3.000 km nel Nordeste

Il nostro terzo viaggio in Brasile comincia il 3 ottobre 2006 da Natal , dove arriviamo da Bologna via Lisbona e noleggiamo un'automobile. Una Fiat Palio 1000 che prendiamo da un noleggiatore privato anzichè da una delle grandi compagnie dell'aeroporto, ma alla fine non si rivela un affare nè per la qualità nè per il prezzo. La prima tappa è...
Scritto da: biojo
3.000 km nel nordeste
Partenza il: 02/10/2006
Ritorno il: 22/10/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Il nostro terzo viaggio in Brasile comincia il 3 ottobre 2006 da Natal , dove arriviamo da Bologna via Lisbona e noleggiamo un’automobile. Una Fiat Palio 1000 che prendiamo da un noleggiatore privato anzichè da una delle grandi compagnie dell’aeroporto, ma alla fine non si rivela un affare nè per la qualità nè per il prezzo. La prima tappa è Galinhos, un piccolo paese 180 km a nord di Natal che si trova sulla punta di una lunghissima penisola sabbiosa.

Non ci si arriva in auto, occorre parcheggiare e farsi traghettare da una barca e poi al molo d’approdo il taxi consiste in un carrettino tirato da un asinello, vale a dire sull’unico tipo di veicolo esistente in questo paese. E’ bassa stagione e nella pensione in cui alloggiamo (Pousada Dalva, davvero ottima anche come ristorante) siamo gli unici ospiti e in tutto il paese noteremo solo altre due coppie di turisti brasiliani. Gli unici rumori sono quelli del vento e dell’oceano, dei latrati di qualche cane e dei ragazzini che spronano gli asini. Trascorriamo la giornata facendoci una lunga passeggiata seguendo la spiaggia fino al paese di Galhos : 5 km senza incontrare nessuno, salendo anche sull’alta duna di sabbia che percorre la penisola come una gobba di dinosauro e dalla cui cima ammirare il panorama del mare su entrambi i lati di questa lingua di terra. In fondo all’orizzonte si stagliano le saline del Diamante Branco, con le loro montagne di sale che scintillano bianchissime al sole e le lagune azzurrissime in mezzo al rosso della terra e al verde della bassa boscaglia della mata atlantica. Da Galhos, dopo aver mangiato lì dell’ottimo pesce, torniamo prendendo un passaggio su una barca e poi il tramonto ce lo andiamo a vedere dalla punta del faro di Galinhos, che sono un altro paio di chilometri a piedi. Restiamo soltanto due notti, perchè di più non possiamo se vorremo rispettare il nostro programma di viaggio, ma bastano già a rigenerarci dal caos e dallo stress e a farci sentire veramente in vacanza. Percorrendo una strada che taglia i campi petroliferi della Petrobras, ci immettiamo sulla statale che porta a Fortaleza e decidiamo di fare una sosta a Canoa Quebrada, rinomata località costiera. Ma sbagliamo incrocio e ci troviamo a Majorlandia, un semplice villaggio di pescatori la cui principale attrattiva sono le particolarissime barche da pesca tirate in secca sulla spiaggia. Così che da lì proseguiamo lungo la via costiera e arriviamo a Morro Branco. Dove a ridosso del mare e sotto un cielo blu-madonna si ergono spettacolari falesie di sabbia rossa-rosa-gialla-bianca tanto compressa da sembrare roccia e da formare canyon e dirupi fra i quali addentrarsi in una scenografia davvero mozzafiato. Ma dopo esserci deliziati di questo spettacolo naturale proseguiamo ancora ed arriviamo ad Iguape, una cinquantina di chilometri a sud di Fortaleza e dopo averne percorsi già più di 400.

Qui troviamo una splendida spiaggia a mezzaluna ed una bella pousada in riva al mare di cui noi ed una coppia di francesi siamo gli unici ospiti. Siamo anche gli unici turisti di tutta la zona, per cui bar e ristoranti sono tutti chiusi e la cena ci viene così preparata e portata a domicilio dal proprietario di una barraca (gli stabilimenti balneari brasiliani, fatti di pali e di frasche di palma).

Pesce fritto, insalata, riso, fagioli e patate di manioca : semplice e squisita, al fresco della veranda della pousada : ma che si può desiderare di più da una vacanza ?! Il giorno seguente ci troviamo a dover attraversare Fortaleza per immetterci sulla strada che porta a Sobral e Teresina, verso l’interno. Una città di due milioni di abitanti, grattacieli modernissimi e quartieri poveramente malandati, traffico caotico e folla di esseri umani. Dopo soli tre giorni di tutt’altro Brasile ci è facile decidere che davvero non è questo il mondo che stiamo cercando, pur rispettando tutti coloro che da questa città sono rimasti affascinati. La strada verso Sobral è un mezzo incubo di autotreni, buche spaccamacchina e cantieri aperti, ma in qualche modo riusciamo ad arrivare entro sera (e in questa stagione, nel Nordeste il sole splende radioso alle sei del mattino, ma fa buio fitto già alle sei del pomeriggio) alla nostra tappa successiva : Ubajara. Tutto intorno a noi si estende l’arido e sterminato Sertao, ma qui si erge fino a ottocento metri d’altitudine una piccola catena montuosa rigogliosa di foresta tropicale. E l’albergo in cui ci fermiamo, il Neblina, si compone di bassi edifici in mezzo ad un favoloso parco di palme e alberi d’ogni tipo, bouganville fiorite, prati verdissimi e piccoli laghetti. Col che, arriva pure la luna piena a dare alla serata un incanto da favola.

Il Parco Naturale di Ubajara, che visitiamo il giorno seguente, si sviluppa fra queste montagne, lungo un sentiero di 7 km che per fortuna procede quasi tutto in discesa ed al termine del quale si visitano delle grotte, non strepitose ma comunque piacevolmente suggestive. Poi da quelle si risale con una funivia fino all’entrata del parco : il tutto accompagnati da una guida autorizzata.

Da Ubajara, in un’ora d’auto arriviamo al Parco delle Sete Cidades, o Sette Città. Dove invece siamo in pieno sertao, fra cactus e caatinga e una temperatura che sfiora i 40 gradi senza un alito di brezza. Le Sette Città sono in realtà sette agglomerati di rilievi rocciosi dalle forme originali e stranissime, che si ergono dal piatto sertao quali residui geologici delle montagne del passato ed ai quali l’erosione del vento e del sole cocente ha dato le attuali forme tanto bizzarre. Alcune di esse sembrano proprio resti di città megalitiche in mezzo alla caatinga e da ciò deriva il nome di Sete Cidades, anche perchè sembra che i primi scopritori europei di questo posto avessero per un po’ di tempo creduto davvero di aver scoperto un antichissimo sito archeologico. Comunque sia, il luogo è molto suggestivo e nonostante la calura ce lo siamo visitato tutto, anche qui condotti da una guida autorizzata. Da Sete Cidades siamo tornati verso la costa, arrivando alla città di Parnaiba e sull’omologo fiume che dà origine al Delta das Americas, uno dei pochissimi delta fluviali al mondo che sfocino in un oceano. E che col suo corso segna il confine orientale della regione delle grandi, sterminate e spettacolari dune di sabbia del Maranhao, di cui parleremo fra poco. Cerchiamo e troviamo una barca che ci porti a fare un giro nel delta, rivolgendoci ad un’agenzia di escursioni. Siccome altri turisti non ce ne sono, per andarcene solo in due con una barca che potrebbe portare dodici persone finiamo col pagare qualcosina di più, ma vista la magra in giro il barcaiolo è comunque più che contento di raggranellare almeno i nostri soldi.

Ci godiamo dunque il lento andare della nostra barca per le placide acque del Rio Parnaiba, fra mangrovie, sgarzette e qualche macaco, fino alla spettacolare visione delle alte e dorate dune di sabbia che accompagnano la riva destra del fiume e che la fitta e verde foresta tropicale che aggetta invece sulla riva sinistra fa sembrare ancora di più suggestive e persino irreali. Davvero, sembra di stare in mezzo a un fiume che scorre fra la giungla e il deserto del Sahara e ti chiedi come sia possibile. Ma queste dune sono proprio vere e di una sabbia finissima nella quale affondi fino a mezzo polpaccio e ti si appiccica addosso come talco, sospinta dal vento che soffia impetuoso mitigando il sole cocente : ce ne rendiamo ben conto quando scendiamo a terra e a piedi le attraversiamo a saliscendi per arrivare fino all’oceano poco distante. A Parnaiba cominciamo a scoprire anche una cosa poco piacevole che vedremo confermata in seguito e cioè che in tutta questa ampia regione del Nordeste, a parte Natal e Fortaleza, non esistono uffici di cambio valuta ufficiali, nemmeno presso le banche.

Quindi, se vuoi cambiare Euro o Dollari devi rivolgerti a faccendieri che ti propongono sempre cambi più o meno da strozzinaggio.

Di pari, a parte che nelle località turistiche più affermate, quasi nessuno accetta la carta di credito e dunque di questo occorre tenere conto affrontando un viaggio da queste parti. Poi è anche vero che nelle cittadine medio-grandi trovi bancomat riconosciuti dal circuito internazionale dai quali puoi prelevare denaro in contanti, ma se ti sei portato dietro il tuo bancomat e comunque per un importo massimo limitato. Da Natal a Parnaiba abbiamo attraversato gli Stati (il Brasile è una Repubblica Federale) del Rio Grande do Norte, Cearà e Piauì.

Ora, a occidente sulla nostra strada si apre lo stato del Maranhao. Forse il più povero di tutto il Brasile, ma con questa incredibile, straordinaria attrazione naturale, solo da pochi anni valorizzata turisticamente, che sono i Lençois (letteralmente, Lenzuoli). Vale a dire, un vero e proprio deserto di dune di sabbia, dorata o bianchissima, che dal mare si spingono per decine di chilometri verso l’interno. Per molti versi simile al deserto sahariano che conosciamo da tanti film, ma reso strepitosamente straordinario dalle centinaia e migliaia di lagune di acqua piovana cristallina che si creano fra le dune durante le piogge di marzo-maggio e poi permangono per mesi, evaporando poco a poco ed alcune resistendo anche fino alle piogge successive.

Ci sono i Piccoli Lençois Maranhensis, di sabbia dorata, dalle dune più basse, di minore estensione, frammezzati ad una vegetazione tipicamente desertica e in un area che essendo compresa fra il Rio Parnaiba e il Rio Preguisa presenta anche estensioni di acque palustri perenni. E ci sono i Grandi Lençois, che si estendono ad ovest del Rio Preguisa, hanno una estensione cinque volte maggiore, sono sostanzialmente privi di vegetazione e totalmente inospitali per la vita umana, ma sono resi magicamente incantevoli dalle lagune verdi-azzurre che racchiudono fra sabbie bianchissime come gioielli in uno scrigno.

Dunque, da Parnaiba e percorrendo, fra gli altri, una sessantina di chilometri di strada dalle condizioni veramente infernali, ci portiamo nel paese di Tutoia, porta orientale dei Pequenhos Lençois. Oltre, con la nostra utilitaria non è proprio possibile proseguire e così troviamo una guida del posto che per tre giorni ci porterà in giro con il suo pik-up 4×4. E fin dal primo trasferimento verso la cittadina di Barreirinhas ci rendiamo conto che viaggiare per questi posti non è solo questione di ruote motrici e di altezza dei pianali, ma pure di conoscerli alla perfezione per non andare completamente dispersi nel nulla. Ma anche di quanto affascinante e coinvolgente sia l’asprezza di questi luoghi in cui tutto si confonde in una ruvida coesistenza : sabbie e pascoli, basse lagune pescose e casette fra i cactus. Fino a quando resta un mondo fatto solo di sabbia e sterpaglie e poi ancora oltre di nuovo le capre e le vacche, l’essere umano e l’accogliente Barreirinhas.

Il giorno seguente ci rechiamo nei Grandi Lenzuoli a vedere un po’ di lagune. Il pik-up si ferma a ridosso di un’alta duna di sabbia bianca e poi proseguiamo a piedi, inerpicandoci per quella montagna di sabbia e poi giù e poi ancora a scavalcare la successiva.

Tutt’intorno è solo un immensa distesa di dune di sabbia e poi incastonato in mezzo a quel deserto bianco sotto un terso cielo blu allietato da tantissimi fiocchi di nuvole simili a bambagia ecco scintillare come un miraggio uno specchio d’acqua verde-azzurro.

Quando ci arriviamo, siamo impanati come cotolette, perchè soffia un forte vento e la sabbia finissima vola ch’è un piacere e si incolla alla nostra pelle corsparsa di crema solare. Ma non è un problema, perchè ci mettiamo in costume e via a fare un bagno in quelle acque deliziosamente fresche sotto il sole rovente del deserto maranhense. E poi ancora trekking fra le dune e altre lagune, una perenne in cui nuotano tantissimi piccoli pesci, e altri bagni. Fino a quando rischiamo di essere anche noi calcinati dal sole e dobbiamo rassegnarci a lasciare quella parte di mondo dalla tanto emozionante inospitale bellezza.

Il giorno dopo, a bordo di una lancia veloce e con un’altra mezza dozzina di turisti brasiliani risaliamo il Rio Preguiça da Barreirinhas fino all’Aceano Atlantico. Un altro spettacolo di verdi mangrovie e dorate colline di sabbia e alcuni villaggi lungo le rive del fiume.

In uno di questi si trova un faro sulla cui cima saliamo per ammirare dall’alto il panorama della regione circostane : un incredibile commisto di acque e foreste e sabbie e insediamenti umani. Poi ci bagniamo proprio alla confluenza del fiume nell’oceano e dopo mangiamo dello squisito pesce grigliato nel paesino di Camburè. Dove la nostra guida ci viene a riprendere col pik-up per riportarci infine a Tutoia.

Da Tutoia iniziamo il nostro viaggio di ritorno verso Natal e ripassiamo per Parnaiba e seguiamo per Camocin, una cittadina costiera che a passarci ci è sembrata piacevole e che si sta abbastanza sviluppando turisticamente, e poi a Granja lasciamo la statale per una strada sterrata che ci condurrà fino a Jijoca, ancora 300 km a nord di Fortaleza. In realtà i primi 40 km sono di sterrato, ma quelli successivi sono più sabbia che terra e ogni tanto incappiamo in diramazioni prive di segnaletica dove scegliamo la direzione della pista che ci sembra la più grande e battuta e incrociamo le dita. Intorno a noi, soltanto caatinga : difficile chiedere la strada ai cactus. E anche sperando che la nostra Palio non si impianti. Così che alle prime case della cittadina a cui siamo diretti tiriamo un bel respiro di sollievo. La nostra meta è Jericoacoara, un paese sull’oceano incastonato fra spiagge e dune di sabbia bianco-dorata che negli ultimi dieci anni si è trasformato da povero villaggio di pescatori in rinomatissima località turistica. Purtuttavia mantenendo intatto il suo fascino e la sua caratteristica di paese a misura d’uomo, di piccole pousadas e ristoranti a conduzione familiare, di aria brasileira dove è possibile divertirsi senza bisogno di sbracare in eccessi. Un angolo di paradiso brasiliano inizialmente scoperto e lanciato nel turismo proprio dagli italiani, che in tanti sono venuti ad abitarci e a metterci su una pousada o un ristorante e adesso scoppiano a ridere se gli chiedete se non hanno nostalgia dell’Italia. Per arrivarci da Jijoca ci sono ancora 25 km di piste di sabbia fra le dune e dunque lasciamo la nostra auto nel garage di un autista autorizzato che ci porterà e tornerà a prendere col suo 4×4. E a Jericoacoara prendiamo poi alloggio nella Pousada Espaço Nova Era, di Virginia e sua figlia Paola : otto boungalows carinissini in un giardino rigoglioso di fiori multicolori e alberi di Caju. Una storia in fondo d’amore, con Virginia che da Milano arrivò qui un po’ per caso nel 1992, quando nemmeno c’era la corrente elettrica, dopo essere stata ad un Congresso Mondiale di Biodanza che si era tenuto a Fortaleza. Si innamorò all’istante del posto e ci comprò un pezzo di terra e poi anno dopo anno tanti viaggi avanti e indietro fra l’Italia e il Brasile a investire denaro ed amore e lavoro e pazienza a tirar su un poco per volta la sua casa e la sua pousada. Finalmente trasferendosi stabilmente nel suo angolo di mondo dove voleva davvero vivere. A Jeri (il diminutivo con cui tutti la chiamano) restiamo tre giorni e un giorno ce ne andiamo a passeggio lungo le spiagge e gli altri due ci facciamo portare da un bugy una volta ad ovest e l’altra ad est del paese : anche qui fra dune di sabbia e piccoli villaggi sperduti e lagune in cui fare il bagno. Pranzi con pesce messo sulla griglia appena pescato e cene squisite nei ristoranti di Jeri, dove davvero si mangia benissimo. E poi caipirinha e il sentirsi veramente completamente in vacanza.

Da Jericoacoara, con una tirata di 480 km, svicolando fra autotreni e buche stradali, riattraversando Fortaleza e pure forando una gomma, arriviamo a Canoa Quebrada, stavolta senza sbagliare incrocio. Località turistica balneare molto frequentata che in alta stagione diventa animatissima (qualcuno dice anche troppo). E certamente anch’essa inserita in uno scenario naturale assolutamente suggestivo, con una grande spiaggia dorata su cui aggetta un’alta falesia di roccia e terra rossa e sopra di quella una distesa di dune di sabbia ancora dorata. Sempre sotto un fantastico cielo blu e nello sfondo il verde-azzurro del mare e la schiuma bianca delle onde.

E poi un’altra tirata fino a Maracajau, una quarantina di chilometri a nord di Natal. Un paese dove siamo gli unici due turisti e nel quale ci siamo recati per andare a fare snorkeling al largo in uno dei pochissimi banchi corallini del Brasile. Ma il mattino dopo, quando andiamo per salire sul catamarano che ci porterà, scopriamo che in quell’escursione non saremo affatto soli, perchè dai grandi alberghi di Natal sono appena arrivati appositamente tre pullman pieni di turisti. Sarà comunque una piacevole mezza giornata di mare e di bagno con maschera e boccaglio a guardarci un po’ di pesci e di coralli. Infine, ritorno alla pousada Free Willy di Ponta Negra, la località a sud di Natal da dove diciotto giorni prima siamo partiti per questo splendido viaggio. Più di 3.000 km, di cui nemmeno uno sprecato. E a mitigare la nostalgia che già ci assale mentre il nostro aereo decolla per Lisbona e Bologna, la certezza dentro di noi che comunque ritorneremo. Giorgio e Antonia gibonoli@tin.It



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