Alla ricerca di un francese antipatico tra Loira, Bretagna e Normandia

Castelli della Loira, Bretagna e Normandia: una tranquilla vacanza di cultura e relax alla ricerca dello stereotipato francese antipatico. Diario di viaggio semiserio ai tempi dei social network
Scritto da: Corrado Benanzioli
alla ricerca di un francese antipatico tra loira, bretagna e normandia
Partenza il: 13/08/2015
Ritorno il: 28/08/2015
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €

Giovedì 13 agosto 2015. Primo giorno

“Il vizietto”

No, non è ciò che pensate, un attimo e vi sarà tutto chiaro.

C’è da sempre quel fastidioso vizietto di parlare dei francesi come di gente spocchiosa, antipatica, scostante, piena di boria e fastidiosamente nazionalista (e vabbè, qui in effetti non ci si va molto lontano, però siamo noi italiani che sbagliamo sputando sempre nel piatto dove mangiamo, ma mai prima di aver fatto scarpetta…); dal momento che sono anni che sostengo il contrario e che sono in pochi quelli che mi credono (mica per fiducia, solo perché anche loro hanno potuto verificare di persona), per questo tour tra Castelli della Loira, Normandia e Bretagna mi sono prefissato un obiettivo sociologico tanto semplice quanto complicato (e, ok, pure idiota): dovrò trovare un francese davvero antipatico. Sì, ma non uno che a vederlo lo prenderesti a sberle così, solo perché somigliante a Napoleone oppure a prescindere e senza motivazione alcuna: dev’essere proprio uno antipatico antipatico antipatico al quale stanno antipatici tutti, i turisti italiani in primis (non abituatevi al latino che ho fatto ragioneria), uno così irritante che ti verrebbe da legarlo per fargli vedere tutta la filmografia di Michael Bay facendogli rinnegare Truffaut e nutrendolo di rosetta al gorgonzola anziché di baguette e roquefort.

Sarà dura, sappiatelo, anche perché tra gli amici ho ben una francese e mezza e tutto sono fuorché antipatiche, anzi. Ma la ricerca sociologica impone rigore ed imparzialità e sento di potercela fare. Credo.

Bene, dopo qualche ora di viaggio ed una volta penetrato il Monte Bianco come un tizzone ardente nel burro, arriviamo tutti unti alla “cittadina di passaggio” per noi stanchi viandanti, ovvero Cluses (risparmiatevi la fatica di cercarla sulla mappa, probabilmente neppure gli abitanti sanno di esserci). Ecco, il primo impatto con lo straniero avviene alla reception di questo essenziale hotel e potrebbe già essere la volta buona: niente, la ragazza è davvero molto gentile e si prodiga nel farsi capire in un ottimo francese (già, strano…) mentre io mi sforzo a comprendere, rispolverando vecchie nozioni scolastiche ferme al “Oui, je suis Catherine Deneuve” e all’evergreen “Voulez-vous coucher avec moi, ce soir?” che va sempre per la maggiore, specialmente nelle vecchie discoteche chiuse da trent’anni.

“Grazie per avermi portata in questo posto!”, mi dice abbracciandomi Linda sul distrutto andante davanti ad un letto ad una piazza e mezza coperto da una colorata trapunta invernale; “Grazie di esistere!”, le rispondo io ridendo, convinto che mi stesse prendendo in giro. Non mi stava prendendo in giro.

La ricerca del cibo alle nove di sera, in un posto dimenticato pure dagli apostoli, può presentare qualche difficoltà; infatti è tutto chiuso, ma ci ricordiamo di aver notato una specie di ristorante all’uscita dell’autostrada, perciò risaliamo in auto ed eccoci già lì. Dicevo prima del mio perfetto francese: scambio il saluto della cameriera per un invito ad uscire dal locale perché chiuso, ma per fortuna ci richiama immediatamente. Beh, “fortuna”… Prima di sederci dobbiamo scegliere tra otto menù fissi, ma al mio “Mangio solo io, lei no” (ve lo traduco già per agevolarvi), la cortese signorina mi ripete per tredici volte che, essendo parte della cena a buffet senza limiti (anche quella solo a buffet), Linda non potrebbe sedersi perché verrebbe tentata dal mio cibo e non sarebbe corretto pagare per uno e mangiare per due. Le promettiamo sulla testa della gatta di Linda che ci comporteremo bene e riusciamo finalmente ad arrivare ad un tavolo; ci saremmo potuti risparmiare la promessa, sarebbe bastato vedere il buffet. Sospiro e mi riempio un piattino di fluorescenti insaccati, seguiti da alcuni formaggi che si sono stagionati durante l’esposizione all’aria negli ultimi giorni e da un paio di dolcetti che non fanno certo onore alla rinomata pasticceria francese. Ma per questa sera va bene anche così, in fondo siamo di passaggio. In ogni senso (se mi verrà un’intossicazione alimentare).

Venerdì 14 agosto 2015. Secondo giorno

Usciamo dall’hotel, mettiamo i bagagli in auto e ci fiondiamo a far colazione nel vicino locale “Storia di peni” (o forse era “pane”, la mia pronuncia dei due termini nell’idioma locale è molto simile), rimanendo assai delusi sia dal croissant che dal pain au chocolat, entrambi molto belli da vedere quanto insulsi una volta addentati. Vabbè, ci rifaremo, questa direi che è più che una certezza.

L’autostrada francese è composta perlopiù da caselli separati casualmente da brevi tratti di asfalto. Nel caso ve lo foste scordato, in Francia i cartelli segnaletici per la strada statale sono ancora in verde e quelli per l’autostrada sono ancora in blu. No, non so di chi sia stata l’idea sovversiva iniziale, ma sono quasi certo della buona fede del tizio in questione e poi “il francese antipatico” lo dovrò trovare personalmente, non valgono queste voci “per sentito dire”; se proprio, cercate di scoprire chi ha eliminato tutti i casellanti piazzando al loro posto lettori di carte di credito e macchine mangiasoldi, sempre che nel frattempo non sia stato eliminato anch’egli proprio dai casellanti stessi.

Dopo quattro ore circa di auto giungiamo alla graziosa cittadina di Bourges; due passi spruzzati da un po’ di pioggia, visita lampo alla bella cattedrale e di nuovo alla guida in direzione del B&B “Chambre d’hotes Les Perce Neige”, a dieci chilometri da Amboise, prenotato da Linda che si rivela essere una bellissima sorpresa, tra l’altro pure ad un prezzo umano grazie a Booking. E sì, il titolare è molto cortese e disponibile, tanto che ci suggerisce tre posti dove cenare. Decidiamo così di provare il ristorante “L’Épicerie” ad Amboise, nella piazza del castello e restiamo molto soddisfatti anche per il rapporto qualità/prezzo (purché prendiate il menù con un antipasto, un piatto di portata ed un dolce, tutti da scegliere tra tre proposte).

Alle 22 comincia la visita notturna al Castello di Chaumont perciò, dopo circa una ventina di chilometri, arriviamo al buio paesello omonimo che lo ospita e, con 11 euro a testa, ci godiamo le lussuose stanze illuminate dalle sole candele, quindi senza una lampadina che sia una. Decisamente ne è valsa la pena, perché non abbiamo mai visto un castello in un contesto come questo (che, facilmente, di giorno sarebbe sembrato “uno come tanti”…).

La serata viene solo in piccola parte guastata dalla poca astuzia del sottoscritto: malgrado le esortazioni di Linda ad indossare qualcosa di più pesante di una maglietta di cotone, visti i 18 gradi locali, prendo quasi controvoglia una felpa fin troppo leggera e… Vabbè, mi sto maledicendo anche in questo momento per aver voluto fare il macho duro alle intemperie quanto di comprendonio, infatti… ecco, diciamo che mi sarei risparmiato volentieri questo spiacevole colpo di freddo (e non aggiungo altro). Che siano sempre lodati fermenti ed Imodium. Amen.

Buonanotte…

Sabato 15 agosto 2015. Terzo giorno

Impossibile recarsi in Francia e non parlare del bidet, un’invenzione fondamentale per l’igiene personale apparsa già alla fine del XVII secolo che questa splendida nazione ha regalato all’umanità. Peccato che nei bagni francesi non ve ne sia traccia. Sarebbe come non trovare la pizza in Italia, i dischi dei Beatles in Inghilterra o i neonazisti in Germania: un’assurdità. Eppure è proprio così. Per un sorta di sciocco pudore è un argomento che raramente viene toccato ed è difficile anche da approfondire per la mancanza di informazioni al riguardo, ma l’era moderna ci ha regalato Wikipedia, perciò finalmente posso incollare qui di seguito il link sulla storia del bidet (lo so che non vedevate l’ora): https://it.m.wikipedia.org/wiki/Bidet Scoprirete, ad esempio, che il bidet inizialmente venne utilizzato per i reali deretani, per poi relegarlo alle più realistiche parti intime delle ragazze dei bordelli, ma ciò non spiega ancora il perché di questa assurda sparizione, roba che neanche David Copperfield. Ad ogni modo i nostri cugini d’oltralpe sono in buona compagnia con molti altri Stati (tanti, troppi!); evidentemente certe cose loro non le fanno, oppure le programmano con la doccia del mattino ed il bagno della sera. Comunque ho spiegato ai francesi come lavarsi senza bidet e mi hanno preso nella Pattuglia Acrobatica.

Linda mi ha definito il suo “generatore automatico di autistima” perché le ho fatto un banalissimo complimento, ma c’è da dire che con una compagna così, non solo di viaggio, non si fa sforzo alcuno, anzi. Sì, legge anche lei il diario, ma non devo strapparle alcuna concessione, sebbene la diatriba “in soggiorno ci sta meglio l’action-figure di Jack Bauer che sfonda la porta o un gatto in ceramica di Thun?” sia ancora in corso. Sarà dura, ma un sondaggio tra i nostri amici sul solito Facebook sono certo che mi salverà la pelle. E pure quella di Jack. Ok, ok, tanto resterà pure il gatto, lo sappiamo tutti…

E dopo questa breve parentesi alla “Casa Vianello” con violini in sottofondo, prima che la glicemia vi salga ecco il programma della giornata: visita al parco del Castello di Villandry, poi il Castello di Langeais, un salto a quello d’Ussé ed infine giretto a Tours.

Attraversare i suggestivi borghi sulla Loira, che dividono una meta dall’altra, equivale ad un entusiasmante viaggio nel passato, se non fosse per i prezzi dei bar (più che altro quelli delle varie acque in bottiglia) che ci riportano immediatamente alla dura realtà del 2045.

Dopo gli splendidi giardini (gli interni pare che non ne valessero la pena) del Castello di Villandry curati da maniacali giardinieri di certo dotati non solo di cesoie, ma anche di limette, pinzette e pettine, eccoci a visitare il Castello di Langeais su consiglio del titolare del B&B; caruccio, ma venne ricostruito nel 1465 e ristrutturato a partire dal 1886, perciò… perciò meglio il bianco paesino che lo ospita con il suo mercato di ceramiche artigianali. Il Castello d’Ussé, quello che secondo la leggenda ispirò Perrault per “La Bella Addormentata”, lo vediamo solo da fuori, nel senso di “fuori dalle mura senza pagare il biglietto” sia perché arriviamo sul posto un po’ tardi e sia perché abbiamo ascoltato il suggerimento del solito titolare del B&B che ci ha caldamente consigliato di evitarlo; a questo punto ci viene da pensare che 1) non ha mai visto i due castelli, 2) ha dei gusti discutibili, 3) non abbiamo tradotto bene il suo francese. Non dite nulla, lasciamo perdere.

Tours è la città più grande visitata fino ad ora, ma con un centro storico comunque abbastanza piccolo, vivo e pieno di locali; ci fermiamo per sfamarci con delle crêpes (quindi 87 crêpes a testa) ed infine si ritorna all’ovile per prenotare la stanza per la notte seguente e, finalmente, riposare. Va bene, Linda riposa ed io scrivo il diario, ecco.

Buonanotte, a domani!

Domenica 16 agosto 2015. Quarto giorno

La ricerca del perfetto “francese antipatico” si fa sempre più ardua e di certo non aiuta il prodigarsi degli indigeni ad aiutarci con consigli su ciò che c’è da visitare e a cercare di farsi capire con un mix tra il francese e l’inglese (per me di male in peggio, ma è solo colpa mia perché durante le lezioni a scuola, anziché stare attento come avrei dovuto, fantasticavo che un giorno avrebbero inventato una pillola che mi avrebbe trasformato magicamente in un perfetto poliglotta, senza immaginare che -ahimè- le uniche pillole che avrei assunto sarebbero state quelle per controllare la pressione ed il colesterolo).

Se amate stare in mezzo alla gente, a tantissima gente, allora posso suggerirvi di visitare lo splendido castello di Chenonceaux una domenica di metà agosto; potrete strusciarvi, scambiarvi mali di stagione, sgomitare, pestare i piedi, scoprire chi si lava e chi no, dedurre quale cibo pesante è stato ingurgitato la sera prima e, più in generale, ascoltare diversi idiomi, anche se è quello locale che impera; sembra, infatti, che i turisti siano in prevalenza francesi e per questa cosa li ammiro molto. Ma sì, anche noi italiani andiamo a fare le ferie nel nostro Paese, lo so, ma qui non si sta parlando di abbronzarsi su una spiaggia o di passeggiare al fresco in un qualche sentiero di montagna, ma trascinare prole ed animali domestici a “farsi ‘na curtura così” da un castello all’altro, proibendo loro frasi come “visto uno, visti tutti”: eh no, la cassapanca intarsiata nella camera del Signore del castello di Villandry è ben diversa da quella nel salone vista a Chenonceaux, non scherziamo su queste cose per favore che poi gli avi mi si irritano, suvvia! Certo, noi magari giriamo localmente in altri periodi dell’anno mentre loro possono farlo in agosto anche perché c’è meno caldo, è vero, ma credetemi che i turisti francesi sono davvero moltissimi. Nota a margine: gli italiani incrociati fino ad ora, famiglie e non, li abbiamo trovati un po’ meno “caciaroni” del solito: che siano stati casi fortuiti o forse stiamo davvero imparando a fare i turisti come si deve?

Le ore passano velocemente, ma lo stomaco sembra avere le lancette; usciamo da Chenonceaux soddisfatti da ciò che abbiamo visto, a parte le code al bar ed al self-service, e decidiamo di evitare per il pranzo i soliti panini imburrati e crêpes formaggiose perché, in fondo, ci teniamo alla nostra salute; ci fermiamo così da McDonald’s. Vabbè, la scusa che di domenica tutto è chiuso immagino che non regga, ma è andata davvero così, credetemi.

Arriviamo al castello di Chambord: l’impatto visivo è incredibile, una cosa che non si dimentica di certo e resto a bocca aperta. Poi mi sovviene che dovrei averlo visto già due volte, ma la prima avevo 16 anni e la seconda credo 25… Foto, foto, foto ed ancora foto, alla faccia dei costosi rullini di una volta…

Due ore di auto e giungiamo all’hotel a Dreux (anonimo paesino di passaggio) che ci sta ospitando ora; a occhio lo hanno aperto solo per noi… Sarà forse perché siamo in una zona appena appena decentrata in mezzo a centri commerciali chiusi e a catene di fast food..? Ma sì, tanto ora è buio e si dorme, che sarà mai?!?

Buonanotte!

Lunedì 17 agosto 2015. Quinto giorno

Colazione veloce in un bar-boulangerie-patisserie nella zona commerciale dov’era situato l’hotel e, alle dieci e mezza circa, siamo pronti per partire alla volta di Rouen. Se la calma è la virtù dei forti noi siamo fortissimi, perciò senza affanno alcuno parcheggiamo e visitiamo la città alla quale più di vent’anni fa diedi un voto a dir poco alto (ebbene sì, strano a dirsi, ma alla faccia del web che ancora non c’era io già mi prodigavo a dare le stelline ai posti che visitavo scrivendole a penna sulla guida, ma data la mia ben conosciuta costanza credo che quella fu anche l’unica volta…). Seguite una piantina cartacea o digitale che sia e, in nemmeno un paio d’ore, riuscirete a visitare la bella Rouen, salvo distrazioni tipo la pasticceria fighetta di turno (Hansel e Gretel io li ho sempre capiti, poveracci).

Un’amica ci ha consigliato di non perdere l’abbazia di Jumiègies e, visto che in uno spazio espositivo adiacente c’è pure la mostra di un fotografo di poco conto come Henri Cartier-Bresson (che casualmente è da sempre tra i miei preferiti), dopo un’ora circa di auto stiamo già ammirando quell’ex luogo di culto a cielo aperto, suggestivo e ben curato, quindi subito dopo il centinaio di fotografie (ben esposte ed altrettanto bene illuminate) del grande fotografo francese, tra l’altro il tutto al solo prezzo d’ingresso all’abbazia.

Spesa veloce ed essenziale alla Lidl (sulla strada abbiamo trovato solo questo piccolo supermercato) ed il rifornimento di acqua, patatine, creacker fritti e noci che fanno bene al colesterolo è fatto; ora potremmo resistere per almeno altre due ore, ma non facciamo in tempo a fare delle briciole nell’abitacolo che davanti a noi si staglia il mare: Fécamp con la sua spiaggia di bianchi sassi che neanche Torri del Benaco, la scogliera, il romantico ed immancabile tramonto da fotografare ed inviare agli amici, la scofanata di ottime cozze con sughetto regionale (le più buone che abbia mai assaggiato e non tanto per il burro e le cipolle usate come condimento…) da fotografare ed inviare agli amici… Sì, lo so, noi aspiranti bimbiminkia ci mandiamo tante foto di cose inutili, ma altrimenti a che servirebbero i gruppi su Whatsapp?!? Ad ogni modo le cozze, piccole e gustosissime, erano davvero tante, tantissime: sembrava che non finissero più e così una decina le ho anche avanzate e mi dispiace perché si sono sacrificate inutilmente, ma avrei rischiato di sognarmele di notte mentre mi rincorrevano armate di patatine fritte…

Questa sera abbiamo dei problemi con il wifi, qui nella suite all’ultimo piano dell’hotel. Ok, è una mansarda al terzo piano con un ascensore che si ferma al secondo, ma bisogna sempre guardare le cose positivamente; ad esempio la ricerca dell’imprecazione perfetta, ogni volta che si perde la connessione, ha un suo perché, ma non ve lo starò certo a spiegare ora perché è tardi e pare che si debba anche dormire, quindi…

…buonanotte!

Martedì 18 agosto 2015. Sesto giorno

E così siamo al sesto giorno di vacanza in questa splendida terra che, con tutto ciò che sa offrire, farebbe resuscitare chiunque; infatti anche oggi ci aspetta un programmino niente male e cominciamo subito con la vista mozzafiato delle falesie di calcare sopra Étretat, con tanto di arco naturale giusto per gradire. Queste spiagge di ghiaia e queste scogliere che si affacciano sul mare sono state immortalate da pittori come Monet e Courbet e sì, se state pensando “questo fa il figo sfoggiando carriolate di cultura con la pagina di Wikipedia aperta” avete pienamente ragione.

Dopo aver rinunciato ad un giro a piedi nel paese di Étretat per la mancanza di parcheggio (non sempre ci va dritta), dopo tre quarti d’ora di auto ed altre mille mucche bianche, settecentoventisette cavalli e trecentoventidue pecore (ormai contiamo gli animali, non più i chilometri) giungiamo a Honfleur. I due passi diventano molti di più, così possiamo goderci il porto, una chiesa tutta in legno, le caratteristiche case, i negozietti di cibo vario (vario sì, ma pur sempre con burro!) e smaltire delle gustose gaufre salate letteralmente divorate nel giardino interno di un localino che mi sento di consigliare, il “Gourmandise”.

Tappa a Caen per depositare in stanza i bagagli e darci una rinfrescata e, dopo esserci ripresi dalla sorpresa, sebbene annunciata dai giudizi su Booking, di alloggiare praticamente in un container con all’interno una camera prefabbricata con tanto di toilette oversize saltata fuori da un Boeing 747 (credetemi, sembra più brutta a dirlo che a dormirci, perché non è assolutamente male, anzi. Tra l’altro tutto il nuovo quartiere è particolarmente originale, probabile parto del solito architetto con idee “innovative, ma economiche”, però dell’argomento “hotel delle nostre vacanze” ne parleremo più avanti…), ci rimettiamo alla guida per raggiungere Arromanches-les-Bains.

Arromanches è nota per il nome in codice “Gold Beach” durante lo sbarco in Normandia: sulle sue spiagge vide la vittoria l’esercito britannico quel famoso 6 giugno 1944. Ancor oggi si possono toccare con mano i resti del porto artificiale che contribuì al successo dell’operazione e, approfittando della bassa marea, una passeggiata è il minimo che si possa fare, rincorrendo con la macchina fotografica la luce del sole che da lì a poco tramonterà, ma non prima di essere saliti in auto sulla collina per avere una visione d’insieme dall’alto. Inutile dire che tutta la zona è un continuo ricordo di quel giorno, dal museo di guerra al cinema a 360 gradi, senza dimenticare l’immancabile merchandising riabilitato in quanto omaggio di un dì tanto felice quanto terribile. Ma in fondo è il risultato finale ciò che conta, no..?

A domani, buonanotte!

Mercoledì 19 agosto 2015. Settimo giorno

Ho alcuni amici che, pur di fare anche in viaggio una colazione come si deve, in caso di necessità fermerebbero l’auto sul bordo della strada, scenderebbero nel campo di grano e con una mano strapperebbero delle spighe stringendole a tal punto da trasformarle in farina, mentre con l’altra agiterebbero la mammella di una mucca intenta a pascolare per fare il burro, poi riuscirebbero persino a trovare delle fresche foglioline di stevia e pure delle uova di corvo che tanto non mancano mai e, utilizzando le lenti progressive dei propri occhiali, con l’aiuto del sole cucinerebbero dei fragranti e dorati croissant alla faccia di Banderas e delle sue galline da brodo; ma io no, io ho bisogno di un bar e trovarne uno durante i nostri spostamenti sembra essere un’impresa (se vi state domandando perché non la facciamo in hotel, vale sempre solito discorso che di questo argomento ne parlerò successivamente). Fortunatamente oggi ce l’abbiamo fatta, subito dopo aver sterzato bruscamente alla scritta a mano “petit déjeuner” su un cartello. Croissant, baguette con burro e marmellata, succo d’arancia e “café au lait”; che volere di più, a parte il colesterolo basso?

Arriviamo a Vierville-sur-mer, ovvero la famosa Omaha Beach, dove sbarcarono le truppe alleate; proseguendo per Colleville-sur-mer giungiamo al cimitero americano (ma nei paraggi ce ne sono altri per i caduti di ogni nazione che partecipò all’operazione) e lì un groppo in gola è inevitabile: camminare tra 9387 bianche pietre tombali sapendo che pochi metri più sotto ci sono dei ragazzi che non hanno potuto vivere la propria vita perché l’hanno donata per la nostra libertà, una libertà che molti coglioni neppure si meriterebbero, come quelli che sui social fanno i nostalgici senza neppure avere i requisiti anagrafici, inneggiando a Hitler ed al suo zerbino Mussolini… beh, sì, fa star male, molto.

Giriamo l’auto e andiamo a vedere quattro grosse postazioni tedesche di artiglieria pesante a Longues-sur-mer: una cosa impressionante che sembra sbucare dalla fantasia di uno scenografo del primo “Alien” e che, invece, esiste e si può toccare con mano. Tra i turisti c’è un ragazzino, avrà avuto dodici anni, con una divisa nera ed un berretto militare verde, accompagnato dal padre che gli scatta delle fotografie; non accorgendosi che parla inglese, dei ragazzi romani più o meno della sua età commentano ad alta voce con un “Anvedi, quel bimbominchia è vestito da nazista!”. Per fortuna poco dopo interviene il padre di uno di loro a spiegare la differenza tra le divise.

Mont-Saint-Michel è LA meta per chi visita la Normandia e chi siamo noi per rinunciarvi? Astutamente (in realtà è stato solo il caso) arriviamo a metà pomeriggio, quando migliaia di turisti già abbandonano la splendida isoletta-non-isoletta; le cose sono molto cambiate da quando la vidi l’ultima volta, ma se venti e passa anni sono tanti, è bastato l’ultimo per modificare viabilità e costi per accedervi. Ad ogni modo l’organizzazione è impeccabile, con un grosso parcheggio (12,50 euro) e tanti bus navetta che fanno avanti ed indietro in continuazione (fino all’una di notte!). Dopo una pausa di un’ora per funzioni religiose, alle 19 si può visitare anche l’abbazia. Da un appunto che feci su una guida a suo tempo, si legge che entrai gratuitamente e pure con una visita guidata, mentre ora se si hanno più di 25 anni (solo per cittadini europei) si paga 9 euro a testa e l’audioguida ne costa altri 4. Ok, forse all’epoca avevo i requisiti richiesti (ci voleva pure un’abbazia a ricordarmi quanti anni ho)… Ben prima della biglietteria c’è un cartello che avvisa che da quel punto c’è un’attesa di trenta minuti, proprio come a Gardaland; ma le somiglianze con il parco divertimenti non finiscono qui, con nostra sorpresa ed un po’ di disappunto: l’entrata serale, infatti, presenta il discutibile vantaggio di far sentire il visitatore come se fosse all’attrazione dei Corsari (quella taroccata da “I pirati dei Caraibi” disneyana), con versi di rapaci diffusi da altoparlanti disseminati un po’ ovunque e proiezioni in loop sulle antiche mura di immagini sempre in tema. Una cosa da non credere, ma una spiegazione razionale sicuramente ci sarà, solo che non ce ne frega nulla e quaranta minuti dopo stiamo già rientrando al parcheggio.

“Il wifi è potente in te!”. Sì, peccato che l’hotel di questa sera a Saint Malo abbia non pochi problemi di connessione, per non parlare d’Elba cellulare che a malapena prende in stanza, perciò per questa volta sarò costretto a darvi il buongiorno.

Giovedì 20 agosto 2015. Ottavo giorno

Saint-Malo, per quanto ricostruita per l’80% dopo l’ultima guerra, merita una passeggiata sulla cinta muraria, così come sedersi ad uno dei locali del centro per un caffè (più che discreto, per fortuna). Fare delle foto, quindi, anche qui è quantomeno d’obbligo, ma che ve lo dico a fare? Ho sempre il dito sul pulsante di scatto e già sudo freddo al solo pensiero di dover selezionare le fotografie una volta rientrato, per non parlare del fatto che ieri ho trovato una macchiolina sul sensore che non se ne vuole andare, probabilmente un granello di polvere entrato a far danni nella mia macchina fotografica con soli due mesi di vita: per me una tragedia, per gli amici un motivo in più per prendermi in giro.

Mezz’ora scarsa di auto ed eccoci al parcheggio (gratuito per 20 minuti, ma in zona non c’erano né vigili, né “gialloni”…) a ridosso del mercatino delle ostriche a Cancale, che si affaccia proprio sugli allevamenti della spiaggia che, per nostra fortuna, era ben visibile a causa della bassa marea. Le persone solitamente acquistano un piatto di una dozzina di questi freschissimi molluschi che vengono aperti al momento con l’aiuto di un coltello ed un guanto di ferro (per non ferirsi anche con le ruvide e taglienti conchiglie), poi si siedono sul muretto con vista su Saint Michel e, una volta consumato il lauto e viscido pasto, buttano giù a riva i “vuoti”; magari fa un po’ impressione vedere migliaia di biancastre conchiglie che formano piccole montagne maleodoranti, ma di certo è roba biodegradabile e visto che di perle da recuperare non ve n’è l’ombra… No, noi le ostriche non le abbiamo mangiate e sento già nelle orecchie voci che mi dicono che non capiamo niente e che eravamo nel posto giusto per degustarle e bla bla bla, ma che ci volete fare? Non le amo, non mi dicono nulla, non provo alcuna soddisfazione a sentire della roba molliccia che si agita sotto i denti e quel tanto decantato “sapore di mare” mi fa pure un po’ schifetto e dubito che Gino Paoli si riferisse a questo nella sua canzone…

La “chambre d’hôte” (cioè sempre la versione francesizzata del B&B) di questa sera a Dinan non ha riscontri né voti su Booking perché è da poco che è entrata in attività, ma ci siamo affidati all’intuito e non abbiamo assolutamente toppato: Monsieur Gerard ci accoglie con un sorriso (quindi scartiamo pure lui tra i francesi antipatici da scovare), offrendoci subito da bere e facendo quattro chiacchiere che, con la mia solita conoscenza della lingua, diventano un pochino surreali. Però capiamo di dover passare dal borgo di Léhon e così facciamo rimettendoci subito in auto: duecento metri immersi in un altro periodo storico che valevano senza alcun dubbio la fermata.

Tre chilometri dopo c’è subito Dinan, una piccola città anch’essa con un centro storico sbucato dal passato: stupenda è dir poco. Ceniamo all’aperto, finalmente in un ristorante dopo due sere di digiuno a causa dei nostri orari incompatibili con quelli dei ristoratori locali (che dubito si adegueranno mai alle nostre esigenze…): se a Verona ci lamentiamo perché le cucine dei ristoranti e delle trattorie cessano di lavorare intorno alle 22,30, qui è già tanto se alle 21,30 si trovano i locali ancora aperti. Ma sarà la stagione… A dicembre sono più che sicuro che terranno aperto fino a mezzanotte, anche se solo per Capodanno. Forse.

Per oggi è tutto, buonanotte!

Venerdì 21 agosto 2015. Nono giorno

Mi piace il bacio alla francese, ma il letto decisamente meno. No, davvero, ma perché dormire in due in uno spazio così piccolo? I francesi io li ho osservati bene e non sono certo piccoli come i giapponesi: di corporatura sono proprio come noi italiani, quindi che senso ha il letto alla francese che qui si trova nel 93% delle strutture alberghiere e non? Poi ti guardi meglio attorno ed in giro vedi famiglie francesi con tre o quattro figli e allora, solo allora, una risposta forse salta fuori…

Dopo una strepitosa colazione salutiamo a malincuore Monsieur Gerard e ci avviamo a cominciare la nostra giornata da giovani esploratori (più o meno esploratori e più o meno giovani). Il faro a Cap Frehel vale una sosta per qualche foto, quindi è il turno del forte La Latte che sì, insomma, non è affatto male, ma soprattutto è a due minuti di strada.

La specialità dell’anonima località di mare Erquy è la Capasanta in ogni sua burrosa ricetta, ma siccome arriviamo troppo tardi per il pranzo (postilla al post di ieri: in certi paesi già alle 21,03 non prendono ordini per gli antipasti…), ripieghiamo su un’ottima galette che in Bretagna è la morte sua (e pure nostra, da come viene condita…), anche se la sosta merita più per lo spettacolo della marea: in neanche un’ora le imbarcazioni legate alle boe sono rimaste senza una goccia d’acqua sulla quale navigare, così come i bagnanti che, per poter fare due bracciate a nuoto, ora devono farsi pure una bella “promenade” (trad. “passeggiata”. Lo so, me la sto tirando un casino con le mie sole due parole di francese che ricordo…).

La prima abbazia/chiesa/cattedrale a cielo aperto (ovvero “scoperchiata”) che vidi fu in Portogallo qualche anno fa, quindi venne il turno di quella toscana a San Galgano pochi mesi or sono ed ora, in pochi giorni, quella di Beauport (Abbaye de Beauport) è già la seconda. Alla faccia degli spifferi. Questa abbazia è veramente notevole, anche perché nelle medesime areate condizioni ci sono pure altri locali (refettorio, cucina, ecc.) oltre alla solita chiesa. Ah, sì, anche qui si paga l’ingresso, ma penso che ormai non abbiate più alcun dubbio in merito: una volta erano gli americani quelli famosi per farsi pagare qualsiasi attrazione, ma oggi sembra che siano in molti quelli ad aver appreso la lezione (ed è giusto, se dietro a tutto c’è l’impegno di conservare le opere dignitosamente, come in questo caso).

Sulla strada che ci porta a Lannion Linda nota dei trattori in un campo (è ormai ben nota la sua bizzarra passione per Landini & Co., alla faccia di quelle donne che si girano solo per Porsche e Ferrari…) e tre enormi Minion realizzati con grosse balle di fieno e, vicina a loro, un’enorme scritta molto artigianale che recita “I giovani agricoltori vi augurano buone vacanze!”. Che fighi! Ci fermiamo per alcune foto e simpaticamente ci salutano tutti dall’alto della loro postazione mobile di lavoro. Ma perché mi sono messo in testa proprio di scovare un francese antipatico?!?

Notte ed ottima cena (a base di capesante, mais oui!) a Lannion, posto comodo esclusivamente di passaggio, sebbene domani ci toccherà tornare una mezzoretta indietro (sì, viaggiamo anche nel tempo) per visitare un altro paio di posti sulla costa. In agosto trovare da dormire è un po’ più difficoltoso, già…

Ed ora a letto, buonanotte!

Sabato 22 agosto 2015. Decimo giorno

Ma la gente, mentre è seduta in bagno a fare i propri bisogni, che fa, balla il twist? Perché due assi su cinque schizzano a destra o a sinistra mentre provi a sederti per il tuo momento privato di relax? Questo problema affligge gran parte dell’umanità, non solo chi viene a visitare la Francia, perciò stavo pensando di creare un sito internazionale di recensioni di assi da wc di hotel, oppure di inventarmi un nuovo lavoro tipo “Il collaudatore”, che suona pure bene, quasi come un film con Jason Statham. Insomma, questa storia deve finire; non posso sentirmi, in un momento tanto delicato, come un equilibrista del Circo Orfei che cammina sul filo dei sogni, quindi che qualcuno trovi una soluzione, altrimenti mi vedrò costretto a mettere in valigia martello e chiodi.

Le Gouffre è una zona che va visitata, anche solo per invidiare i proprietari con la casa più insonorizzata del mondo: si trova, infatti, tra due grandi rocce a ridosso del mare e sono quasi certo che non avranno problemi con lo stereo troppo alto dei vicini. Le fotografie anche qui si sprecano, ma alla fine ne basterà solamente una per questo scorcio così particolare ed unico (ma quelle due maledette automobili parcheggiate proprio davanti… Peccato che i padroni di casa non fossero in vacanza da qualche parte…). A completare la sosta a Le Gouffre manca solo da vedere la spaccatura nella scogliera e poi si può risalire in auto.

Raggiungere il Sentiero dei Doganieri sembrava un gioco da ragazzi, ma abbiamo trovato dei poliziotti che bloccavano ogni accesso alla costa, quindi ci siamo spostati un po’ più in là, verso Ploumanac’h, che si è rivelata la scelta migliore per ammirare parte della costa color Peppa Pig, un faro come tanti e persino la Pattuglia Acrobatica Nazionale dell’aeronautica militare francese (“Frecce Tricolori francesi” era troppo breve) che ha dato spettacolo sul mare spargendo colorate scie chimiche per i complottisti più alla moda (ecco il motivo della chiusura al traffico).

A proposito di Polizia: sono più che certo che in Francia abbiano tutto sotto controllo, che non scappi nulla alle forze dell’ordine, ma possibile che in dieci giorni non abbiamo mai visto un posto di blocco e che nessuna struttura alberghiera ci abbia mai chiesto i documenti d’identità? Va bene, le prenotazioni avvenivano tramite Booking, ma di solito alle varie reception mi chiedevano pure le ultime analisi del sangue ed il 740…

Questa notte la passiamo in una deliziosa “chambre d’hôte” sulla riva di un fiume, a Chateauneuf-du-Faou. “C’è pure un buon profumo in questa stanza!”, esclama con entusiasmo Linda. “Per forza amore, prima ho spruzzato l’insetticida…”.

Buonanotte!

Domenica 23 agosto 2015. Undicesimo giorno

Le nostre vacanze stanno procedendo lisce come il burro.

Sia in Normandia che in Bretagna si mangia bene (ci tengo a precisarlo perché sono sempre il primo a sacrificarmi per questo tipo di verifiche), ma l’uso smodato che fanno del burro è tale che lo si trasuda, tant’è che i sexy shop locali non vendono neppure i gel lubrificanti. Per fortuna che ogni tanto nei piatti appare una fogliolina d’insalata… accanto alle patatine fritte. Qualcosa mi dice che ho fatto bene a ricominciare con la “pastiglia per il colesterolo” proprio il giorno della partenza.

La Bretagna (per la precisione ora ci troviamo nella zona di Finistère) presenta un paesaggio un po’ più “aspro” e, a casaccio e poco scientificamente, le differenze che stiamo notando sono: molte meno mucche, tra l’altro maculate anziché bianche e non vicine alle abitazioni; le chiese molto particolari dei paesini che attraversiamo, in quanto facenti parte di “complessi parrocchiali” (no, non suonano) formati da un Calvario (dunque, dicasi Calvario… vabbè, è un monumento religioso, se proprio usate il solito Wikipedia, dai…) e da un piccolo cimitero; le scritte in doppia lingua come in Alto Adige; la volontà di conservare l’identità bretone ben rappresentata da numerose svolazzanti bandiere, così come da messe con canti bretoni (la chiesa vicino al nostro ultimo hotel, in occasione di una ricorrenza, aveva pure gli altoparlanti disseminati in zona, nel caso qualcuno pensasse di perdersi la funzione..); varie ed eventuali (se vi dico tutto poi vi perdete il divertimento…).

Locronan è il classico borghetto grazioso grazioso da non perdere, tanto piccolo quanto smaccatamente tenuto in vita solo per il turismo (non c’è nulla di male in questo), ottimo per qualche foto ricordo e per una breve sosta (visto che era ora di pranzo e che non volevamo nulla di impegnativo dopo l’abbondante colazione, abbiamo approfittato del “pacchetto picnic” di una boulangerie locale: baguette con burro, insalata, pomodori, prosciutto e formaggio, più un sacchetto di patatine, un dolce locale al burro ed una bottiglietta di sidro, il tutto a 7,60€).

Passiamo da Pointe du Van per ammirare l’ennesima scogliera, quindi ci fermiamo alla spiaggia di Baie des Trepasses, frequentata anche dai surfisti malgrado la bandiera rossa a causa del tempo non propriamente buono.

Per ammirare il faro a Pointe du Raz c’è il dazio di 6 euro da pagare (varia a seconda del mezzo di trasporto, quindi camperisti e roulottisti state attenti…), ma neppure il ragazzo che ci viene incontro (o “in contro”, ma è una forma più arcaica) con il biglietto riesce ad essere antipatico, anzi, si sforza pure di parlare un po’ in italiano (chissà da cosa l’avrà capito che non siamo del posto…). Comincia a piovere. Scogliera, faro, pioggia: trittico perfetto per una struggente scena d’amore, ma siccome non vogliamo struggerci tutti inzuppati, investiamo due euro e prendiamo la navetta che ci evita dieci minuti a piedi. Che dire del faro? È un faro. Lontanino. Sembra piccolo anche se probabilmente non lo è. Devo estrarre la macchina fotografica dalla borsa senza bagnarla e Linda mi aiuta con un ombrello che poi, con un colpo di vento, si trasformerà in altro. Faccio la foto. È un faro. Tipico. Rappresentativo della zona. Bello, sì, ma vabbè.

Ora ci stiamo riparando da una pioggia torrenziale in un hotel in centro a Quimper. “Per una volta prendiamo un hotel in centro città, così alla sera ci facciamo due passi!”. Ecco.

Buonanotte!

Lunedì 24 agosto 2015. Dodicesimo giorno

In Bretagna hanno già fatto il cambio di stagione: sono passati dal paletò al cappotto. In realtà è da quando abbiamo messo piede in Francia che dormiamo con il piumone, quando solo il giorno prima sopportavamo sì e no il lenzuolo per il troppo caldo. Il titolare di una chambre d’hôte nella zona della Loira ci disse, quasi a volerci sconvolgere, che la settimana antecedente il nostro arrivo avevano superato addirittura i 30 gradi. Tzé, dilettanti: i nostri 40 umidi gradi ci avevano già formati e sfatti da tempo, anche per quello i primi giorni non è stato facile abituarsi all’idea del piumone.

Abbandoniamo di corsa Quimper, zuppi per aver caricato i bagagli in auto sotto una pioggia battente; siccome secondo le previsioni meteo il sole sarebbe dovuto rispuntare nel primo pomeriggio, decidiamo di andare a controllare ad una trentina di chilometri di distanza se al faro d’Eckmühl a Penmarc’h non fosse già arrivato il caldo tropicale. Acqua, un vento pazzesco e 13 gradi, il tutto per vedere un faro che… sì, imponente, ma pur sempre un faro che ha destato in noi il medesimo pacato entusiasmo di quello visto ieri, con l’aggravante che questo non essendo su uno scoglio era pure poco “fotogenico”. Per fortuna un piccolo museo ad offerta libera sulla storia delle scialuppe di salvataggio locali ci viene in aiuto risollevando la mattinata e non solo per averci dato riparo dalle intemperie.

Si torna a Quimper per una visita (ormai era più una questione di principio) e ci accorgiamo che il centro, “carino” e nulla più, probabilmente detiene il record per il posto con più creperie in Francia: pazzesco, sono letteralmente una attaccata all’altra e così, vista l’ora, ci facciamo tentare: entriamo in una ed ordiniamo due insalate.

A metà pomeriggio siamo già tra i bastioni della “villa close”, la vecchia cittadella di Concarneau, tanto piccola quanto piacevole per fare due passi, prendere una camera e cenare in uno dei ristoranti suggeriti da TripAdvisor (direi che ci è andata bene anche questa volta).

Ora scusate, ma devo darvi la buonanotte perché sono alle prese con l’unica zanzara incontrata fino ad ora (che probabilmente indosserà un Woolrich, vista la temperatura) e finché non l’avrò gassata o ciabattata non riuscirò a chiudere occhio per quel suo fastidiosissimo ronzio… Come detesto queste maledette!

Buonanotte!

Martedì 25 agosto 2015. Tredicesimo giorno

Prese la pasticca, la spezzò e disse “Una metà ora e l’altra nel pomeriggio, se me lo ricorderò”. Inutile, tutte le piccole cose di routine quotidiana in vacanza rischiano di saltare, compresa l’abituale pastiglia per la pressione; per fortuna che almeno il dolore alla cervicale ogni tanto riappare per ricordarmi che in ferie non si lascia proprio tutto a casa.

Dolorante ed umidiccio (sì, ha ripreso a piovere…) carico i bagagli in auto, ma una colazione a metà mattinata sono certo che mi risolleverà il morale dandomi la giusta carica (le vitamine sono importanti…). Prima di abbandonare Concarneau, però, notiamo un gruppetto di reduci (alcuni forse un po’ giovani, facilmente sono i figli) con tanto di bandiere, raggruppati attorno al sindaco e ad altri funzionari della cittadina che, intervallati dall’inno nazionale e da quello in onore dei partigiani diffusi da un gracchiante altoparlante, li ringraziano per aver difeso la Francia. È stato un momento davvero commovente ed emozionante, credetemi.

Pont-Aven è un antico porto, un bellissimo villaggio bretone con tanti mulini ad acqua che frequentò anche un certo Paul Gauguin. Davvero da non perdere, ma per quanto ci riguarda ad un certo punto abbiamo dovuto velocizzare la visita a causa della solita pioggia che ci aveva concesso solo un po’ di tregua. Ah, ogni paesino bretone -questo incluso- ha i suoi “famosi biscotti al burro, specialità locale”; ecco, sono tutti uguali e, vi sembrerà strano, sanno prevalentemente di burro, ma tanto di burro.

Se Pont-Aven è famosa per i suoi mulini, Carnac lo è per i suoi 3000 menhir: questi “alignements” risalgono al Neolitico (tra il 5000 ed il 3500 a.C.) e vantano di essere il più grande sito preistorico del mondo. Lo so a cosa state pensando, ma giuro che non ho aperto Wikipedia: ho solo scopiazzato dalla Lonely Planet… Più o meno 6 chilometri di questi grandi sassi piantati nel terreno, uno in fila all’altro; come certamente saprete, servivano per segnare la pista di atterraggio per le navicelle degli extraterrestri i quali, ad un certo punto, decisero di accoppiarsi con un nostro antenato per dargli quella scintilla che ha portato l’uomo ad evolversi fino a dove sappiamo. Uhm, mi sa che a vedere certi personaggi qualcosa non andò per il verso giusto, probabilmente una qualche malattia venerea extradimensionale ci mise lo zampino… Che ci crediate o no, quella dei “marziani” è davvero una delle ipotesi vagliate dagli studiosi, mentre le altre sono molto più banali, tipo i soliti riti pagani o tributi all’attore porno dell’epoca. Lo spettacolo ad ogni modo è garantito, anche se un vostro neurone ad un certo punto oserà sussurrarvi che “visto uno, visti tutti…”.

Per la notte ripieghiamo su Vannes, una città con (incredibile, ma vero!) origini venete. Per ora siamo riusciti a vederne un pezzetto, diciamo la strada che ci separa dall’hotel al ristorante, e l’impressione è stata ottima, ma domani si vedrà il resto, approfittando anche del giorno di mercato (prodotti locali, mutande, panni magici contro la polvere ed affettaverdure si sprecheranno).

Per ora… buonanotte!

Mercoledì 26 agosto 2015. Quattordicesimo giorno

Purtroppo c’è ben poco da raccontare di una giornata rovinata in gran parte dalla pioggia. Il mercatino di Vannes è stato esattamente come prevedevo, pure con l’omino che presentava alle casalinghe del posto il favoloso e versatile affettaverdure. No, non lo abbiamo acquistato, sebbene la tentazione fosse tanta. Il tempo di fare due passi e giù acqua. “Ma sì, per un’ora è scesa a singhiozzo, vedrai che smetterà!”. Sta ancora piovendo.

Pranzo in un posticino non molto turistico e tempi dilatati; con calma, con molta calma, ci spostiamo verso il luogo dove pernotteremo, ma prima puntatina in un supermercato; già, perché dovete sapere che Linda ed io soffriamo di una sorta di “feticismo della spesa” e ci divertiamo più tra gli scaffali pieni di leccornie che non a far shopping in città. Ok, parlo per me, in effetti questa era troppo grossa per una donna.

Vi ricordate che vi dicevo che avrei parlato degli hotel, dei costi e delle prenotazioni online? Ecco, non è questo il momento. Però posso solo suggerirvi spassionatamente una cosa: se passate dalle parti di Nantes e pensate di dormire in zona, fatevi un regalo e prendete una stanza a Le Pollet (dista pochi chilometri), esattamente allo “Cháteau de la Sébinière”. Non è una “chambre d’hôte”, bensì un megavillone del diciottesimo secolo immerso in un parco di 28 ettari nel quale si produce (o si produceva, questo ancora non l’ho capito) del vino. Insomma, una cosa molto chic, che quasi mette un po’ di soggezione: set di mazze da golf appoggiato ad una parete, austeri quadri raffiguranti chissà quali avi, mobilio antico, foto di famiglia in bianco e nero, lampade ed arredo vario… e noi che ci aggiriamo per i corridoi in punta di piedi, facendo ugualmente scricchiolare le vecchie scale di legno che portano alle bellissime stanze. Ho parlato già di viaggi nel tempo in questo diario, giusto? Ecco, ora siamo nella nostra stanza e guardo con sospetto un antico armadio chiuso a chiave o forse no, così come una porta senza serratura che dovrebbe congiungere la camera all’altra ala della villa; tutte le porte hanno in basso un buco tondo ora chiuso, probabile passaggio per un gatto di chissà quanti anni fa. La finestra si chiude con difficoltà, però le pesanti tende sopperiscono; per sicurezza ripeto a Linda, prima che si addormenti, che i vampiri possono entrare solo se invitati. Non si sa mai cosa possa combinarmi mentre dormo ed io odio chi mi succhia il sangue. Durante il nostro viaggio ci è capitato di spendere molto meno di questi 105 euro (con prima colazione), ma anche di spendere di più avendo molto meno. Il merito in questo caso va tutto a Linda che ha trovato codesta umile sistemazione, per nostra comodità presente anche su Booking al medesimo prezzo del loro sito (non è una cosa così scontata).

Bene, ora proverò ad addormentarmi, sempre che nel frattempo non arrivi qualche inatteso ospite senza testa a cavallo… Buonanotte!

Giovedì 27 agosto 2015. Quindicesimo giorno

Le gocce di pioggia s’infrangono sui sottili vetri appannati della bianca finestra della camera. Malgrado un risveglio così romantico in un contesto davvero meraviglioso, l’attuale meteo ha scassato un po’ la minchia.

Anne è una giovane e radiosa “ragazza sui 50 anni”, nonché la padrona di questa villa di campagna immersa nel verde della Loira. Le foto incorniciate adagiate sull’antico mobilio lasciano intuire la storia di una famiglia un tempo numerosa, ma ciò che più è importante per noi umili viaggiatori estivi è la colazione, che si presenta generosa e persino raffinata. Credo che potremmo abituarci a questo genere di coccole, ma siccome le ore di ferie sono agli sgoccioli, ci vediamo costretti a chiudere ancora una volta le valigie e ad abbandonare questo luogo magico.

La ricerca di un raggio di sole si fa complicato: incrociare dati via web con mappe cartacee ci porta ad un bivio: allungarci fino a Bordeaux dilatando i tempi di rientro di svariate ore, ma con la quasi certezza di vedere poco o nulla, oppure dirigerci mestamente verso Lione, quindi verso la fine della nostra vacanza. Tristi, seppur realistici una volta tanto, scegliamo la seconda opzione, trovando da dormire ad un centinaio di chilometri dopo Lione.

Belle le numerose aree di sosta sulle autostrade francesi, ma dopo esser stato nel bagno di una di queste credo che mi pulirò le scarpe pestando delle cacche di cane. Oppure le brucerò.

Ottocento chilometri di strada ed autostrada e in un “attimo” si arriva a Chambery, esattamente a “Quel motel sulla tangenziale”: per la legge del contrappasso dopo una reggia ci tocca un tugurio, ma grandi alternative non ce n’erano, perciò scatta lo spirito di adattamento: ci facciamo piacere la vista dalla microfinestra su un capannone industriale, tiriamo fuori una multipla per riuscire ad attaccare tutto all’unica presa raggiungibile in stanza (mai dimenticarsi una multipla quando si viaggia con macchine fotografiche, cellulari, tablet, rasoi, telecomandi, computer, spremiagrumi, Bimby, frullatori, televisori al plasma…), fantastichiamo su come asciugarsi con soli due teli di medie dimensioni e cerchiamo di stare attenti a non prendere una testata su un terzo letto non richiesto posizionato sopra quello matrimoniale (alla francese, naturalmente), il tutto senza sgomitare troppo durante la notte per evitare di sbattere contro le pareti e di trovarci nella stanza dei vicini. Insomma, un bel posticino. Per fortuna che costa pure tanto, così non facciamo la figura dei pitocchi con gli amici.

Ed ora nanne, che domani si guida! Buonanotte!

Venerdì 28 agosto 2015. Sedicesimo giorno

Il rientro dal tunnel del Frejus avviene sulle note di “Verona Beat” dei “Gatti di Vicolo Miracoli”, sebbene la strada che ci divide dalla nostra città non sia così poca da generare patriottici entusiasmi degni di un vecchio film di Verdone.

È stata una gran bella vacanza itinerante; all’inizio magari un pochino concitata, sia per la voglia di vedere il più possibile, sia per il fatto che da vedere c’era effettivamente tanto (sicuramente più che negli ultimi giorni), ma arrivare “stanchini” alla sera in questi casi è direttamente proporzionale alla soddisfazione di aver riempito una giornata di cose belle.

Francesi antipatici? Macché, missione fallita: ne avessimo trovato uno, uno solo, ma niente, zero. Ad un certo punto abbiamo sperato in una cassiera di un supermarket, ma questa invece che fa? Si mette a ridere per i nostri battibecchi sul prendere o meno dei dolcetti dagli espositori vicini alle casse (io ero per il “prendere”, Linda per il “meno”, ma qualcosa mi dice che lo avevate già intuito…), quindi depennata pure lei. Giuro che almeno uno avremmo voluto scovarlo: ci saremmo accontentati anche di un semplice e banalissimo burbero, o di uno che non rispondesse ad un nostro saluto, ma il più delle volte ci battevano sul tempo salutandoci pure con un sorriso. Peccato. Per modo di dire, si intende.

Ma prima di congedarmi da questo diario, due parole (logorrea permettendo) sul prenotare un posto dove dormire in Francia in pieno agosto. Non è stato sempre facilissimo: le sistemazioni rimaste spesso erano quelle che erano, ma mai da casi disperati, fortunatamente.

Clienti di serie B(ooking). Alle volte abbiamo avuto la sensazione che, prenotando con Booking, si venisse trattati da clienti di serie B, con la stanza “meno carina” della struttura e talvolta differente da quella vista in foto. Spesso capitava che prendessimo una stanza in un hotel a due piani senza ascensore, ma vuoi per la posizione centrale, vuoi per le recensioni mediamente buone e vuoi anche per il prezzo onesto, passavamo sopra questo dettaglio, anche perché nella descrizione non era mai specificato a quale piano si trovasse la camera. “Scommetti che la nostra sarà quella al secondo piano?”, dicevo a Linda. Non ho perso una volta che fosse una. Saranno stati casi, ma tanti casi fanno un casistica e, sinceramente, non ne capisco il motivo. Sarà perché devono versare una quota al sito (“La prossima volta chiamateci direttamente, che così risparmiate qualcosa…”, ci hanno detto due gestori di “chambres d’hôtes”, mentre gli hotel avevano a listino i prezzi esatti proposti da Booking), ma mi sembra una cosa alquanto sciocca: era forse meglio che la camera rimanesse vuota? Valgono tanto meno i nostri soldi “filtrati” dal sito di prenotazioni alberghiere più grande al mondo? Questa è una domanda che dovrei rivolgere a chi ha un hotel, già… E la colazione? Possibile che sia sempre a parte, con cifre che vanno dai 9 ai 17 euro a persona? Ma la gente che se magna per queste cifre, pure il mobilio e le cameriere? No, perché fuori con 8-10 euro si fanno due “petit déjeuner”…

L’alternativa a Booking esiste, ma è poco adatta a chi prenota la sera per la sera dopo: Airbnb. Altri siti di “chambres d’hôtes” lasciamoli perdere che, oltre a non avere tra le lingue la nostra, necessitano di tempi decisionali ancor più lunghi. Volete sapere cosa intendo? Una volta prenotai con questo famoso aggregatore di B&B (con quota di guadagno sempre specificata alla fine della procedura e a parte sul prezzo mostrato inizialmente, così come per la cifra relativa alle pulizie) e dovetti attendere dieci giorni prima che mi sbloccasse l’importo sulla carta di credito (che bisogna immediatamente indicare prima di ricevere la conferma della disponibilità del posto) per una prenotazione che si rivelò inutile in quanto la stanza era già stata assegnata. Simpatico, nevvero..? Ecco, immaginate cosa potrebbe capitarvi con Airbnb in un viaggio organizzato molto alla giornata come il nostro (nel senso che non volevamo essere troppo legati, ma decidere di volta in volta sulla base di ciò che si voleva visitare), mentre potrebbe essere l’ideale per chi si organizza le vacanze con il cronometro o per chi deve sostare per qualche giorno (come facemmo noi in un lungo fine settimana parigino mesi fa). Insomma, quando inventeranno un sito multilingue in grado di aggregare tutti i B&B del mondo e capace di risposte in tempo reale come Booking sarà da noi il benvenuto. Magari pure con la colazione inclusa, già che ci siamo…

Ah, non ho detto quanto si spendeva per dormire, è vero: dalle 45 euro a stanza con prima colazione della buona chambre d’hôte di Monsieur Gerard, alle 140 euro di un Best Western, ma sarebbe corretto dire mediamente 80 euro senza prima colazione. Pochi, tanti, non lo so; so solo che in agosto in giro ci sono davvero molti turisti e che non è sempre facile sgomitare per arrivare primi all’ultimo click di conferma della prenotazione su Booking…

Bene, direi che le “due parole” hanno subito una moltiplicazione, perciò non mi resta che salutarvi, ringraziarvi se ce l’avete fatta a leggere i miei sproloqui quotidiani (io non ci sarei riuscito) e, ruffianamente quanto sinceramente, ringraziare soprattutto la mia fantastica Linda per aver organizzato questa bellissima e romanticissima vacanza e sì, anche per aver avuto un po’ di pazienza nei miei confronti…

Al prossimo diario (forse), buonanotte!



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