Due per strada… in Giordania e Palestina

Consigli logistici per un viaggio on the road zaino in spalla
Scritto da: Federica Ferri 1
due per strada... in giordania e palestina
Partenza il: 02/11/2013
Ritorno il: 09/11/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
Siamo partiti da Roma Fiumicino con un volo low cost EasyJet per Tel Aviv, prenotato 4 mesi prima e pagato molto poco (100 euro a/r). Arrivati a Tel Aviv abbiamo risposto alle domande non troppo simpatiche degli addetti alla sicurezza, e come da prassi, ci hanno attribuito un codice di pericolosità (è il primo numero del rettangolo giallo che attaccano dietro il passaporto, ed ha una scala che va da 1=poco pericolosi a 6). Sbrigate le procedure ci siamo imbarcati per Eilat, città al confine con la Giordania, con un volo interno El Al.

Eilat è sicuramente molto apprezzata dagli amanti degli hotel di lusso e delle grandi barche per cui a noi non è piaciuta, ma è un ottimo punto di appoggio per attraversare il confine al mattino presto.

Dall’ostello dove alloggiavamo abbiamo camminato fino all’aeroporto, situato all’interno della città e da lì abbiamo preso un taxi che per 30 shekel ci ha portati dalla parte israeliana del confine con la Giordania (che si può raggiungere anche a piedi dal centro di Eilat, 2 km).

Abbiamo attraversato il confine a piedi e, dopo aver pagato la tassa di uscita da Israele (105 shekel a testa, circa 25 euro) e aver cambiato gli Shekel con i Dinari giordani, ci siamo trovati difronte ad un enorme parcheggio di taxi, controllato da un tizio che spontaneamente si incarica di scoprire dove siamo diretti, suggerirci la soluzione più consona ed avviarci al tassista(non autorizzato) da lui prescelto! In questi casi i rischi di imbrogli da prezzo gonfiato sono alti, ma fortunatamente appena fuori la frontiera l’amministrazione giordana, per tutelare i turisti, ha messo un enorme cartello con i prezzi per le località turistiche più gettonate. Così ci siamo accordati con Ali per farci portare al deserto del Wadi Rum e, dopo la nostra escursione, a Petra per 80 dinari.

Il viaggio è stato molto piacevole, nonostante le continue offerte che ci faceva il nostro autista. Tutte rifiutate. State attenti a non accettare escursioni nel Wadi Rum a prezzi molto bassi perchè solo le guide autorizzate hanno il permesso di entrare, e queste escursioni false conducono ad un’altra area brulla alle porte del deserto vero.

Arrivati al centro visitatori, che è già di per se molto affascinante, abbiamo scelto la nostra escursione (57 dinari per 3 ore su una 4×4) tra una lista esposta in un cartellone con mappe, prezzi e tempi di percorrenza.

Siamo saliti sul retro del fuoristrada, all’aperto, e ci siamo addentrati nel deserto, attraversando il villaggio Rum. Dietro il villaggio non c’era più la strada ma solo il deserto sconfinato ed incredibile. Ci sarebbe piaciuto evitare un’escursione organizzata ed andare a piedi, ma come si può immaginare nel deserto è impossibile e pericoloso orientarsi da soli. La nostra giuda, Majd, un ragazzo beduino molto giovane parlava inglese, si fermava ogni volta che glielo chiedevamo, oppure ci proponeva delle soste interessanti, spiegandoci tutto sul deserto. È stata un’esperienza meravigliosa, piena di colori come rosso, beige, marrone, bordò e celeste del cielo. Il Wadi Rum è un deserto sabbioso e roccioso con montagne brulle, isolate sullo sfondo. Conoscere e chiacchierare con gli abitanti del deserto sulle loro abitudini e la loro cucina è stato molto coinvolgente. È uno dei posti più belli che abbia mai visto e merita un viaggio intero.

Finita l’escursione siamo tornati al villaggio Rum dove ci attendeva il nostro autista che ci ha portati a Petra, facendo la strada dei Re, molto più affascinante di quella normale. Per visitare Petra si dorme nella città adiacente, Wadi Musa, polverosa, piccola e solo punto di appoggio per turisti. Il proprietario dell’albergo era molto gentile e la camera deliziosa. Anche se si deve stare attenti a chiedere in anticipo rassicurazioni sulla possibilità di avere l’acqua calda! Il giorno dopo abbiamo camminato 2 km in discesa per arrivare all’ingresso del sito archeologico di Petra, il cui costo di ingresso è 50 dinari.

Per visitare Petra ci vogliono molta determinazione, buone gambe, e ottima capacità di resistenza, perchè per vedere il Tesoro, il Monastero con deviazione sulla strada delle facciate e ritorno si percorrono circa 25 km a piedi. Il Tesoro è l’edificio più conosciuto, quello oltre il Siq, quello di Indiana Jones, ma percorrere la salita fino al Monastero è una faticata che fa ben più apprezzare la grandezza, il mistero e il fascino della città dei Nabatei. Il sito chiude alle 18 e 30 e al ritorno trovarsi difronte al Tesoro è un’esperienza che può essere solitaria e ben più gradita. All’orario di chiusura non c’erano più turisti, ma solo i ragazzi beduini della zona, che gestiscono i servizi del sito, impegnati nelle loro faccende, a cavallo, con la sciarpa intorno al viso che lasciava scoperti solo gli occhi truccati di nero. Sono molto affascinanti. Abbiamo attraversato il siq per uscire, quasi al buio, da soli, è stato molto suggestivo.

La sera abbiamo partecipato all’escursione Petra By Night, una camminata dentro la gola fino al Tesoro, al buio, con la candele che illuminavano il percorso, consigliata!

La mattina successiva siamo usciti moto presto. Fortunatamente il canto del muezzin amplificato aveva offerto una sveglia molto efficace. Proprio dietro la moschea del centro c’è la stazione degli autobus; il primo autobus di linea per Amman è nel pomeriggio, ma la frontiera del ponte Allenby con la Cisgiordania chiude alle 16. Così pensavamo di prendere un taxi collettivo: un furgone con una decina di posti che parte solo se è tutto pieno, per cui l’orario non si può mai sapere in anticipo.

Ci siamo così seduti ad aspettare, rifiutando le insistenti richieste di un tassista che voleva portarci ad Amman per 50 dinari. Nell’attesa abbiamo conosciuto Hamed, un ragazzo molto simpatico che ci ha raccontato di essere un cantante alle proposte di matrimonio. Hamed aspettava una sua parente per andare ad Amman in macchina. Così siamo saliti in macchina con loro. Ci abbiamo messo 2 ore abbondanti, anche se ascoltando in macchina il suo repertorio musicale ci sono sembrate di meno :). Arrivati nella capitale gli abbiamo offerto 20 dinari per portarci direttamente al confine con la Cisgiordania, ed ha accettato volentieri.

Tutte le guide di viaggio parlano della frontiera del ponte Allenby come se fosse un’esperienza avventurosa e, riuscire ad attraversarla in poco tempo, un terno al lotto. In realtà è stato semplice e più veloce delle altre frontiere. I giordani erano sempre molto accoglienti, gentili, e sorridenti. Passati i controlli, si prende obbligatoriamente un pullman (5 dinari) che attraversa la terra di nessuno per giungere al check point israeliano, dove il clima cordiale lascia il posto a domande sospettose.

Convinte le autorità delle nostre buone intenzioni e passati dall’altra parte, abbiamo preso un taxi collettivo che per 45 shekel ci ha portati a Gerusalemme, alla porta di Damasco, dalla quale si accede alla città vecchia.

Dopo due passi dentro la città vecchia mi sono accorta che avevo un’altra idea di Gerusalemme.

Visitare Gerusalemme è come essere al bordo di una piscina, si sale sul trampolino e ci si tuffa nell’ebraismo, nell’islam, nel cristianesimo, nella storia del conflitto israelo-palestinese. Ci si tuffa dentro tante culture diverse, che sono ben visibili, e convivono in un ristretto spazio fatto di vie claustrofobiche e chiassose.

Alloggiavamo in un meraviglioso posto al confine tra il quartiere arabo e quello cristiano, nella via dolorosa. A volte la moltitudine ci assaliva appena varcato il portone per uscire in strada. In una scena tipica gruppi di religiosi, intonavano soavi canti, percorrendo la strada per il Santo Sepolcro, affiancati dalle grandi comitive delle escursioni giornaliere delle crociere con i loro cappellini tutti uguali. A loro si aggiungevano: religiosi di ogni tipo, turisti sparsi, inviti e grida dai venditori delle bancarelle ed un trattore che trainava un carretto per raccogliere la spazzatura, in pieno giorno, facendosi largo in questa confusione.

Camminare per la città vecchia era molto faticoso, a causa della confusione e perchè le strade sembrano sono tutte uguali.

Il primo giorno abbiamo visitato il Santo Sepolcro, Il Muro del Pianto e abbiamo atteso un’ora e mezzo per entrare alla Spianata delle Moschee senza riuscirci per via della lunga coda e degli orari di apertura con il contagocce. (dalle 7.30 alle 10, dalle 12 alle 13,30).

Nel pomeriggio abbiamo passeggiato nel quartiere arabo, percorrendo le due arterie principali Al-Wadi Rd e as-Zeit St. Il quartiere è un’esplosione di colori, di bancarelle, di veli colorati e di profumi deliziosi di spezie e dolciumi al miele. Bisogna camminare a zig zag, intrufolarsi e chinarsi. Serve molta agilità per evitare i carretti dai carichi pesanti che si fanno strada tra le signore sedute al centro strada per vendere le loro verdure, e i mercanti che ti tirano nei loro negozi.

Varcare l’arco che conduce al quartiere ebraico è come varcare una soglia spazio temporale (come quella tra il quartiere turco e quello austro-ungarico di Sarajevo). Le strade si allargano improvvisamente, diventano lastricate e nuove, le bancarelle lasciano spazio a gallerie d’arte, gioiellerie. Il centro del quartiere è una piazza a ridosso della Sinagoga Hurva, dove mamme con il Tichel in testa fanno giocare i loro numerosi figli.

Ararat Road chiaramente conduce all’austero quartiere armeno, il cui centro è un grande complesso monastico. La presenza armena a Gerusalemme era prevalentemente religiosa (l’Armenia fu la prima nazione ad aderire ufficialmente al cristianesimo nel 303) ma all’inizio del ‘900 la persecuzione turca introdusse un forte elemento secolare.

Abbiamo varcato Jaffa Gate per esplorare il centro della Città Nuova, il cui asse centrale è Jaffa Rd che conduce a Zion Square e Ben Yehuda. Sono strade larghe, piene di negozi, locali all’aperto, artisti di strada fricchettoni che suonano seduti per terra. È molto piacevole, ma non dissimile da molti centri europei.

Così ci siamo incamminati per Mea She’arim, il quartiere realizzato da immigrati ebrei ultraortodossi provenienti dai paesi dell’Europa dell’est alla fine del XIX s che diedero alle nuove case la stessa impronta di quelle che avevano lasciato in Polonia, Germania, Ungheria. Nonostante il loro trasferimento a Gerusalemme questi abitanti hanno mantenuto le tradizioni, gli usi e l’abbigliamento diffusi nei ghetti dell’est Europa nel Sette-Ottocento, tra cui abiti vecchio stile, cappelli neri per gli uomini e gonne che toccano il pavimento per le donne. Anche in piena estate è possibile vedere persone che indossano pesanti cappotti imbottiti e i Shtreimel, i cappelli di pelliccia. Abbiamo imboccato Mea She’arim Road all’incrocio con Shivte Israel, dove si possono leggere cartelli che consigliano ai turisti di non entrare nel quartiere per non offendere i residenti. Tutte le guide di viaggio avvisano di stare attenti a possibili lanci di pietre. Noi ci siamo avventurati per Mea She’arim Rd e non siamo stati trattati per niente male. L’importante è avere molto rispetto per le loro abitudini, e camminare solo con il desiderio di trarre un arricchimento dalla scoperta di un’altra cultura e un altro modo di vivere. Non certo con macchina fotografica alla mano, senso di stupore o peggio, ilarità.

Vi consigliamo di vedere Mea She’arim (quartier generale dell’antisionismo) perchè attraversarlo è un viaggio nel tempo.

La mattina dopo, molto presto, ci siamo recati di nuovo all’ingresso della spianata delle moschee, la fila era molto più lunga del giorno precedente. Cosi abbiamo aspettato pazientemente. Alle 10 ha chiuso, ma siamo rimasti a presidiare i nostri posti in coda fino alla riapertura alle 12,30.

È stata una delle esperienze più belle, perchè abbiamo conosciuto e chiacchierato con le altre persone in fila come noi, perchè Federica ha avuto il tempo per disegnare, e soprattutto perchè abbiamo avuto l’opportunità di partecipare alla cerimonia del Bar Mitzvah, il rito di passaggio in cui un bambino ebreo raggiunge l’età della maturità, a 13 anni, e diventa responsabile per se stesso nei confronti della Halakhah, la legge ebraica. L’entrata alla spianata delle moschee è esattamente accanto all’entrata per il Muro del Pianto, quindi eravamo nel punto in cui le famiglie ebree vestite a festa accompagnavano il proprio ragazzino salendo al muro, ballando e cantando al suono dei tamburi, dei clarinetti e dell’immancabile Shofar.

Se programmate la visita alla spianata delle moschee fatelo di lunedì o di giovedì perchè l’attesa sarà più lieta.

La Spianata delle Moschee, per altri il “Monte del Tempio” è un luogo che offre un rilassante contrasto con il rumore e la congestione delle strette vie che lo circondano, ideale per un pic-nic mentre si riflette sulla particolarità e unicità del posto. Molti pensano che sia il luogo dove si trova la pietra su cui fu fondato il mondo, il luogo dove Abramo stava per sacrificare suo figlio Isacco, dove sono sorti il Tempio di Salomone e il secondo Tempio (ampliato da Erode), dove si trova, secondo la tradizione ebraica, il Sancta Sanctorum e quindi l’Arca dell’Alleanza, nonché il luogo dove Maometto è salito al cielo.

Insomma un ripasso di una fetta importante di storia biblica. Peccato che la Cupola della Roccia non si possa più vedere dall’interno.

Nel pomeriggio abbiamo preso l’autobus Egged 487 dalla stazione centrale degli autobus facilmente raggiungibile in tram dalla porta di Damasco (direzione Mt Herzl).

L’autobus ci ha lasciati nei pressi di Kalia Beach, la più vicina spiaggia sul Mar Morto da Gerusalemme. La spiaggia libera più vicina è Ein Gedi, ma per raggiungerla ci vogliono circa 2 ore, così ci siamo accontentati di Kalia Beach, pagando il biglietto di ingresso 42 shekel.

L’autobus si ferma sulla strada principale, e per arrivare all’ingresso si percorrono a piedi 2 km in discesa. Fare un bagno nel Mar Morto è un’esperienza imprescindibile nel corso di un viaggio in Palestina.

I bagnanti sdraiati sull’acqua che leggono il giornale come se stessero sul proprio letto non è solo un’immagine convenzionale, ma un’esperienza che caratterizza davvero il bagno in questo lago salato. Ci siamo stati a novembre e l’aria e l’acqua erano molto calde, grazie anche al fatto che si trova in una valle affossata 400m sotto il livello del mare e l’aria è umida e stantia.

Kalia è famosa per i fanghi ed offre docce calde indispensabili per togliere tutto il sale, molto dannoso per gli occhi. Dopo aver galleggiato sull’acqua e aver visto il tramonto all’orizzonte sulle montagne Giordane dall’altra parte, ripercorrere la salita per raggiungere la fermata degli autobus per Gerusalemme era impensabile al buio pesto di quella strada. Così abbiamo cercato un passaggio. Non ci abbiamo messo molto a trovare un autobus di pellegrini cristiani canadesi che ci ha calorosamente riportato sulla strada principale.

La mattina seguente invece abbiamo preso l’autobus n 21 appena fuori dalla porta di Damasco per raggiungere Betlemme. Se vi recate a Betlemme prendete questo autobus e non il n 24 che vi lascia al check point israeliano, perchè si attraversa a piedi per poi prendere un taxi dall’altra parte.

Betlemme è bellissima, con le sue alte guglie, le strade e gli edifici di pietra bianca, le porte e le finestre verde acqua. Il cibo è delizioso e molto più economico di Gerusalemme e mangiare qui da la sensazione di fare qualcosa per sostenere questa economia in difficoltà. Ci sono piccole botteghe che intagliano il legno artigianalmente e soprattutto cooperative di donne palestinesi, che abbiamo conosciuto che, per cercare di resistere alla difficile situazione, vendono i propri manufatti.

Il muro di separazione tra Israele e il futuro Stato Palestinese, da molti chiamato “muro dell’apartheid” passa da Betlemme ed è indispensabile vederlo, per rendersi conto della situazione di oppressione che vivono i palestinesi e perchè, come successe al Muro di Berlino negli anni 80 le sue grigie pareti si sono trasformate in tele pronte per essere ricoperte di scritte, graffiti, murales che parlano di pace e di rabbia. Ci sono progetti di artisti provenienti da ogni parte del mondo, e Bansky è uno degli artisti più noti che ha trasformato il muro in una galleria d’arte (li potete ammirare nei pressi del Inter-continental Hotel).

Se siete religiosi e volete rendere omaggio alla tomba di Rachele (moglie di Giacobbe), sacra per musulmani, ebrei, cristiani, sappiate che il muro disegna una grande U che la fa rientrare in territorio israeliano e per vederla, pur essendo proprio a Betlemme, dovete attraversare il check point principale. L’ingresso è vietato ai palestinesi e a molti turisti.

Siamo ritornati a Gerusalemme con l’autobus 21, che si riprende in Hebron Rd. I soldati israeliani salgono sull’autobus per controllare il passaporto.

A Gerusalemme non era però una sera qualsiasi.

Era venerdì, ed appena scesi dall’autobus non ci si poteva dimenticare dello Shabbat: tanti ortodossi haredi, inconfondibili per il loro abbigliamento, camminano all’ora del tramonto, spediti, verso la città vecchia, per raggiungere, di corsa il Muro del Pianto.

C’era una strana atmosfera in città. Il flusso di gente ci ha trasportato al Muro come un legnetto che viene trascinato da un fiume che scorre.

Il Muro era pieno di gente: i chassidim vestiti di nero pregavano oscillando sui talloni avanti e dietro, e ogni tanto si avvicinavano al Muro per baciarlo, gli studenti delle Yeshiva ballavano e cantavano in cerchio. Anche la sezione femminile era piuttosto animata. I turisti vagavano incuriositi, cercando di rubare qualche foto, scattata di nascosto. Per un punto di osservazione più discreto vi consigliamo di salire in Bab as silsila Street e girare alla seconda traversa a sinistra, che vi porterà ad una piazzetta nel quartiere ebraico, (spesso animata da bimbi con i payot che giocano a calcio) seguite la strada salendo i 3 gradini difronte a voi sulla sinistra e vi ritroverete difronte ad un belvedere da cui potrete vedere il Muro del Pianto e la Cupola della Roccia. Meraviglioso di giorno e di notte.

Gli altri giorni a Gerusalemme sono stati caratterizzati altrattanto da bagni di gente. Francesco la chiamava “la città più pazza del mondo”, non a torto. Per strada ai gruppi di cattolici in preghiera e canto, si aggiungevano soldati armati di mitra, religiosi cristiani ortodossi con i loro abiti e cappelli neri molto appariscenti, gruppi di cristiani copti che camminavano compatti, donne russe in perenne canto, ebrei ortodossi con i cappotti neri e cappelli a falda larga accompagnati da donne elegantissime coperte in testa, bambini che sfrecciavano dietro un pallone, ragazze arabe velate con il jilbab, con il niqab, con lo chador, oppure altre vestite in maniera molto appariscente, predicatori vari, non riconducibili a nessuna religione, che non perdevano occasione per propagandare il proprio credo nel bel mezzo del mercato affollato. C’era un tipo vicino al Santo Sepolcro che era fermo in piedi, ma ogni 2 minuti cambiava verso. All’interno di un negozio di mattonelle decorate il proprietario ci voleva vendere una sostanza che, a detta di lui, permette di non lavarsi per un mese, o lozioni che consentono di aumentare le prestazioni sessuali…

Una signora israeliana che abbiamo conosciuto ci ha raccontato che organizza, per un’agenzia turistica, un tour di Gerusalemme alla scoperta delle 8 etnie più importanti che la abitano, escluse le due principali, gli arabi musulmani e gli ebrei israeliani.

Non credo che ci sia un’altra città da questa parte del mondo che offra una ricchezza umana così varia ed affascinante.

La “Terra Santa” ha lasciato un segno nella vita di tutti noi. Che siano i canti di Natale, di quando eravamo bambini, sugli eventi di Betlemme, la familiarità con la Cupola della Roccia, uno degli edifici più fotografati al mondo, le notizie dell’intifada e dell’oppressione palestinese che catturano la nostra attenzione e il nostro sostegno, in un modo o nell’altro la storia della Palestina fa parte della nostra storia. Visitarla e parlare con gli abitanti che la popolano è come conoscere e scoprire qualcosa di noi stessi.

Federica e Francesco

Per domande sull’intinerario, consigli logistici e per ogni tipo di curiosità potete scrivere all’indirizzo federicaferri4@virgilio.it

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