La terra dei Sogni

Il mio sogno, sin da bambina, era quello di visitare l’Egitto; nel 2000 pensavo di averlo realizzato ma, quando il viaggio finì, l’unica cosa che desideravo era di tornare in quel meraviglioso paese. Finalmente, il 31 gennaio di quest’anno, con mio marito, prendiamo un aereo che ci porterà a Luxor, da cui proseguiremo per...
Scritto da: Jessica M.
la terra dei sogni
Partenza il: 31/01/2005
Ritorno il: 07/02/2005
Viaggiatori: in coppia
Il mio sogno, sin da bambina, era quello di visitare l’Egitto; nel 2000 pensavo di averlo realizzato ma, quando il viaggio finì, l’unica cosa che desideravo era di tornare in quel meraviglioso paese.

Finalmente, il 31 gennaio di quest’anno, con mio marito, prendiamo un aereo che ci porterà a Luxor, da cui proseguiremo per Aswan, dove ci imbarcheremo sulla nave che ci permetterà di scoprire il Lago Nasser. Durante il volo non faccio altro che pensare a questa nuova avventura; ed è proprio di un’avventura che si tratta in quanto, appena scesi dall’aereo, scopriamo che il volo interno che avremmo dovuto prendere non c’è e al suo posto si materializza invece un trasferimento in convoglio che durerà circa 4.5 ore, con una sosta per cambio di scorta a metà. La novità non è stata immediatamente assimilata: noi continuavamo imperterriti a chiedere a che ora partiva l’aereo e l’assistente continuava a ripetere che non esisteva nessun aereo, veramente fantoziani…ma l’avventura non finisce qui: arrivati ad Aswan, dall’ormai nostro pulmino sette posti (dove oltre a noi c’erano solo l’autista e il poliziotto di scorta), veniamo trasbordati su un’auto in cui salgono anche la nostra guida, l’incaricato responsabile di questo ulteriore trasferimento e il guidatore. Ci facciamo altri 40 minuti vicini vicini, che le sardine non hanno nulla a che fare, quando all’orizzonte compare la sagoma della nave. Non ci facciamo più di tanto caso, sicuramente sono allucinazioni…e invece no! Allo stremo delle forze, dopo l’aperitivo di benvenuto, raggiungiamo quasi strisciando la nostra cabina, dove ci servono una cena fredda: sono le 23:45! Il mattino dopo il viaggio ha inizio e i successivi quattro giorni li trascorriamo in un limbo fatto di relax, di lettura e di visite ai siti archeologici. Il panorama è spettacolare: l’acqua assume il blu profondo dello zaffiro e del lapislazzuli, il verde brillante dello smeraldo e l’azzurro del turchese. Un mix di pietre preziose incastonate nell’oro del deserto a formare un gioiello che nessun orafo può riprodurre. La notte invece, porta con sé una cascata di diamanti che ti sembra di poter raggiungere allungando semplicemente una mano.

L’atmosfera a bordo ricorda le immagini dei viaggiatori che si recavano in Egitto tra la fine del 1800 e primi del 1900: c’è chi prende il tè steso su comodi divani, chi legge e chi dipinge; ci si aspetta di veder comparire Poirot, a stonare ci sono solamente i nostri abiti moderni, le nostre macchine fotografiche e telecamere varie. Dopo una breve navigazione raggiungiamo il sito di Kalabsha, dove sono stati “spostati” (in seguito alla costruzione della nuova diga di Aswan) il tempio di Kalabsha, il tempio semirupestre di Beit el-Wali, il chiosco di Kertassi, la cappella di Dedoun e il tempio di Gerf Hussein; la visita richiede un paio d’ore e non è che il prologo delle opere d’arte che vedremo nei giorni successivi.

L’intera giornata trascorre nel più assoluto dolce far niente e noi cominciamo ad abituarci a questa dura realtà… Il giorno successivo, belli pimpanti, saliamo sulla barchetta che ci porterà a riva per immergerci in una nuova scoperta: il sito di Wadi es-Seboua. Qui, spuntano dalle acque del lago (creando un insolito contrasto con l’ambiente circostante) le gru che servirono allo spostamento dei monumenti e che, dopo il loro utilizzo, non furono mai smantellate; ora offrono le loro arrugginite e scheletriche braccia agli uccelli, affinché possano nidificare.

I monumenti di questo sito sono ancora più belli di quelli visti il giorno precedente: il tempio di Wadi es-Seboua (tradotto “Valle dei leoni”) con il suo viale di sfingi, dove i guardiani tengono in mano alcuni scorpioni e si fanno fotografare (naturalmente, per assistere a queste performance, bisogna dare la mancia); nelle vicinanze sono seduti i cammelli che i più pigri possono utilizzare per raggiungere il vicino tempio di Dakka, a circa 1 Km di distanza; noi ce la siamo fatta a piedi e la leggera fatica sostenuta per raggiungere l’altura su cui si trova viene subito dimenticata: infatti si apre davanti a noi una vista mozzafiato sul deserto e sul lago; infine il tempio di Marraqa, dove si possono fare foto tenendo un piccolo coccodrillo in braccio (naturalmente anche qui bisogna dare la mancia al guardiano, proprietario del suddetto rettile). Lungo il tragitto per raggiungere la riva si incontra una bancarella, dove compriamo alcuni souvenir: non abbiamo neanche contrattato, i prezzi erano talmente bassi che ci sembrava un furto.

Il viaggio prosegue ed arriviamo ad Amada dove sorgono, oltre all’omonimo tempio, il tempio semirupestre di Derr le cui decorazioni murali hanno i colori così belli da far pensare che l’artista abbia appena terminato il suo lavoro (secondo il mio modesto parere, paragonabile solamente al tempio di Seti I ad Abydos e a quello di Ramesse III a Medinet Habu)e la piccolissima tomba di Penout (che fu un alto funzionario di Ramesse IV).

Anche qui, prima di risalire in barca, facciamo acquisti presso l’unica bancarella presente, con prezzi ancora più bassi della precedente; a questo punto ci chiediamo quanto ci guadagnino i venditori che si trovano nelle altre località turistiche del paese, con cui ingaggiamo vere e proprie battaglie all’ultimo centesimo e da cui usciamo vincitori e trionfanti, almeno così sembra… La navigazione scorre tranquilla verso l’ultima tappa della nostra crociera: Abu Simbel. Facciamo una sosta di un quarto d’ora presso la fortezza di Qasr Ibrim (a circa due ore e mezza dalla meta finale): ora è un’isola ma in realtà il complesso (frutto di costruzioni sovrapposte di varie epoche) si trova sulla cima di una collina rimasta sommersa; non è possibile scendere a terra in quanto sono in corso scavi archeologici per cui la “visita” viene fatta dal ponte sole della nave. Le tende del campo degli operai e degli archeologi (oltre all’abbigliamento degli stessi) in stile film hollywoodiano alla Laurence d’Arabia danno al paesaggio un aspetto d’altri tempi.

Arrivare ad Abu Simbel dall’acqua fa un effetto grandioso: si vedono i due templi avvicinarsi sempre di più fino ad arrivarci praticamente di fronte; il ponte sole diventa un coro di “oooh!”: è mezzogiorno, il sole è a picco ma non si sente nulla, neanche se ci stesse incenerendo; lo spettacolo e tale che a un certo punto ci rendiamo conto che dobbiamo anche respirare! Scesi a terra per la visita, rimaniamo un po’ sconcertati: a parte i due templi, è cambiato tutto; sono spuntati negozi, bar e aiuole, in appena cinque anni! Alla sera assistiamo a “Suoni e luci”: è in inglese, ma ci forniscono di auricolare riciclato (il monouso, questo sconosciuto! Ma chi se ne frega!) per la traduzione simultanea. Durante lo spettacolo si sta seduti ( al contrario di Karnak e Philae) e le facciate dei monumenti vengono utilizzate come maxi schermo per la proiezione di immagini che rendono il tutto molto suggestivo; non vola una mosca, il silenzio è totale e sinceramente anche senza traduzione sarebbe bello lo stesso. Si è talmente impegnati a guardare e a spostare la nostra attenzione da un tempio all’altro che quasi non si ascolta.

Con nostra somma disperazione la crociera termina qui e il mattino dopo prendiamo l’aereo che ci porta al Cairo. Il Cairo è una città che adoro, un mix di modernità e di decadenza, di auto di lusso che sfrecciano a fianco ai carretti trainati dagli asini, di negozi all’occidentale e di altri che si presume siano tali solo grazie alla presenza di un simil-banco per la vendita, di donne coperte dalla testa ai piedi e di altre che sembrano uscite dalle pagine delle riviste di moda, di ville e di immensi quartieri costruiti abusivamente e sprovvisti persino di strade, dove i servizi essenziali stanno arrivando solo ora…Si potrebbe continuare all’infinito, bisogna andarci per capire, ma forse a me piace tanto perché non ci vivo… Qui le visite prevedono il museo egizio, dove lascio stare il giro della guida (che ho fatto nel viaggio precedente) per dedicarmi ai tesori sconosciuti in esso contenuti e che mi ero promessa di vedere. Le due ore e mezza volano, ma a me non basterebbero tre giorni: ogni pezzo ha una storia, un’iscrizione da scoprire e da cercare di decifrare e tradurre per mettere alla prova i miei studi da autodidatta; corrisponde alla mia visione del paese dei balocchi.

Si passa poi alla Cittadella con la Moschea di alabastro: fuori fa un freddo cane, con un vento fastidiosissimo e praticamente fuggiamo sul pullman, giusto il tempo per una foto scattata di corsa; al mercato di Khan el Khalili, alla faccia dell’igiene e delle raccomandazioni dell’accompagnatrice, io mi concedo un pezzo di cocco acquistato per strada da un vecchietto(costo: 1 lira egiziana!) e mio marito noccioline e mandorle comprate a una bancarella. Con i nostri generi di conforto ci sediamo ad un bar, dove ci beviamo il nostro buon tè.

Altro giorno, altre cose: le piramidi, (noi entriamo in quella di Chefren, attualmente aperta al pubblico), la barca solare, la Sfinge, la zona archeologica di Saqqara con la piramide a gradoni di Zoser e Menfi. Devo dire che la vista panoramica sulle piramidi è ora rovinata dalla presenza del teatro usato per rappresentare l’Aida nel 2003, costruito in sei mesi e più smontato. Un intrico di tubi che sta piano piano crollando da solo, speriamo almeno che faccia presto! Segue l’obbligatoria visita al negozio di papiri, dove consulto l’ordine che ho portato con me dall’Italia e procedo agli acquisti! Il mattino dopo all’alba, pronta per tornare in Italia, guardo fuori dalla finestra della mia stanza d’albergo: in giro non c’è anima viva, si sente solo il canto del muezin che chiama i fedeli alla preghiera; assaporo in silenzio questi ultimi istanti d’Egitto, mi assale la malinconia e il sogno si rinnova ancora una volta: tornare.

Jessica M.



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