempo. Andiamo in camera, indossiamo lo yukata e con una telefonata i monaci ci avvertono che la cena è pronta.

Scendiamo nella sala, dove ogni coppia o gruppo di persone è separato dagli altri con dei piccoli paraventi. Ci sediamo su un cuscino posto sui tatami e davanti a noi, su piccoli tavolini, sono disposte numerose piccole ciotole. Il cibo servito è lo stesso di cui si nutrono i monaci. Proviamo così la shojin ryori, cioè la cucina vegetariana senza carne, pesce, cipolle e aglio. Nelle ciotole si trovano infatti diverse strane zuppe, verdure non ben identificate, tofu. Alcune cose sono buone, altre meno. Francesco ovviamente mangia tutto con gusto, io mi limito a mangiare le cose che mi piacciono, le altre le assaggio solamente. Per fortuna c’è sempre il neutro riso bollito, che aiuta a riempire lo stomaco.

Dopo cena usciamo a fare due passi e ci addentriamo nuovamente nel cimitero, che si trova subito vicino al tempio. Il cimitero è illuminato dalla lanterne, l’atmosfera è strana, un po’ inquietante, tanto che chiedo a Francesco di non restare a lungo, e di non inoltrarci troppo.

Torniamo nel tempio, sembra tardissimo, ma sono solo le 20. Per la prima volta, dopo vari ripensamenti, non essendo in generale amante di queste cose, provo l’esperienza del bagno Giapponese. In Giappone, in alcuni hotel e spesso,anche nelle case, si trova una grande vasca da bagno piena d’acqua molto calda, in cui tutti i membri della famiglia si immergono. La vasca non si utilizza per lavarsi, come succede da noi, ma solamente per rilassarsi, infatti prima di immergersi occorre lavarsi molto bene nelle docce poste solitamente vicino alla vasca.

Nel tempio non abbiamo il bagno in camera per cui l’unico modo di potersi lavare è la doccia comune. Esiste quindi un bagno per le donne e uno per gli uomini. Quando vado a lavarmi fortunatamente non c’è nessun altro, quindi dopo la doccia vinco l’indecisione e mi immergo nella vasca. Effettivamente la sensazione è piacevole e molto rilassante.

Dopo il bagno e dopo l’ormai consueto tè serale andiamo a dormire abbastanza presto, dato che domani mattina dobbiamo svegliarci all’alba per partecipare alla cerimonia religiosa.

GIORNO 10 Martedì 18 Agosto 2009 – Hiroshima Ieri sera siamo andati a dormire presto e sui futon abbiamo dormito splendidamente. Stamattina così non è stata troppo traumatica la sveglia delle 5:15. C’è una grande pace in questo posto. Ci prepariamo, finiamo di impacchettare i bagagli in modo da averli pronti dopo colazione e poter così prendere il treno prima possibile.

Alle 5:50 un monaco suona la campana per avvertire che sta per iniziare la cerimonia mattutina. Scendiamo per partecipare alla preghiera. Entriamo in una sala dove i monaci sono inginocchiati, rivolti verso l’altare. Noi ci sediamo su delle panche alle loro spalle.

I monaci iniziano a recitare la lunga preghiera, dedicata agli antenati. Un monaco inizia a scandire una serie di litanie, a volte accompagnato dagli altri, intervallate dal suono di strumenti quali una piccola campana e dei piatti.

Ad un certo punto un monaco invita noi ospiti a partecipare. Inizialmente penso che l’invito sia rivolto solo ai fedeli buddisti, i quali si avvicinano all’altare, inginocchiati, per rendere omaggio alla divinità. In realtà credo che in un primo momento si siano alzati solo loro, in quanto sono gli unici ad aver capito le parole del monaco. Infatti il monaco ritorna e invita anche noi e gli altri ospiti non giapponesi ad eseguire il rito.

Ci mettiamo così in fila con le altre persone e quando è il nostro turno andiamo di fronte alla divinità ed eseguiamo il seguente rito: inchinarsi con le mani giunte, mettersi in ginocchio, inchinarsi nuovamente con le mani giunte, prendere un pizzico di incenso e metterlo nel bruciatore, ripetere l’inchino.

Ho trovato il tutto molto emozionante. Pur non capendo assolutamente della preghiera si è creata una bella atmosfera.

Dopo la preghiera ci viene stata servita la colazione, anch’essa costituita da un insieme di brodini, verdure e tofu. Per fortuna ci sono sempre il riso e il tè a salvarmi la vita, anche se devo ammettere che l’hamburger di soia non è male.

Finita la colazione prendiamo i bagagli e fuggiamo, ci aspetta di nuovo un complicato trasferimento. Infatti prendiamo il pullman, arriviamo alla stazione di Koyasan dove prendiamo la funicolare fino a Gokurabashi, da lì il treno, che dobbiamo cambiare a Hashimoto, poi a Shinimamiya, a Osaka e infine a Shinosaka. Sinceramente non speravo di farcela, ma finalmente saliamo sullo Shinkansen per Hiroshima.

A Shinosaka siamo saliti al volo e dopo poco ci accorgiamo di aver preso, invece del più veloce Hikari, uno Shinkansen Kodama, che fermerà a tutte le stazioni mettendoci un’eternità. Inizio ad essere insofferente per via della fame, anche perché purtroppo, nell’ansia di perdere il treno nei vari cambi, non abbiamo comprato niente da mangiare.

Durante il viaggio, guardando fuori, vedo quasi solo campi di riso e piccoli cimiteri. Tra le varie soste il treno ferma a Himeji e in lontananza vediamo il castello che vorremmo visitare tra qualche giorno.

Verso le 14 arriviamo finalmente ad Hiroshima. Fa un caldo infernale, peggio che nei giorni scorsi a Kyoto. A Koyasan, essendo in montagna, si stava bene, per cui percepiamo ancora di più lo sbalzo di calore e l’umidità.

Dalla stazione andiamo a piedi fino all’hotel. L’hotel è di quelli business, la stanza è piccolissima, ma va bene per le nostre esigenze, infatti posiamo i bagagli ed usciamo subito.

Prendiamo il tram che ci porta al Peace Memorial Park.

Per prima cosa vediamo l’A-Bomb Dome, la costruzione rimasta in piedi dopo l’esplosione della bomba atomica, che è diventato un po’ il simbolo della tragedia di Hiroshima del 6 agosto 1945.

Mentre giriamo lì intorno un signore si offre come free guide, per mostrarci alcune cose altrimenti difficili da individuare. Accettiamo e iniziamo il giro insieme a lui e alla sua compagna. Ad esempio vediamo una statua, toccando la quale è possibile individuare la parte rovinata dal calore prodotto dalla bomba, che si presenta ruvida, mentre quella rimasta in ombra è ancora liscia. La stessa cosa si può notare su alcune tombe del cimitero. Nel frattempo ci spiega un po’ della storia di Hiroshima e ci accompagna nel punto individuato come l’epicentro dell’esplosione, nei pressi dell’ospedale.

Proseguiamo quindi la visita da soli, vedendo gli altri monumenti dedicati alla tragedia, tutti concentrati nel Peace Memorial Park, quali la Fiamma della Pace, che verrà spenta solo quando saranno distrutte tutte le armi nucleari, o il Children Peace Monument, dedicato a Sadako, una bambina morta di leucemia dieci anni dopo la tragedia, in seguito alle radiazioni causate dalla bomba. Andiamo quindi al museo della bomba, dove si trovano immagini e plastici esplicativi, documenti dell’epoca, reperti che dimostrano gli effetti devastanti della bomba e fotografie molto crude che mostrano cosa hanno subito le persone. Ciò che ho visto è stato angosciante, è terribile ciò che l’uomo ha fatto.

Dopo la visita torniamo in hotel a darci una rinfrescata per la sera.

L’impressione che ho di questa città, in base alla zona circoscritta che visitiamo, è che sia molto meno raffinata delle altre che abbiamo visitato finora, nonostante sia una città nuova, totalmente ricostruita dopo la guerra. Mi trasmette come un senso di disordine.

Usciamo a cena e per cercare un ristorante andiamo nella zona dei locali, che non si trova molto distante dall’hotel. La specialità di Hiroshima è una versione locale dell’okonomiyaki, chiamata Hiroshima-yaki e per gustarla scegliamo un posto consigliato dalla guida: “Okonomi-mura”. In un palazzo si trovano ventisette mini-ristoranti di questa stessa catena, posti su tre piani. Entriamo nel palazzo che appare abbastanza squallido, con le scale appiccicose per l’unto. Arriviamo al secondo piano dove scegliamo un ristorante a caso. I ristoranti sono tutti costituiti da una grande piastra dove viene cucinato l’okonomiyaki e da un bancone, con una quindicina di posti intorno.

Ci sediamo al bancone, scegliamo due tra i vari tipi di okonomiyaki possibili, che variano solo per gli ingredienti aggiuntivi, ed il cuoco, munito di palette li prepara davanti a noi, con un’incredibile destrezza.

La preparazione è diversissima da quella che abbiamo visto a Tokyo. Prima di tutto, con una specie di pastella, il cuoco prepara una sottile crêpe, sulla piastra, poi la cosparge con il cavolo, altre verdure, il bacon e condimenti vari e la lascia cuocere. A parte scalda gli spaghetti, a scelta tra soba e udon. Quando sono pronti capovolge la crepe con le verdure e lascia cuocere ancora un po’. Intanto mette i condimenti aggiuntivi sopra agli spaghetti e lascia cuocere ancora. Mette le verdure e la crêpe sopra agli spaghetti, intanto a parte spalma un uovo, sulla piastra, creando un cerchio quasi perfetto. Pone gli spaghetti e tutto il resto sopra all’uovo, l’okonomiyaki è quasi pronta. La mette nel piatto, la spalma con l’apposita salsa e la cosparge di erbette varie. E’ ottima, ma è un vero mattone. Mi piacerebbe riuscire a mangiarne un’altra, per golosità, ma il mio stomaco si ribella. Dopo cena facciamo due passi per smaltire, la zona è piena di locali e di negozi che vendono alcoolici.

GIORNO 11 Mercoledì 19 Agosto 2009 – Miyajima – Hiroshima Oggi andiamo in gita all’isola di Miyajima. Prendiamo il treno fino a Miyajimaguchi, da dove parte il traghetto per l’isola.

Scendendo dal traghetto vediamo che, anche qui, girano indisturbati per l’isola moltissimi cervi, anche se notiamo che sono molto più magri di quelli di Nara, forse perché qui è vietato dare loro del cibo.

Per prima cosa vediamo il grande O-Torii arancione, immerso nel mare, famoso perché compare in numerose fotografie rappresentanti il Giappone.

Il torii rappresenta l’ingresso del santuario Itsukushima-jinja, che ha struttura a forma di molo, in quanto un tempo alla gente comune non era consentito mettere piede sull’isola, a causa della sua sacralità. Anche la struttura del santuario è colorata di arancione e ho letto che si pensava che questo colore tenesse lontani gli spiriti cattivi.

Visitiamo poi la Treasure Hall, in cui sono presenti antichi testi sacri e spade e da cui restiamo abbastanza delusi. Vicino si trovano il tempio Daigan-ji e la pagoda.

Un po’ stufi di vedere solo templi decidiamo di seguire un itinerario a piedi. Su consiglio della Lonely Planet scegliamo di raggiungere la parte alta dell’isola e il monte Misen con la funicolare, per poi ridiscendere a piedi.

Camminiamo così fino al parco Momiji-dani, quindi, cambiando due diverse funicolari, arriviamo fino a 430 metri s.L.M. Da lì saliamo a piedi, fino al monte Misen, da cui si gode di una splendida vista. In lontananza è possibile vedere l’isola di Shikoku.

Sulla cima del monte si trovano edifici sacri, tra cui uno dove è situata una pentola gigante che si narra sia stata utilizzata dal santo buddhista Kobo Daishi e per tale motivo mantenuta sempre in ebollizione.

Scendiamo poi a piedi seguendo un sentiero molto lungo, ma bellissimo, che passa proprio in mezzo alla foresta. Oltre ai cervi incontriamo altri abitanti dell’isola: le scimmie. Le vediamo da vicino mentre, arrampicate agli alberi, si nutrono con le foglie. Alcune sono molto piccole e stanno in braccio alle loro mamme. Che emozione grandissima! Scendendo ancora incontriamo alcuni francesi che hanno scelto di salire al monte a piedi e ci chiedono se è ancora lontano. Purtroppo dobbiamo dargli cattive notizie e pensiamo a quanto bene abbiamo fatto a salire con la funicolare.

Arriviamo al tempio Daisho-in, costituito da numerose sale e ne visitiamo alcune. Ci colpiscono tantissime statue, dislocate lungo i sentieri, che rappresentano dei piccoli Buddha in varie pose divertenti.

Facciamo un giro nella via commerciale dell’isola dove si trova, esposto, il più grande cucchiaio di legno per riso del mondo. Vorremmo comprarci qualcosa di tipico, ma presto ci accorgiamo che i negozi vendono solo souvenir per turisti, di scarsa qualità.Vediamo un banchetto che vende dei grandi ravioli al vapore. Ne prendiamo due, uno ripieno di carne e uno di pesce e verdure.

Sempre con l’intento di comprare qualcosa di tipico cerchiamo il centro dell’artigianato tradizionale, segnalato sulla mappa, ma dopo svariati giri non riusciamo a trovarlo e rinunciamo. Prendiamo così il traghetto per lasciare l’isola.

Arriviamo a Hiroshima abbastanza presto e non riusciamo a resistere al richiamo di Tokyu Hands. Compriamo un po’ di regali da portare in Italia e molte cose per noi, alcune utili, altre divertenti, come le formine per le uova sode o le palette per l’okonomiyaki.

Stasera scegliamo di assaggiare un altro piatto tipico di Hiroshima: le ostriche. Andiamo in un ristorante che ho adocchiato oggi pomeriggio nel percorso stazione-hotel: “Oyster Conclave”. La cena è divina: ostriche marinate, ostriche alla griglia con limone, ostriche gratinate con verdure e riso alle ostriche. Siamo molto soddisfatti.

Dopo cena, passeggiando, torniamo al Peace Memorial Park, per fare delle foto. La cosa buffa è che, non appena Francesco finisce di fare le foto, alle 22, si spengono le luci che illuminano l’A-Bomb Dome.

GIORNO 12 Giovedì 20 Agosto 2009 – Beppu Partiamo per Beppu. Stamattina, dopo aver imparato la lezione dall’errore dell’altro giorno, prendiamo lo Shinkansen Hikari, quello che fa solo poche fermate.

Dopo ore di viaggio in mezzo alle risaie, un cambio a Kokura, arriviamo a Beppu, città nell’isola di Kyushu, dal nome che suona un po’ buffo, famosa per i fenomeni di origine vulcanica e le acque termali.

Appena arrivati andiamo a piedi fino al Nogamihonkan Ryokan, che si trova in centro, a cinque minuti dalla stazione.

In questo Ryokan è possibile servirsi degli onsen, cioè di vasche di acqua termale. Ci sono quelli pubblici, come al solito divisi tra uomini e donne, ma anche tre onsen privati, che è possibile prenotare per un’ora. Decidiamo di prenotare l’onsen in stile giapponese tradizionale per le ore 18 e dopo aver posato gli zaini partiamo per la visita della principale attrazione di Beppu: gli Jigoku, cioè gli inferni. Si tratta sorgenti termali ad altissime temperature, che si trovano in una zona collinare di Beppu. Dopo aver chiesto alcune informazioni riusciamo finalmente a raggiungere, dopo un lungo percorso in il autobus, la zona di Kannawa, dove è situata la maggior parte degli jigoku. Guardandoci intorno vediamo vapore uscire dai posti più svariati.

In un paio d’ore, con un biglietto cumulativo, visitiamo otto inferni. Quasi tutti sono presentati come minuscoli parchi divertimenti, a mio avviso in modo un po’ troppo kitch. Sono luoghi così particolari che sarebbero belli anche senza ambientazioni ricostruite.

Vediamo il Kamado-jigoku, l’ inferno del forno, dove si trovano pozze di acqua e di fango bollente; lo Yama-jigoku, o inferno della montagna, che è un po’ triste, a causa degli animali in gabbia; l’Umi-jigoku detto anche inferno del mare, per il colore azzurro dell’acqua termale, dove vediamo che in una pozza stanno facendo bollire un cesto di uova; Oniishibozu-jigoku, dove si trovano pozze di fango in ebollizione, che assomigliano alle teste rasate dei monaci, da cui deriva il nome di questo inferno; l’Oniyama-jigoku, inferno della montagna del diavolo, anch’esso triste per via dei coccodrilli tenuti in cattività in spazi angusti. All’interno dell’Oniyama-jigoku c’è una signora che, utilizzando il vapore che sgorga dalla terra, cuoce e vende vari cibi, tra cui uova, strane verdure, mais e dei grandi ravioli, che sembrano quelli del manga Ranma ½. Non resistiamo, così ne compriamo uno a testa e lo assaggiamo subito. Si tratta di grosso raviolo ripieno di carne e verdure, abbastanza buono. Proseguiamo visitando lo Shiraike-jigoku, l’inferno della pozza bianca, carino perché un po’ meno addobbato e perciò un po’ più naturale rispetto agli altri.

Riprendiamo l’autobus e ci spostiamo nella zona dove si trovano altri due inferni: Chinoike-jigoku, l’ inferno della pozza di sangue, dove c’è una grande pozza di colore rosso, di fango bollente e fumante che ricorda proprio il sangue.

Infine visitiamo il Tatsumaki-jigoku, l’inferno del getto d’acqua. Appena entrati vediamo solo un piccolo anfiteatro di roccia, circondato da vegetazione e delle persone sedute che aspettano. Leggiamo che in questo inferno si trova un geyser che si manifesta circa ogni venticinque minuti. Il geyser è stato rinchiuso in una nicchia, che ne limita l’altezza. Ci sediamo anche noi ad aspettare, dopo un po’ intravediamo del vapore che fuoriesce dal terreno e inizia a uscire violentemente il geyser. Lo spettacolo dura alcuni minuti, finché il geyser si calma per poi sparire. Mentre attendiamo l’autobus per tornare in centro inizia a diluviare. Stavolta c’è andata bene, abbiamo finito l’escursione appena in tempo. Arriviamo al ryokan e manca ancora un po’ di tempo alle 18, perciò mentre aspettiamo indossiamo lo yukata e ci prepariamo il tè. Andiamo quindi nell’onsen: si tratta di una stanza dove su due lati i muri non arrivano fino al soffitto, ma c’è uno spazio aperto rivolto verso l’esterno. La vasca, abbastanza grande, è di legno ed è inserita in un pavimento di pietra. L’acqua è bollente ed è strano veder piovere mentre noi siamo immersi a rilassarci.

Per andare a cena scegliamo un ristorante segnalato dalla Lonely Planet. Si chiama “Jin Robata & Beer Pub”, si tratta di una specie di birreria specializzata nella cucina alla griglia, in particolare di pesce. Infatti, appena entriamo ci accoglie un grande bancone pieno di ghiaccio e pesce freschissimo e subito dietro un cuoco che lo cucina.

Ci sediamo al bancone e davanti a noi si trovano ceste piene di varie verdure fresche. Notiamo che siamo gli unici stranieri presenti nel locale. In effetti oggi abbiamo incontrato pochissimi turisti occidentali.

Per fortuna ci portano un menu in inglese. Ci mettiamo moltissimo tempo a decidere, a causa della troppa scelta. Scegliamo poi quattro piatti di pesce, un po’ a caso, inoltre Francesco prende un piatto di funghi alla griglia e io la tenpura. E’ tutto ottimo.

Facciamo due passi per digerire, ma la cittadina non offre molto. Torniamo quindi nel ryokan e scopriamo che qualcuno, mentre eravamo a cena, ci ha preparato i futon.

Prima di andare a dormire prendiamo il tè, assaggiandone uno strano, mischiato a chicchi di riso tostati.

GIORNO 13 Venerdì 21 Agosto 2009 – Beppu Facciamo colazione nel ryokan. Ieri l’abbiamo prenotata scegliendo la colazione giapponese. Francesco è entusiasta e mangia tutto. Io, dopo aver ispezionato con cura tutti i cibi che ho davanti, assaggio solo poche cose, tra cui alcune verdure e un pesce, tipo acciuga, cotto sul momento su un fornelletto accanto a me. Per fortuna c’è l’uovo, me lo lascio per ultimo perché l’uovo sodo lo mangio sempre volentieri. Che delusione quando Francesco aprendo il suo uovo scopre che è crudo. Lui lo mangia con gusto, mentre il mio rimane intatto.

Quando avevamo deciso l’itinerario la giornata di oggi l’avevamo immaginata dedicata alla visita degli inferni. In realtà, avendo visto tutto ieri, oggi non rimane molto da fare, così decidiamo di prenderci una giornata di defaticamento e girare un po’ a caso.

Per prima cosa andiamo verso il mare, che è a qualche centinaio di metri dal nostro ryokan. Essendo una zona termale la immaginavo molto più turistica, e invece ci troviamo di fronte ad una zona portuale, sporchissima.

Visitiamo allora le due arcade, cioè le vie di negozi, coperte, sperando di vedere una zona commerciale un po’ vivace e magari un mercato. Anche qui rimaniamo delusi, perché ci sono pochissimi negozi, molti ancora chiusi e gli altri tristissimi e in giro non si vede quasi nessuno.

La Lonely Planet segnala un bel mercato dentro alla stazione, ma in realtà anche qui ci sono pochi negozi. Ne approfittiamo comunque per comprare i sali termali tipici di Beppu. Con lo scontrino abbiamo diritto a partecipare alla lotteria della stazione, dove si possono vincere varie cose tra cui oggetti tecnologici. Dico a Francesco, più fortunato di me, di fare lui l’estrazione, ma tutto ciò che vince è una cosa a scelta tra un pacchetto di fazzoletti di carta e una misera merendina al mais e scegliamo la merendina.

La città non offre quasi niente e io sono sempre più demoralizzata. Facciamo un giro in un centro commerciale, dove riesco, spiegandomi a fatica con il commesso, a comprare un libro che mi ha chiesto un’amica.

Decidiamo di andare a vedere l’unica cosa che ci pare degna di interesse, il museo di produzione di oggetti di bambù. E’ abbastanza lontano dal centro, per raggiungerlo dobbiamo nuovamente servirci dell’autobus. Arriviamo in questo museo, lontano da tutto. Credo che raramente passi di qua qualche visitatore, perché veniamo accolti con una gentilezza quasi esagerata.

Un signore ci fa fare il giro del museo, che è molto piccolo, costituito solamente da tre o quattro sale. Ci mostra vari oggetti realizzati con bambù spiegandoci, in inglese, le varie fasi della lavorazione e le diverse tecniche. Insiste per farci sedere sulle poltrone, ovviamente di bambù, dove si sono seduti l’imperatore e la moglie quando sono venuti in visita al museo.

Ci accompagna quindi al piano superiore dove alcuni ragazzi delle scuole superiori stanno costruendo degli oggetti di bambù per la festa della scuola. Notiamo che i ragazzi, tutti in divisa, sono divisi in due gruppi: i maschi e le femmine.

Alcune ragazzine appena ci vedono iniziano a parlottare con la loro insegnante, si avvicinano e chiedono al signore se possono parlare con noi, dato che non gli capita spesso di vedere turisti stranieri e di praticare l’inglese. Noi ovviamente accettiamo con piacere. Le ragazze però si dimostrano molto timide e appena si avvicinano a noi si ammutoliscono. A fatica ci chiedono poi se nel museo abbiamo visto qualcosa che ci è particolarmente piaciuto.

Io speravo che vendessero alcuni oggetti, ma l’unica cosa che vendono sono delle piccole palline di bambù. Ne prendiamo una per ricordo, magari la metteremo sull’albero di Natale.

Mentre usciamo inizia a diluviare. Per un po’ rimaniamo all’ingresso a ripararci, il signore del museo esce per prestarci un ombrello, ma noi rifiutiamo educatamente. Dopo poco finalmente arriva l’autobus.

Torniamo in centro a Beppu, dove prima di rientrare nel ryokan facciamo ancora un giro nell’arcade. Purtroppo constatiamo che, pur essendo pomeriggio, è ancora vuota e triste.

Trascorriamo quindi il resto del pomeriggio nel ryokan, leggendo, riposandoci e attendendo l’ora del bagno.

Alle 18 andiamo nell’onsen. Oggi ne abbiamo scelto un altro, per raggiungerlo bisogna uscire dal ryokan ed entrare nella costruzione di fronte. Anche questa stanza è semiaperta, come quella di ieri. Si chiama “Mosaic” perché le pareti e la vasca sono ricoperte di mosaici. Esteticamente ho però preferito quella di ieri.

Dopo il bagno usciamo per cena, e ci facciamo consigliare un altro robata. Si trova vicinissimo all’hotel, ma non è facile da trovare, dato che è in un vicolo buio, quasi nascosto.

Appena entriamo ci troviamo in un locale un po’ grezzo. Ci sono dei tavoli bassi, dove sedersi togliendosi le scarpe. Noi, come ormai di consueto, ci sediamo al bancone. Per un bel po’ nessuno ci considera, come se non fossimo qui, finché non chiediamo un menu in inglese. Purtroppo ci sembra che il menu in inglese sia solo un riassunto del vero menu. Per esempio leggiamo solo piatti di pesce crudo o fritto. Io vorrei assaggiare del pesce alla griglia, dato che vedo altri clienti che lo mangiano.

Mentre siamo intenti a capire cosa e come chiedere ci si avvicina un cliente, che vedendoci in difficoltà vorrebbe aiutarci. Purtroppo non parla quasi inglese, per cui riesco solo ad indicargli il pesce nel piatto del mio vicino. Lui si mette ad urlare al cameriere di portarci proprio quel pesce. Dall’aspetto potrebbe essere uno sgombro o qualcosa del genere.

Il pesce è buonissimo, nonostante sia intero, cioè completo di viscere, che cerco di eliminare, a fatica, con le bacchette. Mangiamo inoltre delle ottime melanzane fritte in tenpura. Ormai la tenpura, in diverse forme, è una costante delle mie cene, ma mi piace troppo e non riesco a resistere.

Prendiamo anche il sashimi di flat fish, che credo sia una specie di sogliola. E’ eccezionale, un pesce tenerissimo dal gusto delicato. Notiamo che nei robata non viene servito il classico sashimi di pesci quali il salmone o il tonno, ma altri pesci, immagino considerati più poveri. Francesco assaggia anche lo shouchou, un liquore di patate tipico di queste zone.

Anche stasera abbiamo mangiato benissimo e speso pochissimo e anche stavolta eravamo gli unici occidentali presenti nel locale. Io comunque ho ancora un po’ fame. Facciamo un giro alla disperata ricerca di un dolce, dato che qui difficilmente i dolci vengono serviti nei ristoranti. Non lo troviamo, ma ci fermiamo in un chiosco che abbiamo già adocchiato ieri, dove un omino con l’asciugamano in testa, in una stanza microscopica affacciata sulla strada principale, prepara e vende unicamente polpette di uovo e polpo. Ieri ci ha fatto quasi tenerezza, perché stava lì, immobile ad aspettare i clienti, ma nessuno si fermava. Le polpette sono pesantissime, ma buone.

GIORNO 14 Sabato 22 Agosto 2009 – Osaka Oggi lasciamo la anche troppo tranquilla cittadina di Beppu e partiamo molto presto per Osaka, ci aspettano un po’ di ore di treno. Prendiamo il treno Sonic fino a Kokura e da lì lo Shinkansen Hikari.

Arriviamo a Osaka verso le 12:30, ormai pratici dei mezzi di trasporto giapponesi compriamo subito il pass giornaliero per la metropolitana e arriviamo facilmente al nostro hotel E’ ancora troppo presto per fare il check-in, così depositiamo i bagagli e partiamo per fare un primo giro della città.

Osaka ci si presenta subito come un luogo di gran confusione, soprattutto dopo la quiete degli scorsi giorni. Non mi appare una città molto bella, ma forse è ancora presto per dirlo. Andiamo nella zona di Umeda, dove ci perdiamo tra le strade intricate che circondano la stazione.

Visitiamo l’Umeda Sky Building e saliamo fino in cima con l’ascensore e con scale mobili, che paiono sospese nel vuoto. All’ultimo piano si trova un’esposizione di fotografie di tutti gli edifici del mondo, più o meno antichi, da cui è possibile ammirare il cielo e sale con strani giochi di luce.

Salendo ancora alcune rampe di scale arriviamo alle piattaforme panoramiche, all’aperto. Vista dall’alto la città ci sembra molto più aperta di ciò che abbiamo percepito finora. La zona in cui siamo, non molto lontana da quella in cui si trova il nostro hotel, sembra una zona commerciale, ricca di grattacieli vicinissimi tra loro.

Con la metro raggiungiamo la zona di Minami, che abbiamo letto essere la più vitale. Uscendo dalla stazione finiamo proprio nella via delle grandi firme. I bei negozi e i viali alberati ci mostrano un aspetto della città più piacevole e curato di quello visto finora. Vediamo l’Organic Building, un edificio un po’ kitch interamente coperto da vasi di piante. Da lì, camminando, arriviamo ad Amerika-Mura, una zona caratterizzata da locali e negozi ispirati al mito americano. Proseguiamo quindi verso sud, fino a Dotombori, nella Senchi Mae Arcade, una galleria piena di ristorantini, chioschi e sale pachinko. Le sale pachinko sono diffusissime in tutto il paese, e molto frequentate dai giapponesi. Sono sale giochi, dove si trovano delle particolari slot machines, sono molto colorate, a volte con disegni ispirati ai manga. Le ho sempre solo viste passando da fuori, da dove non si riesce bene a vedere l’interno, ogni volta che si aprono le porte si sente rimbombare musica ad altissimo volume. In giro c’è tantissima gente, forse anche perché è sabato pomeriggio.

Notiamo che ad ogni angolo c’è un chiosco che prepara le palline di polpo, ma con molti più clienti di quello di Beppu. Scopriamo che il nome corretto di queste palline è takoyaki ed è proprio un piatto tipico di Osaka. Per prepararle si utilizzano apposite padelle di ghisa, con tante semisfere.

Arriviamo a Doguya-suji Arcade, una galleria caratterizzata dai numerosi negozi di articoli per la casa e per la cucina giapponese. Si tratta di negozi molto semplici, con pile di ciotole e piatti accatastati, gli oggetti sono di genere molto vario, ma comunque abbastanza economici. E’ difficilissimo riuscire a girarli perché ad ogni movimento si rischia di rompere qualcosa. Riusciamo comunque a comprare ciotole di vario genere e bacchette. Vorrei tanto comprare la padella per il takoyaki, ma è troppo pesante da trasportare.

Andiamo verso la stazione della metro passando da un’altra trafficatissima galleria, Shin Sai Bashi-suji, e torniamo in hotel a rinfrescarci e riposarci un attimo.

Per la cena decidiamo di tornare nella zona di Dotombori, che sembra essere quella con più locali. Stasera vorremmo assaggiare il tonkatsu, che è uno dei pochi piatti che non abbiamo ancora assaggiato. Si tratta di una cotoletta di maiale impanata e fritta. Giriamo un bel po’ avanti e indietro per la via piena di gente, senza individuare nessun ristorante del genere e comunque nessun ristorante che ci ispiri. Purtroppo abbiamo anche lasciato la guida in hotel. Continuiamo a vagare ed io ho sempre più fame, finché non ci decidiamo ad entrare in un posto dove alcuni ragazzi forniscono indicazioni sui ristoranti. Guardiamo un po’ le foto relative ai locali che sono appese, ne indichiamo uno e chiediamo al ragazzo se quello è il tonkatsu. Il ragazzo, che non capisce quasi per nulla l’inglese, ci risponde di sì e prende il telefono per prenotare. Noi lo fermiamo al volo dicendo che vogliamo solo informazioni su dove si trova il ristorante. Siccome fa molta fatica a parlarci in inglese decide di accompagnarci. Ci accompagna quasi in fondo alla via, dove c’è meno gente e dove i locali si diradano, ci spiega che il ristorante si chiama “Tonkatsu Family” e che purtroppo non hanno il menu in inglese. Noi ringraziamo ed entriamo lo stesso.

Notiamo subito che nel locale siamo gli unici occidentali. Ne deduciamo che sia un posto poco turistico e quindi più autentico, proprio di quelli che piacciono a noi. Per fortuna hanno una sintesi del menu in inglese. La cena ci lascia molto soddisfatti, anche se il tonkatsu è pesantissimo.

GIORNO 15 Domenica 23 Agosto 2009 – Himeji – Kobe – Osaka Oggi mi accorgo che inizio ad accusare la stanchezza. Anche se dormiamo abbastanza ci alziamo sempre presto e camminiamo tutto il giorno. Sarà a causa di questo che oggi ho frequenti momenti di cattivo umore.

Stamattina partiamo presto per andare a Himeji. Con lo Shinkansen arriviamo in meno di un’ora.

Visitiamo il castello che è meraviglioso ed imponente, proprio come appare nelle foto che ho visto prima di arrivare. Per visitare l’interno dobbiamo toglierci le scarpe, per preservare i pavimenti di legno. Arriviamo fino all’ultimo piano della torre principale, salendo scale di legno strette e ripide. Dentro non c’è quasi niente, solo alcune armi. Vediamo anche altre sezioni del castello, come la casa in cui i Samurai facevano harakiri.

Visitiamo poi Koko-en, un insieme di giardini di vario genere, molto belli e ben curati, anche se l’estate non è certamente il periodo migliore per ammirarli.

Riprendiamo il treno in direzione Osaka, ma ci fermiamo a Kobe. Questa tappa non era prevista nel nostro programma iniziale, ma ieri abbiamo pensato che saremmo riusciti a vederla, almeno in parte, dato che a Osaka le cose importanti, o almeno, quelle che ci interessano, le abbiamo viste e inoltre Kobe si trova di strada, non lontano da Osaka.

La stazione dello Shinkansen si trova in una zona collinare della città. Per raggiungere il centro dovremo camminare un po’. Scendendo verso il mare incontriamo Kitano, un quartiere definito di ispirazione occidentale, dato che vi si trovano molte costruzioni in stile europeo. In realtà a noi appare come un quartiere un po’ kitch che presenta una strana idea dell’occidente. Una cosa che notiamo sono molte case a tema, come ad esempio quella olandese, dove vengono organizzati matrimoni.

Scendendo verso il porto l’aria kitch si dirada un po’ e restano solo negozi di grandi firme e locali di ispirazione francese o italiana.

Purtroppo inizia a piovere, così ci infiliamo in una galleria commerciale, non molto diversa da quelle viste a Osaka. Arriviamo così al porto, dove spiccano due particolari costruzioni, o forse è meglio dire strutture, che caratterizzano la città di Kobe. In realtà sono molto più piccole di come me l’ero figurate dalle foto viste sulla guida.

Dopo un breve giro nella zona del porto torniamo alla stazione e da lì a Osaka, dove andiamo direttamente in hotel a riposarci.

Quando è ora di decidere dove cenare io propongo di andare in un locale nella zona dell’hotel, perché oggi mi sento distrutta, ma per fortuna Francesco, sapendo che nei dintorni c’è molto poco, mi convince a tornare a Dotombori, che comunque dista solo due fermate di metropolitana e dove c’è senz’altro più scelta.

Stasera vorremmo mangiare gli udon da “Imai Honten”, un vecchio ristorante segnalato dalla Lonely Planet. Seguendo le indicazioni ci troviamo davanti ad un locale, ma la scritta in giapponese non ci sembra corrispondere. Così chiediamo ad un vigile che ci indica che il ristorante che cerchiamo è proprio quello. Casualmente è un locale che già ieri ci ispirava, ma dove non siamo entrati perché sembrava troppo chic e da fuori non riuscivamo a capire che tipo di cucina offrisse.

Oggi invece entriamo, il locale è molto carino, ma comunque modesto. Veniamo accolti da un gruppo di signore gentilissime che ci servono degli udon in brodo fantastici, io con uova e pesce, Francesco con anatra. Sono così buoni che pur essendo sazia ne vorrei ancora, ma riesco a contenermi.

Una volta usciti però non riusciamo a resistere e assaggiamo i takoyaki al chiosco dove c’è la coda di persone.

GIORNO 16 Lunedì 24 Agosto 2009 – Kanazawa Ripartiamo da Osaka in direzione Kanazawa. Oggi non prendiamo lo Shinkansen, ma il Thunderbird, che per fortuna fa pochissime fermate.

Il treno ferma anche a Kyoto e mi viene un po’ di nostalgia. Dopo prosegue nelle campagne e costeggia un lago.

Arriviamo a Kanazawa verso le 11:30. Alla stazione chiediamo già informazioni sul treno che dovremmo prendere domani per raggiungere Takayama e purtroppo scopriamo che dobbiamo scegliere se partire alle sette o a mezzogiorno. Rimandiamo la decisione a più tardi, in base a cosa riusciremo a visitare oggi e alla stanchezza che accumuleremo.

Prendiamo un autobus e con le indicazioni che mi ero segnata raggiungiamo facilmente il ryokan. Come è già successo è troppo presto per il check-in, così posiamo i bagagli e iniziamo il giro della città.

Visitiamo subito la principale attrazione della città, il giardino botanico Kenroku-en. Si tratta di un enorme parco, con laghetti, ruscelli, ponti, fontane, grandi pini e piante di ogni genere. L’atmosfera è rilassante, anche se ci sono molti visitatori, quasi tutti giapponesi.

All’interno del parco entriamo nella casa del tè dove ci viene offerto, seduti sui tatami, il tè matcha, ovviamente insieme ad un molliccio. Era già qualche giorno che non ne mangiavamo più.

Usciti dal parco raggiungiamo a piedi Higashi Chaya-gai, il quartiere delle geishe. E’ un quartiere antico, caratterizzato da case di legno, che ricordano quelle di Gion a Kyoto.

Molte delle case ospitano ristoranti o negozi di oggettistica. Compriamo qualche regalo da portare in Italia e per noi due coppie di bacchette dipinte con la foglia d’oro, tipica di Kanazawa.

Passiamo per il mercato, dove vediamo vendere pesce freschissimo e dove Francesco compra quello che sembra uno strano tè salato, anche se probabilmente si tratta di alghe essiccate da bere in infusione. Arriviamo a Nagamachi, il quartiere dei Samurai, dove visitiamo un’antica casa.

Torniamo quindi nei pressi del giardino, dove visitiamo un grande negozio di artigianato locale e dove compriamo del vero tè e due coppette dipinte con la foglia d’oro.

Rientriamo nel ryokan dove ci riposiamo un po’, dato che oggi non ci siamo quasi fermati.

In questo ryokan non abbiamo il bagno privato, perciò indosso lo yukata e scendo a lavarmi nel bagno comune. Ho ancora un po’ di pudore a utilizzare i bagni comuni, però qui è normale, per cui cerco di adeguarmi. Per fortuna ci sono solo io, il bagno delle donne è molto piccolo, con una piccola vasca di acqua bollente.

Usciamo quindi per la cena, con l’idea di mangiare pesce, dato che abbiamo letto che qui si mangia bene. In hotel ci hanno consigliato un posto. Ci mettiamo un po’ a trovarlo e purtroppo scopriamo che è chiuso. Cerchiamo quindi di entrare in un locale che ci ispira, ma ci mandano via, dicendo che lì nessuno parla inglese. Per noi non sarebbe un problema, come non lo è stato nei giorni scorsi, lo diciamo al ragazzo che sta sulla porta del ristorante, ma lui continua ad insistere sul fatto che non parlano inglese. Un po’ scocciati ce ne andiamo. In tutto questo tempo non ci è mai successo che ci trattassero in modo così prevenuto e ce la siamo sempre cavati bene , rimango molto delusa da questo comportamento.

Troviamo poi un ristorante di sushi, dove veniamo accolti da un gruppo di signore gentilissime. Purtroppo c’è una piccola incomprensione fra noi, perché ci chiedono se vogliamo mangiare in una sala coi tatami, Francesco risponde “yes” e loro capiscono di no, forse perché “iee” in giapponese significa no, così ci fanno sedere ad un tavolo normale. Il sushi è ottimo, senza troppo wasabi che a mio parere ne altera un po’ il gusto. Però non ci sazia, così usciti dal ristorante andiamo in un altro locale dove mangiamo un gelato enorme. E’ ancora abbastanza presto, ma non c’è tantissima gente in giro e i locali sono quasi vuoti.

Oggi per la prima volta non abbiamo percepito troppo caldo. Ho trovato il clima di Kanazawa molto meno umido rispetto a quanto subito gli scorsi giorni e stasera si sente anche una leggera aria fresca.

Avendo oggi visto tutto ciò che ci interessava, abbiamo deciso che domani partiremo col primo treno disponibile, per cui ci aspetta un’altra levataccia.

GIORNO 17 Martedì 25 Agosto 2009 – Takayama Ci alziamo prestissimo e partiamo con il treno delle 7:10 in direzione Takayama.

Sistemare i bagagli è sempre più difficile, dato che ormai in ogni posto che visitiamo compriamo qualcosa da portare a casa.

Cambiamo treno a Toyama e da lì ci troviamo su un bellissimo percorso in mezzo alle montagne. Arriviamo a Takayama verso le 9:30. Grazie alle precise indicazioni che avevo trovato sul suo sito raggiungiamo facilmente a piedi il ryokan. Essendo ancora molto presto, lasciamo i bagagli in custodia e partiamo per la visita della città.

Ci troviamo proprio ai piedi delle montagne, anche qui l’aria è più fresca e si sta benissimo.

Per prima cosa visitiamo i mercati, che ci sono solamente al mattino.

Il primo si trova lungo il fiume. Vendono prodotti alimentari di vario genere, verdura, tè, dolci e delle speciali gallette di riso tipiche della città. Compriamo delle spezie, anche se non siamo sicurissimi di cosa si tratti. L’altro mercato si trova in una piazzetta di fronte ad un tempio, ma è più piccolo e, secondo me, meno interessante.

Ci spostiamo verso la parte vecchia della città e ci fermiamo in un negozio di tè, dove facciamo alcune degustazioni, compriamo varie confezioni di tè e una teiera.

Arriviamo quindi a Sanmachi-suji, il cuore della città vecchia, definito da tre vie sulle quali si affacciano costruzioni di legno tradizionali, che ospitano abitazioni e negozi.

Acquistiamo alcune ciotole, tipiche di Takayama, realizzate con un metodo che evidenzia le venature del legno, quindi, in una distilleria, compriamo diversi tipi di sake.

Andiamo poi a Takayama Yatai Kaikan, una sala in cui vengono esposti alcuni degli yatai, carri allegorici a due piani, utilizzati durante la festa Takayama Matsuri, riccamente decorati e contenenti marionette che durante la manifestazione eseguono particolari acrobazie. Assistiamo alla proiezione di un video che presenta il festival e le evoluzioni dei carri.

Successivamente vediamo il santuario Sakurayama Hachimangu e visitiamo il Sakurayama Nikko-kan, dove sono esposti i modellini dettagliati dei santuari di Nikko e dove un particolare sistema di luci simula l’alba e il tramonto sugli edifici.

Torniamo in hotel a piedi, passando per zone della città un po’ esterne rispetto al centro storico e vediamo Hida Kobubun-ji, il più antico tempio di Takayama, caratterizzato da una grande pagoda e davanti a cui si trova un’enorme albero di ginko.

Dopo una breve sosta nel ryokan, dove finalmente ci hanno dato le chiavi della stanza, ci incamminiamo in direzione opposta rispetto a quella in cui si trova il centro storico, per arrivare a Hida-no-sato, costeggiando campi di riso.

Hida-no-sato è una specie di museo all’aperto, un villaggio folk dove sono state riportate diverse case tradizionali della regione, smantellate dalla loro sede originale e ricostruite qui. E’ possibile entrare nelle case e visitarle, per poter capire come si svolgeva la vita delle comunità rurali.

Torniamo quindi nel ryokan, dove ci prepariamo nell’attesa dell’ora di cena. Il “Minshuku Sosuke” (www.Irori-sosuke.Com/english/index.Html) è un ryokan a conduzione famigliare. E’ molto accogliete, le stanze sono un po’ piccole, ma c’è una grande sala comune dove verrà servita la cena e dove si trova l’irori, il focolare.

Quando abbiamo prenotato abbiamo scelto di cenare qui, su consiglio di alcune recensioni che abbiamo letto, dove viene specificato che vengono servite ottime cene di specialità locali. Una specialità della zona di Hida è il manzo, meno famoso di quello di Kobe, ma altrettanto pregiato.

Anche in questo ryokan non ci sono bagni privati. Per farsi la doccia occorre quindi recarsi nel bagno comune. Io sono sempre un po’ restia, ma decido comunque di andare. Anche oggi spero che non ci sia nessuno, ma purtroppo c’è già una ragazza giapponese, che però nel momento in cui entro sta uscendo. Dopo essermi fatta la doccia mi immergo nella grande vasca di acqua bollente dove mi rilasso completamente. Dopo poco entra un’anziana signora giapponese, che mi ricorda le nonnine dei cartoni animati. E’ decisamente più esperta di me nella preparazione al bagno, si immerge nella vasca al mio fianco, mi sorride e mi dice qualcosa sul fatto che il bagno è molto rilassante. La situazione per me è molto strana, ma come ho già raccontato per loro è normale. Un po’ per l’imbarazzo, un po’ perché non riesco a resistere troppo all’acqua bollente, dopo qualche minuto esco.

Scendiamo nella sala in cui viene servita la cena. Ci inginocchiamo presso un tavolino basso, ma poi scopriamo che c’è il trucco, per cui sotto il tavolino c’è un buco dove poter mettere le gambe.

La cena è ottima, composta da varie portate. Un sashimi di pesce e un particolare tipo di patata, che la signora ci dice chiamarsi cognac, o almeno, questo è ciò che abbiamo capito. Ci sono poi alcune verdure di montagna, una radice rosa, noodles verdi di erbe, molto buoni, anche se freddi, riso, zuppa di miso e un barbecue spettacolare, costituito dalla carne tipica di qua, molto tenera, e da alcune verdure e funghi, il tutto accompagnato da una salsa a base di soia, diversa però sia da quella utilizzata per il sushi, sia da quella della tenpura.

Le uniche cose che non mangio e cedo a Francesco sono il tofu fritto e un piatto di pollo e salmone condito da una besciamella al formaggio.

Dopo cena iniziamo a chiacchierare con i ragazzi seduti nel tavolo a fianco al nostro, due olandesi, che sono stati alcuni giorni a Tokyo e dopo aver visitato la zona delle montagne sarebbero partiti per una settimana in Australia. Chiacchieriamo un po’ con loro su ciò che abbiamo visitato e su ciò che più abbiamo apprezzato del Giappone.

Nonostante il sonno, siccome è ancora presto, usciamo per una passeggiata. Nel quartiere vecchio c’è una fantastica atmosfera: luci soffuse, quasi nessuno in giro e un grande silenzio.

Domani, dopo questi due giorni molto tranquilli, torneremo nella caotica e vitale Tokyo.

Oggi inizio a sentire un po’ di tristezza, dato che la vacanza sta per finire.

GIORNO 18 Mercoledì 26 Agosto 2009 – Tokyo Prima di lasciare Takayama facciamo colazione nel ryokan. Mentre Francesco insiste con la japanese style io stavolta ho deciso per la colazione western, perché sono stufa di ritrovarmi il tofu e quindi di non mangiare, ma mi pento subito della scelta, perché stavolta il tofu non c’è e la mia colazione è un po’ povera: una fetta di toast, due microfette di prosciutto non buono e un uovo sodo.

Siamo di nuovo seduti vicini ai ragazzi olandesi che, vendendomi insoddisfatta del mio pasto, mi offrono il loro uovo. Da cosa ho visto ieri e oggi immagino che siano vegetariani, in ogni caso l’uovo non lo mangiano. Subito non oso, ma poi accetto. Francesco continua a prendermi in giro perché mi comporto come se non mi bastasse mai il cibo. Anche se nei giorni scorsi ha capito che se io salto la colazione divento insopportabile, perciò è meglio assicurarsi che io abbia abbastanza cibo per iniziare la giornata.

Andiamo alla stazione dove prendiamo il treno per Tokyo. A Nagoya cambiamo treno e saliamo, per l’ultima volta, sullo Shinkansen.

Arrivati alla stazione di Tokyo ci avviciniamo alla zona dell’hotel con la metropolitana, ma dobbiamo fare ancora un breve pezzo a piedi. Gli zaini sembrano sempre più pesanti e facciamo molta fatica.

L’hotel si trova nei pressi dello Tsukiji Market, sempre a Ginza, ma più lontano dalla via principale. Si trova in un edificio costituito da due torri e la nostra stanza si trova proprio all’ultimo piano. La camera è stupenda, con una grande finestra da cui si vede la parte di città verso il mare. Forse è un po’ troppo lussuosa per i miei gusti, non in linea con il resto del viaggio, ma l’avevamo scelta proprio per la vista sulla città. Dopo aver posato i bagagli decidiamo di andare in giro, senza un itinerario preciso, ma cercando, tra oggi e domani, di vedere luoghi che non abbiamo ancora visto e magari rivedere quelli che ci hanno colpito.

Come prima cosa proviamo a raggiungere Odaiba, un’isola artificiale nella baia di Tokyo, dove, in occasione della candidatura della città alle olimpiadi del 2016, è stata eretta un’enorme riproduzione di Gundam, il robot di quando eravamo piccoli, alto diciotto metri, le sue dimensioni originali.

Per arrivare dobbiamo prendere una monorotaia. Sinceramente pensavo non ci fosse nessuno, invece ci troviamo immersi in una folla incredibile di giapponesi. La statua è impressionante, muove anche la testa. Rimaniamo alcuni minuti per fare delle foto, poi riprendiamo la monorotaia per ritornare in città.

Decidiamo di andare a cercare la Tokyo Tower e, dopo alcuni cambi di metropolitana, la troviamo facilmente. Non è niente di speciale, si tratta della riproduzione della Tour Eiffel, ma più alta e dipinta di rosso. Decidiamo di non salire, ma di guardarla solo da sotto.

Passeggiamo a piedi per la zona fino ad arrivare a Roppongi. Intanto sta calando la sera e nel movimentato quartiere di Roppongi si accendono le luci. La zona sembra molto diversa dal resto della città, visto finora.

Iniziamo a pensare a un posto dove cenare. Una delle cose tipiche che ci restano da assaggiare è l’unagi, l’anguilla. La guida segnala un ristorante specializzato in unagi nei pressi di Ginza e della stazione. Con la metro lo raggiungiamo facilmente, si trova proprio di fronte ai grandi magazzini Takashimaya.

Quando arriviamo il locale è chiuso, infatti, rileggendo meglio la guida, ci accorgiamo troppo tardi che è aperto solo a pranzo.

Entriamo nei grandi magazzini, che sono lussuosissimi. Vediamo solo il piano terra ma è sufficiente leggere le scritte De Beers, Hermes e Luis Vuitton per capirne il livello. Vicino agli ascensori ci sono signorine in guanti bianchi e cappello che accolgono le persone e nei bagni c’è un’intera stanza dove le signore possono sedersi davanti allo specchio per rifarsi il trucco.

Ci sediamo un attimo sulle poltrone vicino all’ingresso, per consultare la guida e scegliere un altro ristorante.

Si avvicina a noi una ragazza giapponese, che vedendo la guida che stiamo leggendo ci chiede, in italiano quasi perfetto, se siamo italiani. Noi rimaniamo un attimo interdetti finché Francesco le chiede stupito: “e tu come mai parli così bene italiano?”. Lei ci dice che lo ha studiato da sola ed ha vissuto per un periodo a Firenze. Ci chiede un po’ di cose su da dove veniamo e sul nostro viaggio in Giappone. Chiacchierando con lei le diciamo che in Giappone abbiamo assaggiato tantissime specialità diverse e vorremmo ancora assaggiare l’unagi, ma purtroppo non sappiamo come trovare un ristorante che la proponga. Lei ci dice che conosce un posto, che se vogliamo ci accompagna dato che domani non lavora e ha tempo. Noi accettiamo volentieri, lei è molto stupita da ciò e inizia a ridere e a dire che è felicissima di poter parlare un po’ in italiano.

Ci dice che per arrivare occorre circa mezz’ora, passiamo vicino alla stazione e arriviamo a Ginza. Intanto ci chiede e ci racconta tantissime cose su di lei, che si chiama Hisayo vive fuori Tokyo, lavora in un’agenzia viaggi, è stata un po’ in Italia e adora la cucina, il vino e i formaggi italiani. Ne approfitto per chiederle una cosa, che in tanti giorni non abbiamo ancora capito: perché l’anno giapponese è 21. Lo abbiamo letto sul Japan Rail Pass e anche altrove. Lei ci dice che 21 sono gli anni da cui è in carica l’attuale imperatore.

Arriviamo al ristorante dell’unagi che si trova proprio vicino al 4 Chrome Crossing. Prima di salutarla facciamo qualche foto insieme a Hisayo.

Un minuto dopo averci lasciati ritorna indietro per chiederci se vogliamo che ci mostri anche il ristornate di tenpura di cui ci ha parlato. Noi accettiamo e ci accompagna qualche isolato più in là, dopodiché se ne va veramente.

Decidiamo comunque di tornare al ristorante dell’anguilla. Purtroppo però il cameriere ci dice che stanno chiudendo, dato che sono appena passate le 20. Ci assicura però che domani saranno aperti fino alle 23.

Un po’ delusi e sconfortati ritorniamo al locale della tenpura, dove prendiamo un alto piatto che non abbiamo ancora assaggiato, il tendon. Si tratta di riso con sopra tenpura di pesce e verdure. E’ buono, ma molto pesante.

Prima di tornare in hotel passiamo ancora davanti alla birreria “Lion Sapporo” e decidiamo di entrare. Il locale, in stile pseudo-tedesco, è pienissimo. Vengono serviti anche piatti tedeschi. Noi ovviamente, avendo già mangiato, prendiamo solo la birra, che però è giapponese. Dopo un po’ che siamo lì ci accorgiamo che i giapponesi bevono la birra dai boccali in un modo molto buffo e anche abbastanza difficile: tengono infatti il manico rivolto verso il basso, invece che lateralmente.

Con la metro torniamo in hotel. Pensandoci il primo hotel in cui siamo stati era davvero comodo e centrale, rispetto alla zona di Ginza. Questo, seppur molto bello, è un po’ defilato e lontano dalle vie principali dove si trovano la maggior parte dei negozi e dei locali.

Arrivati in hotel andiamo sul ponte chiuso che collega le due torri per provare a scattare alcune foto della città. Torniamo poi in camera, dove mi siedo sulla finestra a guardare fuori.

Devo ammettere che la vista di notte è spettacolare. Rimango come incantata a fissare fuori, non riesco a staccarmi e neanche bene ad esprimere cosa provo. Iniziano già a venirmi le lacrime a pensare che domani sarà l’ultimo giorno in questo meraviglioso paese.

GIORNO 19 Giovedì 27 Agosto 2009 – Tokyo Eccoci arrivati all’ultimo giorno. Usciamo con l’idea di vedere alcune cose che ci mancano e di fare un po’ di acquisti.

Ci dirigiamo verso Ueno, dove ci fermiamo un attimo alla stazione per fare colazione, sempre perché se non mangio io divento insopportabile. Facciamo un rapido giro nel parco, dove purtroppo vedo tantissime persone dormire sulle panchine. Nel parco vediamo un tempio, i laghetti coperti di ninfee e le solite migliaia di carpe affamate.

Con la metropolitana raggiungiamo Harajuku, che all’inizio del nostro viaggio avevamo visto un po’ troppo rapidamente. Visitiamo il parco e il santuario Meji-jingu. Non sembra neanche di essere a Tokyo, il parco è quasi un bosco e una volta lì sembra di essere lontani dalla metropoli. Il santuario è molto diverso da tutti quelli visitati finora.

Dopo raggiungiamo a piedi Takeshita-dori, la via dove eravamo già passati rapidamente la volta precedente, piena di negozi di abbigliamento e di accessori per ragazzine.

Sempre ad Harajuku passeggiamo per la più esclusiva Omote-sando, dove si trovano i negozi delle grandi firme. In questa via cerchiamo un negozio di oggetti orientali, segnalato dalla guida, dove vorrei trovare lo yukata. Una delle missioni di oggi è infatti quella di trovare gli yukata da casa, tipo quelli che ci hanno fornito nei vari ryokan. Anche stavolta siamo sfortunati, infatti mentre stiamo girando per trovare il negozio leggo meglio la guida e mi accorgo che purtroppo il giorno di chiusura è proprio il giovedì.

Sempre camminando arriviamo a Shibuya dove vediamo qualche centro commerciale, tra cui Loft, Tokyu Hands e 109.

Andiamo poi da Mandarake, un grande negozio di Anime e Manga che si trova in un sotterraneo. Stiamo lì quasi un’ora, perché Francesco non riesce a trovare ciò che gli interessa. Dopo una lunga ricerca riusciamo finalmente a trovare e comprare qualche fumetto conosciuto.

Facciamo una breve pausa pranzo in un fast food degli udon, della stessa catena di quello in cui avevamo mangiato con Luca. Gli udon sono buoni e ci riempiono tantissimo.

Con la metro raggiungiamo un altro negozio di oggetti tradizionali dalle parti di Shinjuku. Lì troviamo tantissimi degli oggetti che abbiamo già comprato nelle altre città che abbiamo visitato, ma non c’è traccia degli yukata, ci sono solo stoffe.

Andiamo quindi a Shinjuku, per vedere la zona di Kabuki-cho, che l’altra volta non abbiamo visto. Qui si trovano i locali per soli uomini e la zona appare, come immaginavo, abbastanza squallida.

Giriamo poi senza meta per Shinjuku, fermandoci in alcuni centri commerciali un po’ troppo chic, come Isetan e Takashimaya.

Entriamo in un altro Tokyu Hands dove prendiamo ancora qualche regalo e vediamo che da GROM, che si trova nel centro commerciale 0101, c’è sempre la fila e molti dei gusti sono sold-out.

Entriamo ancora da Muji, ma anche lì niente yukata. Alla fine rinuncio.

Stanchissimi torniamo in hotel per rinfrescarci. Se seguissi la mia voglia andrei subito a dormire, ma dobbiamo ancora andare a cena e preparare le valige.

Torniamo a Ginza, al 4 Chrome Crossing, convintissimi di mangiare finalmente l’unagi. E’ un po’ tardi ma siamo tranquilli, dato che il cameriere ieri ci ha detto che oggi avrebbero chiuso alle 23. Invece, quando arriviamo, il ristorante è già chiuso. Immagino che il cameriere, nel darci l’informazione, abbia sbagliato giorno.

Iniziamo a girare a caso per le vie secondarie di Ginza, sperando di trovare un locale simile a quello in cui abbiamo cenato il primo giorno. Veniamo attirati da un ristorante in cui si cucina carne, pieno solo di giapponesi. Il cameriere ci dice che dobbiamo attendere mezz’ora. Subito gli diciamo che facciamo un giro per vedere se troviamo altro, ma il posto ci attira troppo e torniamo subito indietro, anche perché non abbiamo più molta voglia di cercare.

Da fuori ci sembrava un posto dove facevano shabu shabu, in realtà ci ritroviamo in un locale bellissimo, dove ci sono griglie incastonate nei tavoli e nel bancone a cui ci siamo seduti. Ordiniamo la carne e ce la cuociamo da soli. Mentre io mi limito a mangiare delle normali fette di manzo, Francesco sceglie prima il fegato appena scottato e coperto di cipolle e poi un’insieme di frattaglie di vario genere da cuocersi alla griglia. E’ veramente divertente e la carne è ottima. Cosa strana, quando paghiamo il conto ci regalano un chewing gum.

Torniamo tristemente in hotel a preparare le valige. Con grande fatica riusciamo ad assemblare, in modo abbastanza intelligente, le varie cose che abbiamo acquistato.

Dopo aver chiuso le valige mi siedo per quasi un’ora sulla finestra, al buio, guardando fuori. Mi viene da piangere, non credevo di affezionarmi così tanto al Giappone. Sto davvero male a pensare che domani dovrò andare via ed è la prima volta che mi succede una cosa del genere. Di solito, nel corso dei miei viaggi, dopo tanti giorni, arrivo al punto in cui ho proprio voglia di tornare a casa. Quest’anno per la prima volta non mi è successo. Sono stata davvero bene, più di quanto potessi immaginare. Posso dire di essermi proprio innamorata del Giappone.

GIORNO 20 Venerdì 13 Agosto 2009 – Tokyo Narita – Milano Ci alziamo abbastanza presto, chiudiamo tutto e partiamo. Con gli zainoni in spalla raggiungiamo a piedi la stazione della metro, da lì, cambiando due linee, arriviamo alla stazione di Tokyo dove prendiamo il Narita Express che ci porta all’aeroporto.

Alle 9:30 siamo già a Narita. Facciamo subito il check-in per poter imbarcare i bagagli. Giriamo un po’ alla ricerca di un posto dove fare colazione/pranzo. Nel frattempo troviamo finalmente gli yukata, non esattamente come li avremmo voluti, ma non importa.

Alla fine scegliamo, con mia grande gioia, di mangiare in un chiosco dove preparano i takoyaki. Mentre li preparano finalmente capisco come si fanno e come riescono a dargli la forma sferica.

Dopo una lunga attesa alle 14:40 saliamo sull’aereo del ritorno.

Mi sento molto triste all’idea di partire, abbiamo trascorso venti giorni molto intensi, abbiamo visto tantissime cose diverse, conosciuto persone e sperimentato approfonditamente la cucina locale.

Prima di partire possiamo riassumere alcune brevi considerazioni sul Giappone e i giapponesi.

I giapponesi non ti osservano, anche se sei palesemente “diverso” sembra che ai loro occhi tu sia trasparente, ma nel caso in cui gli chiedi aiuto, o solo ti vedono un po’ in difficoltà cercano in ogni modo di aiutarti, anche quando non ne sono in grado o non parlano una parola d’inglese. I bambini invece ti osservano curiosi. Uno dei luoghi migliori in cui osservare i giapponesi è la metropolitana. Lì si nota che gli uomini sono tutti vestiti identici, pantalone scuro, camicia bianca e valigetta. Le donne sono tutte molto curate, con una particolare attenzione alle calze e alle scarpe. Quasi tutte indossano tacchi su cui non sempre riescono a camminare in modo stabile. Mentre i giapponesi viaggiano sui treni della metropolitana le loro attività principali sono: la PSP, il Nintendo DS, la lettura e il far finta di dormire, tutto per non rischiare di parlare con il vicino. Una cosa che mi ha impressionato è entrare in un bar all’ora della colazione e notare che nessuno parla con nessuno, regna un religioso silenzio, cosa impensabile in un qualunque bar italiano. Il silenzio però finisce quando si torna in strada. Fuori dai negozi ci sono ragazzi che urlano incessantemente cercando di attirare l’attenzione dei clienti. Gli annunci alla stazione, sul treno o in metropolitana sono costantemente accompagnati da musichette e jingle. In alcune stazioni ho addirittura sentito il finto canto di uccellini.

Nei cartelli che si vedono in giro, dalle semplici indicazioni ad avvisi di divieto della polizia, c’è sempre qualche pupazzetto a rendere più chiaro il concetto.

Sulla puntualità e l’efficienza dei treni ho già abbondantemente parlato.

Il Giappone è certamente un paese molto lontano da noi, per organizzazione, cultura e per modo di vivere, ma estremamente interessante e affascinante, in ogni suo aspetto.

Sapevo che quest’esperienza sarebbe stata bella, ma non pensavo fino a questi livelli.

Non dimenticherò mai questo viaggio e le emozioni che ci ha regalato.



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