3 amiche in crociera sul Nilo

Non è il solito cine-panettone di Natale, ma una vacanza straordinaria di una settimana di Paola (io), Graziella e Licia. Cosa vogliamo di più? Siamo tre amiche libere e belle (beh, forse belle è un po’ troppo!), ma libere dagli impegni di tutti i giorni e senza mariti: urrah!
Scritto da: Turista Anonimo
3 amiche in crociera sul nilo
Partenza il: 13/02/2010
Ritorno il: 20/03/2010
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
L’antico Egitto è una delle grandi passioni degli italiani, che rimangono saldi al quarto posto nella classifica dei visitatori del Paese. Io ci sono già stata altre due volte, ma è stupendo ritornarci… Sabato 13.02.2010 – Luxor Partite da Orio al Serio BG per Luxor (l’antica Tebe) con un’ora e mezzo di ritardo, siamo in tanti e l’aereo è pieno. All’arrivo ci smistano su più motonavi e perdiamo un po’ di tempo per accontentare coloro che, in piccoli gruppi di amici o parenti, esigono di stare sempre insieme nella stessa nave, nello stesso pullman, vicini di cabina e nello stesso tavolo a pranzo. Tutti si lamentano per avere il meglio: anch’io. Mi è capitata, per sfiga, l’unica camera che non ha l’apertura esterna grande a terrazzo. Io ho due oblò bloccati, due letti che non mi servono. Cerco di chiedere il cambio al personale della reception, poi alla nostra guida (Zakaria), poi cerco di corromperlo con 10 dollari e infine con una piccola pila a led, a cui avevo capito era interessato per segnalare i geroglifici in alto sulle pareti. Niente da fare: non ci sono più camere disponibili, mi devo mettere il cuore in pace. E’ stato l’unico neo del viaggio, se devo essere sincera, ma era esattamente una ‘camera di servizio’! Arriviamo dunque al molo 18 di Luxor dove è attraccata la Nile Quest, ma per arrivarci bisogna passare attraverso la hall di 4 motonavi, perché la nostra è in mezzo al Nilo. Su ogni nave c’è in entrata il metal detector, ma sono tutti disattivati. Anche in molti siti archeologici è la stessa cosa, ma la polizia in divisa di panno nero (molto invernale!) fa la guardia munita di pistole e mitragliette. La camera di Graziella e Licia è invece fantastica: stando sdraiati sul letto si gode infatti il Nilo e l’altra sponda. Sono contenta soprattutto per Licia: la prima volta in Africa e naturalmente la prima a Luxor, il primo impatto l’ha resa ‘gasata’. Questo fiume, il più lungo del mondo, con i suoi 6.650 km. Nasce in Burundi, vicino al Lago Vittoria, e sino al delta del Mediterraneo, attraversa 6 stati africani.

Alle 18.30 la guida ci accompagna in pullman al tempio di Luxor (a 400 m.) che si veste di un’aurea mistica e romantica così illuminato ad arte da mille lampade: tutto è molto suggestivo. La serata è calda e soprattutto Licia rimane sbigottita da tanta bellezza e imponenza: segatura! Io e Graziella avevamo già visto, quindi apprezziamo, ma non è come la prima volta. Costruito in riva al Nilo e circondato dalla città moderna, il Tempio di Luxor è uno dei più affascinanti monumenti dell’antico Egitto, elegante esempio di architettura faraonica. Dedicato alla triade tebana di Amon, Mut e Khonsu, il tempio fu eretto da Amenhotep III, (Amenofi III, il “Re Sole” della XVIII Dinastia) il cui lungo regno rappresentò l’apice del potere e del prestigio dell’antico Egitto. Il tempio di Luxor, scoperto in ottime condizioni nel 1881, ha avuto un’ottima conservazione grazie alla sabbia che lo ricopriva. La via che conduce al tempio, costeggiata da due file di sfingi, il Viale delle Sfingi, una volta arrivava fino a Karnak, 3,5 km a nord. Passeggiando nei dintorni tra gli edifici moderni di Luxor si trovano ancora tracce di questa via processionale, con ancora qualche frammento di statua intatto, ma stanno facendo un lavoro enorme, buttando giù case, chiese e ponti perché vogliono arrivare a Karnak e ripristinare il viale delle sfingi su cui gli antichi egizi compivano processioni nella festa annuale della inondazione. Arrivando al tempio, il pilone principale d’avanti all’entrata è decorato con scene della vittoria di Ramses II sugli ittiti, nella battaglia di Qadesh. Zakaria ci ha raccontato la storia, ci ha fatto vedere i punti più belli e alle 20.30 siamo rientrati. Cena a buffet alle 21. Siamo tutti un po’ stanchi: doccia e a letto. Domani si parte verso sud. Domenica 14.02.2010 – Esna – Edfu – Kom Ombo In navigazione dalle 4 verso Assuan. Colazione tutto a buffet alle 9: vario, buono e presentato bene. Poi sopra il ponte della nave, lungo i bordi della piscina, o sotto i tendoni a godere rilassate ed ammirare il paesaggio lungo il Nilo: palme da datteri, banani, capanne di contadini, campi coltivati, barchette azzurre ancorate a riva, isolette lussureggianti che dividono il fiume in due rami e più oltre il deserto. Man mano che si procede verso sud i campi con il loro verde brillante lasciano posto alle tinte calde del deserto ed il paesaggio inizia a cambiare: il letto del fiume si fa sempre più stretto e le dune di sabbia più vicine; vediamo anche numerose rovine di antichi templi e ingressi di tombe sconosciute che si affacciano direttamente sul Nilo. Assistiamo dal ponte al passaggio della chiusa di Esna per superare il dislivello di sette metri che ci separa dal tratto del Nilo Esna-Assuan e si prosegue dolcemente sino a Edfu. Scendiamo e con il pullman ci portano a vedere il Tempio di Horus. Il tempio di Horus è più recente di quelli di Karnak e Luxor. Il tempio è il meglio conservato in Egitto, ed è un incrocio tra l’architettura egizia e quella tolemaica, è fatto di arenaria e risale al 3 secolo avanti cristo. Il tempio di Edfu costituisce ancora il modello esemplare di tempio egizio, con la sua cinta muraria, le due torri che formano il pilone di ingresso, il vasto cortile interno. Il tempio di Edfu è dedicato a Horus, il dio dalla testa di falco, figlio di Osiride e di Iside, immagine divina di ogni faraone e del suo potere regale. Infatti, ad accoglierci sulla soglia del santuario, c’è proprio la statua di un falco, alta ben 3 metri, che porta le due corone del Basso e dell’Alto Egitto. Al rientro prenotiamo altre escursioni a pagamento: la visita guidata di Assuan, Philae, Abu Simbel e il tempio di Habu per un totale di 145 euro. Questo viaggio, con il visto, pertanto, mi è costato un totale di € 1.065. Cena a buffet, passeggiata sul ponte. Notte buia, calda, con tombe rupestri illuminate nella notte, grilli, rane. A nanna. Lunedì 15.02.2010 – Kom Ombo – Assuan Sveglia alle 6.30. Siamo già ormeggiati a Kom Ombo. Siamo a 40 km. A nord di Assuan. Questo luogo aveva una importanza strategica per la posizione sulle colline: dominava il Nilo per il controllo del commercio dalla Nubia (sia via terra, che via mare) di oro, ebano e avorio. Il massimo splendore lo ha avuto in periodo tolemaico, con la costruzione di templi, le cui pietre, purtroppo, nei secoli sono state utilizzate per altre costruzioni. Il tempio attuale era dedicato a due divinità, tutto è duplicato: due entrate, le porte, le cappelle. Alcuni punti non colpiti dalla luce diretta sono ancora colorati. Due cose importanti da segnalare degli interessanti rilievi: Ø strumenti medico-chirurgici: pinze, trapani, bisturi, ecc. Un esempio delle avanzate conoscenze in medicina dell’epoca. Ø il calendario dal quale si apprende che gli antichi egizi dividevano l’anno in tre stagioni da 4 mesi di 30 giorni (riferiti al periodo dell’inondazione del Nilo, alla semina e al raccolto). Recuperando i 5 giorni (per arrivare ai 365) è stato aggiunto un mese di soli 5 giorni. Rientrati alla motonave, siamo ripartiti per Assuan. Sempre molto bella la costa lungo il fiume: verde, coltivata, terrazzata con magri bovini al pascolo. Arrivati ad Assuan alle 12 siamo andati subito a pranzo, perché all’una abbiamo fatto un bel giro sulla feluca raggiungendo l’Isola degli Alberi o Isola Kitchener, a nord-ovest dell’Isola Elefantina (dove avevo soggiornato nel mio primo viaggio del 2004): è un orto botanico dove crescono numerosi tipi di rare essenze tropicali asiatiche e africane, con alberi secolari e fiori bellissimi. L’isola è piena di gente che fa il pic nic e di giovani che passeggiano con i loro abiti colorati, nel caso delle giovani ancora nubili, oppure neri, se sposate. Portano in testa quasi tutte il velo previsto dalla religione musulmana, anche se in Egitto non c’è l’obbligo di coprirsi il volto come invece in altri paesi islamici più tradizionalisti. Durante la navigazione tra le decine di isolette che rendono così particolare il paesaggio, ci raggiungono alcuni bambini a bordo di minuscole barchette artigianali, per poi attaccarsi piratescamente alla nostra imbarcazione e cantarci “Un mazzolin di fiori”, “Bella ciao” e “La lambada” nella speranza di ricevere qualche spicciolo o un po’ di caramelle. Li ho fotografati perché erano bellissimi, ma soprattutto simpatici. Dalla sponda sinistra del Nilo si vedono spuntar dalla sabbia le tombe degli antichi principi locali e il mausoleo dell’Agha Khan . Rientrati alle 16, siamo ripartiti per la scoperta di Assuan: un giro per le strade meno frequentate per vedere come e dove vive la gente, per raggiungere poi una collina da dove si vede un’ansa del Nilo ed il tramonto: sono circa le 17.30. Una pausa per un biscottino, il the e il karcadè e alle 18.10 raggiungiamo il centro. Siamo stati presi d’assalto da decine di venditori: al mercato di Assuan si trova proprio di tutto, dai vestiti alle cartoline, dalle statuette di finto basalto ai tipici copricapi locali, dagli scialli di lino alle collane di semi profumati. Purtroppo tutti questi ragazzi sono veramente come le mosche, insistenti, fastidiosi: un euro, un euro, un euro, vieni a vedere, solo vedere…Uno in particolare mi si è avvicinato e con un dito mi ha toccato il seno: silicone? Ho risposto solo: vaffan…. Abbiano un’ora e noi – le tre grazie – abbiamo fatto appena in tempo a comperare qualche souvenir d erbe aromatiche, ritornando alla base alle 19.20. Una doccia veloce e a cena. Martedì 16.02.2010 – Philae – Abu Simbel Sveglia alle 6. Oggi giornata piena per due mete importanti. Alle 7 pronti per Philae: sito stupendo già visto in precedenza. Al sito ci si arriva con dei piccoli, rumorosi scafi che producono un fetore di gasolio ed uno smog alto mezzo metro sull’acqua. Ce ne sono così tanti e tanta è la gente che è uno spettacolo degradante di disordine organizzato. L’isola di Agilkia, però, nel suo complesso è molto suggestiva e ospita il bellissimo complesso monumentale di Philae (IV secolo a.C), salvato per miracolo dalle acque tra il 1972 e il 1980 pietra per pietra (37.363 blocchi) e installato altrove, in una posizione più elevata, perché rischiava di essere sommerso dopo la costruzione della grande diga di Assuan. Le colonne del tempio portano ancora il segno delle acque del Nilo. Collocato su questa isoletta verdeggiante e circondato dal fiume, il tempio si intona armoniosamente con il paesaggio e merita davvero qualche foto scattata dalla barca. Dopo alcune notizie e informazioni storiche fornite da Zakaria, lascio il gruppo e vado a fotografare per conto mio l’esterno, con l’importante porticato e l’interno. Il Tempio ospitò un tempo il santuario di Iside, la dea della bontà e della fertilità, il cui culto fu largamente accolto anche in ambiente greco-romano. Quando nel VI secolo d.C. L’imperatore Giustiniano impose la chiusura del tempio pagano, i cristiani sfogarono il loro fanatismo religioso sulle belle strutture del tempio, in particolare sulle raffigurazioni di Hathor e Iside, scalpellandole. Nonostante ciò l’edificio, lungo 65 metri, è ben conservato. Tornati all’imbarcadero, dopo esserci fatti largo fra gli instanca­bili venditori di qualsiasi cosa (cartoline, guide in russo, collane, braccialetti, magliette), attendiamo il nostro bus per il rientro tra centinaia di persone che attendono a loro volta il mezzo di rientro. I bus devono far manovra in un cul de sac inverosimile: rumore, inquinamento e soprattutto i venditori di magliette che sollecitano, insistono, ti chiamano, cercano di cogliere la tua attenzione, contrattano. Licia era sopraffatta da un ragazzo che voleva venderle una camicia bianca XXL ad un prezzo più alto dei colleghi perché c’era più stoffa e trovava da dire con un altro venditore che era invece disponibile allo sconto. Finalmente siamo riusciti a salire in bus ed il finale è stato avvincente: l’autista in retromarcia, in salita, contromano è tornato al piazzale per poter riprendere la strada. Qui sono tutti pazzi i guidatori: passano, anzi rasentano le persone e le auto lungo la strada, ma nessuno si fa problemi. Lo stesso succede con le barche: i moli e gli attracchi sono così pochi che per farsi spazio vanno avanti come gli autoscontri. Siamo quindi rientrati alla motonave per ripartire con un gruppo per Abu Simbel, ma in convoglio. Ci vogliono tre ore per 280 km. Ed il sole è cocente, ma lo spettacolo è assicurato. Un mare di turisti, molti giapponesi vestiti anche con il passamontagna per non prendere il sole (è disdicevole abbronzarsi!). Siamo ad appena 70 km. Dal Sudan. Il Grande Tempio ed il tempio di Hathor, costruiti dal celebre Ramses II (Nuovo Regno, XIX dinastia, 1290-1224 a.C.), furono spostati durante gli anni Sessanta per salvarli dalle acque che li avrebbero altrimenti sommersi: oggi due colline artificiali ospitano i templi, smontati e poi rimontati 64 metri più in alto rispetto al sito originario anche con l’ausilio di marmisti di Carrara. Lo spettacolo è straordinario. La maestosità dei quattro colossi di Ramses II del Grande Tempio è davvero indescrivibile. Queste gigantesche figure del sovrano sono alte ben 20 metri Scatto numerose foto alla facciata, ma purtroppo non è più possibile farlo all’interno (si fa per dire…nel mio caso). E’ un peccato perché i bassorilievi e i geroglifici sulle pareti celebrano le gloriose imprese belliche del faraone ed in particolare la nota battaglia di Qadesh, in cui secondo la cronache egiziane Ramses II sconfisse l’esercito ittita. Attraversati il pronao ed il vestibolo con le loro magnifiche raffigurazioni, si giunge al sacrario, che ospita le statue di Amon-Ra, Ptah, Ra-Horakhty e del faraone stesso divinizzato. Secondo la tradizione egiziana, all’alba di due particolari giorni dell’anno (21 febbraio e 21 novembre, mi pare di ricordare), i raggi del sole nascente, passando attraverso il portale d’ingresso e fendendo l’oscurità del tempio, arrivano ad illuminare i volti delle divinità, escluso quello di Ptah. Sulla destra del Grande Tempio c’è il tempietto di Hathor, fatto erigere da Ramses per omaggiare la bella moglie Nefertari, incarnazione vivente della dea Hathor. Le scene scolpite sulle pareti interne sono di incredibile bellezza e testimoniano l’amore che legava il faraone alla regina. Rientro alle 19.30 in hotel. Dopo cena spettacolo in discoteca di una danzatrice del ventre: musica etnica, buone percussioni. Invitato naturalmente il pubblico a destreggiarsi con la ballerina. Mercoledì 17.02.2010 – Assuan Solita sveglia alle 6. Prima tappa una cava di granito rosa dove 3000 anni fa era stato scavato l’obelisco definito ‘incompiuto’ perché è ancora alloggiato nel luogo di estrazione e non del tutto lavorato. Su una piccola collinetta infatti affiora dalla roccia, steso in orizzontale, un obelisco, scolpito in un unico pezzo di granito, lungo circa 40 metri. L’obelisco risale probabilmente al periodo della regina Hatshepsut e fu lasciato incompiuto, intrappolato nella roccia per l’eternità, a causa delle crepe che si erano aperte nel granito. Nel caso fossero riusciti ad estrarlo, sarebbe stato il più grande al mondo mai istallato. Intorno ad esso venne praticato un intercapedine largo circa cm 75 per permetterne agli scalpellini la lavorazione. Il materiale veniva estratto dalle cave utilizzando il sistema di penetrazione nella roccia di cunei di legno di sicomoro successivamente bagnati. La roccia si fendeva grazie al gonfiamento dei cunei che producevano dei tagli levigati pronti ad essere lisciati. Ci siamo poi spostati alla Grande Diga, eretta nel 1960-64, da cui ha avuto origine il lago Nasser, che deve il suo nome al presidente Nasser, che ne volle la costruzione per migliorare i settori agricolo ed economico dell’Egitto moderno. La Grande Diga è lunga 3600 metri e 111 di altezza. Molte le grandi migliorie riscontrate in molti settori dell’economia dopo la costruzione della Diga di Assuan: è un bacino che raccoglie così tanta acqua che se non piovesse per 7 anni, l’Egitto sopravviverebbe ancora; produce inoltre energia elettrica per più della metà dell’energia necessaria all’Egitto. Sono stati numerosi però anche gli svantaggi di questa monumentale impresa: innanzitutto l’aumento di salinità nella zona del Delta, poi il drastico cambiamento dell’ecosistema, gli svantaggi nel campo della pesca e lo spostamento dei villaggi nubiani, ben 90.000 persone dovettero essere spostate. Uno dei danni più gravi è stato forse quello che ha colpito i numerosi templi che si trovano lungo le rive del fiume, soprattutto in Nubia, che sarebbero stati sommersi dalle acque del lago Nasser senza l’intervento dell’UNESCO. Quattordici templi, tra cui il famoso tempio di Abu Simbel, sono stati salvati dalle acque grazie alla loro accurata ricostruzione, dopo averli smontati, in luoghi più sicuri. Ai paesi che contribuirono a questa opera di salvataggio furono regalati alcuni piccoli templi, come il tempio di Ellesija, ora conservato al Museo egizio di Torino, donato all’Italia. Gli altri templi si trovano a Madrid (Tempio di Debod), al Metropolitan Museum d’Arte di New York (Tempio di Dendur), al Museo Egizio di Berlino (la porta del Tempio di Kalabsha), mentre il Tempio Taffa è stato spostato al Rijksmuseum van Oudheden a Leiden, Paesi Bassi. Altri templi (Semna East, due templi della fortezza di Buhen, un tempio da Aksha e la pietra tombale di Djehutihotpe) furono trasportati a Khartoum in Sudan Siamo quindi andati in un grande negozio per la vendita delle essenze. Tutto da vedere e da imparare, ma non mi interessa particolarmente. Ritornati sul Nilo, facciamo rotta verso le isole centrali del fiume prendendo una barca a motore che ci porta velocemente al villaggio nubiano. Attraversando un tratto del Nilo con numerosi scogli e canneti, tra i giunchi riusciamo a scorgere qualche ibis, uccello sacro per gli antichi Egizi, cormorani e aironi. Il tragitto verso il villaggio dura mezz’ora ed il paesaggio è bellissimo. Ci lasciamo alle spalle la moderna Assuan con i suoi palazzi e i suoi negozi, oltrepassiamo le isole costellate di alberghi lussuosi, tra i quali il famoso “Old Cataract”, set del celebre “Assassinio sul Nilo”, e finalmente ci ritroviamo immersi nella natura: da una parte le isolette rocciose e verdeggianti, dall’altra le enormi dune del deserto che in questo tratto toccano le rive del fiume senza lasciare spazio ai terreni coltivati. Andiamo in un bar/abitazione nubiana dove ci fanno fotografare tre piccoli coccodrilli e viene servito il karkade. Il villaggio in generale rimane abbastanza fedele alla tradizione, evidenziando che i nubiani, spostati negli anni ’60 dalle loro terre, sono una popolazione molto mite e unita e si sposano tra loro, spesso tra consanguinei. Il villaggio è carino, non mancano i cammelli e le passeggiate lungo il fiume. Queste popolazioni un tempo vivevano di pesca, mentre oggi vivono grazie solo al turismo. Pranzo alle 13.30 e si riparte subito per Luxor. Pomeriggio relax sul ponte. E’ molto bello e rilassante vedere le sponde del grande Nilo ed il tramonto. Lavati i capelli ci siamo preparati per la cena galabya (la tunica egiziana). Noi – le tre grazie – abbiamo optato semplicemente per un foulard sulla testa, messo alla maniera delle donne del posto, io con la faccia dipinta con una semplice riga verticale fronte, naso mento, collo. La cosa era così reale che molti avevano ritenuto che Graziella fosse una donna locale. Cena etnica, poi ballo e giochi in discoteca. Siamo sempre in navigazione e passiamo la chiusa intorno all’una. Giovedì 18.02.2010 – Luxor – Karnak Mi sono svegliata alle 7, ho guardato fuori, eravamo attraccati al molo di Luxor, ed ho visto le mongolfiere in cielo. Sono salita sul ponte dove Graziella, già da ore, sola, fotografava il paesaggio ed ascoltava il muezzin. Solo i marinai erano al lavoro per le pulizie del ponte. Alle 10 partenza per Karnak. Il percorso è breve perché siamo già parcheggiati davanti al museo di Luxor. Fa già molto caldo, il sole è implacabile e si cerca l’ombra. Arrivati a Karnak, colpisce subito il lungo viale di 40 sfingi in pietra aventi corpo di leone e testa di ariete. Oggi considerato uno dei siti archeologici più importanti dell’Egitto, un tempo è stato fiorente centro religioso in cui i faraoni si facevano incoronare. Dedicato ad Amon, supremo dio del cielo e della fecondità, la costruzione si è sviluppata nell’arco di oltre mezzo millennio, dal XVI al XI secolo a. C. E praticamente non si è mai conclusa. Nella grande impresa si impegnarono vari faraoni, desiderosi di ampliarlo, arricchirlo e renderlo sempre più maestoso. Ramses lasciò un profondo segno del suo passaggio. L’immenso tempio, che occupa una superficie di oltre 5.000 mq., superati i due piloni d’ingresso, inizia con una grande sala ipostila, formata da 134 immense colonne a forma di pianta di papiro. Le colonne sono alte ben 23 metri! Stupiti dalle dimensioni gigantesche di ogni cosa, ci perdiamo tra le rovine dei vari templi e cappelle per più di due ore, fino a ritrovarci sulle sponde del lago sacro per contenderci la poca ombra di una palma da datteri. Qualcuno approfitta della sosta per compiere sette giri intorno alla statua di un grande scarabeo sacro (secondo la tradizione girando intorno alla statua riceverà fortuna e fecondità). Prima di andare a pranzo ci siamo fermati in un grande negozio di papiri, dove ci hanno fatto vedere la lavorazione ed il loro utilizzo, ma non mi interessa, quindi usciamo e nell’attesa, proprio dietro la palazzina, meraviglia delle meraviglie: il viale delle sfingi che stanno recuperando buttando giù case. Un ragazzo, che si era avvicinato a noi e che parlava italiano, ci informa che i lavori sono avanzati e forse la prossima volta che verremo in Egitto troveremo recuperata tutta l’antica strada che portava da Luxor a Karnak. Nel pomeriggio era previsto un facoltativo giro in calesse (€ 16!!). Noi abbiamo preferito girare da sole. Sbagliando strada abbiamo potuto però vedere la vita locale ed un piccolo cimitero con tombe azzurre sotto gli alberi, anche se non troppo curato. Poi abbiamo proseguito per il tempio di Luxor riscontrando che in ogni dove stanno scavando per recuperare il viale delle sfingi non guardando in faccia nessuno: via case, via chiese, via strade, via ponti…Alcuni acquisti di souvenir, un the alla menta e di nuovo alla motonave: doccia, relax e cena. E pensare che in Italia fa freddo e piove! Prima di partire avevo guardato in internet le temperature: Luxor 7/27, Assuan 9/32: balle! Alla sera 20 gradi: altro che maglie! Abbiamo messo in valigia troppa lana! Venerdì 19.02.2010 – Valle dei Re – tempio regina Hatshepsut – Medinet Habu Sveglia alle 5, alle 6 si parte per la Valle dei Re e la giornata si presenta già calda. Con il pullman costeggiamo i numerosi canali artificiali che dal Nilo si estendono fino al limite della zona desertica. Lungo i canali ci sono le abitazioni di fango e mattoni di argilla dei contadini. I contadini egiziani, nonostante l’apparenza, non sono affatto poveri perché solitamente sono proprietari della terra che coltivano. Sulla strada ci fermiamo a fotografare i celebri colossi di Memnone. Le due statue (alte 16 metri) sono tutto ciò che rimane dell’antico tempio di Amenofi III, ma si sta scavando. Nel 27 a.C. Un terremoto aprì nei colossi lunghe fenditure responsabili del fenomeno per cui le statue, all’alba, quando la pietra cominciava ad asciugarsi dall’umidità della notte, emettevano un suono simile alla vibrazione di una corda di chitarra. Da fotografare anche decine di mongolfiere, anche se il cielo – sembra inspiegabile – è a strati marrone per l’inquinamento. Alcune casette hanno la facciata affrescata, segno che i suoi abitanti hanno compiuto, da buoni musulmani, il pellegrinaggio alla Mecca. Superiamo la striscia verdeggiante di terre coltivate e ci inoltriamo verso il deserto. E, mentre proseguiamo verso il cuore della collina, su un’altura si materializza il profilo della casa di Howard Carter, il famoso archeologo che nel 1922 scoprì l’unico sepolcro della valle lasciato quasi intatto dai profanatori, la tomba di Tutankhamon. La valle è celata da alte rocce e la via d’accesso è lunga, stretta e tortuosa, ma siamo arrivati a destinazione: la Valle dei Re. Scendiamo dal pullman e un trenino per turisti (comodo, ma sa da Disneyland!) ci porta fino all’ingresso della zona archeologica vera e propria. Non si può fotografare assolutamente (né all’esterno, né tantomeno all’interno). Qui i faraoni, adorati come dèi viventi, fecero costruire le loro tombe, e la visita classica prevede l’ingresso nei sepolcri ipogei, in genere aperti a rotazione. La Valle dei Re, necropoli reale del Nuovo Regno (1570-1085 a.C.), conta ben 62 tombe, di cui la maggior parte purtroppo fu profanata già in epoca faraonica. L’unica tomba trovata intatta è appunto quella di Tutankhamon; tutti gli oggetti che vi furono rinvenuti sono oggi conservati al Museo del Cairo. Ho avuto l’occasione di vederlo in due occasioni ed è veramente straordinario, anche se è tutto da organizzare e mal illuminato. Entro due anni però dovrebbe essere già pronto, alle porte della città, il nuovo museo. Riusciamo a vedere tre tombe senza troppa fila: la tre, la nove e la uno: sono sempre impressionata dalla miriade di geroglifici, dei lunghi testi in bassorilievo, dei cartigli, che contengono il nome del faraone, e il tradizionale simbolo egizio, la chiave della vita, a forma di croce uncinata. Alcuni disegni, rigorosamente di profilo, mantengono ancora gli antichi colori. Rimanere ad osservare ogni particolare dei bassorilievi e ogni dettaglio dei testi è un’esperienza unica ed emozionante, soprattutto immaginando la tomba appena affrescata e ancora colma di tesori. Dopo la visita alla Valle dei Re ci dirigiamo in pullman verso il tempio della regina Hatshepsut (Nuovo Regno, XVIII dinastia, 1490-1468 a.C.). La collina di roccia rossa in mezzo al deserto forma qui un’immensa semicirconferenza che sembra creata ad arte per accogliere il maestoso edificio. Il tempio, incastonato nella roccia, è formato da tre terrazze colonnate, collegate tra loro da una larga rampa che divide la costruzione in due parti perfettamente simmetriche, ma in parte ricostruito. Il tempio fu progettato e costruito dall’architetto Senmut, che la leggenda vuole fosse l’amante della bella regina e che abbia costruito questo tempio proprio per immortalare l’amore che lo legava alla sovrana. La regina Hatshepsut è passata alla storia per essere stata una delle poche donne faraone nel corso delle tante dinastie, governando per ben 20 anni. Si dice che portasse le barba posticcia e che indossasse abiti maschili per affermare la propria sovranità agli occhi del popolo. Con la morte della regina e la presa di potere di Thutmosi III, i cartigli che portavano il nome di Hatshepsut e le immagini che la raffiguravano vennero cancellati, affinché la memoria della donna-faraone cadesse per sempre nell’oblio. Il 17 novembre 1997 nei pressi del tempio gli integralisti musulmani effettuarono un attentato in cui persero la vita 62 persone, 58 turisti stranieri e 4 cittadini egiziani. Dopo questo avvenimento ci fu un periodo di crisi del turismo in Egitto, crisi da cui la regione sta uscendo negli ultimi anni. Non poteva mancare una visita ad un laboratorio di alabastro: non mi interessa, ma c’è sempre qualcuno che compera. E poi il clou della giornata: un tempio minore che non avevo visto in precedenza: il monumento meglio conservato di tutta l’area Ovest, Medinet Habu, tempio funerario di Ramsete III, dentro le mura del palazzo reale. Lo stesso monarca racchiuse in una possente muraglia di mattoni oltre al suo tempio funerario, anche il tempio di Amon e sviluppò una città che divenne il cuore del governo e della vita economica di Tebe per alcuni secoli. Bisogna ammirare gli splendidi rilievi policromi perfettamente conservati che raffigurano feste religiose, tra i più ricchi di colori dei monumenti dell’antico Egitto. Medinet Habu assomigliava a una città fortificata, con templi, palazzi, cappelle e quartieri residenziali destinati a sacerdoti e funzionari. Il tempio, ispirato a quello di Ramsesse II, il Ramesseo (attualmente chiuso), contiene infatti oltre 7000 mq di superfici splendidamente decorate. Siamo tornati alla motonave all’una e mezza stanchi, accaldati, ma con una carica finale da fuochi d’artificio. Dopo pranzato Zakaria ci ha comunicato gli orari per il rientro: sveglia a mezzanotte (!!), partenza all’una per l’aeroporto di Luxor da dove decolleremo alle 4.30. Per la mancia, essendo 32 persone, ci siamo regolati con € 5 euro a testa, pari a un totale € 160. Non è molto, rispetto a quello che avevamo versato in anni precedenti, ma è una mancia! Dopo un bel riposino nel pomeriggio, alle 18 ci hanno portato in un bel negozio (Gohar Group) che vende oro, argento, pietre dure, pelletterie, magliette, ecc. Licia ha comperato 2 braccialetti. Rientrati per cena, valigia pronta, riposino e via…… Arrivo a Orio al Serio sabato 20.02.2010 alle ore 8.15. A quando la prossima? Nell’immaginario di ogni viaggiatore l’Egitto è ‘fascino’

P.S. Puntualizzo che molte notizie storiche le ho acquisite in internet



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