Il Giappone in venti giorni

TRUCCO E PARRUCCO AL CAFFE’ SEGAFREDO ZANETTI DI SHIBUYA – TOKYO (Il Giappone in venti giorni). (solito) Prologo Il freddo (quest’anno poi neanche tanto) inverno è l’ideale per sognare ad occhi aperti sulle vacanze estive: si guardano siti internet, si leggono racconti (Turisti per Caso è una vera miniera di informazioni), si valutano...
Scritto da: gnappetto68
il giappone in venti giorni
Partenza il: 16/08/2007
Ritorno il: 04/09/2007
Viaggiatori: in coppia
TRUCCO E PARRUCCO AL CAFFE’ SEGAFREDO ZANETTI DI SHIBUYA – TOKYO (Il Giappone in venti giorni).

(solito) Prologo Il freddo (quest’anno poi neanche tanto) inverno è l’ideale per sognare ad occhi aperti sulle vacanze estive: si guardano siti internet, si leggono racconti (Turisti per Caso è una vera miniera di informazioni), si valutano pro e contro. E allora eccole le mete candidate: Laos-Birmania, Armenia-Georgia, India di nuovo. La prima si scarta per il clima decisamente monsonico, la seconda per i prezzi che abbiamo trovato (anche i fai da te pare siano abbastanza cari). Rimane (per così dire…) l’India, tanto vasta e tutta bella. Riprendiamo i contatti con il nostro amico Rajeen, ma quest’anno, chissà perché, c’è meno entusiasmo. Poi, quasi per caso, Stefano comincia a leggere qualcosa sulla lontanissima, costosissima e difficilissima da visitare Terra del Sol Levante. Prima un racconto, poi un altro, poi un altro ancora. E ciò che emerge è che non è poi così lontana, non è poi così cara e non è poi così difficile da girare. Ci pensiamo per qualche settimana e poi, proprio mentre siamo in partenza per la Siria, ecco l’occasione giusta: un volo ad un ottimo prezzo con Austrian! Detto fatto: la prenotazione va a buon fine ed il volo Venezia-Vienna-Tokyo per il 16 di agosto è fissato (850,00 euro tasse comprese). Con la Lonely a portata di mano e quel magico ed indispensabile strumento che è diventato internet, ci mettiamo sotto con la programmazione che durerà qualche mese tra studio dell’itinerario, sistemazioni alberghiere, trasporti, cose da vedere e da fare. Sono stati mesi impegnativi anche perché a volte ci risultava difficile capire la mentalità giapponese. Siamo andati “in crisi” quando abbiamo scoperto che certe città hanno due stazioni “principali”, distanti anche parecchi chilometri una dall’altra: esiste quindi una stazione chiamata Kurashiki ed una stazione chiamata Shin-Kurashiki. Dove scendere? Perché questa differenza? E ancora, la scoperta di alcune linee ferroviarie private dove il Japan Rail Pass (cioè l’abbonamento che ci consentirà di girare liberamente per il paese in treno) non è valido. Ma sono state “crisi” risolte così rapidamente grazie alla rete di contatti giapponesi creati da me (Luca) (vedi Saori, dell’Ufficio Turistico di Takayama o Nobuko dell’Ufficio Marketing delle ferrovie giapponesi o, ultimo ma non ultimo, il prezioso amico Diego originario di Conegliano ma che vive a Tokyo da anni), che neanche ce ne siamo accorti.

Per fortuna quest’anno niente profilassi di nessun tipo e niente visto in ambasciata, due scocciature in meno. Anche le prenotazioni nelle ryokan (pensioncine più o meno grandi, tipiche giapponesi) e negli alberghetti locali, vanno tutte a buon fine senza nessun intoppo; riusciamo ad acquistare il Japan Rail Pass in un momento in cui lo Yen è bassissimo; ci procuriamo un frasario Italiano-Giapponese (che si rivelerà molto utile); e tra le domeniche al mare e gli ultimi giorni di lavoro, arriva finalmente il momento della partenza.

16-20 AGOSTO 2007 IL VIAGGIO e TOKYO Rispetto all’anno scorso quando la partenza per Madras è stata all’alba, i flessibili orari dell’Austrian ci consentono di dormire un po’ di più e quindi il fido amico-autista Giovanni stavolta ci passa a prendere verso le 8.30. Al Marco Polo il volo per Vienna è in ritardo e quindi riusciamo per un pelo a prendere la coincidenza per Tokyo dall’aeroporto austriaco. Siamo stati fortunati al check-in perché abbiamo trovato posto nei primissimi posti, lato finestrino, in modo da avere lo spazio davanti a noi completamente libero per muovere le gambe. O almeno così pensavamo. Purtroppo fra le centinaia di persone presenti sul volo c’era un foltissimo gruppo di ragazzi ungheresi “alcolizzati” che praticamente per tutta la notte hanno “stazionato” tutti insieme di fronte ai nostri piedi, con bicchieri di rum e coca, birre a volontà, gin lemon e via di seguito. Addirittura le hostess non potevano fidarsi a lasciare 5 minuti il carrello-bevande incustodito perché veniva letteralmente saccheggiato da questi disgraziati. Risultato: notte totalmente insonne e circa venti persone ubriache fradice all’arrivo, tanto da non reggersi nemmeno in piedi. A nulla sono valsi gli ammonimenti del personale di bordo né la mia supplica di andare a far casino da un’altra parte visto che avevo la febbre (circostanza ovviamente inventata di sana pianta). Ma, a parte questo, con Austrian abbiamo volato bene: ottimo cibo, ottimo servizio, confort molto buono grazie anche ai video personali.

Con qualche decida di minuti di anticipo, arriviamo all’aeroporto di Narita. Le procedure di sbarco sono molto più semplici di quello che credevamo: molto cortesi gli ispettori dell’immigrazione e quasi stucchevoli quelli doganali che sembrano quasi aver timore di chiederci se nei bagagli abbiamo armi, alcool o materiale pornografico. Alle nostre risposte negative si scusano e si esibiscono in profondi inchini. La prima cosa che facciamo quando usciamo dalla sezione arrivi è uscire all’aperto sia per “tastare” la temperatura sia per fumarci una sigaretta che dopo quasi 12 ore di viaggio (più 7 ore di fuso orario) è quasi un obbligo ed un piacere immenso.

Quando le porte scorrevoli si aprono davanti a noi il caldo ci aggredisce in maniera quasi insopportabile: e sono solo le 9 di mattina! Allibiti ma felici di essere giunti alla meta con le nostre valigie (con i casini successi quest’anno negli aeroporti avevamo qualche dubbio), ci sediamo su una panchina e già un anziano Japan attacca bottone chiedendoci di dove siamo, dove andiamo, ecc. Ecc. In un inglese discreto. Bene, ci diciamo, altro mito da smentire: in Giappone allora l’inglese si parla! Mai giudizio fu più prematuro di questo.

Grazie all’ottima organizzazione pre-viaggio, al banco Ticket Seller dell’aeroporto acquistiamo sia il biglietto del treno per Tokyo (Keisei Limited Express – 75 minuti – 1.000 Yen, cioè circa 7 euro, da non confondersi con il treno superveloce Skyliner sempre della Keisei che impiega 15 minuti in meno ma costa il triplo!) sia i biglietti per quattro giorni di libera circolazione in metropolitana (2 days tikets – solo linee della Tokyo Metro, più che sufficienti, al costo di 980 Yen, come sopra; ciò vuol dire che con poco meno di 15 euro gireremo in due tutta Tokyo in metro per quattro giorni!).

Trovare il punto di partenza del treno è facilissimo: tutte le scritte e le indicazioni sono sia in caratteri kanji (ideogrammi giapponesi) che in romanji (chiamiamoli caratteri latini).

Si và. Il treno pian piano si riempie tra gli annunci del macchinista che guida “a rovescio” cioè manovrando dall’ultima carrozza anziché dalla prima: a ogni stazione poi scende dal suo bugigattolo e fa degli strani gesti con le mani assolutamente a noi incomprensibili.

Dopo circa una mezzora passata ad attraversare coltivazioni di riso e piccoli paesetti, cominciamo ad entrare nella periferia di Tokyo. Ciò che subito colpisce è l’altissima concentrazione di palazzi, case, casette, grattacieli: tutti attaccati, non esistono distanze né intercapedini. Ad un certo punto, com’era prevedibile, il treno scende sotto terra. Segno che ci siamo.

Scendiamo alla stazione Keisei Ueno situata nella parte nord di Tokyo. La nostra ryokan si trova infatti in questa zona (Ryokan Katsutaro, 9.600 Yen a notte per una camera con bagno, circa 65 Euro), considerata una delle più tranquille della metropoli ma al tempo stesso comodissima visto che dalla stazione Keisei Ueno partono ed arrivano i treni dall’aeroporto di Narita e dalla stazione JR Ueno (le due stazioni sono vicinissime) partono tantissimi treni locali per la stazione centrale di Tokyo da dove si può raggiungere qualsiasi città o paese del Giappone. Attraversato il controllo biglietti (qui non ci sono controllori “umani” ma tutto è affidato a delle micidiali macchinette: se non hai il biglietto non entri e non esci da nessuna stazione), individuiamo la nostra uscita (si, perché in ogni stazione sia di treno che di metro, le uscite sono come minimo due fino ad arrivare a circa venti…). Eccola, “Ikenobata Exit”. Imbocchiamo le rampe di scale e ci troviamo sommersi dal caldo allucinante e dal verso rumorosissimo di centinaia di cicale giapponesi. Siamo a ridosso di Ueno Park, uno dei grandi polmoni verdi della capitale, che sale su per una collina a fianco della strada. Seguendo le preziose indicazioni della mappa stampata dal sito della ryokan, ci incamminiamo per il marciapiedi. Sarà che è mezzogiorno, sarà per il gran caldo, ma non vediamo molta gente in giro. E si che siamo a Tokyo! Dopo circa 15 minuti di cammino, individuiamo sul lato destro della strada l’insegna della ryokan. Entriamo dalla porta a vetri e ci troviamo in una piccolissima stanza con un tavolo, una macchinetta del caffè, due pc e un banchetto-reception posto davanti ad una minuscola scala ripidissima che sale al primo piano. La sorpresa è che tutto questo piccolo spazio è ingombrato da telecamere, cavi e riflettori (evidentemente si tratta di qualche troupe televisiva). Il cameraman riprende anche noi, stupiti, che veniamo subito salvati dal proprietario, persona gentilissima. Ci dice che la stanza non è ancora pronta ma che intanto ci possiamo riposare e bere un caffè. Complice l’aria condizionata, ci accomodiamo sulle sedie e ci sorbiamo un Nescafè Gold, che diventerà una delle nostre bevande preferite. Dopo un po’ ci fa salire e la camera è davvero graziosa. Pavimento rivestito di tatami, pareti di carta di riso (non tutte, ovviamente), bagno piccolino ma pulito e funzionale, e due grandi futon con lenzuola, cuscini e piumino.

Il tempo di fare una doccia e subito riaffrontiamo l’afa di Tokyo. Prendiamo la metro alla vicinissima stazione Nesu della metropolitana (circa 5 minuti a piedi dalla ryokan) e ci troviamo ad Ikebukuro, un quartiere vivacissimo di Tokyo dove ci sono i due grandi magazzini più grandi del mondo, Tobu e Seibu. Quando emergiamo dalla stazione, tutto ci sembra grande, immenso, colorato. Cominciamo a girovagare per i vari piani del Tobu: abbigliamento, giocattoli, libri, dischi, scarpe, elettrodomestici, fino ad arrivare agli ultimi piani (dal 12mo al 19mo) dove ci sono – letteralmente- centinaia di ristoranti di tutti i tipi con i loro bei piatti di cera esposti in vetrina. Una delle caratteristiche dei ristoranti giapponesi è l’avere al loro esterno riprodotte in cera la maggior parte delle portate che servono in modo che i piatti risultino comprensibili anche a chi non conosce il giapponese: le riproduzioni di pasta, carni, pesci, gelati, frutta, dolci tutte interamente in cera sembrano così reali che viene voglia di mangiarle! Scendiamo poi con velocissimi ascensori ai due piani interrati che qui chiamano B1 e B2 dove c’è il regno della gastronomia, centinaia di banchi di carne, pesce, dolci, frutta, verdura, bevande. Anche qui moltissimi colori e forme di cibi sconosciuti ci assalgono. Rimaniamo colpiti dai prezzi della frutta, confezionata in veri e propri cofanetti rivestiti di velluto: una piccola cassetta con un melone, due pesche, un avocado costa quasi come una notte in ryokan! Quando usciamo da questo vero e proprio mostro commerciale, vaghiamo senza meta tra i grattacieli e centinaia di persone. Molto bella la piazza del Tokyo Metropolitan Art Space, che però è chiuso e ci impedisce di salire la scala mobile più alta del mondo. Ci consoliamo con le acque fresche della fontana che si alza e si abbassa a ritmo di musica.

Vista l’afa e visto che sono quasi 36 ore che non chiudiamo occhio, decidiamo di tornare alla nostra ryokan per un po’ di riposo. Dopo la seconda doccia, i nostri futon ci guardano invitanti; non vorremmo cedere ma come fare a resistere? Vabbè, dai, solo cinque minuti, giusto per rilassare le gambe…Quando i nostri occhi si riaprono, sono le 20.30! Poco male, siamo in vacanza. Usciamo e decidiamo di cenare a Ueno senza spostarci in metro. Ripercorriamo quindi la bella e praticamente deserta strada che costeggia Ueno Park, sempre accompagnati dal canto delle cicale, finchè sbuchiamo nella piazza centrale. Subito al di là, sotto i binari sopraelevati della ferrovia si estende un immenso mercato dove vendono di tutto, dagli abiti alle scarpe, dai souvenir ai polli vivi e arrosti. Dopo aver sbirciato dentro a qualche ristorante senza capire un’acca di quello che offrono (le scritte dei menù qui sono tutte in kanji), e visto che di fame non ne abbiamo poi tanta, optiamo per un fantasmagorico McDonalds tutto vetrate a tre piani. Per mangiare giapponese avremo tempo. Distrutti (letteralmente) torniamo sui nostri passi con la pancia piena e questa volta ci mettiamo a letto per davvero.

La mattina dopo ci alziamo di buon’ora: grazie al bollitore messo a disposizione dalla ryokan, ci beviamo un bel caffè con una brioscina e ci dirigiamo verso la nostra prima meta, il Tsukuji Fish Market, il mercato del pesce più grande di Tokyo che rifornisce (pare) tutti i ristoranti di sushi e sashimi della capitale e non solo. Purtroppo arriviamo un po’ tardi (9.30…) e quindi molte attività si sono già concluse, ma il mercato è ancora bello vivo. Oltre a centinaia di banchi che espongono pesci di tutti i tipi, colori e forme, ciò che ci colpisce sono i mezzi di trasporto utilizzati dai commercianti per girare l’ampia area: si tratta di carretti a gas con tanto di bombolone pieno di carburante, con un gran volante che gli esperti manovrano come se fosse un timone. Ed è tutto un impazzare di questi piccoli ma veloci mezzi, guidati da giovani e vecchi, tutti con gli asciugamani bianchi arrotolati intorno alla testa. Altra caratteristica di questo posto i moltissimi micro-ristoranti che ovviamente servono tutti pesce freschissimo: risultato, decine di persone alle 10.30 della mattina sono in coda per poter occupare un posto e per farsi una sana mangiata di pesce! Proseguendo verso la baia di Tokyo, attraversiamo a piedi un bel ponte che ci porta dritti a quella che è conosciuta come “The moon island” (a causa di una bella falce di luna in acciaio dorato che sovrasta uno dei primi palazzi che si incontrano), un piccola isola artificiale, per niente turistica ma molto bella. Basta addentrarsi nei piccoli e stretti vicoli perpendicolari alla trafficata via principale per scoprire un universo fatto di basse casupole di legno con centinaia di piante verdi ad ornare facciate e finestre. A volte si fa fatica a distinguere la porta di ingresso, perfettamente mimetizzata in mezzo a bambù e piccoli alberelli in vaso. Il concetto di giardino, qui, è molto diverso che da noi: non necessariamente deve trattarsi di alberi in “piena terra”, bastando anche poche piante in vaso, siano esse bonsai o aromatiche, per creare un angolo di verde degno di questo nome. Arriviamo, quasi per caso, in una via un po’ più larga delle altre, coperta da una bella passerella, con decine e decine di piccoli ristoranti tutti uguali: i tavolini all’interno sono dotati di una griglia sulla quale vengono posti i cibi che ognuno si cuoce a piacimento. Ma è troppo presto per pranzare, quindi prendiamo la metro alla stazione di Tsukishima e ci dirigiamo verso il giardino del palazzo imperiale. Ovviamente si tratta di un “pezzo” del giardino del palazzo, visto che quasi tutto è interdetto ai visitatori tranne che un giorno o due all’anno. I bellissimi prati sono molto curati e se non fosse per la vista che lo circonda, fatta di altissimi grattacieli, sembra veramente di essere in mezzo alla campagna. Anche qui centinaia di cicale ci accompagnano durante la visita di laghi, boschetti di bambù, vecchie case dei samurai e pendii erbosi. Dopo la visita, usciamo e passeggiamo per la bella esplanade sita di fronte al palazzo imperiale, con fontane e fossati pieni di carpe. E’ l’ora di pranzo e quindi decidiamo, caparbi, di ritornare all’isola della luna per provare a mangiare “sulle griglie”. Una volta arrivati qui, però, scopriamo che tutti i ristoranti non hanno menù in inglese e che, soprattutto, nessuno lo parla! E che sarà mai? Proviamo! Ci buttiamo quindi in un ristorantino dove i camerieri sono giovani e quindi, a nostro avviso, in grado di spiccicare qualche parola di inglese. Anche in questo caso toppiamo perché proprio non capiscono un’acca! Comunque due parole le comprendono “noodlees & vegetables”: ed ecco che prontamente la ragazzina-cameriera, dopo averci acceso la piastra che già si sta scaldando davanti a noi, compare con una immensa ciotola di noodles crudi e verdure di tutti i tipi. Ci appoggia la ciotolona davanti e ci guarda. Noi guardiamo lei e la ciotola. Apriamo le mani in segno di sconfitta e lei, tutta sorridente, ci fa capire che “farà lei”. Comincia quindi a bagnare la piastra con olio e altri unguenti dei quali sconosciamo l’origine, butta tutto il cibo crudo sulla piastra e poi passa circa dieci minuti a condire con altri intingoli, a girare il tutto, finchè ci dice “OK”. Noi ringraziamo e cominciamo a mangiare queste cose davvero deliziose. In fin dei conti si tratta solo di spaghetti di riso e verdure ma con quelle salsine aggiunte sono davvero strepitosi. Rinfrancati da un buon pasto, usciamo di nuovo nella calura di Tokyo. Con la metro raggiungiamo Asakusa, un quartiere a nord di Tokyo, dove si trova uno dei templi più belli e grandi della città: il Senso-ji. L’atmosfera è quella delle grandi fiere di paese: centinaia di persone che si accalcano lungo la via che porta al tempio, contornata da bancarelle che vendono souvenir e cibi; altre centinaia di persone accalcate intorno alla grande giara piena di incenso; altre centinaia intorno alla bella fontana dove si fanno le abluzioni. Il tempio è davvero maestoso e a fianco c’è una bella ed alta pagoda a cinque piani. Attraversiamo il piccolo e bellissimo giardino del tempio, con i ponti rossi, le isolette e le lanterne sacre e ci troviamo…Al luna park! Subito dopo il recinto del tempio, infatti, c’è un grandissimo parco giochi pieno di giostre e bimbi vocianti. Optiamo per una passeggiata lungo la via principale di Asakusa dove ci sediamo a bere un caffè e a guardare le persone che passeggiano, esperienza questa che sarà il leit motiv della nostra vacanza. I giapponesi sono proprio strani e noi ci divertiamo un mondo a guardare look strampalati, capelli in aria e via di seguito.

Dobbiamo tornare in ryokan per una doccia perché stasera abbiamo appuntamento con l’amico Diego, “importato” a Tokyo direttamente dalle dolci colline di Conegliano. Prima però facciamo un salto al quartiere di Kappabashi-dori, pieno di negozi dove vengono fabbricati e venduti i famosi piatti di cera che i ristoranti usano per pubblicizzare le portate. Purtroppo però i negozi sono già chiusi e mentre Stefano si perde dentro ad un negozio di piatti di porcellane grezze, io gironzolo per le stradine deserte del quartiere, fotografando belle casupole, vecchie botteghe di barbiere e micro-giardini. L’appuntamento con Diego è a Shibuya, di fronte alla statua di Haichiko, un cane famosissimo a Tokyo che per anni ha aspettato all’uscita della stazione della metro e sempre al solito posto il padrone, nel frattempo deceduto. Per questa sua fedeltà i giapponesi hanno deciso di dedicargli una statua, luogo di ritrovo di moltissimi giovani. Impieghiamo circa un quarto d’ora per uscire dalla stazione di Shibuya, grandissima e incasinatissima, e quando alla fine sbuchiamo all’aperto (finalmente!) ecco il nostro Diego che subito si lancia nei suoi racconti su come vivono i giapponesi, le loro abitudini, i loro pregi e difetti. Ci porta a cena in un bel ristorante che in realtà fa parte di una catena, dove si mangiano stuzzichini di ogni tipo (dal pesce alla carne alle verdure) accompagnati da birra o succo d’arancia. Il cibo è ottimo e la serata vola via. Anzi, voliamo via anche noi visto che l’aria condizionata del posto ci fa impazzire. E così Diego ci guida per il quartiere più animato di tutta Tokyo stracolmo di gente, grattacieli, insegne al neon, rumori, musiche. Un amico di Diego lavora al Caffè Segafredo Zanetti dove, ovviamente, servono caffè e cappuccini italian style, ed è nel tempo diventato un luogo culto di Tokyo (tenete conto che tutto ciò che è Italiano è sinonimo di “moda” in Giappone). Di fronte ai nostri cappuccini, continuiamo a chiacchierare ma anche se ci sforziamo di prestare attenzione a Diego, i nostri occhi sono catturati dalla gente che popola il caffè ed in particolare da ragazze bellissime che trasformano i tavolini in veri e propri camerini da trucco&parrucco. Ed ecco che estraggono dalle loro immense borse rigorosamente Louis Vuitton, Gucci e Prada, specchi, specchietti, matite per gli occhi, rossetti, ciprie, ciglia finte, applicatori per le ciglia finte, unghie finte, smalti e…Una specie di tubo lungo e stretto rassomigliante ad un oggetto che… rende felici le donne! Dopo un primo giro di maquillage ecco che prendono il misterioso “tubo” e ne saggiano la sommità con le dita…Svelato il mistero: è una spazzola portatile, con tanto di batteria ricaricabile a litio tipo cellulare (lo scopriremo parecchi giorni dopo in un grande magazzino…), con la quale cominciano a stirarsi o arricciarsi i capelli. Affascinati, non riusciamo a staccare gli occhi da queste strane ragazze che disinvoltamente si preparano per una serata mondana. A distrarci da questa nostra forma di girls-watching ci pensano una masnada di amici giapponesi di Diego che a gran voce ci reclamano al loro tavolo. Ma per noi si è fatto tardi e dobbiamo rientrare. Un abbraccio all’amico che ha reso memorabile la serata e poi di corsa alla stazione della metro dove scopriamo che forse perderemo…L’ultimo treno! Eh si, questa è una delle contraddizioni della grande metropoli: l’ultimo treno parte più o meno a mezzanotte! Fortunatamente riusciamo a beccarlo in tempo e, percorrendo le silenziose strade di Ueno che contrastano nettamente con il rumore assordante di Shibuya, facciamo ritorno alla nostra ryokan.

Domenica mattina è tutta dedicata a Stefano: da bravo segugio è riuscito a scovare un mercatino dell’usato che si tiene tre volte al mese nel prato del Tokyo International Forum, una bellissima e moderna costruzione fatta di vetro e acciaio che richiama le forme di un veliero. Arrivati al “mercatino” lo lascio a gironzolare per i banchi che vendono di tutto, dai vecchi oggetti ai kimono usati, e io mi trasferisco al Bic Camera un gigantesco complesso ad otto piani di elettronica. Qui è veramente il regno dei tecno-maniaci: televisori, macchine fotografiche, pc, console e videogame che da noi ti puoi scordare. E così mi perdo la mia bella oretta a girovagare in questo baillame di suoni, luci e colori. Torno quindi al mercato dove di Ste non c’è traccia e approfitto per acquistare un bel yukata a 400 yen (2,50 Euro) da una signora molto gentile che me lo fa provare e si profonde in gridolini di ammirazione. Finalmente recupero Stefano con gli occhi pieni di statue antiche ma senza borse (strano, vero?) e decidiamo di visitare Shibuya “by day”. Non è che il quartiere, di giorno, sia tanto diverso da ieri sera. A parte l’afa soffocante, stesse migliaia di persone, stesse luci, stessa confusione pazzesca. Un veloce panino da McDonalds’ dove la scena del trucco e parrucco si ripete con altre giovani girls e poi affrontiamo sotto il sole cocente l’ascesa alla collina di Dogesaka, costellata da centinaia di “love hotels”. Questi alberghi dalle forme più strampalate (dal castello medievale al razzo spaziale, dalla hacienda spagnola al tempio thailandese) sono utilizzati dalle coppie Giapponesi per…Diciamo passare un’oretta in allegria. Attenzione, non si tratta di luoghi dove viene esercitato il mestiere più antico del mondo, ma di camere pagate a ore da fidanzati che usufruiscono di tutti i comfort di un albergo: non ci sono portieri, non c’è servizio in camera, niente registrazione, niente documenti. Si paga in anticipo la camera e l’impiegato (del quale si vedono solo le mani), ritira i soldi e dà in cambio la chiave della camera attraverso una piccola finestrella. Per le ripide stradine vediamo infatti molte coppiette mano nella mano entrare ed uscire da questi alberghi o per “consumare” o per confrontare prezzi e sistemazioni. Ridiscendiamo quindi verso l’animatissimo quartiere di Shibuya e all’angolo di una trafficatissima strada incontriamo un capannello di ragazzi che pubblicizzano una bevanda contenuta in una micro-bottiglietta che offrono gratuitamente ai passanti. Unica condizione, prima di berne il contenuto, è che si faccia una specie di scenetta dove i pubblicizzanti gridano una roba tipo Ayè Ayè e chi beve deve urlare Hippà! Valli a capire sti Japan…Ovviamente io non mi sottraggo all’esperimento, di fronte alle facce felicissime di tutti: la bevanda fa leggermente schifo, sembra uno sciroppo per la tosse, ma mi garantiscono che fa molto bene. Sarà… Prendiamo la metro e sbuchiamo ad Omotesando, un bel viale alberato pieno di negozi alla moda, ristoranti, grandi magazzini e soprattutto migliaia di persone, che congiunge idealmente i quartieri di Shibuya e Harajuku. Questa, infatti, è la nostra destinazione finale dove passeremo il pomeriggio. Nei pressi della stazione di Harajuku, infatti, si ritrovano ogni domenica pomeriggio i c.D. “Goth Kids”, ragazzi delle periferie di Tokyo (soprattutto della cittadina di Kawasaki, dove fino a qualche hanno fa sorgevano gli stabilimenti della famosa azienda motociclistica) che si travestono con i costumi ed i trucchi più strani. Vediamo di tutto: vampiri, mummie, personaggi dei fumetti giapponesi, lolite…Ovviamente cerchiamo di fotografare a più non posso ma non tutti sono d’accordo: quando qualcuno incrocia le braccia di fronte al viso formando una X vuol dire che non ci stanno a farsi immortalare. Dopo questo spettacolo inconsueto, cambiamo decisamente genere di visita e ci inoltriamo nello Yoyogi Park, altro polmone verde di Tokyo, dove camminiamo in mezzo ad altissimi e vecchissimi alberi fino a giungere ad un importante tempio buddista, il Meiji-jingù, maestoso ed antichissimo. Di ritorno sui nostri passi, siamo attirati da una musica anni 50, tipo Elvis per intenderci. Ci dirigiamo verso la fonte e qui, vicino ad una sfavillante Cadillac rosso fuoco, si stanno esibendo un gruppo di Rock-a-billy, ragazzotti giapponesi con ciuffi imbrillantinati e impomatati che accompagnati da un impianto stereofonico antidiluviano, ballano in una maniera buffissima: uno in centro e gli altri in cerchio a battere le mani. Non capiamo come facciano a ballare scatenati con giubbotti di pelle spessa un dito con una temperatura che si aggira intorno ai 42 gradi! Dall’altro lato della strada, quasi da fare a cornice, le “girls” che però ballano da sole con i loro abiti anni ‘50 coloratissimi, gonna a ruota e code di cavallo.

Torniamo verso la stazione di Harajuku dove pranziamo con una gigantesca granita al limone fatta con puro ghiaccio dell’Alaska tritato a mano (pare che il ghiaccio, i giapponesi, lo importino dall’Alaska…). Con il caldo che fa è davvero un toccasana! E poi sto ghiaccio giapponese (o americano…) è davvero incredibile: completamente trasparente e difficilissimo da sciogliere; sembra quasi finto! Mentre ci sbafiamo questa delizia, altra fauna locale ci passa davanti ed il nostro stupore continua.

Ci aspetta un incombente tecnico e cioè cambiare il nostro JR Pass. Il voucher per ottenere il pass che consente di viaggiare liberamente su tutti i treni del Giappone lo si può comprare solo fuori dal paese e viene rilasciato solo ai non residenti. Una volta in Giappone, cambi il voucher con il JR Pass vero e proprio in uno dei tanti uffici siti nelle stazioni. Decidiamo quindi di andare alla stazione centrale di Tokyo. Una volta arrivati qui, percorriamo qualche chilometro all’interno dell’edificio, su e giù per scale mobili, passando sotto a ponti interni, camminando su passerelle sospese, passando di piano in piano, e finalmente troviamo l’ufficio giusto. Una gentile signorina (che però non spiccica una parola d’inglese) nel giro di 10 minuti ci consegna i nostri scintillanti JR Pass (quello valevole 15 giorni l’abbiamo pagato circa 45.000 yen, 275 Euro) che ci consentiranno di avere via libera su tutti i treni. Stanchissimi torniamo in ryokan. Doccia veloce e poi di nuovo a Ueno per cena dove ci concediamo una cena in un bel ristorantino al 4° piano di un palazzo, a base di spiedini, carne alla griglia, noodles e per dessert due gelati dolcissimi. Stanchissimi, andiamo a dormire prestissimo.

L’ultimo nostro giorno a Tokyo si annuncia sempre caldissimo e io passo dai sandali alle scarpe da ginnastica per guarire dalle prime vesciche spuntate sui miei piedi. Partiamo alla volta del quartiere di Roppongi, modernissimo e nuovissimo, dove svetta la scintillante Mori Tower, una torre di acciaio e cristallo alta decine e decine di piani. Alla base della torre ci sono giardini, fontane decorative, negozi, alberghi, ristoranti e una bella oasi relax: una lunga panca posta di fronte ad una cascata permette di sedersi per ammirare l’acqua che scorre placida a ritmo di musica lounge mentre dalla tettoia decine di nebulizzatori emanano una nebbiolina di acqua fresca e profumata. Un’esperienza sensoriale unica! Da Roppongi passiamo a Shinjuku che, con il suo Skyscrape District è il quartiere con la più alta densità di grattacieli di tutta la capitale. Il bellissimo ed altissimo Tokyo Metropolitan Government Office, cioè il municipio di Tokyo, è un palazzo fantascientifico con due imponenti torri laterali: gratuitamente, si può salire sia sulla torre nord sia su quella sud fino al 45° piano da dove, inutile dirlo, si gode una vista di Tokyo a 360° veramente unica. Scesi dalle torri (l’ascensore velocissimo ci mette poco più di un minuto), ci avviamo verso il centro del quartiere tra alti grattacieli, negozi immensi e un cantiere a cielo aperto dove svetta una costruzione…A metà. Si tratta di un progetto che prevede la costruzione di una nuova torre fatta a forma di uovo tutta in cristallo azzurro e acciaio bianco. I lavori sono a metà, si prevede venga terminata per ottobre del 2008 e sarà uno degli edifici più alti di Tokyo: praticamente abbiamo già il biglietto aereo in tasca per partecipare all’inaugurazione! Cambiamo quindi zona e sbarchiamo (è proprio il caso di dirlo) ad Akyabara chiamata anche Electric City: qui, centinaia di negozi vendono esclusivamente materiale elettronico, enormi pile di CD e DVD, macchine fotografiche cavi, cavetti, fusibili, microprocessori, chip e via di seguito. Un mouse ottico di ultima generazione e un bel pacco di DVD finiscono in valigia, il tutto per pochi Yen. Il sole (finalmente) sta tramontando e, prima della cena, ci concediamo una doccia ristoratrice in ryokan. Verso le 20.00 decidiamo di andare a cena nel quartiere di Ebisu dove è stato da poco creato un immenso parco commerciale con negozi, ristoranti e giardini curatissimi. Ebisu, rispetto a Ueno, si trova dall’altra parte della città per cui impieghiamo 45 minuti buoni per arrivarci. Dalla stazione della metro parte una walkway, cioè un tapis roulant coperto da tettoie in cristallo, lungo circa due chilometri che ci porta fino all’Yebisu Garden Place. Tutto è nuovo, qui, a parte la vecchia fabbrica della birra Yebisu, insieme alla Sapporo una delle due marche giapponesi più famose. La fabbrica è stata trasformata in ristorante: ci sediamo in un bel tavolo all’aperto che guarda la piazza. Il cibo è davvero ottimo (cotoletta fritta per me e noodles per Stefano) e le bevande pure (succo di lime con selz e tanto, tanto ghiaccio dell’Alaska). Torniamo in ryokan verso le 23.00 perché dobbiamo fare le valigie: domani lasceremo la capitale ed inizierà il nostro viaggio itinerante nella terra del Sol Levante.

21-23 AGOSTO 2007 KYOTO e NARA La nostra sveglia stamattina suona prestissimo. Alle otto, infatti, abbiamo il treno per Kyoto che però parte dalla stazione “centrale”. Oggi inizia la validità del nostro JR Pass quindi, dopo aver dato l’arrivederci a settembre alla simpatica proprietaria della ryokan, dalla stazione di Ueno prendiamo uno dei numerosissimi treni della Yamanote Line (circa uno ogni 10 minuti) per la Tokyo Station. Arrivati qui dobbiamo prima di tutto trovare i binari da dove partono gli Shinkansen, impresa non facile in una stazione da dove partono ogni ora decine e decine di treni. Le indicazioni però sono molte e nel giro di poco riusciamo a raggiungere le banchine dove già stanno transitando Shinkansen e Nozomi per tutte le città del Giappone. Shinkansen e Nozomi sono treni ad altissima velocità; il secondo, che però è l’unico escluso dal nostro pass, viaggia su particolari binari “a gravità” che sfruttano il principio della lievitazione: non chiedetemi come fa ma il treno quando raggiunge una certa velocità – il Nozomi viaggia ad oltre 500 km orari – non tocca le rotaie.

Il muso a papera dell’Hikari 403 arriva al nostro binario ed abbiamo esattamente 15 secondi per salire: in Italia non capivamo perché, sugli orari fornitici dal JRGroup, arrivo e partenza erano sempre dentro lo stesso minuto; ora, finalmente è tutto chiaro e, con le nostre ingombranti valigie che però trovano posto (e lo troveranno sempre per i prossimi 15 giorni) dietro agli ultimi sedili del vagone, saliamo su questo vero e proprio fulmine. Abbiamo riservato i posti, due poltrone comode comode, molto più di quelle degli aerei, vicino al finestrino. C’è praticamente tutto: dalla presa elettrica per il pc al tavolino ribaltabile, dal porta lattina al posacenere. Percorriamo la tratta Tokyo Kyoto in circa due ore e mezza e quando scendiamo si erge davanti a noi una vera e proprio meraviglia, la Kyoto Station, undici piani “aperti” di vetro e cristallo, collegati da decine di scale mobili che pullulano di gente.

Fuori il caldo è, se possibile, ancora peggiore di Tokyo. La nostra ryokan (Ryokan Kyoraku, 11.000 yen a camera a notte, circa 70 Euro) è a 5 minuti a piedi, quindi comodissima. La simpaticissima proprietaria ci accoglie con un sorriso, ma anche qui dovremo fare il check-in più tardi perché ora stanno facendo le pulizie. Lasciate giù le valigie andiamo subito al Toiji Temple, un bellissimo e molto antico tempio di Kyoto, dove il 21 di ogni mese c’è un grandissimo mercato di cose usate. Ora avrete capito il perché dell’alzataccia: in realtà avevamo previsto di arrivare a Kyoto con calma, nel primo pomeriggio, ma Stefano quando ha saputo del mercato non ha voluto sentir ragioni! Dopo aver chiesto indicazioni ad una decina di persone, finalmente arriviamo al tempio praticamente fradici di sudore. Decine e decine di bancarelle vendono di tutto: mercerie (qui compriamo i due asciugamani “da collo”), cibi, oggetti di antiquariato, vestiti usati. L’unica pecca è che, a causa del mercato, non possiamo visitare bene il tempio visto che è “fagocitato” dagli ambulanti. Dopo aver gironzolato per un’oretta sotto un sole implacabile, lascio Stefano continuare e io mi siedo all’ombra di un grande albero dove mi godo un pochino di fresco. Lo raggiungo dopo un bel po’ per contrattare dei piatti di legno dell’era Meiji (che andranno ad appesantire ulteriormente i “dinosauri”, cioè le nostre due Samsonite!) con un allegro vecchietto che alla fine molla l’osso e fa un discreto sconto. Ci prendiamo una sosta ristoratrice sotto una tenda dove gustiamo buonissime granite al limone e alla fragola (sempre con ghiaccio dell’Alaska ovviamente) in mezzo a felici giapponesi. Torniamo quindi verso il centro dove visitiamo l’Higashi Hongan-ji e il Nishi Hongan-ji, due templi gemelli completamente in legno, immensi e praticamente deserti, con bei particolari in legno intagliato. Nel primo abbiamo anche modo di assistere ad una cerimonia buddista presieduta da due monaci elegantemente vestiti (a differenza degli altri bonzi visti in tanti paesi del sud-est asiatico, questi hanno dei soprabiti di garza blu-nera finissima).

Verso le 16.00 facciamo rientro alla ryokan dove ci viene assegnata la camera: molto bella e curata, ovviamente sempre “japan style”, con anche una piccola veranda che da sulla strada. Anche in questo caso dopo una doccia, i tatami ci chiamano insistentemente…Cediamo, rinfrancati dall’aria condizionata, e dormiamo un’oretta. Ci alziamo che fuori è già buio. Un bella camminata fin quasi al centro e uno stuzzichino veloce (non abbiamo molta fame…Torneremo, finalmente, dimagriti?), dopodiché ci dedichiamo ad una visita notturna della Kyoto Station. Cinque rampe di scale mobili ci conducono ad un’ampia terrazza aperta sul vuoto con caffè e ristoranti; da qui altre due altissime rampe ci conducono alla skywalker, una passerella sospesa nel vuoto tutta di cristallo dalla quale si gode una vista impagabile sia della stazione sottostante che della Kyoto Tower tutta illuminata di bianco e rosso. Giunti dalla parte opposta, altre rampe di scale mobili conducono fino all’undicesimo piano dove sulla terrazza “a cielo aperto” c’è un curatissimo giardino zen: piante di bambù, rivoli d’acqua gorgogliante, sentieri disegnati con sassi bianchissimi, luci soffuse e musica lounge in sottofondo. La vista della città costellata da migliaia di luci è entusiasmante. Impigriti da tanta beatitudine, torniamo verso la ryokan per un buon sonno ristoratore.

Anche stamattina la sveglia suona presto. Oggi ci attende una giornata pesante in visita ai numerosi templi di Kyoto. Faccio un salto alla bakery dietro l’angolo (avevamo chiesto alla signora se potevamo avere la colazione, ma ci ha detto che … non ne valeva la pena visto che il caffè era gratuito e le brioche della vicina bakery erano buonissime) e prendo due bomboloni enormi e buonissimi accompagnati dal solito Nescafè Gold. Ci rechiamo quindi alla stazione: grazie all’abbonamento giornaliero dell’autobus (500 yen – circa 3 euro) possiamo liberamente spostarci in ogni angolo della città; prendiamo il Raka Bus n. 100 (Kyoto ha moltissimi bus, ma i Raka Bus sono quelli che portano verso le destinazioni turistiche ed hanno le segnalazioni delle stazioni anche in inglese) per arrivare al quartiere di Higashiyama dove seguiremo uno dei tanti percorsi a piedi inseriti nella cartina fornitaci dall’ente del turismo. Scendiamo vicino allo zoo di Kyoto in una zona praticamente deserta. Il caldo è già insopportabile, ma non ci ferma. Dopo aver percorso una bella e piccola stradina con tante case tipiche arriviamo al primo tempio, il Nazen-ji, immerso in un bosco di pini. Particolari e molto curati i giardini, così come molto bello il corpo principale del tempio completamente in legno intagliato. Da qui, passando sotto un vecchio acquedotto ancora funzionante, si arriva ad un altro piccolo tempio il Nazen-in, contornato da un piccolo stagno pieno di ninfee. Ritorniamo quindi sul sentiero principale e dopo un po’ raggiungiamo il Kodai-ji: entriamo nel complesso principale e seguendo un percorso prestabilito attraversiamo belle sale con tatami e decorazioni sulle pareti fatte centinaia di anni fa, ponticelli di legno rosso che scavalcano ora torrentelli ora laghetti, piccoli giardini con le classiche lanterne giapponesi. Una bella scala di pietra porta infine alla alta pagoda da cui si gode un panorama su Kyoto veramente bello. Uscendo dal tempio imbocchiamo il così detto sentiero della filosofia che tutti descrivono come incantevole. In realtà a noi non è sembrato nulla di che: sarà stato per il caldo davvero micidiale ma il tutto è risultato come una passeggiata sotto gli alberi e lungo un fiumiciattolo. Alla fine del sentiero troviamo una bella caffetteria arredata come un salotto con tanto di divano, tavolo da pranzo dove i clienti si siedono tutti insieme, poltroncine e lampade retrò e, una volta accomodati , ci gustiamo un buonissimo gelato alla crema ed al tè verde. Rinfrescati (grazie anche all’aria condizionata) visitiamo il Ginkaku-ji, anche conosciuto come padiglione d’argento. Nell’antichità l’attuale tempio era una magnifica villa poi trasformata in santuario. Il padiglione non è nulla di che, ma i giardini sono veramente incredibili, soprattutto quelli fatti in sabbia raffiguranti il monte Fujii e le onde del mare. Unico inconveniente: pieno di gente. Abbandoniamo quindi Higashiyama e sempre con il Raka bus 100 scendiamo al quartiere di Gion che in antichità era il quartiere delle Geishe. Prima di addentrarci per le strette stradine del quartiere, visitiamo il bel santuario scintoista Yasaka-jinjia: qui tutto è laccato di un bel rosso vivo, i numerosissimi torii, gli altari, le lampade, i padiglioni sacri molto antichi. Scendiamo dalla collina e, pieni di aspettative, imbocchiamo le vie del quartiere di Gion. Purtroppo però il tutto si rivela una delusione: di geishe neanche l’ombra e le vie caratteristiche sono solamente due, parallele, con belle case in legno ed un canale su cui si specchiano bei salici piangenti. Seguendo il canale arriviamo al fiume principale di Kyoto lungo il quale ci sono decine e decine di belle terrazze che scopriremo poi appartenere ai ristoranti di Pont-cho, un vivace quartiere situato sul lungofiume. Seguendo le strette viuzze giungiamo quindi in pieno centro: Kyoto non ha nulla a che vedere con Tokyo e si rivela come un’accozzaglia di caseggiati più o meno alti, grigi e spogli, moltissimi negozi che vendono merce abbastanza scadente, tanta gente che circola per le gallerie commerciali. Ad un certo punto scoppia un terribile temporale che nel giro di qualche minuto manda in tilt il traffico e allaga completamente tutte le strade. A fatica raggiungiamo la fermata del bus che arriva dopo una buona mezz’ora: la ressa per salire è tremenda con il risultato che tutti siamo costretti a mettere i piedi dentro alle pozzanghere alte una decina di centimetri e a bagnarci dalla testa ai piedi. Il bus ci lascia quasi davanti alla ryokan che raggiungiamo praticamente fradici. Più tardi il cielo si apre e ci regala un bel tramonto sui due templi cittadini, che ammiriamo dalla nostra terrazza privata. Decidiamo di andare a cenare in un bel ristorantino adocchiato la sera prima. Entriamo e ci sediamo per terra ad uno dei bassi tavolini, ma subito una giovane cameriera accorre e comincia a gesticolare, indicandoci una specie di distributore automatico. Dopo una decina di minuti capiamo che non si deve ordinare a lei, ma scegliere il piatto e le bevande dal distributore: infiliamo quindi i soldi, schiacciamo i pulsanti che hanno il piatto fotografato sovraimpresso e consegniamo i talloncini sputati fuori dalla macchina alla ragazza che ci fa un gran sorriso. Ah questo Giappone! Dopo un po’ arrivano i nostri bellissimi piatti: riso bianco, cotolette fritte, verdure in salamoia, tofu fritto e l’immancabile zuppa di miso con le alghe che galleggiano in superficie. Tutto buonissimo. Una breve passeggiata per smaltire il fritto e poi finalmente a letto.

Il giorno successivo con calma e dopo colazione, prendiamo il treno per Nara, chiamata anche “piccola Kyoto”. La cittadina molto più raccolta di Kyoto, ci accoglie con una bella strada pedonale piena di ristorantini e negozi. Al locale ufficio turistico ci consegnano una cartina con dei percorsi a piedi e ci organizziamo la giornata. Per primo visitiamo il Kofuku-ji, un bel tempio buddista con due pagode una a tre ed una a cinque piani. Sulla vasta spianata di fronte al tempio cominciamo ad incontrare i primi cervi che circolano liberamente in tutta la città. Imbocchiamo quindi il Nara Koen cioè il parco cittadino di Nara, un vero e proprio bosco con all’interno laghi, foreste e bellissimi templi. Il più grande è il Todai-ji famosissimo per la sua gigantesca statua del buddha, a cui si accede tramite un altissimo portale completamente in legno con due immensi guardiani in legno ai lati. Da qui, uno stretto sentiero si inerpica su per la collina e conduce alla Nigatsu-do una specie di dependance del tempio posta molto in alto dalla quale si gode una bellissima vista su tutta Nara. Scendiamo quindi per un altro sentiero di nuovo in mezzo al parco: alberi secolari impediscono il filtrare dei raggi del sole quindi è relativamente fresco. Nel sottobosco, decine e decine di cervi stanno sonnecchiando brucando lentamente il muschio verdissimo. Arriviamo quindi al Kasuga Taisha, un santuario scintoista i cui sentieri sono costellati da lanterne votive (sono migliaia!). Anche qui, come in tutti gli altri templi scintoisti, il colore che domina è il rosso vermiglio e fa davvero impressione vedere questa chiazza di colore acceso in mezzo agli alberi verdi. Torniamo quindi verso il centro cittadino perché è ora di pranzo. Mangiamo un hamburger con cipolle fritte al Mos Burger, una specie di MacDonald’s giapponese e poi visitiamo il vecchio quartiere di Naramachi pieno di bassissime case in legno con relativi mini giardini. Il sole sta per tramontare e Nara si sta svuotando. Lasciamo le stradine deserte del quartiere vecchio e ci dirigiamo verso la stazione per far rientro a Kyoto. Per cena decidiamo di andare all’ultimo piano della stazione dove ci sono moltissimi ristoranti. Ne scegliamo uno specializzato in cucina di Hong Kong dove ci sbafiamo una gigantesca ciotola di zuppa fumante con pesce e verdure seduti di fronte ad una vetrata che ci regala una fantastica vista sulla città illuminata. Finiamo di mangiare con l’intento di fare una passeggiata per le strade di Kyoto ma appena usciti scopriamo che è scoppiato un terribile temporale. Altri allagamenti ci costringono ad aspettare che cessi la pioggia. Dopo una buona mezz’ora la pioggia si ferma e, di corsa, torniamo in ryokan dove prepariamo le valigie. Domani si parte! 24-25 Agosto 2007 HIROSHIMA E MIYAJIMA La sveglia stamattina suona discretamente presto. Solita uscita alla bakery per delle buonissime apple-pastries accompagnate da abbondante Nescafè Gold e poi via in stazione. Lo Shinkansen Hikari 361 ci porta velocemente ad Okayama dove prendiamo un piccolo futsu (treno locale) per la piccola cittadina di Kurashiki che vogliamo visitare prima di arrivare, in serata, ad Hiroshima. Kurashiki, durante l’era Meiji era un’importante città mercantile e proprio in quel periodo furono edificati numerosissimi magazzini per stivare riso, granaglie ed altre merci. Arrivati alla piccola stazione cacciamo le valigie nelle cassette di sicurezza (in Giappone non esistono i depositi bagagli, ma ci sono in ogni stazione dei coin-loker di diverse dimensioni: per una giornata si spende dai 100 ai 500 yen, a seconda della dimensione dell’armadietto) e messe al sicuro le chiavi, memori dell’ultima esperienza in India dove la perdita di una chiave di una cassetta di sicurezza ci costò un botto, ci avviamo per le strade di Kurashiki, non dissimile da tutte le altre città giapponesi: soliti casermoni, soliti negozi squallidini, soliti ristorantini all-japan. Ma quando arriviamo al quartiere di Bikan tutto cambia: case e magazzini interamente in legno con pareti ricoperte di reticolati di calce bianca affiancate da una placido canale solcato da bei ponti di pietra. La giornata, anche se sempre calda, è davvero bella ed il cielo azzurrissimo. Sotto i salici piangenti ci sono molti turisti giapponesi che passeggiano tranquillamente o si fanno scorrazzare dai barcaioli su e giù per il canale. L’unica stonatura, i moltissimi negozi di souvenir pieni di cianfrusaglie di ogni tipo, assaltati dai turisti. Imbocchiamo quindi stradine secondarie ancora più belle e deserte con il sole che ci abbaglia riflettendosi sulle pareti di calce bianca dei vecchi magazzini. Per pranzo andiamo in un ristorante in riva al canale e quando sul menù vediamo (perché qui, per fortuna, ci sono le foto dei piatti…) delle gigantesche coppe di gelato con frutta e cioccolato, non possiamo farne a meno. Coppa tutta frutta per me, con brownies al cioccolato per Stefano e una montagna di gelato freschissimo: davvero strepitose! Dopo la sosta ci dirigiamo fuori Bikan e affrontiamo una ripidissima scalinata che pare ancora più ripida a causa del sole a picco, che ci porta però ad un tranquillo e silenzioso tempio buddista. Bellissimo il corpo principale con una grossissima fune di iuta intrecciata che incornicia l’ingresso principale, elemento caratteristico di quasi tutti i templi giapponesi. Dopo una sosta alla solita fontana per le abluzioni con il drago che ci permette di rinfrescarci, ci riposiamo in una sala del tempio completamente aperta sulla vallata sottostante da dove si gode una vista sui tetti grigi della città che il sole rende scintillanti. Un po’ di aria ci dà sollievo e ci distendiamo sulle panche di legno dove rischiamo di addormentarci. Da qui una bella passeggiata ci conduce ad un tempio scintoista immerso in un bosco talmente fitto che il sole non riesce a penetrare. Un occhio all’orologio e decidiamo di tornare in stazione dove ritiriamo i nostri dinosauri e ripartiamo alla volta di Okayama dove prendiamo un altro Shinkansen che nel giro di un’ora e mezza ci porta ad Hiroshima. Arriviamo in una delle città più tristemente famose al mondo quando il sole sta tramontando: ci aspettavamo un posto smorto e scialbo ed invece la prima impressione è più che favorevole. I ponti sui due fiumi principali di Hiroshima, l’Enko gawa ed il Kyobashi gawa, offrono una vista bellissima con il sole basso che si specchia sull’acqua e le barche a riposo. Nel giro di un quarto d’ora arriviamo al nostro albergo (Central Hotel, 8.700 Yen – 55,00 euro circa a notte, colazione inclusa). La hall è tipicamente anni 70, ma non nel senso di un albergo nuovo ricreato in stile anni 70, proprio con mobili “originali” dell’epoca: un bar in disuso con un entrata rotonda tipo oblò, poltrone in pelle immense, lampade a stelo e via di seguito. Facciamo il check-in, prendiamo l’ascensore ed arriviamo alla nostra piccola camera al 7° piano con dei letti “veri” (niente tatami) ed una bella vista sul fiume. La stanza ed il bagno sono davvero minuscoli, ma non manca nulla (c’è perfino l’asse da stiro!!) e tutto è pulitissimo. Dopo un po’ di riposo ed una doccia ci fiondiamo per le strade illuminate di Hiroshima piene di gente allegra, negozi, ristoranti, insegne al neon, discoteche e via di seguito. Troviamo un ristorantino molto simpatico che ha (finalmente) un menù in inglese e ci facciamo portare due enormi piatti di Hiroshima-yaki, versione locale della okonomiyaki, una specie di frittella di uova ripiena di noodles fritti, carne, pesce e verdure. A stento riusciamo a finire tutto ma ne è valsa davvero la pena. Facciamo due passi per smaltire il pesantissimo piatto e poi torniamo alla nostra location seventy style dove crolliamo distrutti a letto.

Il mattino successivo dopo una colazione discreta (Stefano si è rovinato l’appetito a causa dei rumorosi risucchi di un vicino di tavolo giapponese che si mangiava una scodella di noodles al pesce) partiamo sempre con un piccolo futsu per Miyajima uno dei tre siti più fotografati del Giappone. La piccola stazione di Miyajima-guchi è gremita di gente che si dirige tutta insieme al molo dei traghetti. La principale attrattiva è infatti costituita dall’isola sacra di Itsukushima dove ci sono un tempio scintoista “flottante” (cioè costruito sull’acqua) e, soprattutto, un gigantesco torii rosso vermiglio che galleggia sull’acqua. Due i traghetti che collegano la terraferma all’isola: noi scegliamo quello gestito dalle ferrovie giapponesi perché per i possessori del JR Pass, è gratuito. Il traghetto è pieno di turisti giapponesi di tutte le età che si accalcano sui muretti per fotografare il torii che emerge dall’acqua. Giunti all’isola decidiamo di non visitare il santuario visto che c’è una coda lunghissima e ci dirigiamo verso uno dei sentieri che si inerpicano verso le alture dell’interno. Visitiamo il Senjo-kaku o padiglione delle mille stuoie, un palazzo enorme con un tetto che poggia su decine di colonne e affiancato dalla solita bella pagoda a cinque piani dipinta di rosso. Proseguiamo per il sentiero un po’ scocciati dal fatto che questo sembra davvero un posto stra-turistico pieno di gente urlante e negozi di souvenir, ma più ci allontaniamo dal molo rumoroso più la gente si dirada. Arriviamo ad un bel ponte di legno rosso che scavalca un ruscello: lo attraversiamo ed una lunga scalinata ci conduce ad uno dei più bei templi che abbiamo visto (e che vedremo). Il Daigan-ji è un tempio della setta buddista esoterica, una delle tante che fanno parte di questa “religione”, ed è un posto bellissimo: praticamente deserto e costellato di laghetti, ruscelli, piccoli e grandi padiglioni, statue di buddha nascoste fra le rocce. Ci dedichiamo ad un giochetto studiato per i bambini: in vari punti del tempio è situato un piccolo banco con un timbro rosso; raccolti tutti e sei i timbri questi formano un bel buddha disteso che viene da noi “stampato” sulle ultime pagine della Lonely. Assistiamo ad una suggestiva cerimonia in un padiglione posto in cima alla collina del tempio: due fedeli sono inginocchiati di fronte all’altare dove è seduto un monaco con la sua tunica di tulle nera che canta una nenia e suona un grosso tamburo ed un campana votiva. Continuiamo poi a gironzolare per il tempio dove veramente la pace regna sovrana, fino ad arrivare ad un bellissimo pergolato con delle panche ed un distributore gratuito di tè verde freddissimo. Con oltre 40 gradi all’ombra ci vogliono tre bicchieri per raffreddarci! Lasciamo un po’ a malincuore questo bellissimo luogo e ci dirigiamo verso l’interno dell’isola facendo una bella passeggiata lungo un vero e proprio sentiero di montagna in mezzo a boschi fittissimi e a corsi d’acqua. Tornati al molo siamo irresistibilmente tentati da una gigantesca granita al limone (sarà il caldo, ma a pranzo quasi mai abbiamo fame) che mangiamo seduti su un muretto di fronte al mare con il torii che troneggia sulla battigia. E’ ora di tornare verso Hiroshima dove arriviamo a pomeriggio inoltrato. Dopo una doccia (non sono mai troppe) ed un caffè usciamo nelle affollate strade di Hiroshima dove curiosiamo nei negozi e nei centri commerciali. Arriviamo fino al Peace Memorial Park che con il suo museo ed i suoi monumenti ricorda quel triste giorno del 1945 dove tutto fu spazzato via in un attimo. Vedere l’A-Bomb Dome illuminato di verde è davvero commovente: questo edificio degli anni ‘20, del quale rimangono solo i muri esterni e la grande cupola, era la vecchia camera di commercio di Hiroshima, unica costruzione rimasta in piedi dopo l’esplosione della bomba. Il silenzio che ci circonda è rotto solamente da qualche ragazzo che canta e suona la chitarra sulle rive del vicino fiume.

Passiamo dalla quiete del parco al casino incredibile dello stadio di baseball, lo sport più popolare del Giappone: stasera si gioca una partita molto importante ed il frastuono è davvero grande. Oggi siamo davvero molto stanchi e sui miei piedi sono spuntate nuove e freschissime vesciche. Decidiamo quindi di mangiare io un panino e Stefano un gelato e poi di corsa a letto. Domani, d’altronde, si riprende il viaggio.

26 – 27 Agosto 2007 KANAZAWA Oggi ci aspetta un lungo trasferimento. Lo Shinkansen Hikari Railstar 450 ci porta, ad una velocità impressionante, fino a Shinosaka dove cambiamo con il Limited Express Thunderbird 1 che, nonostante il nome, va molto meno spedito. Arriviamo a Kanazawa sulla costa nord ovest del Giappone alle 14.30. Usciti dalla stazione scopriamo che in questa zona il caldo è meno opprimente. Ci incamminiamo per cercare la nostra ryokan che troviamo dopo circa una mezz’ora e un po’ di difficoltà (ryokan Yamamuro 12.000 yen a notte, circa 75 Euro). Il gentile e simpatico proprietario è sulla porta che ci aspetta e ci accoglie con un allegro “Mr. Luca? Coniciuà!”. La stanza è davvero bella: molto spaziosa e con una piccola veranda che si affaccia su un giardinetto giapponese. A dire il vero sia la stanza che la ryokan avrebbero bisogno di una “rinnovata” però l’atmosfera non è male. Questa ryokan è stata scelta anche perché concedeva gratuitamente l’uso delle biciclette e (lo scopriremo presto) questo è un mezzo comodissimo per visitare la città molto estesa. Inforcati i velocipedi ci dirigiamo verso il quartiere di Katamachi dove in un paio di viuzze acciottolate affiancate da piccoli canali che scorrono lenti, ci sono ancora molte vecchie case dei samurai, completamente in legno con recinti fatti di fango pressato. Appena fuori dal quartiere in una viuzza animata un gruppo di abitanti sta festeggiando non capiamo bene cosa: moltissimi stands coperti da bianchi ombrelloni che vendono birra e carne alla griglia dove i jap si abbuffano ascoltando musica a tutto volume. Approfittiamo per comprare un bel cespo di cinque banane a 100 yen (circa 60 centesimi, come vedete non tutta la frutta è proibitiva…). Attraversato il largo Sai-gawa, uno dei due fiumi principali di Kanazawa, arriviamo nel quartiere di Teramachi letteralmente pieno zeppo di templi e tempietti di qualsiasi foggia e periodo, spesso nascosti dalle costruzioni più moderne. Ne visitiamo, in sella alle nostre bici, una ventina, sorpresi che un tale patrimonio non sia praticamente pubblicizzato da nessuna parte (la Lonely ne parla pochissimo, ma anche i siti web dedicati al Giappone non ne fanno parola). Comincia a fare buio e torniamo verso la ryokan attraversando le strade principali di Kanazawa piene dei soliti centri commerciali, le insegne al neon, ristoranti e, soprattutto, gente. Dopo una doccia andiamo a visitare il vicinissimo quartiere Higashi geisha: molto più pittoresco e ben tenuto di Gion a Kyoto, il piccolo quartiere è davvero una bomboniera. Situato lungo l’Asano-gawa è formato da strette viuzze che si aprono improvvisamente in belle piazzette, basse case in legno ognuna con la lanterna accesa di fronte alla porta, due templi molto piccoli, un bagno pubblico e un’atmosfera davvero retrò. Proprio in una di queste viuzze la Lonely indicata un ristorantino tipico, il Jiyuken. Dopo aver dato un’occhiata ai piatti in cera esposti, entriamo. Un lungo bancone e tre tavolini appoggiati sui tatami. Ci sediamo per terra e prontamente l’allegra proprietaria ci porta un piccolo menù in inglese con i piatti principali. Quando scegliamo dal menù in inglese e indichiamo il piatto con il dito lei “conta” le righe e poi le riconta sul suo menù in giapponese in modo da individuare il piatto scritto in kanji. Qui, d’altronde, come spesso abbiamo ripetuto, l’Inglese sembra una lingua sconosciuta…Mentre aspettiamo la nostra cena la famiglia di giapponesi vicina al nostro tavolo attacca bottone: il nonno parla un po’ di inglese e facciamo un po’ di conversazione. Finiremo per fare qualche foto insieme con grande gioia di tutti. Il cibo è delizioso: per me crocchette di crema di granchio e per Ste un riso con gamberi al pomodoro. Soddisfatti salutiamo i proprietari (lei fa la cameriera e lui il cuoco) e facciamo una bella passeggiata lungo il fiume. A Kanazawa fa molto meno caldo e si sta decisamente meglio. Bellissimi i due templi illuminati da lanterne bianche e rosse. Torniamo quindi verso la nostra ryokan praticamente deserta: le porte sono spalancate ma del proprietario neanche l’ombra. Fossimo in Italia, dopo dieci minuti gli interni sarebbero completamente ripuliti! Ma siamo in Giappone…

La mattina successiva ci alziamo veramente riposati. Il proprietario stamattina è presente (strano…) e ci offre una bollente tazza di Nescafè Gold che beviamo facendo con lui qualche chiacchiera in inglese (anche se è molto difficile…). Dirigendoci verso la stazione visitiamo l’Omicho-market il mercato più grande di Kanazawa: in bella mostra ci sono immensi granchi, gamberi imperiali, polipi, mele, pere, meloni, carne essiccata, e altre cose strane che non riconosciamo (e forse è bene così…). Un futsu ci porta fino a Kagaonsen dove faremo la nostra onsen experience. Il Giappone, infatti, è praticamente una bolla termale: in tutto il paese ci sono centinaia di fonti termali calde e qui fare l’onsen (sostanzialmente trattasi di bagni pubblici dove sgorga l’acqua termale) è un vero e proprio rito. Arriviamo alla piccola stazione ed entriamo nel minuscolo ufficio del turismo. Qui, con un po’ di difficoltà visto che le simpatiche e gentili impiegate parlano si e no 4 parole d’inglese, ci facciamo spiegare dove trovare uno stabilimento termale e come raggiungerlo. Dopo qualche indicazione a gesti e qualche scritta in kanji su un foglietto da far vedere all’autista dell’autobus, le impiegate ci indicano la pensilina dell’autobus n. 3, dove ci dirigiamo. Quando l’autobus arriva, vediamo uscire di corsa dall’ufficio del turismo una delle impiegate che si precipita dall’autista spiegandogli dove deve farci scendere! La gentilezza, qui, rasenta davvero l’incredibile. Con un grande sorriso l’impiegata ci “scorta” fin dentro al bus e ci saluta. Con un allegro gruppo di anziani, partiamo quindi alla volta di Yamashiro Spa dove arriviamo dopo circa 15 minuti. Il bagno degli uomini si trova al piano superiore di una grande costruzione in legno, dove, dopo un grande stanzone con panchine ed armadietti, si entra completamente nudi (e, devo dire, inizialmente con un po’ di imbarazzo) in una sala con due vasche d’acqua termale. Prima di entrare in queste piscine, bisogna però lavarsi (una delle principali regole dell’onsen è appunto questa: entrare in vasca puliti). Quando cominciamo ad immergerci ci prende il panico visto che la temperatura dell’acqua è superiore a 40 gradi. Stringiamo i denti e ci caliamo fino a lasciar fuori solo la testa capendo però che la nostra onsen-experience si ridurrà a qualche decina di minuti e non di più. Entriamo ed usciamo dalle vasche intervallando i bagni con docce fresche e devo dire che davvero, se si riesce a resistere, i muscoli si rilassano. Ma dopo una quarantina di minuti a fare “dentro e fuori” decidiamo di abbandonare il luogo, anche perché cominciamo ad avere appetito. Riprendiamo quindi l’autobus e ci dirigiamo in stazione dove mangiamo un panino e poi facciamo un giro in un grande centro commerciale dove la tentazione di comprare qualcosa in un corner Louis Vuitton è davvero grande visto che i prezzi sono più che scontati. Ma desistiamo e riprendiamo invece il treno che ci riporta a Kanazawa. Ci dirigiamo in ryokan (sempre deserta…) dove ci riposiamo un’oretta e poi via di nuovo in bici a scorazzare per i moltissimi parchi e giardini della città fino ad arrivare al fiume: qui scendiamo dall’argine e percorriamo il sentiero che corre vicino alle acque tranquille con, sullo sfondo, la città che comincia a tingersi con i colori del tramonto. Per cena, torniamo al ristorantino della sera prima: quando la proprietaria ci vede, non smette più di ridere e di ringraziarci per essere tornati. Stavolta come vicina di tavolo abbiamo un’allegra turista di Taiwan che parla un buon inglese, in viaggio con il figlioletto. E’ in vacanza anche lei e ci invita, con tutti i crismi, a visitare il suo paese. Rispondiamo “Maybe, in the future…”. Io non posso evitare di fare il bis di crocchette di crema di granchio mentre Ste assaggia la specialità della casa, il teishoku, un’omelette ripiena di riso fritto alla soia accompagnata dalla immancabile zuppa di miso. Salutiamo, stavolta definitivamente, i proprietari con la promessa di mandare i nostri amici che visiteranno Kanazawa, e dopo una bella passeggiata lungo i ponti del fiume illuminati, torniamo in ryokan per sistemare i bagagli. Domani si parte per le Alpi Giapponesi.

28 – 29 Agosto 2007 HIDA TAKAYAMA – HIDA FURUKAWA Alle sei di mattina veniamo bruscamente svegliati da un potente tuono. A cui ne segue un altro e poi un altro ancora. Capiamo, senza aprire le tende della veranda, che sta per scatenarsi il finimondo. Balziamo quindi in piedi (abbiamo circa una mezzora di cammino per arrivare in stazione) ed estraiamo dai dinosauri i nostri k-way. Alla piccola reception ci aspetta il proprietario che, ancora in pigiama, ammira beatamente il diluvio universale. Quando ci vede si precipita a prepararci una tazza di caffè che beviamo bello caldo con una focaccina al melone (i dolci anche confezionati sono davvero buonissimi in Giappone). Il proprietario ci dice che se vogliamo c’è la fermata dell’autobus a pochi passi dalla ryokan. Ovviamente ne approfittiamo e, sorpresa delle sorpresa, dopo cinque minuti di attesa si ferma davanti a noi un autobus delle ferrovie che ci porta in stazione gratuitamente visto che siamo possessori di JR Pass. Prendiamo il Limited Express per Gifu ma, forse a causa delle violente piogge, il treno accumula più di 40 minuti di ritardo (chi l’ha detto che le ferrovie giapponesi sono puntualissime?). Perdiamo quindi la coincidenza per Takayama ma niente paura perché dopo un’ora c’è un altro treno. Il secondo treno, Limited Express Wideview dai grandi finestrini, si inerpica quasi subito su per le montagne ed il paesaggio che ci scorre davanti è davvero fantastico. Fuori continua a piovere ma le montagne avvolte dalla nebbia, i fiumi ingrossati che scorrono in mezzo ai verdi boschi, le verdi risaie a terrazza, i villaggi con le case in legno e le piccole stazioni che attraversiamo sono davvero bellissimi. Arriviamo a Takayama, una piccola cittadina di montagna e, all’uscita dalla stazione al locale ufficio del turismo incontriamo “vis a vis” l’amica Saori, conosciuta via e-mail che sta studiando per conto suo un po’ di italiano. Consegniamo a Saori un piccolo ricordo, un libro sul Veneto pieno di foto con didascalie sia in italiano che in inglese in modo che possa esercitarsi con la nostra lingua. Lei ci guarda stupita e meravigliata e subito si precipita nel retro dell’ufficio dove prende degli omaggi e delle guide della città rigorosamente in italiano. Salutiamo Saori con la promessa di rivederci l’indomani e ci avviamo in cerca della nostra ryokan che troviamo quasi subito (ryokan Rickshaw Inn 11.600 yen a notte a camera, circa 73 euro). La ryokan è molto curata e gestita interamente da donne: la sala comune ha dei bei divani comodi e moltissimi libri fotografici che si possono consultare. Anche la camera è molto carina: i futon, il basso tavolo, i cuscini per sedersi per terra e…Una piccola stufa. Si perché qui siamo a 1000 metri di altitudine e quindi potrebbe fare fresco ma per il momento noi stiamo bene. Per la prima volta nella nostra vacanza non accendiamo il condizionatore, l’aria fuori è frizzante e fresca e questo ci conforta moltissimo: dopo il caldo soffocante degli ultimi giorni non avremmo sopportato ancora a lungo gli oltre 40 gradi. Dopo un po’ riposo, usciamo per le tranquille strade di Takayama fino ad arrivare alle pendici dei monti che la circondano. Qui seguiamo un percorso a piedi in mezzo a decine di templi buddisti e santuari scintoisti uno più bello dell’altro, quasi tutti deserti e circondati da boschi silenziosi. Il percorso si conclude di fronte ad uno stagno lungo le cui rive ci sediamo per riposarci e per ammirare le ninfee e soprattutto le carpe rosse, nere e bianche giganti e voracissime. Oramai comincia a fare buio ed arriva anche un po’ di freddo per cui decidiamo di rientrare in ryokan per una doccia. Andiamo a cena in un izakaya (locale tipo pub dove servono decine e decine di piatti alla griglia) gestito da ragazzi giovanissimi, dove ci sediamo, sempre per terra, in mezzo a rumoreggianti giapponesi che si ingozzano di cibo e scolano intere bottiglie di sakè. Per fortuna hanno un piccolo menù in inglese: Ste, fedele al suo vegetarianesimo più o meno convinto, ordina zuppa di funghi, tofu ed una bistecca di soia, io una specie di frittata con cavolo nero e carne con un contorno di patate. Superfluo dire che tutto è delizioso. Ci congediamo dagli allegri ragazzotti giapponesi con la promessa di tornare la sera successiva. Passeggiamo per una Takayama by night praticamente deserta: bellissimo il piccolo quartiere vecchio dove ogni casa in legno ha una piccola lanterna bianca ad illuminarla e belli pure i numerosi ponti che scavalcano l’Enako-gawa, da quello rosso a quello verde a quello color pietra nera. Si è fatto tardi ed i nostri futon ci aspettano.

La mattina successiva ci alziamo tardi visto che non dobbiamo fare lunghi spostamenti e, dopo aver fatto colazione, visitiamo i due mercati mattutini di Takayama molto allegri e colorati, il primo sul lungofiume il secondo in una vivace piazzetta. Approfittiamo per fare qualche acquisto ed assaggiamo una delle specialità locali che vendono degli ambulanti sui loro carrettini: palline di farina di riso cotte alla griglia e spennellate di salsa di soia. Verso mezzogiorno decidiamo di prendere il treno per Hida Furukawa un piccolo villaggio a 20 minuti di treno da Takayama. La piccola stazione completamente in legno ci accoglie coperta da un cielo che però non promette nulla di buono. Facciamo un salto al locale ufficio del turismo per prendere qualche mappa e ci dirigiamo verso il vecchio quartiere dei magazzini: lunghe costruzioni in calce bianca, bei canali placidi dove vivono le solite carpe, giardini molto curati. Comincia a piovigginare ed abbiamo fame ma i pochi ristoranti che vediamo sono già chiusi (anche la città è praticamente quasi deserta): in una piccola piazza siamo attirati da un chiosco posto sotto una tenda dove ci sono quattro o cinque persone che sbocconcellano una specie di cotoletta-polpetta fritta in olio bollente al momento dall’omino dietro una finestrella. Dopo aver capito (più o meno) che si tratta di carne e patate, assaggiamo questa specialità che, dobbiamo dire, è davvero ottima. Ora, con qualcosa sullo stomaco, stiamo meglio e possiamo continuare il nostro giro. Arriviamo ad un bellissimo tempio molto antico e assolutamente deserto con una grandissima veranda aperta che corre tutto intorno: è piacevolissimo camminare a piedi scalzi sul legno vecchio tirato a cera. Proprio quando stiamo per finire il giro, si scatena il solito diluvio e a noi non resta altro che sederci per terra al sicuro sotto la veranda e guardare l’acqua che viene giù a secchiate. Dopo una mezzora la pioggia ci concede una tregua ed approfittiamo per spostarci in un’altra parte della cittadina. Sulla nostra strada incrociamo decine e decine di bimbi che tornano da scuola, tutti con i loro ombrelli gialli, che si divertono e giocano. Altro tempio, altra terrazza, altro diluvio. Anche qui siamo costretti ad una sosta forzata però devo dire che guardare la pioggia appoggiati alle pareti in legno di un tempio buddista è un’esperienza particolare, soprattutto se intorno a te c’è il silenzio più completo a parte il rumore dell’acqua. Poi la pioggia cessa e quindi ci avviamo verso la stazione per far rientro a Takayama che ci accoglie con un cielo grigio e plumbeo. La nostra camera è invece calda e asciutta e dopo una doccia io mi infilo sotto le coperte per leggere un po’ mentre Stefano scende per fumare una sigaretta (tutte le ryokan sono non-smoking). Va a finire, ovviamente, che mi addormento; dopo circa 40 minuti di sonno mi sveglio con la camera deserta. Decido quindi di scendere anch’io per una boccata di tabacco ma sotto di Ste non c’è traccia. Giro tutta la ryokan senza trovarlo, quindi torno su a continuare la mia lettura. Dopo una buona ora comincio a preoccuparmi: conoscendolo, sarà in qualche negozio a curiosare, ma il tempo trascorso dalla sua discesa comincia ad essere un po’ troppo. La guida ce l’ho io e con il senso di orientamento che si ritrova (per lui le piante di tutte le città del mondo sono “reticolari” cioè strade dritte che si intersecano tipo quadrati…) c’è una buona probabilità che si sia perso. Mai pensiero fu più azzeccato: dopo un po’, infatti, fa capolino dalla porta e mi racconta la sua avventura a Takayama. Cammina di qua, cammina di là, è sbucato in un quartiere che non aveva mai visto e quando ha cercato di tornare sui suoi passi ha girato in tondo inutilmente senza ritrovare la ryokan. Ha cercato di chiedere indicazioni alla proprietaria di un negozio che più o meno è riuscita a spiegargli la strada; ma anche con le indicazioni della gentile signora non è riuscito a tornare indietro. Il caso ha voluto che dopo mezzora che vagava quasi disperato, ad un semaforo si sia fermata proprio la proprietaria del negozio dove aveva chiesto informazioni che lo ha riconosciuto, caricato in macchina e portato davanti alla ryokan! Questo è solo uno dei tanti episodi che dimostrano l’estrema gentilezza del popolo giapponese. Dopo questo racconto concitato ci accorgiamo di avere fame per cui ci vestiamo ed andiamo dagli allegri ragazzi del pub che ci hanno fatto una bella sorpresa: sul tavolo dove eravamo seduti ieri sera c’è un gran cartello con scritto “RESERVED”! Ed è riservato per noi! Mitici. Questa sera mangiamo formaggio fritto con patate, zuppa di funghi, le mitiche crocchette di crema di granchio e una frittata con radicchio di Takayama (simile al nostro spadone trevigiano). Passeggiamo poi per le stradine deserte e riporto Stefano vicino al posto dove, poche ore prima, si era perso. Ammiriamo quindi il grande torii rosso illuminato, camminiamo lungo il fiume e poi in ryokan a fare le valigie.

30 Agosto 2007 MATSUMOTO Di mattina presto e sotto una pioggerellina sottile, partiamo da Takayama con il treno diretto a Minoota. Anche questo accumula ritardo. Abbiamo deciso di seguire un percorso diverso da quello programmato che prevedeva di ritornare fino a Nagoya e poi da qui raggiungere Matsumoto: vorremmo invece “tagliare” il percorso prendendo un trenino locale che passa in mezzo alle montagne e ci farà guadagnare un’ora. Il treno accumula sempre più ritardo e quando arriviamo a Minoota riusciamo per un pelo a prendere il piccolo futsu per Taijimi (perso questo avremmo dovuto aspettare un paio d’ore in questo piccolo villaggio perso tra i monti). Da qui prendiamo un altro treno per la nostra meta del giorno: Matsumoto. Perché Matsumoto? Pur essendo fuori dalle comuni rotte turistiche avevo voluto inserirlo nel nostro viaggio affascinato dalle parole della Lonely che facevano più o meno così: “Appena scesi dalla stazione di Matsumoto avrete l’impressione di trovarvi in un posto speciale…”. Per tutto il viaggio Ste mi aveva preso in giro per questo fatto e mi diceva: “Non vedo l’ora di scendere alla stazione per verificare questo posto speciale…”. Quando, effettivamente, scendiamo dal treno troviamo una comunissima e banale città di montagna. Non dico che rimaniamo delusi ma neanche affascinati…Cerchiamo quindi il nostro albergo (Green Hotel – 10.000 yen a notte, circa 60 euro) a cinque minuti a piedi dalla stazione dove abbiamo scelto comunque una japan style room. Anche questa sistemazione è carina e molto pulita, pur trattandosi di un tipico albergo “a torre”. Poggiamo le valigie in camera e siccome abbiamo solo il pomeriggio per visitare la maggior attrazione di Matsumoto costituita dal famoso castello, partiamo subito a piedi. Matsumoto si rivela comunque una bella cittadina con qualche viuzza affascinante. Ma quando arriviamo al castello rimaniamo quasi senza fiato: completamente in legno, circondato da un largo canale dove si specchia e da giardini curatissimi, questa costruzione era un avamposto di guerra dove si riunivano i samurai che difendevano la città. All’entrata ci danno dei sacchetti di plastica dove dobbiamo riporre le scarpe, visto che dobbiamo effettuare la visita a piedi scalzi dato il preziosissimo e vecchissimo pavimento di legno. L’interno è un susseguirsi di scale, scalette, saloni tutto in legno lucidissimo dal soffitto alle colonne al pavimento. Usciamo dal castello e attraversiamo i giardini fino ad arrivare ad un bel pergolato con accoglienti panchine poste proprio di fronte al castello dove ci fermiamo per una sigaretta. Riprendiamo quindi la via del piccolo quartiere di Nakamachi con gli antichi magazzini trasformati in negozi di antiquariato (secondo voi dove passiamo circa un’ora? Ste scova un negozietto con pezzi birmani molto belli…Ovviamente non uscirà a mani vuote!). Attratti da un negozio di vecchi kimono, entriamo e dopo circa un’ora ne usciamo con la nostra bella borsa contenente un prezioso (anche se non caro!) kimono blu notte degli anni ’50. Poi setacciamo tutti i centri commerciali della città in cerca di un paio di Crocs (zoccoli di gomma che hanno avuto una risonanza mondiale quest’estate, diventando assolutamente di moda) che sono diventate, per me, un’ossessione: fin dal primo giorno le ho viste addosso ad un giapponese e mezzo su due (nel senso che ce le hanno anche i bambini piccoli) e visto che qui costano praticamente metà che in Italia devo tornare con almeno un paio in valigia. Purtroppo troviamo taglie ma non colori da una parte e colori ma non taglie dall’altra. Ci fiondiamo in una libreria che vende testi usati dove per pochi yen compriamo un libro di vecchie foto sulle celebrità inglesi e qualche regalo per gli amici. Si è fatto oramai buio e sta piovigginando per cui decidiamo di tornare in albergo per una doccia, prima di andare a cena. Seguendo i consigli della Lonely andiamo a mangiare in un bellissimo ristorante ricavato da un ex magazzino del riso, con vecchi contenitori di questa preziosa merce e vecchie foto alle pareti (Kura restaurant, zona di Nakamachi). Ci facciamo portare un piattone di tempura (pesce e verdure fritte in una pastella leggerissima) che si rivela stratosferico. La proprietaria è davvero gentile con noi e non finisce più di riempirci i bicchieri di tè verde bollente che siamo, nostro malgrado, costretti a bere (un bicchiere va bene, due così così, il terzo proprio facciamo fatica…). Prima di lasciare il ristorante la proprietaria ci regala due belle stampe a carboncino che raffigurano interno ed esterno del ristorante e due caramelle, augurandoci un buon viaggio. Anche la nostra serata a Matsumoto volge al termine e quindi torniamo in albergo.

31 Agosto 1 Settembre 2007 SENDAI – MATSUSHIMA Ci aspetta oggi l’ultimo, lungo trasferimento. Dopo colazione prendiamo il treno per Nagano: essendo “sulla strada” decidiamo di fermarci a far visita alla famosa città Olimpica. Dopo aver sistemato i dinosauri nei soliti coin-lockers, ci avviamo lungo la strada principale. L’aria è molto fresca ed è molto piacevole passeggiare lungo i bei viali alberati della città che ha ospitato le Olimpiadi invernali del 1998. Quasi per caso passiamo davanti alla “piazza olimpica” dove si svolgevano le premiazioni: oggi è un parcheggio di auto, ma il podio è rimasto lì un po’ diroccato, con grandi gigantografie sbiadite della cerimonia di apertura. Finalmente raggiungiamo il Zencoi-ji il bellissimo tempio di Nagano, meta di molti pellegrini giapponesi. Una serie di piccole costruzioni in legno con relativi giardini circondano il tempio principale, davvero gigantesco e ricoperto all’esterno da decine e decine di bandiere buddiste. Comincia a piovigginare, ma stavolta con noi abbiamo gli ombrelli. Per pranzo facciamo sosta in un bel ristorante specializzato in cucina italiana: la pasta è davvero buona e soprattutto cotta a puntino mentre l’insalata di Ste un po’ insipida. Dopo un giro per negozi dove cerchiamo invano le mie Crocs, recuperiamo le valigie e prendiamo il treno per Omiya dove cambiamo con lo Shinkansen che ci porta direttamente a Sendai. Arriviamo qui alle sei e mezza di sera e quando usciamo dalla stazione piove e fa freddo. Ma fa freddo sul serio nel senso che ci sono 17 gradi. Sotto il diluvio, con ombrelli, felpe e valigie al seguito cerchiamo l’albergo più “lussuoso” del nostro viaggio (anche se non il più costoso: Holiday Inn Sendai – 11.600 yen a notte a camera, circa Euro 72,00). Sbagliamo però strada ma un ragazzo molto gentile ci indica la via giusta. L’albergo è davvero bello e nuovissimo (ha qualche anno di vita) ed ha tutti i comfort tipici dei grandi alberghi di “categoria”. Per carità bellissime e caratteristiche le ryokan, ma la nostra camera al 7° piano con vista bellissima e con due soffici queen bed è davvero molto confortevole. Dopo la doccia, visto che è già molto tardi e la giornata è stata intensa, andiamo in centro a mangiare un panino veloce e fare due passi in galleria (quella principale è lunghissima e piena di negozi di tutti i tipi). Purtroppo continua a piovere e fa davvero freddo: ci accoccoliamo nei nostri morbidi lettoni un po’ preoccupati per domani. Se pioverà la gita alla baia di Matsushima sarà rovinata. Ma il sonno prende il sopravvento… Il mattino dopo il cielo è un po’ grigio ma non piove. Prendiamo quindi un futsu per Nobiru, piccolo paesino dal quale con una lunga passeggiata si accede ad Oku-Matsushima. Scendiamo nella minuscola stazione e, come d’abitudine, visitiamo il microscopico ufficio del turismo dove la gentile addetta ci fornisce una cartina in inglese della zona. Imbocchiamo quindi una bella strada costeggiata da pini marittimi per dirigerci verso la baia. Ma dopo un po’ ci perdiamo: la strada davanti a noi finisce. Un’anziana contadina sta estirpando delle erbacce dal suo orticello e quando ci vede confusi, molla tutto e ci viene incontro. Ovviamente non parla inglese ma le mostriamo sulla cartina la baia e dopo aver riposto guanti e forbici ci accompagna per un quarto d’ora per viottoli campestri fino a quando giungiamo sulla strada principale. Ecco un altro esempio di gentilezza estrema. Puntiamo ora dritti verso il lungo mare dove ci accoglie una bellissima e deserta spiaggia senza né case, né alberghi, né moto d’acqua, né ombrelloni né bagnanti chiassosi. Il cielo sopra il mare è plumbeo e contribuisce a dare a questo angolo di Giappone un sapore decisamente nostalgico. Arriviamo quindi alla baia e, quasi per caso, vediamo sulla nostra sinistra una piccola insenatura con un cartello con scritte in kanji e sotto una barca disegnata in mezzo al mare. Pensiamo, quindi, che si tratti di visite guidate in barca alla baia. Ed in effetti una piccola barchetta a motore con quattro turisti giapponesi a bordo sta partendo. Velocemente corriamo al baracchino dove vendono i biglietti (anche i cartelli appesi qui sono tutti in kanji) e la signora avverte con un microfono antidiluviano il comandante che ci aspetta. Il tour della baia è davvero spettacolare (50 minuti circa, 1.500 yen): seduti sulla parte aperta della barchetta (le due coppie di turisti giapponesi si è rifugiata in cabina a causa del freddo) investiti dagli spruzzi freddi dell’acqua salmastra ammiriamo stupendi e deserti isolotti sui quali svettano vecchissimi pini marittimi, falesie altissime che circondano baie tranquille, scogli che affiorano appena ricoperti letteralmente di gabbiani strillanti. Il cielo è sempre più grigio e nuvole gonfie pesano sulla nostra testa, ma il tutto rende il paesaggio ancora più bello e suggestivo. Di ritorno verso l’approdo il comandante lancia la piccola barca a velocità incredibile ma i gabbiani ci tengono testa e corrono sulla nostra scia, vicinissimi alle nostre teste. Ringraziato il comandante, torniamo verso la stazione per la strada interna passando in mezzo a paludi, passerelle di legno, prati, boschi. Incontriamo solamente una scolaresca di ragazzini in gita che si fanno fotografare e allegramente ci salutano. Per pranzo prendiamo dei buonissimi tramezzini nel piccolo drugstore vicino alla stazione che mangiamo aspettando il treno. Scendiamo quindi a Matsushima Kaigan, la parte più turistica della baia di Matsushima. Questo è un altro dei tre punti più famosi e fotografati del Giappone, ma è parecchio deludente. Si, ci sono questi begli isolotti che punteggiano la baia, alcuni dei quali collegati alla terra ferma con dei bei ponti rossi che si percorrono a piedi, ma il posto è strapieno di turisti giapponesi, di ristoranti, di negozi di souvenir pieni di cianfrusaglie. Facciamo comunque una bella passeggiata sul lungomare e visitiamo il più grande degli isolotti, percorrendo un lungo ponte che attraversa il basso fondale. Sull’isolotto c’è un giardino botanico con belle piante e belle vedute della baia. Ci stufiamo però presto della folla e decidiamo di tornare a Sendai dove, una volta arrivati, gironzoliamo per negozi e centri commerciali. Di Crocs però neanche l’ombra (Ste ogni tanto sbuffa: “Che palle con ‘ste Crocs!”). Entrati in un negozio di scarpe, chiedo alla commessa se conosce un posto dove le vendono. Purtroppo non capisce l’inglese ma le viene in aiuto una giovane e carina ragazza che si sta provando un paio di stivali. Parlottano fra di loro e poi la ragazza, voltandosi verso di me, mi dice dove posso trovare le amate “most ugly shoes in the world” in un buon inglese. Le chiedo allora se questo posto sia lontano e se sia difficile trovarlo. Ci pensa un paio di secondi e mi dice che se abbiamo pazienza di attendere che paghi gli stivali che ha appena comprato, ci accompagna lei. E così è. Lungo il tragitto Miyuki (così si chiama) mi spiega che parla inglese perché lo studia all’università e quando le dico che lo parla veramente bene (??) sorride apertamente e diventa rossa, lanciando gridolini di meraviglia. Con la nostra “guida” giungiamo direttamente al piano del centro commerciale dove c’è il famoso Murasaki Sport e dove finalmente trovo le mie Crocs verde lime. Ringraziamo Miyuki per il favore e lei ci dice che è stato un piacere per lei aiutarci. Altro esempio di estrema gentilezza giapponese. Approfittiamo poi per fare un po’ di shopping ed arriviamo in albergo col buio pieni di borse e borsette. Dopo una doccia, andiamo a cena in un izakaya che avevamo notato la sera prima. Seduti ad un bancone circolare ci facciamo portare ogni tipo di spiedino possibile, carne, pesce, verdure, insalata, tutto strepitoso. E’ particolarmente bello, poi, cenare sul bancone in mezzo ad allegri e vocianti ragazzi giapponesi. Dopo la luculliana cena facciamo due passi e poi di nuovo in albergo per preparare le valigie visto che domani torniamo a Tokyo.

2 – 3 Settembre 2007 TOKYO – YOKOHAMA Carichi come muli (i bagagli si stanno moltiplicando) lasciamo il nostro bel albergo e la piacevole città di Sendai (che consigliamo vivamente di visitare) per tornare con un rapidissimo Shinkansen a Tokyo. Cambiamo a Utsunomiya e poco dopo arriviamo di nuovo a Ueno con una temperatura ben diversa da quella che avevamo trovato quasi 20 giorni fa. Ripercorriamo la bella strada alberata sentendoci quasi a casa. Molto calorosa l’accoglienza dei proprietari della ryokan che chi chiedono come è andato il viaggio e ci dicono che la camera sarà pronta nel pomeriggio. Ma stavolta non abbiamo fretta di salire in camera perché vogliamo sfruttare al massimo le nostre ultime 48 ore nella capitale, per cui dopo una bella tazza di Nescafè Gold, ci dirigiamo verso il parco di Ueno. Questo immenso polmone verde di Tokyo è disseminato di templi, bei laghetti pieni di fiori di loto e fontane. Quindi in stazione dove prendiamo la Yamanote Line (avendo ancora valido il JR Pass non vale la pena utilizzare la metro ma sfruttare questa linea di treni che gira tutta intorno a Tokyo) fino a Shinjuku per visitare lo skyscrape district in maniera più approfondita (ricordate dove c’era il municipio di Tokyo? Ecco, la zona è la stessa). Visitiamo quindi il NS Building un altissimo grattacielo dove, nell’atrio, troneggia l’orologio a pendolo più alto del mondo (29 metri) che funziona con un particolare meccanismo ad acqua. Alzando gli occhi al “soffitto” notiamo una passerella aerea che attraversa il palazzo. Vedendo gli ascensori, decidiamo di prenderne uno fino al 39° piano dove si trova la passerella anche se ignoriamo se si possa fare, ma rischiamo lo stesso, al massimo ci cacceranno dagli ascensori! Invece va tutto bene. Arrivati qui io solo affronto lo skywalker perché Stefano decide invece di fare il giro visto che soffre di vertigini. La passerella è davvero spettacolare, tutta in vetro: guardare giù fa una certa impressione. Scopriamo che questo piano ha moltissimi ristoranti e decidiamo che stasera mangeremo qui. Riscendiamo a terra (con sollievo di Stefano) e ci dirigiamo nella zona della stazione di Shinjuku piena zeppa di negozi di elettronica: soliti giri al Yodobashi Camera e al Bic Camera dove assistiamo, in uno dei tanti televisori al plasma da 70 pollici (qui 42 pollici è la misura minima!) ad un campionato di pon pon girls. Sempre con la Yamanote Line andiamo di nuovo ad Harajuku, visto che è domenica, a caccia di nuove belle foto. Un sacco di personaggi nuovi affollano l’area di fronte all’entrata del Yoyogi park e quindi scattiamo all’impazzata. Facciamo quindi una bella passeggiata per il viale di Omotesando con i bellissimi e lussuosissimi negozi di moda. Sulla strada per Shibuya visitiamo una grandissima libreria dove (ovviamente) facciamo acquisti. Shibuya, come al solito, è straripante di gente. Torniamo quindi sui nostri passi e di nuovo ci rechiamo al municipio di Tokyo per risalire sulla torre nord per vedere la città “by night” bella da togliere il fiato. Essendo oramai ora di cena, torniamo all’NS Building dove al 39° piano mangiamo in una pizzeria con tavolo fronte vetrata e Tokyo illuminata ai nostri piedi. La pizza è davvero deliziosa, cotta a puntino e con vera mozzarella. Poi a Ueno per passeggiata nei pachinko immense sale giochi con slot ed altre diavolerie giapponesi. Ma basta allontanarsi di qualche centinaio di metri e imboccare la “nostra” stradina per piombare nel silenzio rotto solo dal frinire delle mille cicale che imperterrite continuano nella loro attività anche di notte. La nostra nuova camera (diversa da quella che avevamo al nostro arrivo) è, se possibile, ancora più grande e dopo aver spalmato i piedi di crema per lenire nuove, rosse e vivide vesciche e dopo aver discusso se andare a Nikko il giorno successivo (sarà pollice verso: troppo stanchi) ci addormentiamo di botto.

Ultimo giorno nella terra del sol levante. Tante cose ancora da vedere e da fare, ma il tempo è davvero poco. Dopo la colazione (brioche soffici al latte e caffè caldo), visitiamo “by day” l’affollatissimo mercato di Ueno che si trova sotto le arcate dei binari della ferrovia. Qui si trova di tutto: magliette nuove e usate, scarpe di tutti i tipi, pesce fresco e in salamoia, verdure e frutti mai visti. Un vero e proprio bagno di folla. Sempre con la Yamanote Line ci dirigiamo quindi verso il quartiere centrale per visitare il Sony Building a caccia di nuove diavolerie elettroniche. Purtroppo però è chiuso per “l’ispezione annuale”. Che sfortuna. Poco male perché lì vicino c’è l’ufficio turistico di Tokyo dove andiamo a chiedere informazioni su Yokohama, città satellite di Tokyo. Dopo aver reperito del materiale decidiamo che quella sarà la nostra meta del giorno. Più vicina rispetto a Nikko ma ugualmente affascinante (anche se diversa). E’ dall’inizio del nostro viaggio che sentiamo parlare di questa città che ci incuriosisce molto visto che non è quasi mai menzionata dai classici “tour” del Giappone. Quindi con la Minato Line (sempre JR) raggiungiamo in 40 minuti l’avveniristico e nuovissimo quartiere di Yokohama denominato Minato Mirai 21 (21 sta per XXI secolo) costruito direttamente sul mare con altissimi grattacieli bianchi a forma di vela, la Landmark Tower (edificio più alto del Giappone), dei bei ponti bianchi con alte arcate che solcano un mare azzurrissimo come il cielo di oggi ed un immenso parco giochi con la ruota panoramica più alta del mondo. Dalla stazione la Landmark Tower si raggiunge direttamente con un walkway, un tapis roulant lunghissimo che porta direttamente nel cuore del palazzo: decine e decine di piani sopra e sotto di noi con centinaia di negozi e ristoranti ed un atrio altissimo illuminato dalla luce del sole che filtra dalle vetrate immense. Un bel (?) McDonald’s con terrazza all’aperto ci invita alla pausa pranzo. Usciti dall’edificio, costeggiamo il mare su una larga passerella di legno che ci porta attraverso un piccolo ponte, direttamente al parco giochi. Non è stata molto dura convincere Stefano a salire sulla ruota panoramica, ma devo dire che quando siamo all’apice della salita vengono davvero i brividi. La vista comunque è superba: da un lato il mare azzurro con i ponti in lontananza ed il bianco grattacielo dell’Intercontinental fatto a mezza vela in primo piano, dall’altro la città con la Landmark Tower e gli altri palazzi circostanti tutti acciaio e cristallo. Discesi, facciamo una bella passeggiata sul lungo mare con il sole che pian piano sta tramontando. Yokohama anche se noi abbiamo visto solo il Minato Mirai 21 è sicuramente una meta trascurata, ma che vale la pena di visitare (in quattro-cinque ore da Tokyo si può fare tutto). Arriviamo a Tokyo che è già buio ed andiamo ad Ikebukuro per visitare un altro immenso grande magazzino, il Seibu. Dopo aver fatto avanti e indietro per gli innumerevoli piani ed aver fatto gli ultimi acquisti, visitiamo Sun City, un’immensa “città” che si sviluppa sopra e sotto terra piena di negozi e ristoranti. Tornati a Ueno, consumiamo l’ultima cena nel ristorante dove già avevamo mangiato la nostra terza sera in Giappone: finalmente Stefano ha l’occasione di assaggiare i soba, grossi spaghetti di grano saraceno “conditi” con alghe fresche. Per tutto il viaggio li ha sempre guardati e riguardati ma non c’è mai stata l’occasione di assaggiarli. Quando glieli portano, ne assaggia due e subito fa la faccia schifata: sono completamente freddi e non sanno di niente. Dizionario di Giapponese alla mano, chiediamo se li possono riscaldare: detto fatto, i soba arrivano galleggiando dentro ad un brodo caldissimo e saporito. Così si possono mangiare! Poi carne alla piastra, patate al formaggio e tofu fritto. Non ci facciamo mancare nulla. Salutiamo anche le luci ed il tranquillo parco di Ueno, percorrendo per l’ultima volta la silenziosa stradina. In ryokan saldiamo il conto e l’anziana proprietaria, dopo essere sparita dietro una tenda, riappare con dei regalini e mille inchini di ringraziamento. Saliamo in camera dove fatichiamo a chiudere i nostri dinosauri e finalmente, a mezzanotte, spegniamo per l’ultima volta la luce in Giappone. Il mattino dopo, sveglia prestissimo e di corsa (si fa per dire con le valigie pesantissime…) a Ueno dove prendiamo il Limited Espress della Keisei (il biglietto si può fare solo sulle macchinette, non esistono “sportelli” per il Limited Express ma solo per lo Skyline: comunque è tutto semplicissimo) che più ci avviciniamo a Narita e più si riempie di giapponesi sonnecchianti. Una lunga coda al check-in, una sosta al duty free per far scorta di sigarette (qui costano ancora meno che in città: 1.60 Euro contro 2.00 Euro). Il volo è puntuale e le ore scorrono tra film e buon cibo. Arriviamo a Vienna dove “in corsa”, visto che ci sono solo 45 minuti tra un volo e l’altro, prendiamo il turboelica per Venezia che, dopo circa un’ora e mezzo di volo, ci appare al tramonto. Anche quest’avventura è, purtroppo, finita.

Impressioni & Emozioni Sicuramente un viaggio in Giappone è un viaggio antropologico. Non che non ci siano bellezze naturali o architettoniche ma, di fronte al popolo giapponese, scompaiono decisamente. E così, fin dal primo giorno, i giapponesi ci hanno continuamente stupiti con le loro manie, le loro abitudini, i loro gesti per noi spesso inconsulti e incomprensibili.

E allora cominciamo con l’elenco.

I macchinisti dei treni che tutti soli nella loro cabina di pilotaggio sembra che dirigano un invisibile traffico facendo gesti con le mani e con le braccia; ragazzi e ragazze giovani e meno giovani dotati di tutti i più moderni apparecchi elettronici: iPod, playstation portable, cellulari, nintendo, palmari e via di seguito; la mania di appendere al piccolo foro del cellulare qualsiasi cosa, dalle catenelle con medaglioni, a grandi peluche, da animaletti a conchiglie a collane vere e proprie lunghe decine di centimetri; all’altra mania di sedersi in metropolitana e tirar fuori i cellulari, ma non per telefonare bensì per “smanettare”: non abbiamo ancora capito se mandassero messaggi o semplicemente giocassero con i tanti solitari messi a disposizione dai gestori telefonici; delle ragazze che si truccano e si arricciano i capelli abbiamo già detto; gli inchini a volte davvero profondissimi; i loro “hai, hai” (tradotto letteralmente “si, si”) a volte gridato ad alta voce; l’abbigliamento: pur essendo a volte anticonformisti, nel senso che ognuno si veste come vuole, qui c’è davvero l’anticipazione di tutte le mode del mondo, con un’unica concessione alle grandi “bags” di noti stilisti (Gucci, Vuitton, Prada e via di seguito) che TUTTI portano, sia ragazzi che ragazze rigorosamente appoggiate all’interno del gomito; le pettinature sfilettate (cioè capelli dritti tirati sugli occhi a ciocche); le ciglia e le unghie finte che quasi tutte le ragazze portano.

Ma, insieme a queste manie ed abitudini, dobbiamo assolutamente spendere due parole sull’incredibile gentilezza del popolo giapponese. Mai trovato qualcuno che si tirasse indietro dal darci una mano! Pur essendoci davvero pochissime persone che parlano un po’ di inglese, tutti si sforzavano da morire per darci indicazioni, per darci consigli, per “attaccare bottone”. E non solo il personale delle ryokan e dei ristoranti, ma qualsiasi persona incontrata per strada. C’è poi da dire che il Giappone è costellato di luoghi comuni che, spesse volte, impediscono ai turisti di visitare questo paese.

Prima di tutto, come già abbiamo detto, il costo del viaggio: assolutamente non è vero che in Giappone tutto è proibitivo, anzi, come potrete aver notato dalla lettura del racconto, nella maggior parte dei casi costa meno che in Italia.

Poi il fatto che si parli ovunque una lingua praticamente incomprensibile: questo è verissimo, ma quasi tutti i luoghi attorno ai quali gravitano i turisti hanno le doppie indicazioni in kanji e in romanji (cioè il nostro alfabeto). Per cui, mai nessun problema nelle stazioni dei treni, delle metropolitane, nei templi, nei monumenti. Ecco, per esempio prendere un autobus non è così semplice come prendere la metro ma, per esempio a Kyoto hanno istituito i tre Raka-Bus che servono tre distinte zone della città (quelle più turistiche) dove stazioni e luoghi sono annunciati in inglese. Basta avere un po’ di pazienza e, ovviamente, senso dell’orientamento: una buona guida o una buona cartina aiutano moltissimo.

Altro luogo comune è che in Giappone ci sia poco da vedere: assolutamente falso! Vi diremo di più, tantissimi posti noi li abbiamo scoperti per puro caso perché trascurati anche dalle guide più famose. Ad esempio i moltissimi, vecchissimi e bellissimi templi di Kanazawa, conosciuta più che altro per il minuscolo quartiere dei Samurai: certo, erano nascosti e disseminati in un territorio vastissimo, problema al quale si può ovviare, come abbiamo fatto noi, con una bicicletta. Altro esempio Oku Matsushima, da preferire assolutamente alla più nota, famosa e turistica Baia di Matsushima (Matsushima-Kaigan).

Ancora, il Giappone non è solo suhi e sashimi. A noi non piace il pesce crudo ma abbiamo mangiato delle cose talmente incredibili e buone che ancora oggi ci viene l’acquolina se ci pensiamo. Ad esempio la deliziosa carne alla griglia (spiedini, bistecche, polpette), una tempura favolosa, udon e noodles di tutti i tipi e cotti in tutti i modi, le favolose granite, un vero toccasana nelle giornate bollenti, il gelato al tè verde, le grandi okonomiyaki, frittate con noodles, pesce e carne, cotti direttamente da voi stessi sulla grande piastra incastrata sul tavolo. E poi i dolci più strani, come i ravioli di Kyoto, una specie di sfoglia ripiena di crema fagioli di soia (che pare marmellata di castagne), le gelatine multicolori, i mille tipi di pastries e via di seguito.

Insomma, noi in Giappone siamo stati davvero bene. E’ stato un viaggio facile, forse un po’ guastato dal gran caldo. Ed è per questo che consigliamo, se possibile, di farlo in altro periodo dell’anno. Ma davvero scoprire un paese così diverso dal nostro e così “lontano” (non solo geograficamente), è stata una gioia. Pur essendo un paese “chiuso”, gelosissimo delle proprie tradizioni, usi e costumi, attentissimo a non far uscire “segreti e bugie” dal proprio territorio, quando un turista arriva qui trova un’accoglienza davvero straordinaria. Il sogno sarebbe quello, in futuro, di tornarci magari in pieno inverno per visitare la fredda e bianca isola di Hokkaido nell’estremo e desolato nord, e magari fare un bel bagno in un roteburo (onsen all’aperto) in mezzo alla neve fresca. Chissà, forse fra qualche anno…

Arrivederci Giappone.



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