Etnie sparse

Il pomeriggio del giorno di Natale, lascio la famiglia ancora riunita per i festeggiamenti Natalizi, per recarmi in aeroporto. L’idea della partenza proprio il 25 mi aveva disturbato un poco, abbandonare tutti, proprio quel giorno, è stato forte. A Roma ho l’impatto con un aeroporto totalmente deserto. Tutto è chiuso, non posso comprare né...
Scritto da: marikalampedusa
etnie sparse
Partenza il: 25/12/2002
Ritorno il: 16/01/2003
Viaggiatori: fino a 6
Il pomeriggio del giorno di Natale, lascio la famiglia ancora riunita per i festeggiamenti Natalizi, per recarmi in aeroporto. L’idea della partenza proprio il 25 mi aveva disturbato un poco, abbandonare tutti, proprio quel giorno, è stato forte.

A Roma ho l’impatto con un aeroporto totalmente deserto. Tutto è chiuso, non posso comprare né libri, né giornali, pazienza mi dico, arricchirò la mia cultura un’altra volta.

L’incontro con i compagni di viaggio mi delude,nessuno, tranne Luigi è giovane. Invece si riveleranno compagni eccellenti, colti, intelligenti,gentili. Hanno girato l’Africa in lungo ed in largo,i racconti delle loro scorribande,susciteranno tutta la mia invidia.Le interminabili discussioni della sera davanti al fuoco acceso, o davanti ad una fresca birra, sono un ricordo indelebile, nel mio animo.

Fa parte del gruppo Carla una signora di origine piemontese che ha fatto delle imprese memorabili:ha girato vari deserti del pianeta, a …Piedi ed in totale solitudine –Lei ed Oscar, il marito,si sono rivelati i più simpatici, le battute ed i racconti di Oscar erano da morire.Mi hanno preso sotto la loro protezione, e Carla è stata la mia compagna di bagni in ogni pozza d’acqua che abbiamo trovato, incuranti dei pericoli che ne potevano derivare.(e si che un mio amico mi aveva avvisato) Ma era così piacevole durante le marce di trasferimento, sudate, tutte ricoperte di uno strato di polvere rossa tipo “cipria”,potersi denudare e ..Rinfrescarsi! Partiamo ed arriviamo in perfetto orario. Raggiunto l’Hilton approfitto immediatamente della piscina, per sgranchirmi. Che bello stare al sole senza fare nulla! Nel pomeriggio visita al Museo, e poi la nostra prima cena”Etiope” – Che solenne schifezza questa “Injera” –Il 27 mattina, caricate le auto, comincia la grande avventura. Lasciamo presto la strada asfaltata, e per 16 giorni faremo solo piste.

Siamo in otto – 5 uomini e tre donne, più gli autisti, ed una ragazza locale che doveva fare da cuoca e interprete,poichè nei piccoli villaggi è difficile che parlino Inglese. Ma ha fatto solamente questo, poiché ho sempre cucinato io.

La prima tappa è a Wolso, in una missione retta da suore italiane, amiche di Alfio, dove i due medici del gruppo visitano bambini ed adulti, distribuiscono medicine, in cambio di un lauto pasto e di una salutare dormita nelle nostre tende.

Non ho mai montato una tenda, e sono interdetta,- Luigi capisce la mia difficoltà e viene in mio soccorso.Sarò sempre accusata dagli uomini del gruppo di approfittare in modo vergognoso,spudorato ed indegno di essere una “donna” (Ma io non sono femminista. Adesso, però so montare la tenda! Poi cucinavo! Sono stata nominata, di conseguenza, amministratrice della Cambusa. Ognuno di noi aveva portato una borsa piena di viveri,che ci hanno permesso di vivere in modo decente per tutto il periodo, integrando le provviste con patate, pomodori e tanta tanta frutta. Un casco enorme di banane lo compravamo 1 bir (meno di 15 centesimi di euro…) Arriviamo a Jemma, luridi, sporchi, con un unico desiderio, lavarci, prendiamo posto in albergo, la polizia non ci ha voluto fare accampare, ma acqua non ce n’è, lo spruzzino in mia dotazione viene richiesto dalle varie signore, bene o male riusciamo a pulirci.

Facciamo una passeggiata per il villaggio, sempre seguiti da uno stuolo interminabile di bambini che ci apostrofano continuamente ”FARENGI, FARENGI, che sta per stranieri,e ci porgono le loro manine. Attirati da dei canti, arriviamo ad una chiesa dove si sta svolgendo una cerimonia copta, tra canti ed incensi, veramente suggestiva. Alla fine danno fuoco ad enormi cataste di legna.Rientrando verso l’albergo (nome pomposo, per indicare una topaia,) ci fermiamo ad una specie di mulino, dove macinano “tief” (la farina per preparare quella cosa meravigliosa e sublime che è l’injera…) e il peperoncino. Tutti vogliono farsi fotografare, non appena scoprono che la mia macchia fotografica, una digitale, per qualche secondo, mostra la foto appena fatta.

Ci rimettiamo in cammino, presto, e cerchiamo un posto dove poterci fermare per le nostre necessità fisiologiche. Siamo fortunati, troviamo anche un fiume!! Lavatici,proseguiamo e come succederà sempre durante questi giorni, ci fermiamo nei vari piccoli villaggi sparsi, dove Oscar ed Alfio risolvono spesso problemi,distribuiscono antibiotici, puliscono occhi, medicano ferite infette,(sono medici).Raccattiamo una ragazza in travaglio di parto, che con una carriola stavano trasportando all’ospedale di Dombidollo- Le faranno un cesareo Ci stipiamo nelle nostre auto,già piene all’inverosimile,per fare salire la ragazza e la madre. Il futuro padre, prenderà posto sul tetto dell’auto.

Il medico dell’ospedale, un simpatico giovane di Addis, pieno di entusiasmi, speriamo gli durino…, ci accoglie, e fatta ricoverare la giovane ci invita a visitare il suo ospedale. La vista della corsia mi ha fatto venire la pelle d’oca.Ma la sala operatoria era ben tenuta, e a detta di Oscar, chirurgo,con ottime attrezzature.

Restiamo a dormire a Dombidollo, in una specie di Albergo…Che ovviamente non ha nulla a che vedere con gli alberghi italiani. Tiro fuori il mio sacco-lenzuolo ed ogni problema è risolto. Ceniamo al ristorate locale(!) che ci viene indicato da un giovane, che parlava perfettamente inglese, che si è unito a noi per tutta la serata, raccontandoci che fa lotta all’AIDS, che cerca di propagandare la prevenzione, felice di parlare con noi. Mi ha fatto una testa quanto un pallone, gli ho voluto chiedere l’età, aveva 24 anni, e sembrava mio padre… L’indomani proseguendo incontriamo nuove Etnie, i Shango, gli Hamer, gli Anuk visitiamo un enorme campo profughi Sudanese, dove lussuose macchine con la scritta UNHCR scorazzano, sarebbero gli aiuti umanitari…Questi incontri suscitano in me delle emozioni difficilmente raccontabili.

Ci fermiamo a passare la notte a Babeke, in una piantagione di caffè. Posto spettacolare. Una serie di bungalow in muratura che senza manutenzione cominciano a versare in condizioni precarie. Ogni bungalow ha una grande stanza da letto con bagno annesso,e..Doccia calda,ed un soggiorno, provvisto di divano e servizio annesso. Un lusso! Ma sono solamente 4, e ci dobbiamo accomodare. Ovviamente dico che non ho problemi a dividerlo con un altro. Il fortunato sarà Nicola. Vi lascio immaginare l’indomani mattina…La presa in giro di tutto il gruppo, il “come è andata la notte?…” è stato il motivo fondamentale di tutto il breakfast. Li abbiamo cucinato degli ottimi spaghetti con olio aglio e peperoncino, e dei carciofi veramente sublimi (li avevo preparati IO!) l Il primo vero campo tendato lo facciamo a Kirbish, in territorio Surma, dove arriviamo dopo avere percorso una pista molto disastrata. La Polizia ci invita a piazzare le nostre tende dentro il recinto della prigione, – La mattina e la sera assistiamo ai 5 minuti di aria che vengono concessi ai tre detenuti, incatenati mani e piedi. Due uomini e una donna. Una notte, saremo svegliati dalle grida tremende della donna. Ero terrorizzata. Due guardie armate girano ininterrottamente tra le nostre tende, e questo ci priva di ogni privacy, nell’esplicare le nostre funzioni fisiologiche. Come dire che ognuno sapeva “dove e quando”. Le guardie ci scorteranno sempre durante i nostri giorni di permanenza lì- I Surma vivono ancora quasi completamente nudi. Un drappo quadrettato con i colori del clan di appartenenza li copre un poco. Alcuni uomini, sono però completamente nudi.

Ma la nudità non da nessun fastidio. Le ragazze hanno dei bellissimi seni. I Surma, assieme ai Mursi, sono le tribù Etiopiche del piattello labiale, e degli enormi orecchini.

Il piattello labiale è prerogativa femminile,gli orecchini maschili.Questi ultimi iniziano piccolissimi a mettere qualcosa nei lobi delle loro orecchie (pezzi di lego) aumentandone sempre le dimensioni.Stessa tecnica per il gentil sesso,, che però inizia all’età della pubertà – E’ impressionante vedere queste labbra inferiori prive del piattello. Un enorme buco, ed un pezzo di labbro che ciondola- A molte vecchie (vecchie è un eufemismo, non hanno mai più di 40 anni..)si spezza e vedi labbra in condizioni pietose.

In territorio Surma ci fermiamo un po’ di giorni. Ci sono molti villaggi sparpagliati, e per raggiungerli facciamo incredibili scarpinate, e sotto il sole pomeridiano era dura. Non molto distante dal ns, campo c’era un fiume dove ogni pomeriggio ci recavamo per lavarci e fare il nostro bucato.Bellissimo e divertente.Sedute nel mezzo del fiume con cento occhi addosso,ad insaponare i nostri sporchi indumenti, lottando con la corrente che cercava disperatamente di strapparceli. Appena un indumento era lavato , lo infilavo dentro il costume, per non perderlo. Uscivo dal fiume, che sembravo incita di otto mesi.

Una donna surma, mi ha chiesto in regalo il sapone con cui mi ero lavata,ovviamente gliel’ho regalato, anche se il sapone per il bucato, era una cosa molto preziosa per me,- Il giorno dopo mi mostrato, con orgoglio, il figlio con tutto il viso bianco. Il sapone le era servito per “mascherare” il figlio e proteggerlo dagli spiriti maligni.

In uno di questi villaggi assistiamo alla “Donga”, una danza-lotta, con i bastoni, molto violenta, abbiamo visto saltare un lobo di orecchio.

Passiamo qui la notte di capodanno.Prepariamo un cenone davvero luculliano: Antipasto di Tartine con fois-gras e salmone ,pomodori secchi, melanzane e carciofini sott’olio, caponata di melanzane, queste ultime cose facevano parte delle provviste da me portate, sono infatti alcune mie specialità… Spaghetti con l’estratto (anche questo avevo portato da Palermo) cotechino con lenticchie, Un piatto (chiamare piatto il pezzo di cartone, ricoperto di plastica, è un poco lavorare di fantasia..) pieno di banane, papaia,mango e avocado, tagliati, ed guarniti da prugne, ed altra frutta secca (prelevate dalla ns. Eccezionale cambusa).

Panettone, torrone, buccellati (un dolce tipico siciliano, portato da Giulia)- Brindiamo con champagne francese, e per finire, facciamo la “makumba” Un “sortilegio” con una moneta, tirato fuori da Carla, che dovrebbe servire a portarci tanti soldi nel 2003,speriamo… E’ stata una serata splendida. Mancava la luna è vero, ma il cielo era pieno di stelle che illuminavano il campo tendato a giorno,e davano all’insieme un aspetto molto romantico.Certo poi, ritirarsi da sola nella tenda, è stato un poco triste… Lasciata Kirbish, arriviamo a Turghilt, dove facciamo un altro campo, ed assistiamo ad una scena veramente raccapricciante, una donna Surma, insoddisfatta di quanto le avevamo dato per le fotografie(si, perché qui appena uno vuole fotografare, cominciano a dire”bir,bir”, ed ogni soggetto fotografato vuole un bir. Le foto di gruppo, costano parecchio..) ha cominciato a tirare in alto il bambino che aveva al seno, a farlo roteare per le gambine, lanciando urla tremende. Attimi di panico terribili.

A Turghilt, gli americani avevano impiantato un progetto per i Surma , al fine di promuovere l’agricoltura,avevano costruito capannoni, portato trattori,ma il tutto non è mai stato usato da nessuno e versa in stato di abbandono. Ma questa è l’Africa… La mattina, subito dopo la nostra partenza, si scatena un temporale, con pioggia torrenziale, la pista diventa impraticabile,.Ci impantaniamo, e cominciamo a temere veramente, che sarà duro. Stiamo dentro le rispettive auto per ore, aspettando, la pioggia scende sempre di più, la pista è un ammasso di fango molle. Nella nostra auto abbiamo la “cambusa,” e così possiamo anche mangiare qualcosa(gli altri sono costretti a infangarsi tutti, per rifornirsi di qualcosa da mettere sotto i denti.

Ogni tanto si apre qualche sportello, e gli uomini, con la loro “fortuna”, possono fare anche “pipì”. Temiamo di dovere passare così la notte., quando dopo circa 5 ore, improvvisamente la pioggia, miracolosamente cessa, spunta il sole, e dopo un poco, con l’ausilio di rami messi sotto le ruote, con spinte da parte di tutti noi, (ci leviamo le scarpe, per non distruggerle), e di uomini nudi spuntati da non sappiamo dove, affondando fino al polpaccio, riusciamo a ripartire.,Siamo pieni di fango fino alla testa, ma questo sarebbe niente, se fossimo sicuri di trovare al nostro arrivo, una ..Doccia. Togliere tutto quel fango con lo “spruzzino” è arduo!Arriviamo a Dimma, che è buio pesto, non si possono montare le tende ed andiamo in albergo., La doccia si può fare solo all’aperto. Infiliamo il costume, tutto è O.K. Le stanze però sono solamente 4. Sono accomodante, è vero, non mi creo problemi, non ho inibizioni, ma dividere un buco di stanza con uno, e per giunta con un letto “matrimoniale” sarebbe chiedermi troppo…Quindi Alfio e Giulia devono scoppiarsi.

Proseguiamo quindi verso Gambela, dove le associazioni umanitarie si sprecano, tutti vogliono aiutare, ma nessuno fa niente di concreto, la gente continua ad ammalarsi di malaria e di AIDS. I cartelloni per la lotta all’AUIDS sono in ogni angolo, gli healt center pure,ma la gente continua a morire. Ad Addis, vicino al grande mercato, ho visto con i miei occhi uomini e donne, completamente nudi, giacere a terra, in totale stato di incoscienza, in attesa della morte. Arriviamo a Gambela, prendiamo alloggio in un complesso non male, dove per la prima volta mangiamo abbastanza benino (o forse siamo talmente affamati che tutto ci sembra buono…), ci danno del pesce ottimo.

Da lì raggiungiamo Itag, dove si trova una missione salesiana, che si occupa dell’assistenza al grande campo profughi Sudanesi, che si trova in loco. Il posto è splendido, con un bel fiume, dove Carla ed io facciamo un bagno in mezzo alla moltitudine di Sudanesi., e poi discendiamo una parte del fiume in piroga, E ‘ il giorno di Natale in Etiopia, ed assistiamo alla Messa ed alla Cresima di un gruppo di ragazzi profughi. Una cerimonia toccante, con bei canti, splendido il momento del”scambiatevi un segno di pace”, non ho mai stretto tante mani in vita mia! Tutti volevano stringerci la mano! Per loro era un avvenimento (e lo era anche per noi)- Da li, andiamo dai “Mao”, una tribù locale, e quindi dai Masong, una tribù che fa vasi di creta, e in segno di festa cantano per noi, delle bellissime nenie.

Rientriamo ancora a Gambela, da dove l’indomani iniziamo il rientro verso Addis. Il caldo diventa insopportabile, verso le 14, sono totalmente fusa, ci fermiamo per uno spuntino, vicino ad un fiume, e anche senza il mio costume, mi faccio un bagno ristoratore. La biancheria intima va benissimo lo stesso. Tanto il tutto dopo poco è già semi-asciutto.

Trascorriamo gli ultimi due giorni alle cascate di Gudur, dove ci siamo abbronzate,riposate e rinfrescate nelle fresche acque delle cascate. Che meraviglia!Dire che sono stata benissimo è dire poco, tutto era talmente interessante che i disagi affrontati passano in seconda linea. A metà viaggio, mi si è rotto lo spruzzino, e lavarmi era sempre più difficile…Quando siamo andati alla miniera di Ubdo, ero diventata color “terra”, ma ero egualmente esultante. Quante meravigliose farfalle, dai fantastici colori ho potuto ammirare, che sorrisi splendidi ho visto sui volti dei bambini, felici di potere stringermi la mano. I tramonti africani sono sempre splendidi ed ineguagliabili.Gli ultimi giorni abbiamo avuto pure la luna, per illuminare le nostre serate.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche