Dall’entroterra dell’Ecuador alle Galapagos

Dalle cittadine coloniali alla bellezza della natura selvaggia e incontaminata delle isole Galapagos
Scritto da: Luna Lecci
dall'entroterra dell'ecuador alle galapagos
Partenza il: 23/01/2013
Ritorno il: 08/02/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Otto giorni d’Ecuador, otto giorni di Galàpagos

Descrizione in breve: L’Ecuador, una nazione dai tanti differenti scenari che vanno dalle tradizioni culturali delle popolazioni indìgenas, alcune tra le più longeve della terra, a quelle degli abitanti di cittadine coloniali, alla bellezza della natura (flora e fauna) selvaggia e incontaminata delle isole Galàpagos, ai paesaggi lunari dei vulcani, verdissimi delle alte montagne e coltivatissime delle vallate. Tutto intrigante e da scoprire, ovviamente, sul luogo!

Destinazioni: Quito, Laguna de Peguche, Otavalo, Laguna San Pablo, Galapagos, Isola San Cristòbal, Isola Los Lobos, Isla Santa Fé, Isola Barrington, Isola South Plazas, Isola Santa Cruz, Isola Indefaticable, Isola Chàvez, Puerto Ayora, Darwin Center, Highlands, Isola Isabela, Isola Albemarie, Puerto Villamil, Vulcano Sierra Negra, Volcàn Chico, Punta Moreno, Bahia Elisabeth, Tagus Cove, Isola Fernandina, Isola Narborough, Punta Espinoza, Isola Santiago, Isola San Salvador, Isola James, James Bay, Isola Rabida, Isola Jervis, Isola North Seymour, Isola Baltra, Guayaquil, Mitad del Mundo, Caldéron, Pujili, Quilotoa.

Periodo del viaggio: 23/01/2013 – 08/02/2013

Range di spesa sostenuto: € 2.560, a persona

Numero di viaggiatori: 2

Temi del viaggio: Mare, Montagna, Cultura, Crociera, On The Road

Testo:

· Sommario: giorni, mete, trasporti e pernottamenti;

· Premessa;

· Il viaggio minuto per minuto.

Sommario: giorni, mete, trasporti e pernottamenti

Roma-Madrid-Quito (voli Iberia – Hostal El Ejido)

2° Quito: città vecchia e nuova

Quito: Mercato Centrale; Otavalo; Cascada de Peguche (bus pubblici – Hotel Los Ponchos Inn)

Otavalo: mercati-Laguna San Pablo-Quito (bus pubblici – Hostal El Ejido)

Quito-Galàpagos: Isola San Cristòbal (voli Lan – nave Eden); Isola Los Lobos

Isola Santa Fé; Isola Plazas (South); Isola Santa Cruz: Puerto Ayora

Isola Santa Cruz: Puerto Ayora, Darwin center e Highlands

Isola Isabela: Puerto Villamil, Sierra Negra e Vulcan Chico

Isola Isabela: Punta Moreno e Bahia Elisabeth

10° Isola Isabela: Tagus Cove; Isola Fernandina: Punta Espinoza

11° Isola Santiago: James Bay; Isola Ràbida: Jervis beach

12° Isola North Seymour; Isola Baltra-Guayaquil-Quito (voli LAN – Hostal Luz 2)

13° Quito-Mitad del Mundo-Caldéron-Quito (bus pubblici)

14° Quito-Pujili-Quilotoa-Quito (auto privata)

15° Quito: TelefériQo e Panecillo (taxi e bus pubblici)

16° Quito: Mercado Central, El Centro, Parque La Carolina

17° Quito – Guayaquil-Madrid–Roma (voli Iberia).

Premessa

Vacanza last minute, se non last second, e organizzata da me con la certezza di visitare una nazione dai tanti differenti scenari che vanno dalle tradizioni culturali delle popolazioni indìgenas, alcune tra le più longeve della terra, a quelle degli abitanti di cittadine coloniali, alla bellezza della natura selvaggia e incontaminata delle isole Galàpagos, ai paesaggi lunari dei vulcani, verdissimi delle alte montagne e coltivatissime delle vallate. Tutto intrigante e da scoprire, ovviamente, sul luogo!

Non prenoto nulla dall’Italia se non il volo e le prime due notti nella capitale. Prendendo spunto da alcuni reportage di altri turisti, d’itinerari proposti da agenzie, dalla consultazione di una guida… ho più o meno un’idea di massima di cosa vedere, visitare e quanto stazionare nelle varie località.

Quattro giorni nella capitale (la città vecchia, la nuova, la Metà del Mondo, il TelefériQo, il Panecillo), due giorni nella valle intorno agli altopiani settentrionali (il famoso mercato preincaico di Otavalo del sabato non si può assolutamente perdere), due in zona Cotopaxi-Quilotoa e otto giorni alle Galàpagos (sole, mare, snorkeling e tuffo nel tempo tra animali ancora allo stato brado, in un laboratorio naturale).

Avrei prenotato dall’Italia i voli (Aerogal o Lan o Tame) per le Galàpagos, distanti quasi mille km dal continente, se non avessi trovato qualche difficoltà per pagamenti con carta di credito, tariffe poco agevolate per i non locali… Come girare per quelle isole? Sicuramente con una crociera per vederne il più possibile. Avevo mandato una mail generica a una serie d’indirizzi trovati on line di agenzie ecuadoriane segnalando le mie esigenze: una crociera di livello medio, non eccessivamente lussuosa, ma neppure troppo economica (senza acqua calda o bagno in camera). Trovavo indicazioni di almeno una cinquantina di navi suddivise più o meno in 5 categorie: economica, turistica superiore, di medio rango, di prima classe e di lusso. Mi concentravo su quelle che avevano una durata di 8 giorni, 7 notti, valutavo i prezzi scoprendo, per gli stessi tragitti, e spesso sulle stesse navi, differenze di parecchie centinaia di $. Nel giro di qualche giorno ricevevo risposte: i prezzi erano esclusivi, scontati a tal punto che non li avrebbero riconosciuti se ne avessi parlato con altri turisti… va bene! Nulla da fare, anche questa parte del viaggio sarà da organizzarsi in loco rivolgendomi a un’agenzia a Quito (pagherò un intermediario ma avrò la certezza di raggiungere lo scopo) o comprando il volo e contrattando sul porto con i diversi armatori (abbatterei ancor di più i prezzi, ma dovrei avere la fortuna di trovare i posti sulle imbarcazioni giuste).

Ritiro un bel po’ di dollari in contanti facendo attenzione a portarne diversi di piccolo taglio e… via, si parte! Chi vivrà vedrà… e scriverà!

Il viaggio minuto per minuto

1° – Mercoledì 23 gennaio. ROMA→MADRID→QUITO

(voli Iberia – Hostal El Ejido)

Sul sito dell’Iberia compro, a una settimana dalla partenza, il volo per Quito, Aeroporto Internazionale Mariscal Sucre (€ 966,00pp a/r) con scalo di due ore a Madrid. Non è la tariffa migliore trovata (le più economiche sono le linee American Airlines e Delta, che fanno scalo a Miami o ad Atalanta), ma sicuramente è la più diretta, con il minor numero di ore di volo che mi consente di non arrivare di notte. Lungo la tratta europea di tre ore (posti 19E) le consumazioni sono a pagamento, mentre su quella intercontinentale, di circa 11 ore (posti 23J), servono tre pasti (il pranzo: cannelloni o parmigiana, insalatina e dolcetto; uno spuntino: tramezzino tonno e maionese o vegetale; merenda: mini baguette prosciutto cotto e formaggio, yogurt, due biscottini e un KitKat). Per gran parte della durata del volo c’è la possibilità di vedere film in spagnolo o in inglese e di servirsi le bevande. Atterro con il mio boy alle 17,55, ora locale a Quito, il cui nome deriva dai primi quiteños, i quiti, situata in una delle 24 province di questo Stato, quella di Pichincha e siamo a quota 2.850 mt di altezza.

Il fuso orario è di 6 ore in meno rispetto all’Italia dov’è mezzanotte. Le operazioni di controllo passaporti sono lunghissime e durano più di un’ora, ma faccio in tempo a chiedere informazioni per il volo alle Galàpagos presso gli sportelli al pubblico delle tre compagnie aeree principali che si trovano nell’area voli nazionali (chiudono alle 19). L’Aerogal non ha disponibilità per le date richieste e la prima utile è troppo in là ($ 461pp A/R), mentre la Tame ($ 529,40pp A/R) e la Lan ($ 542pp A/R) sì, ma le tariffe non mi sembrano così convenienti e quindi rinvio l’acquisto (e meno male! Le agenzie di viaggio a Quito offrono prezzi più bassi).

Per raggiungere l’Hostal El Ejido (hostalelejido@hotmail.com), prenotato quattro giorni fa su booking, situato tra la zona vecchia e quella nuova (Juan Larrea y Riofrìo) potremmo prendere il Metrobus o il Trole ($ 0,25pp, una sorta di metro su strada), le cui fermate distano una decina di minuti a piedi, ma siamo un po’ stanchi, è già buio, è l’ora di punta, i mezzi sono affollati e, soprattutto, portiamo con noi troppi soldi, per cui optiamo per un taxi che in un quarto d’ora, per $ 5, dopo un minimo di contrattazione, ci lascia davanti l’Hostal – che non significa ostello, ma pensioncina. La stanza, prenotata per due notti ($ 30,00 tot cash), non è nulla di che, anzi, è molto piccola, non ha finestre, un micro armadio a muro, tv, due saponette e due asciugamani che arredano il fatiscente bagno senza bidet e dal soffitto ammuffito. Chiediamo se ce n’è una un po’ più grande e con nostra sorpresa e piena disponibilità, il gentile sig. Jorge ci mostra e fa scegliere tra altre due stanze attigue alla hall, molto più spaziose e con collegamento a internet diretto. Non abbiamo dubbi e velocemente ci trasferiamo nella stanza 22 (ma perché non ce l’ha offerta prima? Boh!). In Italia sono le 4 ed è ora di dormire.

Ecuadoregno o ecuadoriano? Ecuadoregno o equatoregno sicuramente no, in Ecuador sono termini inesatti, anche se in Italia si usano. Ecuadoriano va più che bene, anche se, effettivamente, la parola più corretta, ma arcaica e in disuso è ecuatoriano.

2° – Giovedì 24 gennaio – QUITO: città vecchia e nuova

Il mio boy stanotte ha avuto difficoltà a respirare bene per l’altitudine e a guardare le vette che ci circondano… siamo bassissimi! Ci siamo svegliati più volte, ma il silenzio e il calduccio delle coperte ci davano conforto. Alle 7 si cominciano a sentire i primi rumori di una tv che si accende, di un cucchiaino girato probabilmente da chi nella hall si sta facendo un tea o un caffè. La colazione locale (desayuno), nel ristorantino Rosita adiacente, è a base di jugo=succo di frutta, huevo=uovo, toast/sandwich e latte caldo per un totale di $ 1,50pp. Il clima è mite, alle 8 ancora molte saracinesche devono aprire mentre nel parco antistante l’hostal: Parque El Ejido, molte persone corrono o fanno ginnastica. Vogliamo risolvere quanto prima il problema crociera per cui ci dirigiamo, passando sotto un arco in pietra, ad Avenida Amazonas, il viale principale della città nuova, La Mariscal, dove le agenzie di viaggio pullulano. Entriamo in parecchie di queste (Pamtours, Sangay touring -info@sangay.com-, Scuba Galàpagos -www.scubagalapagos.com-, Tierradefuego -www.ecuadortierradefuego.com-, Expediciones Centro del Mundo -www.expcentromundo.com-, DioTours -www.diotours.com) dove ci vengono proposte varie crociere, alcune con le stesse navi, altre con imbarcazioni differenti. I prezzi sono più bassi rispetto a quelli di qualche preventivo ricevuto via mail. Siamo indecisi se scegliere Guantanamera (Turistic superior) per $ 1.150; Encantada (Turistic superior) o Yolita II (mid-range) per $ 1.300.

Ci pensiamo davanti due batidos=frullati di frutta fresca con latte serviti dalla timida Clarnica presso il Palacio de las frutas, squisiti e salutari ($ 1,75 Av. Amazonas 21-239. Dall’ottimo aspetto anche le ricche insalate di frutta, gli jugos=spremute di frutta $ 1,25 o gli zumos a $ 1,75), rientriamo in hostal a prendere soldi e passaporti e nel frattempo tutte e tre le offerte sono svanite! Anche il personale delle agenzie che le aveva proposte si “mortifica” ogniqualvolta richieda la conferma. Una ragazza in particolare, Karina (kary@bustos@diotours.com), che ha aperto l’agenzia da soli due mesi, si rivela la più intraprendente e cerca di accontentarci cominciando una serie di telefonate ai diversi tour operator che trattano alcune navi che le suggerisco io e delle quali avevo ricevuto offerte via mail. Vada per l’Eden (mid-range) a un prezzo di $ 1.350pp (8 giorni, 7 notti) perché, a parte la New Flamingo per $ 1.050pp, spesso sconsigliata, è l’offerta migliore sul mercato. Abbandoniamo l’idea di comprare solo il volo per le Galàpagos per non correre il rischio di non trovare subito una nave in partenza dal porto e poi siamo indecisi in quale porto arrivare poiché le crociere iniziano da 3 diversi posti e fanno almeno 3 tragitti differenti. Decisa la crociera, acquistiamo il volo Lan (andata Quito-Isola San Cristóbal e ritorno isola di Baltra-Quito) per $ 507pp: un salasso! Lasciamo gran parte di contanti, il resto lo porteremo domani quando ritireremo i documenti di viaggio. Un po’ più alleggeriti (di soldi e di pensieri) ci incamminiamo per la città vecchia, non prima di due chochos con queso=gigantesche pannocchie con formaggio tenero tipo primo sale (el campesino) da Los Papas de Rosita de la Manosca su calle C. Ponce ($ 2, compresa una bibita segnalata con un +) servite da una timida mamma e una bella figlia indigene vestite tradizionalmente (secondo le etnie cambia il colore e la forma degli indumenti).

Tante sono le mamme con neonati in braccio, abbracciati e avvolti con plaid o portati a mo’ di zainetto sulla schiena, legati con una stola di panno pesante incrociata davanti. I bimbi indossano cappelli di lana tra i più curiosi (teste di animali o personaggi dei cartoni animati) e rimangono buoni e immobili nonostante i diversi movimenti (chi cucina, lavora, sistema la merce sui banchi, pranza…) della persona che li regge. Non si usano passeggini, probabilmente per le ripide salite e discese di questa città a volte anche un po’ dissestate.

Comincia a piovere di brutto, così, all’improvviso, ed essendo sprovvisti di k-way e di ombrello, con una corsetta rientriamo in hostal. Ci asciughiamo e rilassiamo un po’, facciamo qualche conto e mandiamo informazioni in Italia via internet.

Per cena diamo fiducia al ristorantino attiguo l’albergo: Restaurant Rosita dove una zuppa di legumi, pollo al vino con riso in bianco, un piatto di patate fritte e due succhi di ananas costano $ 3 totali: non male!

Maltempo passato, alle 20 usciamo per una bellissima e consigliatissima passeggiata lungo le semideserte e ben illuminate strade della parte vecchia, quella coloniale. Poco fuori l’albergo imbocchiamo Avenida 10 de Agosto, proseguiamo fino a Hermano Miguel, dove al centro una fontana a ritmo di musica e dai colori cangianti zampilla, proseguiamo per Calle Guayaquil e arriviamo a Plaza del Teatro, metà della quale è occupata dal ristrutturatissimo e bianchissimo Teatro Sucre. Continuiamo per Calle Flores e ci addentriamo nella zona pedonale per raggiungere Plaza Grande sulla quale si affacciano il Palacio del Gobierno, il Palazzo Arcivescovile e la Cattedrale. Passiamo prima davanti al Centro Cultural Metropolitano, dove si sta tenendo una manifestazione, poi alla preziosa Compañìa de Jesùs (che visiteremo di giorno $ 2pp), un giro per Plaza San Francisco (la mia preferita) con l’antico Monastero e infine sotto l’Arco de la Reina o Roqcafuerte con adiacente il Museo de la Ciutad e il Monasterio de Carmen Alto (dove torneremo di giorno per comprare i limones desamargados scoprendo che le monache di clausura non li fanno più! Anche il pannello rotante utilizzato per passare i dolci non è neppure in funzione). Finiamo il giro rifocillandoci e divertirci un po’ a La Ronda, una stradina pedonale su cui affacciano edifici settecenteschi, piena di localini dove ascoltare musica e bere, come abbiamo fatto noi, un caliente canelazo (un punch con distillato di canna da zucchero, cannella e succo di agrumi, $ 1) o mangiucchiare una ventas ($ 3,5) o un’empanada (panzerottino) vegetale fritta al momento in tanto olio bollente (Las Auténticas Empanadas de Morocho $ 0,50). Rientriamo passando per Plaza Santo Domingo dominata dalla settecentesca Chiesa dalle cupole illuminate, davanti alla quale si erge la statua del Mariscal Antonio José de Sucre, eroe dell’indipendenza ecuadoriana.

La temperatura è di 12°C, le vie sono sicure anche per la presenza di diverse pattuglie e noi rientriamo alle 23 soddisfatti e certi di rifare in pieno giorno lo stesso tour per visitare le bellezze artistiche.

3° – Venerdì 25 gennaio. QUITO: Mercado Central → OTAVALO: Cascada de Peguche

Dormito sicuramente meglio nel lettone che c’è ormai familiare. Lasciamo le valigie in hostal (deposito gratuito) e prepariamo gli zaini che porteremo a Otavalo nella provincia Imbarura. Prima di intraprendere il viaggio, però, facciamo una puntatina al Mercado Central a immortalare i tanti tipi di frutta, i banchi della carne con polli e galline in bella mostra a zampe all’aria, qualche banco di pesce, diversi espositori di salumi tra cui spicca la scritta La Italiana (mortadela….) e le donne intente a ripulire dalle foglie meno fresche i tanti mazzi di rose dai vari colori. La struttura non è grandissima, è su due piani e diversi sono i banconi che offrono piatti cotti al momento o frutta frullata, una sorta di Eataly per persone molto semplici che di prima mattina già gustano pollo/maiale e cereali/legumi a prezzi per noi stracciati! Stabiliamo di tornarci per il desayuno che oggi abbiamo fatto a base di frutta: 8 mini banane ($ 0,35) acquistate nei pressi dell’hostal e un bicchierone di plastica da lt 1 stracolmo di macedonia e succo di mora ($ 1,50) comperato presso una bancarella all’interno del parco El Ejido mentre assistevamo a uno spettacolo di un “artista di parco”. Passiamo in agenzia per ritirare le ricevute dei biglietti aerei e della crociera, salutiamo Karina, di nome e di modi, e ci mettiamo in viaggio per Otavalo.

Saranno tre i mezzi pubblici da prendere: l’Ecovia=un filobus nella centralissima Avenida 6 de Decembre, con direzione finale Rio Coca ($ 0,25pp); un bus in direzione Terminal Carcelen ($ 0,25pp), la cui parada=fermata non coincide con il capolinea, per cui occhi aperti nel caso in cui l’autista si scordasse di segnalarlo, e per finire il pullman per Otavalo ($ 2,20pp posti numerati) che parte ogni 20 minuti (fino alle 21) impiegando circa 2 ore. Sul mezzo noi guardavamo le vallate dai finestrini, gli ecuadoriani un film a tutto volume interrotto da un saliscendi continuo di venditori di qualsiasi tipo di cibo, bevande, oggetti (dalle lamette alle caramelle -5 a $ 0,25-, e poi creme, penne, buste per l’immondizia o bustine di uva a $ 1…). Ogni volta uno show per la presentazione delle varie proposte. Arriviamo alle 16,30 circa all’unico Terminal di Otavalo e ci dirigiamo subito nella piazza principale, dove domani vedremo il più grande e tradizionale mercato del Sud America. Accovacciate nei cigli delle strade, molte native vendono frutta: ciliegie, uva, mandarini, mango, granadilla, platani, uvilias (che in Italia usiamo prevalentemente per coreografia sulle torte, rotondi, arancioni, della grandezza di un’oliva verde dolce)… Optiamo per una busta di maracuja (9 frutti=$ 1) che non vediamo l’ora di assaggiare. Un odore irresistibile di prodotti da forno esce dalla Panaderia y Pasteleria La Tradicion, el legitimo pan Otavaleño, dove entriamo e compriamo delle pagnottelle, una a forma di mano, un’altra morbidosa e lucida, un panino integrale e un pane dulche ($ 1 tot) che in pochi bocconi facciamo fuori! Proprio su una stradina che porta alla piazza, notiamo due hostals e un hotel.

Entriamo nell’Hotel Los Ponchos Inn la cui reception è in fase di ristrutturazione. Chiediamo di vedere una stanza e molto gentilmente una signora ce ne mostra due con affacci differenti: una sulla strada con una palestra a vetri come dirimpettaia e uno spiraglio di vulcani all’orizzonte, l’altra che dà sul parcheggio interno. Scegliamo la prima e ci divertiamo, mentre gustiamo dolci e sfiziose granadilla, a guardare qualche otavaleño che si allena e la gente che passeggia. E’ spaziosa, pulita, con tv, wi-fi gratuito, bagno con acqua calda per la doccia dotato di asciugamani e saponette.

Sistemati gli zaini usciamo in direzione Cascadas de Peguche, a una quarantina di minuti di camminata di buon passo. La strada è sicura, molti bambini giocano indisturbati e tutte le persone della comunità indigena che incontriamo salutano cordialmente. La cascata non è male soprattutto perché, per raggiungerla, il percorso è piacevole e ben curato. Rientriamo affamatissimi a Otavalo, qualche acquisto di bibita presso il supermercato Akì sulla Panamericana mentre seguiamo orde di manifestanti con bandiere verdi dirette a Plaza de los Ponchos dove vi sarà un comizio elettorale del Presidente uscente (e che sapremo sarà riconfermato) Rafael Correa (che concorre contro Alvaro Noboa, il “magnate delle banane”, color giallo; Lucio Gutiérrez, color rosso-verde; il banchiere Guillermo Lasso…). Ci ritroviamo tra bancarelle di cibi cotti al momento e calarsi nella realtà di quella che sembra una festa dell’Unità è l’unica cosa da fare.

Cena. Il mio boy cena in panetteria con prodotti da forno, io mi siedo tra i banconi e i pentoloni delle signorone che cucinano e servono pollo, riso, patate, zuppe che gusto per $ 1,25 al piatto. Poi assaggio uno spiedino di carne, patatina novella e wurstel ($ 0,50) da un’altra venditrice e per non far torto a nessuno da un altro “bracierista” prendo una pannocchia arrostita ($ 0,80). Del comizio ce ne importa poco, anche perché ne avevamo ascoltati abbastanza in partenza dall’Italia (da noi si voterà il 24 e 25 febbraio mentre qui il 17)… ma delle persone che numerose continuano ad accorrere e a sostenere Correa in abiti per noi curiosi… eccome! Alle 23, però, a nanna perché domani sarà una giornata altrettanto impegnativa!

4° – Sabato 26 gennaio. OTAVALO: mercati; LAGUNA SAN PABLO; QUITO

Sveglia di buonora per assistere alla compravendita degli animali in un’ampia area che si trova a circa un km da Plaza de los Ponchos. Percorriamo la strada verso le 6,30 e già incontriamo persone con un animale al seguito: chi va a vendere e chi ha appena acquistato. Ma il clou arriva subito dopo aver superato un ponticello, dove famiglie intere sono attente a tenere al guinzaglio o, meglio, alla corda, mucche, tori, maiali, pecore, vigogne, lama… Alcune scene sono molto simpatiche, soprattutto quando gli animali sono docili e piccolini, altre strappano il cuore e sono strazianti: le corde vengono tirate a forza dai padroni e gli animali costretti a salire o a scendere da un camioncino o a spostarsi poco spontaneamente con spinte o calci. Le mucche muggiscono con tutto il fiato che hanno, i maiali emettono dei suoni quasi umani… Parte della grande piazza è adibita alla vendita di galli, polli, galline, cuy (porcellini d’india), conigli, gatti e cagnolini. Gli otavaleños guardano con attenzione “la merce”, valutano e contrattano. Facciamo una miriade di foto a quest’affascinante mondo così distante da noi.

Colazione a base di frutta: tre grandi maracuja=frutto della passione ($ 0,40), una bustina di ovos=esternamente simili ai mandarini cinesi ma dal grosso nocciolo e aspri ($ 0,50), una bustina di capuli=esternamente piccole ciliegie ma più scure e con nocciolo grande ($ 1) e per bevanda un bicchierone di sabila: succo caldo, denso e gelatinoso di aloe ($ 0,50), che pare faccia bene al funzionamento di tutti gli organi interni.

È poi la volta del grande mercato andino e lì i nostri occhi si fanno di tutti i colori e tutti i sensi sono sollecitati contemporaneamente. Ci vorrebbero ore per descrivere gli artigianali (e non) prodotti esposti in questa grande plaza e nelle stradine attigue, altrettante ore per i prodotti culinari provenienti dagli orti e venduti crudi o cotti. Quante donne ricamano, lavorano la lana, sbucciano legumi, cucinano polli o maiali… Si trova veramente di tutto, dall’abbigliamento agli accessori in un clima surreale. Indigeni vestiti tradizionalmente, atmosfera ovattata e non caotica, migliaia di bancarelle o di espositori seduti per terra ordinati, composti e silenziosi. Trascorriamo molto tempo a guardarci intorno, a respirare quest’atmosfera, a contrattare anche per acquistare semplici calamite, penne rivestite con bamboline… che porteremo via a 1/3 del prezzo richiesto. Ammiriamo gomitoli di lana di tutti i colori e dimensioni, accatastati uno sull’altro con effetto murales, tappeti morbidosi di alpaca, gioielli locali, sculture e ovviamente ponchos in tutte le tinte possibili. Le donne sono minute, indossano scarpe nere basse tipo espadrillas, aperte sulla punta, bracciali di corallo rosso e più girocolli/collane color oro. Sulla testa hanno delle stole arrotolate a mo’ di semiturbante, lunghe gonne nere, camicie bianche ricamate con disegni floreali dalle maniche larghe in pizzo sopra le quali una pezza monospalla e in vita una cinta in tessuto. Bellissimi, di un colore lucido e sano, i lunghi capelli neri raccolti in code o in trecce.

In stanza ci rifocilliamo un po’, ci assicuriamo che le 12 per il check-out non sia un orario rigido e partiamo per la Laguna de San Pablo raggiungibile con un bus ($ 0,25pp) dall’unico terminal. Impieghiamo una mezz’oretta per arrivare al più grande lago glaciale ecuadoriano, profondo dai 35 ai 48 mt, con una superficie di 7 km2, quasi 583 ettari, dove alcuni barcaioli, dandoci il benvenuto, propongono una navigatina. Decliniamo e rimaniamo incantati a guardare molte donne che in una piccola rientranza lavano montagne di vestiti insaponandoli e sbattendoli energicamente su alcuni lavatoi. Li metteranno poi ad asciugare su pietre, mentre l’imponente Vulcano Imbarura domina chiunque dall’alto. Per rientrare basterà mettersi sulla strada in attesa di un bus e fermarlo con un cenno.

Pranzo. Io presso un banco dove è in bella vista un maialino arrostito croccante (hornado) servito a pezzettini con tanti tipi di legumi intorno (mais tostado, ceci e piselli bolliti), il mio boy presso la panetteria di ieri (sta facendo proprio un carico di carboidrati). Entrambi un helado=gelato o, meglio, un cilindro obliquo di ghiaccio e frutta (mora e cocco) attorno a uno stecco di legno preparato da una locale e trasportato in una ghiaccia portatile.

Salutiamo i cordiali gestori dell’Hotel Los Ponchos Inn, saliamo sul bus per il Terminal Carcelen ($ 2pp), questa volta senza posti prenotati, e dopo due ore dalla stessa stazione prendiamo un altro bus ($ 0,25pp) per il Terminal North. Da lì il Trole (gratis) che ci condurrà al Parco El Ejido.

Bisogna riconoscere che i mezzi pubblici sono efficientissimi, passano di frequente, costano poco e li pagano tutti. Le persone entrano ed escono dalla stessa porta anteriore. Il bigliettaio è spesso in piedi e sistema per benino le monete in mano al fine di avere un resto pronto. A volte entra molta gente e, per non rallentare la corsa, il bigliettaio la fa accomodare e poi, non si sa come faccia, si reca da ogni persona per riscuotere il costo del biglietto (mai visto nessuno che prova a non pagare). Spesso, dopo qualche fermata, scende a timbrare (per segnalarne il passaggio) un ticket in un orologio a muro e in qualche caso si alterna alla guida con l’autista.

Check-in all’Hostal El Ejido dove Jorge ci accoglie sorridente, contento di aver custodito le nostre valigie e riassegnato la stanza 22 con lenzuola e piumone rinnovati. Una doccetta veloce e si riesce per una passeggiata in centro. Quasi tutti i negozi sono chiusi=cerrado, che stranezza, proprio di sabato pomeriggio! Solo le farmacie effettuano un orario prolungato e sono rifornite dei prodotti più comuni, bibite comprese! All’angolo di ogni block=blocco=quadro=isolato, diverse le bancarelle che vendono cibo. Per me curiosare, chiedere e assaggiare di tutto di più è diventata una piacevole ossessione e dalla piastra di una ragazza acquisto un grosso platano (una banana-legume gigante) grigliato ($ 0,50). E’ squisito e dolcissimo, un po’ croccantino fuori e morbido come una crema all’interno. Questa terra mi sta prendendo per la gola! Camminiamo curiosi di tutto e arriviamo in Piazza Grande o Piazza Indipendenza. Un bimbo ci vuole pulire le scarpe (ma sono da ginnastica!), un artista ci vuol fare una caricatura (ma con queste facce lo siamo già!), un anziano ci vuole pesare (ma siamo vestiti e sicuramente non a digiuno!). Gironzoliamo senza meta fino alle 19,30 quando entriamo, e siamo gli ultimi clienti perché sta chiudendo, al Restaurant La Tradition (Av. Guayaquil 7-55). Il mio boy si delizia con due gigantesche empanada de queso – ossia due panzerottoni friabili e leggeri ripieni di formaggio filante – fritte al momento ($ 0,50 l’una), mentre io ordino una merienda: un pasto fisso e completo di jugo alla mora, abbondante locro de papa=zuppa di patate, formaggio e pasta simile a grandi farfalle (senza l’avocado) e un piatto unico composto da arroz=riso bianco, pollo seco=in umido, speziato al curry, insalata di rape rosse e pasticcio di patacones=frittelle di platano verde schiacciato ($ 1,75). Per dolce un gigantesco bicchierone di morocho: latte, zucchero, grano, cannella, chiodi di garofano e uva passa ($ 0,60) che, nonostante sia caldo e leggermente semiliquido, mi ricorda il risolatte. Strapieni prendiamo la via del rientro, ci facciamo prenotare il taxi per domani mattina alle 5 e dopo aver sistemato le valigie… meritato riposo.

5° – Domenica 27 gennaio. QUITO-GALÀPAGOS. Isola SAN CRISTÒBAL (voli Lan – nave Eden); Isola LOS LOBOS.

Nonostante la sveglia alle 4, siamo belli carichi e supereccitati per la nuova vacanza che ci aspetta sulle isole Galàpagos ovvero sulle Islas Encantadas (nel ‘500) o nell’Archipiélago de Colon (nell’800). Il taxi ($ 5) arriva abbastanza puntuale e alle 5,30 siamo già in aeroporto pronti per lasciare la Valle andina. Prima operazione in una stanza attigua l’entrata principale del terminal per il controllo bagagli: assolutissimamente vietato imbarcare frutta, piante, prodotti di origine animale… in compenso di liquidi e di acqua se ne possono portare in quantità. Secondo step il pagamento di $ 10 (tarjeta de control de trànsito turista) e infine il check-in. Il gate ha solo 5 uscite, un piccolo bar e una libreria. La Lan è puntuale, i posti all’uscita di sicurezza (12L) sono comodi e spaziosi. La prima oretta vola e una hostess ci offre una caramella (ma non sarà troppo?). Scalo a Guayaquil per far scendere alcuni passeggeri e imbarcarne tantissimi altri, mentre restiamo seduti sull’aereo. Puntuale riparte e questa volta servono uno snack: pacchetto di cookies, bustina di chifles=platano-banana legume fritta simile a patatine e una bibita. All’arrivo sborsiamo $ 100 a testa cash (tarjeta de control de visitantes al Parque Nacional Galàpagos), ci controllano nuovamente il bagaglio a mano e finalmente un cartello con la scritta Eden ci dà il benvenuti.

Cinque minuti di trasferimento dal porticciolo del capoluogo dell’arcipelago, Puerto Baquerizio Moreno, su un pulmino e, con un gommone=panga lasciamo l’Isla San Cristòbal, chiamata anche Chatham e la seconda isola più popolosa dopo Santa Cruz, e saliamo sulla nave. Rubén Montalvo (fer17064@hotmail.com) sarà la nostra guida. Ci presentiamo con lui e con gli altri passeggeri: una coppia di Berlino, due coppie svizzere, un ragazzo tedesco, uno israeliano e uno di Ginevra. Vengono assegnate le cabine e capitiamo in una al piano sottostante, sicuramente più stabili, più spaziose, ma dove il rumore dei motori si sente forte. Alle 12,30 il primo pranzo è servito: un pezzo di pollo arrosto, del purè, insalata di pomodori, cavolfiori bolliti e pesche sciroppate. Possibilità di riempire le bottigliette d’acqua da un bidoncino (ne danno comunque una piena, all’inizio della crociera); caffè, tea (negro=nero o de hierba=tisana) e cioccolato in polvere sempre disponibili, mentre bibite in bottiglia o liquori si pagano a parte (ma nessun divieto nel portarle a bordo se acquistate fuori).

Oggi è prevista un’escursione all’Isla Los Lobos poco distante, dove staremo un’oretta percorrendo un sentiero lavico abitato da iguane, sule dalle zampe azzurre, leoni marini e tanti tipi di uccelli (pare che in tutto l’Ecuador se ne trovino più di 1500 varietà!). Foto a raffica (vietato il flash!) a questi esemplari in bella mostra – per nulla disturbati o toccati dalla nostra presenza – e ai giganteschi granchi rossi. Saliamo sulla nave giusto il tempo per indossare il costume e, distribuiti a ciascuno, gratuitamente, asciugamani, pinne, maschera e boccaglio (chi sente freddo può noleggiare una muta per $ 40 la settimana) ci buttiamo lungo il tratto di costa dell’Isola per ammirarne il fondale. Tantissimi e spesso coloratissimi pesci. L’acqua non è per nulla calda, circa 20°C e per quanto sia bello vedere volteggiare sotto e accanto a noi giganteschi leoni marini, dopo una mezz’oretta usciamo con i brividini. A bordo ci aspettano bolas=polpette calde di platano e formaggio (a Quito le avevamo viste grosse quanto delle arancine!) e succo fresco di mora (oltre a tea e caffè). La cabina è fornita di campioncini di shampoo, dispenser di sapone e due asciugamani ciascuno. Una bella doccia calda è quello che ci vuole e pronti per il briefing (l’incontro che sarà quotidiano) durante il quale la guida spiega il programma del giorno dopo scrivendo su una lavagna cosa indossare, portare, l’ora della colazione, la durata della gita e se questa prevederà camminate o nuotate. Socializziamo con gli altri ospiti scoprendo viaggiatori esperti e incalliti e alle 19,30 la cena a buffet: riso bianco, petti di pollo panati, fagioli in umido, insalata, cream caramel e brindisi con sidro durante la presentazione di tutto l’equipaggio: un capitano, 3 marinai, un cuoco e un cameriere. Alle 22 già cala la palpebra ed essendo la colazione prevista per le 6 tutti sotto le coperte!

6° – Lunedì 28 gennaio. Isola SANTA FÉ; Isola PLAZAS (South); Isola SANTA CRUZ: Puerto Ayora.

Il rumore dei motori durante la navigazione e del generatore quando si stava fermi ha disturbato abbastanza il sonno, ma la ricca colazione ci dà le giuste energie per affrontare la giornata: salsicce, uova sode, formaggio, toast, marmellata, cereali, tea, caffè, latte e succo di frutta. Alle 6,45 con due gommoni raggiungiamo la spiaggia dell’Isla Santa Fé, chiamata anche Barrington Island, dove ad accoglierci sono, su una piccola baia di sabbia bianca, diversi leoni marini. In alcuni punti sembra di guardare un quadro in bianco e nero per i tanti alberi dai rami secchi, in altri il verde di alberi-fichi d’india ravviva l’immagine. Questi cactus, che possono superare anche i 10 mt, hanno un tronco liscio e duro come quello di una quercia, ma la chioma è a pale e spinosa. Crescono solo un cm l’anno e fino a 50 anni sono completamente ricoperti di spine, per proteggersi, le quali cadranno una volta rafforzato il tronco. Tante sono le iguane marine che incontriamo e che si lasciano fotografare, si mettono in posa, ci snobbano, ci guardano incuriosite… Un’ora e mezza e si torna in barca, s’indossa il costume o, meglio, la mutina, e con pinne, maschera e boccaglio ci buttiamo lungo la costa in un acquario di pesci tropicali. Sono molti più di ieri, l’acqua ha il colore dello smeraldo e, anche se è fredda, riusciamo a fare snorkeling per una bella oretta. Al rientro, snack: buon succo di cedro, biscottini, pezzetti di formaggio e olive. Iniziamo due ore di navigazione durante le quali ognuno si rilassa come vuole: c’è chi prende il sole, chi legge in cabina, chi guarda un dvd (ce ne sono diversi), io continuo il mio diario di bordo.

Il pranzo è a buffet: arrosto di maiale, cavoli, broccoli con patate bollite, cetrioli conditi e papaya. Tutto molto semplice ma gustoso.

Arriviamo nel frattempo alle Islas Plazas due isolette parallele Plaza South e Plaza North, ed è nella prima, la più grande, che faremo una lunga passeggiata. Scarpe da ginnastica, cappellino, protezione solare (alta, comunque!), acqua, telecamera e per un’ora e mezza via per il breve tragitto ricco di piante grasse basse rosse, cactus dai fiori gialli dei cui fichi d’india si nutrono le numerose iguane terrestri color oro e bronzo che la popolano insieme alle otarie. Sostiamo sull’orlo di un’alta scogliera trasformandoci in ornitologi per il tanto osservare dei numerosi uccelli marini: particolari gabbiani dagli occhi rossi che pescano solo dopo il tramonto, pellicani, gabbiani a coda di rondine o forcuta, colonie di volatili che svolazzano formando dei cerchi.

Al rientro snack con piccoli panini al formaggio filante e succo d’arancia amara. Doccia rinfrescante e puro ozio sui lettini a guardare le isole allontanarsi e avvicinarsi. Stamattina era nuvoloso, poi piano piano il cielo è diventato terso e ha illuminato i panorami con colori emozionanti. Dopo aver gradito l’italianissima cena: spaghetti al dente da condire con ragù, asparagi bianchi e verdi e banana split, coi panga raggiungiamo Puerto Ayora sull’Isla Santa Cruz chiamata anche Indefaticable o Chàvez Island (le isole hanno uno, due o tre nomi: uno in spagnolo, uno in inglese, uno ufficiale) per una o due orette di passeggiata tra i ristorantini e le tienda=negozietti di souvenir. Compriamo delle cartoline (4 per $ 1, il francobollo per l’Italia costa $ 2,25 a cartolina) e un gelato confezionato (ha lo stesso logo dell’Algida, ma la marca è Pinguino) al mango ($ 1,38) e poco dopo le 22 già a nanna.

7° – Martedì 29 gennaio. Isola SANTA CRUZ: Puerto Ayora, Darwin center e Highlands

Colazione alle 7,30 con la variante dei toast prosciutto cotto, formaggio e uova strapazzate e alle 8,20 alla Stazione Scientifica Charles Darwin. La visita comincia con la spiegazione delle tante piante endemiche che incontreremo tra cui le scalesie (dette i bonsai delle Galàpagos), le muyuyo dai bei fiori gialli e numerosissime altre in una piccola serra. E’ poi la volta delle testuggini, o meglio, delle tartarughe giganti centenarie e protette che danno il nome alle isole e che lentamente si muovono all’interno di grandi recinti. Ne osserviamo due specie che si differenziano prevalentemente per la forma della corazza e del collo: la prima ha il collo corto e il guscio rotondo, l’altra il collo lungo e il carapace più ovale. Oltre alle più anziane, vediamo quelle nate da pochi mesi, che verranno ospitate al centro Darwin fino a quando non saranno più una tentazione per i ratti, le capre, i maiali (tutti animali introdotti dall’uomo!) che si aggirano per le isole. Cresciute, verranno riportate ognuna nelle rispettive isole e quindi reinserite nel loro habitat naturale. Cerchiamo l’unico superstite di tartarughe terrestri, trovato nell’isola Pinta nel 1971 e che invano si era cercato di far accoppiare, il famoso Solitario Jorge disegnato su tante t-shirt souvenir… ma è deceduto il 24 giugno scorso per cause sconosciute (non era né anziano né malato). In alcuni recinti del centro oziano anche diverse iguane mentre tra i rami cinguettano numerosi fringuelli di Darwin, della grandezza di passerottini, ma completamente neri. Di passerotti, comunque, ve ne sono almeno una decina di specie, così come di simpatici tordi, fringuelli pigliamosche!

Il pranzo di oggi prevede pollo in umido, broccoli, verza, patatine novelle e cocomero. Dopo un’oretta di siesta Highlands ossia si esce alla scoperta dell’interno dell’isola.

Ci rechiamo, in particolare, con un pulmino, in una zona alta dove tempo fa ci fu un’importante eruzione e percorreremo alcuni metri all’interno di un tunnel di lava utilizzando la piccola torcia che c’eravamo portati. Emozionante sarà fissare un gufo intento a dormicchiare, ma che ci degna di un sorriso (eh, sì, con quella buffa faccia sembra proprio che sogghigni!). La zona è proprietà privata e sappiamo che è stato pagato un biglietto di $ 3 a persona al proprietario per il nostro accesso. Incontreremo una trentina di tartarughe giganti allo stato brado che tranquillamente gironzolano per la verdeggiante tenuta, insieme a cavalli selvaggi bellissimi in totale libertà. Ci riossigeniamo lontano dal traffico e dai rumori della nostra quotidianità in una realtà affascinante e da fiaba.

Un po’ di tempo libero per il porticciolo Ayora e ci stupiamo allegramente davanti un banco del pesce dove, tra i clienti, si intrufolano fregate, pellicani, iguane e leoni marini dietro, sopra, ai piedi del banco tra la gente per niente disturbata e occupata solo ad acquistare il pescato!

Si torna in barca per cena: riso bianco, trancio di tonno alla griglia, fagiolini, insalata, fragole e quotidiana riunioncina.

Stanotte dormiremo in un’altra cabina, meno spaziosa ma silenziosissima posta al piano superiore e che affaccia sul mare (per chiederne il cambio avevamo contattato Karina, l’agente della Diotours dove avevamo acquistato la crociera)!

8° – Mercoledì 30 gennaio. Isola ISABELA: Puerto Villamil, Volcàn Sierra Negra e Volcàn Chico

Colazione alle 7 e alle 8, con il pranzo al sacco, sbarco all’Isla Isabela, chiamata anche Albemarie Island, la più giovane (insieme a Fernandina) e ancora in fase di formazione. La prima parte della giornata, che partirà da Puerto Villamil (in onore al primo governatore delle isole, il generale José de Villamil), sarà piuttosto impegnativa dal punto di vista fisico in quanto, dopo una ventina di minuti su un bus, arriveremo ai piedi del Vulcano Sierra Negra per iniziarne la scalata (il vulcano più alto su quest’isola è Wolf: mt 1650). Raggiungere la bocca del suo cratere, il cui diametro è 9-10 km, vorrà dire camminare per km 8 su una stradina un po’ sconnessa e, vista la fitta foschia, anche molto scivolosa. Il freschetto e l’umidità ci costringono a indossare, sopra la maglietta e i pantaloncini, il k-way, mentre le scarpe da ginnastica si sporcano di fango. Man mano che si arriva in alto, però, il caldo inizia a farsi sentire, le nuvole spariscono e il terreno diventa arido, come se non avesse piovuto da mesi. Il paesaggio è suggestivo, molto verdeggiante (ci sono felci altissime) sulle pendici del vulcano e lunare, brullo all’interno del cratere la cui ultima eruzione risale al 2005. Dopo un paio d’ore sostiamo per il pranzo nell’unica area in cui è permesso, ossia sotto un albero dove sono state poste delle “mimetizzate” panchine (com’è tutto nel rispetto per l’ambiente… bravi!). Il box lunch prevede un panino al prosciutto e formaggio, un altro al tonno e pomodoro, una mela e una barretta di cioccolata. Se qualcuno ha bisogno del bagno… dovrà trovarsi un cespuglio e fare attenzione a non lasciare alcuna traccia! Chi se la sente continua il sentiero, sotto un sole rovente, per raggiungere, dopo un km, in una quarantina di minuti, il Vulcano Chico. Cammineremo sulla colata lavica del 1989 sentendo le scarpe scricchiolare per la friabilità dei residui vulcanici. La guida ci dà il benvenuti all’inferno, ma il silenzio che si ascolta, la pace che si raggiunge, la vista che si perde all’orizzonte nel nero corvino delle rocce, tra le quali solo le piante di cactus hanno la forza di spuntare in condizioni estreme, mi fanno pensare a una parte del Paradiso. Grazie alla limpidezza del cielo scorgiamo altri vulcani, una baia e l’isola Fernandina. L’intera escursione dura quasi sei ore e contenti di aver portato più di un litro d’acqua a testa, con il bus rientriamo a Puerto Villamil per ammirare, in una laguna, l’eleganza dei Flamingo=fenicotteri rosa, intenti a pescare insieme alle anatre. Su una spiaggia di sabbia bianca trascorriamo un’ora abbondante prima di risalire in barca: finalmente puro relax! Tira un po’ di vento per cui il mare è mosso, ma è pulito e non eccessivamente freddo. Il bar sulla spiaggia presso il quale ci lascia e ci verrà a riprendere la guida (Bar de Beto) ha una vasta scelta di bibite, ma ha dei prezzi non bassissimi (un succo di cocco $ 5, una piña colada $ 10). Un po’ affaticati, contenti e affamati rientriamo sulla nave, il tempo di una doccia, resa ancor più piacevole dal cambio di biancheria, pulita e scrocchiarella, del briefing per il programma di domani e cena: riso bianco, gamberoni al curry, cavoletti di Bruxelles, insalata di verza e crème caramel. Su quest’isola la linea per comunicare (cellulare o internet) si avrà solo presso il porto Villamil.

9° – Giovedì 31 gennaio. Isola ISABELA: Punta Moreno e Bahia Elisabeth

Colazione alle 7 con la variante delle crêpe e alle 8 dinghy ride: con il gommone costeggiamo, per quasi un’ora, Punta Moreno, sui quali scogli di formazione vulcanica, molto frastagliati, iguane gigantesche, cormorani “di terra”, colonie di sule dalle zampe azzurre, pellicani, albatros, granchi rossi e diversi pinguini si fanno fotografare. Inutile dire che questi ultimi sono i più buffi e curiosi. Scendiamo su una parte di scogliera per ammirare da vicino la flora e in particolare i tre tipi differenti di cactus: i nani da lava, a forma di candelabro e i fichi d’india. Diverse sono le piccole lagune di acqua smeraldina formatesi tra una colata e l’altra, all’interno delle quali numerosi pesci colorati e… non ci possiamo credere… squali! Incredibilmente sorpresi dalla loro visione in un luogo del genere, li osserviamo e fotografiamo mentre silenziosi s’incrociano. Rientriamo sullo yacht per il breve tempo necessario di uno snack: biscotti e succo di naranjilla (frutto aspro molto succoso, esternamente simile a un loto con all’interno semini della stessa dimensione di quelli di un pomodoro o di un kiwi) e ci prepariamo per un’oretta di snorkeling. L’acqua è piuttosto fredda, probabilmente sui 18°C, ma le piroette dei leoni marini, i visi curiosi delle tartarughe marine, le murene, le razze e i banchi di pesci tropicali che ci attorniano ci danno l’energia necessaria per non uscire subito. Approfittiamone perché purtroppo il bagno non si può fare sempre o dove si desidera, neppure quando si è ancorati per ore in porti o in tratti di mare dalle acque turchesi, verdi. I regolamenti su dove poterci tuffare o dove camminare… e non toccare, e non usare flash, e non appoggiare nemmeno una maglietta su un cespuglio… sono molto severi così com’è rigida la guida nel farceli rispettare. C’è sempre un richiamo per tutti! E noi giustamente ci adeguiamo.

Alle 12 una doccia e poi il pranzo a base di sopas=zuppa densa di verdure e pezzi di queso campesino, fusilli tricolore conditi con sottaceti e fagioli, trancio di tonno alla piastra al pepe nero, broccoletti bolliti, insalata di carote e verza bianca e macedonia.

L’imbarcazione riparte, un paio d’ore di navigazione e usciamo per una gita sul gommone a Elisabeth’s Bay. Ancora tante colonie di sule, leoni marini, pinguini, iguane, cormorani non volatori e poi, a motori spenti, ci si sposta usando una sola pagaia e ci si addentra tra canali di mangrovie. L’acqua rispecchia il verde di queste piante, la baia è calda, l’acqua quieta e siamo scortati da tartarughe marine giganti dal dorso piatto e grigio o più piccoline dalla corazza bombata e gialla.

Nel rientrare, però, un piccolo grande incidente: il marinaio non vede uno scoglio, lo prende in pieno, io e un ragazzo tedesco, seduti a prua, cadiamo in acqua. Il piccolo inconveniente? Graffi sul mio piede e sulla sua mano. Il grande guaio? Io avevo la telecamera in mano ora completamente fuori uso, lui fortunatamente una macchina fotografica waterproof e, una volta tirato su il gommone, uno squarcio sulla ghiglia (sigh).

Il mio piedino viene medicato mentre gusto lo snack di buon rientro a bordo: polpette di mais e succo di limone (se uno è goloso, è goloso sempre!), mentre la telecamera ce la rimborserà l’assicurazione della nave. Nel frattempo uno dei passeggeri, molto generosamente, ci presta la sua macchinetta (ne porta sempre una di scorta) che fa anche minivideo. Il tardo pomeriggio passa tra mille chiacchiere in inglese, francese, spagnolo, tedesco ed ebraico poiché le cabine sono ormai tutte occupate (mentre eravamo impegnati in escursioni, salivano a bordo i passeggeri che avevano pagato solo 5 notti). La nuova “squadra” è al completo con: noi coppia di italiani, due coppie svizzere, una tedesca, una colombiana, una francese e quattro ragazzi che viaggiano da soli: due israeliani, un tedesco ed uno svizzero, ognuno con una storia diversa di prenotazione della vacanza e tutti con un prezzo differente pagato per la stessa sistemazione! Briefing per sapere se le uscite di domani saranno dry (si farà un giro in barca o si seguirà una pista) o wet (snorkeling o bagnetto). Alle 19,30 è servita la cena: riso con le lenticchie, braciola di maiale affumicato, carote lesse, insalata di lattuga, cipolla, pomodori e mousse al cioccolato. Commentiamo i vari modi di cucinare le diverse pietanze nei rispettivi luoghi di residenza e ci divertiamo a impararne i nomi che a volte sono proprio dei false friends (la fritada non ha niente a che fare con le uova… ma è maiale fritto; il cuero non ha nulla a che vedere con il cuore… è la cotenna; per trippa si intende la pajata ossia l’intestino del vitellino e la guatida è lo stomaco)! Nel frattempo in Italia ci avranno dati per dispersi: siamo senza linea telefonica né wi-fi.

10° – Venerdì 1° febbraio. Isola ISABELA: Tagus Cove; Isola FERNANDINA: Punta Espinoza

Alle 6 qualche biscottino con tea, caffè o latte e cioccolata e via per un giro in barca per Tagus Cove, una piccola baia dalle alte scogliere dove, dal 1836 a 20 anni fa, le varie imbarcazioni segnalavano il loro passaggio incidendo nomi e date sugli alti muri di tufo. Ancora oggi sono visibili i dati dei velieri e per alcuni graffiti ci si domanda come li abbiano fatti i marinai, vista la loro quasi irraggiungibile altissima posizione. Diamo il buongiorno alla fauna che si sveglia rientrando dopo un’oretta per la ricca colazione: uova sode, salsicce, toast prosciutto e formaggio, tre tipi di frutta, due di cereali, yogurt, succo d’ananas, bevande calde e pronti per una nuova gita, questa volta percorrendo, addentrandoci per la caletta, un bellissimo tragitto tra pali santi, alberi che profumano intensamente e i cui rami secchi bruciati fungono da incensi. Se non fosse per le migliaia di fringuelli di Darwin, il paesaggio sembrerebbe un quadro in bianco e nero che diventa a colori mentre ci si intravede una tide pool, una laguna formatasi per l’acqua piovana e per gli schizzi di acqua salata portati dal vento le cui incantevoli tonalità vanno dal giallo al blu pavone all’ottanio.

Lo snack di oggi? Succo di mora e wafer mentre velocemente indossiamo costume ed equipaggiamento per lo snorkeling. L’acqua, nonostante la baia sia semichiusa, è fredda e i nuovi avvistamenti (pinguini, cormorani non volatori, tartarughe e leoni marini sempre presenti) riguardano decine di razze e specie varie di stelle marine. Battendo un po’ i denti rientriamo che è già l’ora di pranzo e per fortuna una zuppa di zucca calda ci ristora. Tre tipi di contorni: insalata, cavolfiori e patate e come piatto forte due giganteschi polli arrosto interi che, un po’ faticosamente, pezzo dopo pezzo, ci divertiremo a tagliare e spolpare con gusto. Il pasto termina con dei kiwi mentre raggiungiamo la terza isola, per estensione, delle Galàpagos: Isla Fernandina, chiamata anche Narborough Island. Sui blocchi di lava di Punta Espinoza, risalenti a soli 8 anni fa, gironzoleremo tra centinaia di iguane, una sull’altra, color della lava (se non si sta più che attenti si rischia di schiacciarle) e granchi rossi giganti. Lo scurissimo terreno assomiglia a montagne di cannelloni e lasagne bruciacchiate, che si alternano a spiaggette coralline rosa ricche di frammenti di ricci. Anche su questa disabitata (da umani, perché di animali ce ne sono veramente in abbondanza) isola, il paesaggio è unico e come vegetazione cactus di lava e mangrovie. Lungo il percorso di quasi un km vediamo sia alcuni resti di una balena – che 7 anni fa si è arenata sulle coste e che, pezzo per pezzo (non solo suo, ma anche di altri animali), ne è stato ricostruito lo scheletro -, sia un serpente nero. Rientriamo per cambiarci e nuovamente un tuffo in acque meno fredde per una nuotata prevalentemente con tartarughe in superficie e stelle marine sul fondale. Lo snack di oggi prevede succo d’arancia e banana fritta, a seguire una lunga siesta prima del briefing delle 18 durante il quale la guida ci dirà quante ore navigheremo, verso quale isola, che escursioni ci saranno domani, come bisognerà vestirsi, cosa sarà necessario portare… E’ nuovamente l’ora di cena (ma si mangia sempre!): spezzatino al sugo, piselli con carote, purea di patate, lattuga con melone e formaggio (che curioso accostamento!) e torta alla banana. Alcuni si rilasseranno piacevolmente sui 5 lettini a poppa e 4 a prua del ponte superiore, altri guarderanno un po’ di tv o leggeranno (a disposizione diversi libri e guide)… e tutti a brindare, appena la sirena suona, il passaggio dell’Equatore. Neanche oggi linea telefonica o collegamento col resto del mondo. Buona notte!

11° – Sabato 2 febbraio. Isola SANTIAGO: James Bay; Isola RÀBIDA: Jervis beach

Colazione con variante di succo di guayaba=guava (un frutto rotondo od ovale, esternamente giallo-verde, con polpa bianca-gialla-rossastra e numerosi piccoli semi bianchi dal sapore agrodolce) e alle 8 si sbarca sull’Isla Santiago, chiamata anche San Salvador o James Island, per un walking tour a Bahia James. I resti di una casa fatiscente e un faro – sul quale una poiana=tipo di rapace è appollaiata guardinga – sono la prova che tempo fa quest’isola era abitata e, la guida ci dice, probabilmente solo da ecuadoriani maschi. Il terreno lavico è formato da parti scurissime, durissime e nere e parti più chiare, marroncine e piatte. Oltre ai leoni marini, vi abitano tante lontre, assomiglianti ai primi, ma molto più piccole, con occhi più grandi, orecchie più visibili… spaparanzate al sole o rilassate in piccole pozze d’acqua. I granchi fanno da padroni e i fringuelli di Darwin, le tortore… cinguettano armoniosamente. Una delle quasi 60 specie di uccelli solo alle Galàpagos ci diverte perché ricorda i fischietti degli arbitri durante le partite di pallone. Il track inizia e finisce su una spiaggetta di sabbia scura racchiusa da due alte formazioni laviche che gli agenti atmosferici hanno modellato in grotte dalle sagome strane. Facciamo il bagno, sempre con pinne, maschera e boccaglio per ammirarne i fondali dove pullulano pesci colorati, banchi con migliaia di pesciolini, razze, tartarughe, leoni marini (noi avvistiamo diversi barracuda mentre un ragazzo nuota insieme a uno squalo!)… mentre in picchiata ci affiancano pellicani che si riempiono la bocca di cibo. Il mare non è freddo e un’oretta abbondante vola via. I dinghys ci vengono a riprendere e, mentre la nave si avvia verso la prossima meta, il pranzo è servito: zuppa di formaggio e pastina, cheviche de pescado (pesce crudo marinato e condito con cipolla, cardamomo ed erbette), riso bianco, tranci di tonno al sugo, cavolfiore al curry, insalata di verza e peperone e macedonia di cherimoya (un frutto dai semi scuri e dalla polpa bianca morbida, aromatica, dal sapore che rievoca l’ananas e la banana insieme).

Nel frattempo sbarchiamo all’Isla Ràbida, chiamata anche Jervis Island, dalla spiaggia di sabbia rossa per la presenza di tanto ferro nella lava, dove stanno prendendo il sole delle mamme otarie con attaccate al seno i propri cuccioli il cui succhiare è piacevolmente udibile. Molti buchi sull’arena segnalano la presenza di granchi “fantasma” che per proteggersi dagli uccelli predatori scavano fossette profonde e capienti per minimo tre di loro. Suggestivo è anche vedere, sui cespugli o sopra gli alberi, tanti nidi di pellicani, molti dei quali impegnati a dar da mangiare ai piccoli appena nati, visto che l’accoppiamento è avvenuto a dicembre e dopo 37 giorni le tre uova che covavano sotto le larghe palme dei piedi si sono schiuse. Il tragitto lungo l’isola è piacevole e colorato sia di rosso come la sabbia, le pietre e i ciuffi di piante, sia di giallo-verde come i fichi d’india dai fiori gialli e le piante di mimosa. Anche qui tanti tipi di uccelli tropicali e una piccola laguna. Il trail inizia e finisce sulla spiaggia e proprio nel tratto di mare della piccola baia ci tuffiamo per fare snorkeling costeggiando anche una scogliera. L’immersione ci catapulta in un’altra dimensione, realtà in cui perdiamo la cognizione del tempo, dello spazio, cullati dalle leggere onde in un mondo ovattato e di più colori. I panga ci riportano con i piedi sulla nave; lo snack prevede frullato di fragole, crocchette di mais e fagottini al formaggio e mentre prosegue la crociera in direzione Seymour North Island cominciamo a preparare la valigia guardando fuori la finestra le 6-7 fregate che non hanno mai smesso di scortarci. L’ultima cena è prevista per le 19 con briefing a seguire.

In cabina troviamo due buste di carta all’interno delle quali ci consigliano di lasciare una mancia: $ 12 al giorno per l’equipaggio e $ 6 al giorno per la guida.

Ripensiamo all’esperienza e pure al fatto che stati piuttosto fortunati con il clima, questa è la stagione piovosa e noi di acqua, lo possiamo ben dire, non ne abbiamo mai presa; solo un paio di pioggerelline pomeridiane e il cielo un po’ coperto qualche mattinata. Di umidità, invece, ce n’era eccome, gli asciugamani e i teli da mare che stendevamo non si asciugavano mai, ma è pur vero che quando usciva il sole diventava tutto rovente e scrocchiarello e anche i nostri cuoi capelluti, per una volta che non indossavamo il cappellino, si sono bruciacchiati ben bene. Comunque… non esistono più le mezze stagioni in Italia e neppure all’Equatore!

Tavola apparecchiata per le grandi occasioni: tovaglia rossa, tovaglioli in stoffa bluette, doppi bicchieri. Il menu è ricco di pollo al forno molto croccante, arroz=riso con gamberi, pancetta affumicata e cipolle, zucchine con il sugo, insalata di lattuga e ravanelli e crema catalana. A volte gli accostamenti degli ingredienti sono per noi impensabili, ma assicuro anche il più tradizionalista della cucina italiana che tutti i cibi erano appetitosi e digeribili. Nessuno ha mai avuto alcun tipo di problema gastro intestinale né ha mai emulato Crozza quando fa il Bastardchef, anzi, ogni giorno ci andavamo a complimentate con l’imponente cuoco! Unico neo il servizio un po’ rapido: il tempo di sedersi e già passava il ragazzo addetto alla ristorazione a chiedere, molto delicatamente e gentilmente, se poteva sparecchiare. L’orario dei pasti, invece, segnalato da una scampanellata, era molto in anticipo rispetto ai nostri standard (in media pranzo alle 12,15 e cena alle 18,45 circa), ma era pur vero che bisognava incastrare navigazione ed escursioni.

Si saldano i conti delle consumazioni in bottiglia, dell’affitto delle mute, si compilano i questionari sul servizio dentro e fuori le cabine e le nostre crocette vanno dal molto buono all’eccellente. Vogliono suggerimenti e consigli e noi li accontentiamo: le cabine dovrebbero avere un prezzo differente secondo dove si trovano e quando c’è tanta umidità si dovrebbero prevedere più dotazioni di asciugamani. Un commento sulla guida, invece, lo riporto qui. Rubén Montalvo, una persona preparatissima, molto colta e professionale, ma non affabile e simpatica. Alle domande rispondeva esaustivamente, ma poco disponibile nell’intrattenersi dopo la lezioncina. Puntuale negli incontri, ma puntuale pure nello sparire dopo le precise e chiare indicazioni per gli impegni a seguire. Un po’ freddino e molto preso da sé, eccessivamente nazionalista, il suo iniziare qualsiasi frase con: “solo noi alle Galàpagos abbiamo… solo alle Galàpagos esistono…” a volte era eccessivo. Rispondeva un po’ piccato a chi osava dire che magari i fondali del Mar Rosso o delle Maldive potevano competere con la quantità di pesci visti qui… o a chi faceva presente che le iguane di Cayo Largo a Cuba o in Costarica… o i leoni marini della Penisola di Valdes in Argentina, o i pinguini di Ushuaia… E poi rimarcava in continuazione che “le isole delle Galàpagos sono tutte differenti l’una dall’altra”. Beh, diciamo che non sono tutte uguali, ma alcune sicuramente molto simili!

Siamo comunque contentissimi per tutto quello che abbiamo avuto la fortuna di vedere, per il parco naturale ancora intatto e per gli esseri che serenamente abitano questi luoghi. Continueremo, per quanto sarà possibile, a girare il mondo e ad apprezzarne ogni similitudine o diversità.

12° – Domenica 3 febbraio. Isola NORTH SEYMOUR

Alle 6 siamo tutti pronti per l’ultima escursione all’Isla Seymour Norte lungo un tragitto di quasi un km che percorreremo in un’oretta. La sabbia è rossa, color della ruggine e vi risiede una colonia grandissima di fregate che immortaliamo svolazzanti o appollaiate su cespugli o rami. Ve ne sono diverse specie, ma ci conquista in particolare un maschio dalla gola rossa che gonfia a dismisura nell’atto di corteggiare le femmine emettendo suoni simili a tamburellii. Altre fregate hanno i becchi turchesi o la testa dalle piume bianche e tante sono le sule dalle zampe azzurre, i gabbiani, i pellicani. Rimando a una qualsiasi guida tutte le spiegazioni delle singole categorie, soprattutto se si è appassionati di ornitologia!

Rientriamo alle 7 per l’ultima abbondante colazione e prontissime le valigie sia di chi va, come noi, in aeroporto, sia di chi prolunga il soggiorno su queste isole dove, uno dei più noti visitatori, Charles Darwin rimase, ancorando la sua Beagle, cinque settimane dando origine alla sua teoria sull’evoluzione e alla pubblicazione de L’origine della specie. Le tantissime varietà endemiche di fauna e flora, uniche al mondo, che hanno ispirato i suoi studi scientifici, hanno indubbiamente conquistato anche noi. Un santuario unico che lo merita tutto il riconoscimento, da parte dell’Unesco, di patrimonio dell’umanità.

Scambio d’indirizzi e ultime foto con i compagni di viaggio, saluti e strette di mano con la crew, un ultimo sguardo alla potente nave che ci ha condotto in una selvaggia parte del mondo scoperta da neppure 500 anni (nonostante la formazione della prima isola risalga approssimativamente a 5 milioni di anni fa) e in particolare su 9 isole alcune delle quali visitate su più fronti. Di isole, in questo Archipiélago de Colòn, se ne contano 8 grandi, 6 piccole, più di 40 isolotti di origine vulcanica e sono abitate complessivamente da circa 30.000 persone.

L’attesa nel piccolissimo gate è lunga. Gli unici servizi sono un bagno e un bar, se così si può chiamare un tavolino bianco di plastica allestito, con una cassiera che scrive su un quaderno l’elenco e il prezzo delle consumazioni (a parte i supermercati non abbiamo mai visto nessuno fare uno scontrino). Gli aerei si posizionano davanti a noi, seduti su panchine sotto una tettoia di legno, a pochissimi metri di distanza. Mandiamo qualche sms a parenti e amici un po’ preoccupati per la nostra scomparsa e chiacchieriamo – in qualsiasi lingua ma non in italiano, visto che siamo gli unici due dal Bel Paese! – con altri passeggeri. Confermiamo, alla fine della nostra esperienza, i dati relativi al turismo: il 40% proviene dagli USA, il 40% dall’Europa e il 20% dall’America Latina – ma solo il 3% dall’Ecuador.

Atterriamo a Quito, percorriamo 5 minuti a piedi dall’aeroporto, che tra l’altro è attiguo alla zona residenziale (ed è per questo che chiuderà fra qualche settimana), prendiamo il comodissimo Metrobus ($ 0,25pp) e scendiamo alla parada Escuela Espejo vicini all’Hostal Luz 2 (Riofrio y Mauel Larrea), nella zona equidistante tra la città nuova e la vecchia e nei pressi dell’hostal El Ejido in cui avevamo alloggiato prima della crociera. Ci facciamo mostrare la stanza, non ci piace, non ha una finestra. Ce ne aprono altre di cui una molto spaziosa, con due letti matrimoniali, un comodino, un tavolino con una tv, due sedie, un balconcino e il bagno (ma perché non ce l’ha data prima!). Nessun armadio, come dotazione due asciugamani lisi, due microsaponette, wi-fi e bidoncino con acqua potabile. Il prezzo iniziale è di $ 15 che diventa di $ 11 a camera a notte perché ci tratteniamo per più giorni. La pulizia non è certo delle migliori e la portafinestra della camera dà su un micro fast-food dove fino alle 18 si frigge di tutto, ma siamo un po’ stanchi e accettiamo di rimanere tirando fuori i nostri campioncini e i nostri asciugamani. Il personale è molto gentile, la pensioncina è a conduzione familiare e due bimbe di 7 e 12 anni si danno un gran da fare.

Il tempo di sistemarci e usciamo subito per una passeggiata ne El Centro. Per “fermare lo stomaco” uno dei grandi platanos ($ 0,50) grigliati, tastati e girati in continuazione dalle direi non linde mani di un’indigena il cui marito sventola un pezzo di cartone per non far spegnere la brace. Un silenzio avvolge le strade che conducono nel cuore della città. Tutte le saracinesche sono chiuse, è un po’ tardino ed è domenica per cui è normale. L’odore del pane sfornato però si sente sulla Via=Calle del Teatro o Viale=Av. Manabi, la strada che va dalla piazza del Teatro al Mercato centrale e proviene da La Espiga Panderìa y Pastelerìa dove acquistiamo un po’ di prodotti da forno che mangiucchieremo durante la passeggiata. Raggiungiamo una zona più brulicante di persone: Plaza la Marin dove molte donne vendono legumi, ortaggi e frutta sedute in terra. Compro 6 avocado per $ 1 e, siccome sono molto maturi, li sbuccio come una banana e li mangio come pere mature. Un gelato al mango e rientriamo in stanza.

13° – Lunedì 4 febbraio. QUITO→MITAD DEL MUNDO→CALDERÒN→QUITO.

Alle 9 usciamo per raggiungere la Ciudad Mitad del Mundo (www.mitaddelmundo.com, $ 2pp), la città turistica, culturale, scientifica e commerciale più piccola dell’Ecuador. Un bus per la stazione Ofelia ($ 0,25pp), un altro diretto a destinazione ($ 0,15pp) e in un paio d’ore siamo in questa cittadina all’interno della quale gironzoliamo tra pulitissimi viali e curatissimi giardini. Alcune attrazioni sono incluse nel biglietto: la Quito colonial en miniatura che però è chiusa per restauro, il Pabéllon del Sol, una struttura a due piani dove molto semplicemente ed essenzialmente sono esposti strumenti usati dai navigatori dell’epoca (il sextante, l’astrolabio, la clessidra, la prima mappa del mappamondo del XVI secolo, il globo terrestre e celeste del XVII secolo…); l’Insectarium dove, vivi o esposti su teche, si trovano calabroni, farfalle e ragni (alquanto inquietante). Non inclusi nel biglietto, invece, il museo Etnogràfico ($ 3,00pp) alla base del Monumento Ecuatorial posto sopra la latitudine 0°0’0” (sotto i nostri piedi entrambi gli emisferi) e il Planetario ($ 1,50pp).

Vari sono i negozietti con i prodotti andini, souvenir e, da segnalare, presso l’Artesanìas NeQuito, l’apposizione sul passaporto, da parte del sig. Patricio, del timbro Mitad del Mundo (producciones_villavicencio@hotmail.com). Noi non l’avevamo – solitamente portiamo dietro solo una fotocopia – e ci siamo accontentanti di un adesivo apposito ($ 1 compresa una cartolina) da attaccare sul documento. Per i bambini un mini parco giochi, un recinto con tre lama e tante possibilità per ristorarsi con piatti forti o con un semplice helado.

A 200 mt dalla cittadina, si trova l’interessante Museo Solar – Inti Nan ($ 4pp – 9,30-17) all’aperto, visitabile, con o senza una guida in inglese o spagnolo, in una quarantina di minuti. Tutti gli strumenti sono “funzionanti” se vi è il sole… altrimenti si assisterà a una mera spiegazione.

Dalla Plaza Bolivariana fronte Ciutad riprendiamo il bus per la stazione Ofelia. Le fermate non sempre sono indicate dal segnale parada, per cui occhio, perché i mezzi stazionano più o meno nella zona, ma bisognerà fare una corsetta e chiedere al volo la destinazione, così come segnalare con “gracias” la volontà di scendere! La tariffa, questa volta, è di $ 0,40pp.

Dalla stazione Ofelia con $ 0,05pp e con un bus attiguo alla fermata dove scendiamo, raggiungiamo Calderón, famosa per la manifattura di oggetti in pasta di pane=mazapàn o masapan. La cittadina è simile a molte altre: una strada principale con tanti negozietti, molti venditori di frutta o cibo cucinato sui marciapiedi. Visitiamo il mercato della frutta comprando, per $ 0,50, un casco di 16 mini banane e curiosando tra i banchi dove spesso i prodotti sono esposti in maniera coreografica.

La fame inizia a farsi sentire e la saziamo, proprio di fronte al mercato, in due localini attigui: il Restaurante Don Dimas, molto popolare, dove pranzano adulti ecuadoriani e nel quale ordino una chevice di camarones (gamberetti cotti, cipolla, pomodoro e cardamomo) con riso bianco ($ 1,50), buono anche se scarsine le porzioni e Sandy fast food, Mucho màs que bien sabor, molto internazionale, dove pranzano ragazzi ecuadoriani e nel quale il mio boy ordina un hamburger, patatine fritte e pepsi ($ 2,40).

Sempre attiguo al mercato, si trova il Masarte, handcrafts of masapan, por mayor y menor, ossia un insieme di piccole botteghe a vetri dove le donne, utilizzando il masapan e la macchinetta per fare la pasta in casa (ce l’avevamo anche noi!), realizzano e vendono a prezzi abbordabilissimi, oggetti di mille colori, forme e dimensioni. Ne acquistiamo diversi anche per la gentilezza e cortesia di queste donne con le mani in pasta. E’ l’ora di rientrare e, al volo, prendiamo un bus che improvvisamente si materializza e dal quale un bigliettaio grida “Trole”. Arriveremo alla stazione centrale dalla quale procederemo con il Trole per Quito La Mariscal in quanto la nostra prossima meta sarà l’agenzia DioTours per prenotare una gita domani (vulcano Cotopaxi o Laguna Quilotoa) e chiedere il rimborso della videocamera.

Karina ci riceve con un grande sorriso e prenota, dopo varie proposte, per $ 45pp l’escursione a Quilotoa che partirà alle 6,45 e si concluderà in serata. Telefona poi all’agenzia presso la quale prenotò la crociera Eden alle Galàpagos; parla lungamente con la collega, me la passa, e inizio una trattativa per il rimborso. Su un sito la nuova videocamera costa $ 380, noi l’abbiamo pagata due anni fa € 410,00. Che fare? Accettiamo la cifra di $ 400 cash. Apprezziamo la serietà della proprietaria dell’Eden (Maria Belen Andrade) nell’averci risarciti subito, ma è pur vero che ci abbiamo rimesso e soprattutto non abbiamo potuto filmare altri bei momenti di vacanza. Inizia a piovere, a due passi dall’hostal ci fermiamo a comprare, in una frutteria dei pepinos a $ 0,25 l’uno, al supermercato Akì (Avenida 10 de Agosto y Rio de Janeiro), bibite, biscotti e patatine (già vendono il “Pan de Pascua o panettone”), in un bar un fresco jugo de piña ($ 1) e in un localino una zuppa di mote=mais bollito passato sulla cenere per scoppiarne la buccia ($ 0,50) che costituiranno la nostra umida cena.

14° – Martedì 5 febbraio. QUITO→PUJILI→QUILOTOA→QUITO.

Alle 7 puntuale a Plaza Foch passa un pulmino che ci conduce da altri tre passeggeri che hanno prenotato la nostra stessa gita. Sono russi (due ragazzi e una ragazza) e alloggiano presso l’antica, di quasi 200 anni, Hacienda Bolivia, ora Hosteria PapaGayo (www.hosteria-papagayo.com) a Machachi, a un’oretta dalla capitale. L’Hosteria in cui pernottano non è per nulla male e, se non fosse che è un bel po’ fuori mano, ci faremmo un pensierino (è piuttosto costosa, ma offre pacchetti abbordabili).

Su un Suv condotto da Luis, la guida che parla un inglese perfetto e comprensibile e che lavora presso l’agenzia Gulliver, partiamo per la provincia del Cotopaxi.

Percorriamo la Panamericana proprio in mezzo ai vulcani, dove nelle vallate ogni centimetro quadrato è assegnato principalmente agli indigeni, produttori di latte, formaggio, carne, ortaggi e vegetali in genere (la coltivazione della coca è illegale, ma le foglie sono usate in cima alle elevate montagne come medicinale per attutire i fastidi dell’altitudine). Tante sono anche le serre dove si coltivano fiori, il 70% dei quali sarà esportato. Fra qualche giorno è S. Valentino, gli uomini potrebbero regalare 20 rose per $ 1,50, ma le donne preferiscono la cioccolata (e come non capirle!). Luis ci spiega che l’Ecuador è anche esportatore di petrolio e di minerali e mentre ci fermiamo a fare benzina ci fa notare quanto sia conveniente al gallone: 1 gallone=3,79 lt (super $ 2,09, extra $ 1,48 e diesel $ 1,036= € 0,21 a litro!).

Passiamo per Latacunga, capoluogo della provincia del Cotopaxi (nome anche del vulcano di 5.872 mt che la domina, il secondo più alto dopo il Chimborazo di 6.310 mt), dove rallentando per le stradine del centro, Luis ci mostra la chiesa di San Felipe costruita con rocce vulcaniche, la ripida e dipinta strada in pendenza, sulla quale spicca un grande sole in centro e lungo la quale viene portata la statua della Vergine de las Mercedes durante l’importante festival indigeno-cattolico della Mama Negra che si svolge in novembre, dura anche una settimana e vede centinaia di persone, vestite tradizionalmente, che ballano, sparano fuochi d’artificio, cantano, si ubriacano con aguardiente=distillato di canna da zucchero che arriva a 45°…

Altri 20 minuti di strada e giungiamo a Pujili, dove a luglio si svolge un’importante celebrazione cattolica per il Corpus Christo. Facciamo una sosta nella piazza centrale dove gironzoliamo tra le bancarelle del mercato della frutta, della verdura, del pesce, dell’abbigliamento… Tanti sono anche i banchetti dove poter mangiare una pietanza calda che le donne, molte vestite tradizionalmente, cucinano utilizzando la brace o delle bombole a gas su piani cottura improvvisati e servendo diversi avventori appoggiati su banconi di legno o in piedi. Una bevanda calda, invece, attira la mia attenzione, un bicchierone di sabila=succo gelatinoso di aloe che già avevo assaggiato a Otavalo e che, viste le tante benefiche proprietà, bevo nuovamente. Acquisto della frutta da portare a una famiglia nativa che ci aprirà le porte di casa e colgo l’occasione per assaporare una maqueño=banana molto simile alle nostre, di media dimensione, dalla buccia rossa e dal frutto arancione: sensazionale!

Qualche chilometro e arriviamo in mezzo a campi sterminati, coltivati a terrazza (tipo di coltivazione tramandata dagli Inca), che i nativi stanno faticosamente lavorando e sui quali pascolano mucche, pecore, maiali, galline, papere, tutti animali di cui si nutrono (a Loja, nel sud, mangiano perfino cani e gatti!). Nel bel mezzo di piantagioni di cipolle, mais, legumi… ci addentriamo per raggiungere una delle loro case dal tetto di paja=paglia accolti da una bambina che interrompe di zappettare. Chiama un fratello maggiore, uno minore e ci fa entrare nella dimora circolare, sul cui pavimento c’è solo paglia (vi dormono i più piccoli), alcuni pentoloni poggiati sulla brace, un fuoco che arde, tantissimi cuy (porcellini d’india) che ruminano (ne mangiano uno al mese), qualche vestito appeso su un filo o su chiodi e un materasso (vi dorme il capofamiglia) arrotolato su un tavolino. Il tutto in uno spazio limitatissimo dove non arrivano né acqua, né luce, né gas… Il bagno è in mezzo alle campagne e l’acqua viene portata con grossi contenitori da un fiume vicino. La bimba è felice di ricevere la frutta che abbiamo portato, qualche caramella e per l’ospitalità lasciamo $ 1 a testa. Sono fieri di mostrarci il poncho del capofamiglia e il cappello con la piuma di pavone che tempo fa identificava una donna se sposata o nubile. Si tratta di capi molto costosi (rispettivamente $ 60 e $ 100), duraturi e tradizionalmente importanti. Scattiamo delle foto e, a saperlo, mi sarei portata dei vestiti o della cancelleria poiché tutti questi bimbi (ne hanno anche 7 a famiglia, prima la media era addirittura di 20 figli!) frequentano la scuola imparando lo spagnolo, l’inglese e la loro prima lingua, la quichua.

Proseguiamo il viaggio lungo i tornanti delle montagne su strade che stanno cercando di allargare, superiamo piccole comunità, frazioni segnalate da cartelli verdi, ponti e arriviamo a Quilotoa. L’aria è frizzantina, siamo a 3.900 mt, cade qualche goccia di pioggia e ci affacciamo sulla laguna formatasi nel cratere. L’acqua è verde ed è uno specchio che riflette il paesaggio circostante che imponente e silenzioso regala una sensazione di pace. Vi sono 400 mt di dislivello dal punto in cui siamo al lago che raggiungiamo percorrendo una strada di km 3 un po’ dissestata. Luis suggerisce di scendere a piedi e risalire su dei muli ($ 8), ma ci sentiamo energici, vogliamo godere appieno dei panorami e risparmiamo l’asinello. Scendiamo in una mezz’oretta, tocchiamo la profonda (mt 240) e fredda acqua sulla quale si può navigare noleggiando una canoa, scattiamo tante foto e ricominciamo la salita. Ohi ohi, c’eravamo sopravvalutati! Se non si è un po’ allenati si comincerà a respirare faticosamente, a sentire la stanchezza sulle gambe, la cabeza=testa pesante e a sudare nonostante il freschetto. Torniamo al punto di partenza dopo un’ora e abbastanza sfiancati.

Il tempo di riprenderci (a saperlo avremmo portato una maglietta intima o una t-shirt di ricambio), di riguardare il punto dov’eravamo ed è ora di pranzo che consumeremo a pochi passi presso l’Hostal Pachamama. Il ristorante è semplicissimo, apparecchiano due bambini e una donna riscalda l’ambiente alimentando una stufetta a legna e poi riscalda noi prima con una zuppa di minuscoli chicchi di riso e patate, poi con un piatto unico: riso bollito, pollo arrosto, patate fritte e insalata russa. Quantità esigue ma dal sapore genuino. Il nostro almuerzo di $ 3pp era incluso nell’escursione ma, volendo, presso questa struttura, se non si è freddolosi, si può dormire con la formula mezza pensione (colazione e cena) per $ 12 al giorno.

Cominciamo a rientrare passando per Saquisili paese presso il quale il giovedì e la domenica si tiene un notevole mercato. Deviamo la Panamericana e prendiamo una scorciatoia, un po’ più dissestata (ma il nostro mezzo todo terreno ammortizza bene), attraversando piccoli villaggi rurali e assistendo al rientro, dal pascolo, di numerosi greggi di pecore, mucche e qualche lama.

All’Hosteria PapaGayo, dove lasceremo i tre russi, ci accolgono con un tea negro caldo e una fetta di torta al cioccolato squisita. A Quito arriveremo alle 19 più che soddisfatti per la magnifica giornata.

15° – Mercoledì 6 febbraio. QUITO: TelefériQo e Panecillo

C’è bel tempo! Colazione con frutta tropicale e taxi ($ 2 tot) per il TelefériQo: una funivia a Ovest della città che da quota 3.000 mt in 15 minuti ($ 8,50pp), sorvolando le verdeggianti fiancate del Vulcano Pichincha, arriva a mt 4.100 sulla Cruz Loma. Nei pressi della biglietteria vi è un parco giochi e tanti sono i bambini che vediamo arrivare vestiti da carnevale e con bombolette di finta schiuma da barba. Il verde della vegetazione, dei tanti alberi, delle numerose varietà di piante, del prato all’inglese è intenso e Quito, situate alle falde del vulcano, è una miniatura. A ridosso della funivia si trovano alcune strutture, meramente turistiche, per rifocillare, per vendere souvenir e bagni pulitissimi (che abbiamo sempre trovato riforniti di carta igienica, a volte da prendere fuori la toelette). Facciamo una passeggiata per i vari mirador, ci sediamo a respirare aria pura, raggiungiamo la chiesetta Ermita de la Dolorosa presso la quale il sabato alle 12 si celebra messa e dove tante fototessera lasciate dai fedeli si scorgono dietro l’altare. La sua costruzione iniziò il 1° giugno del 2007 e superando avverse condizioni di clima, di problemi legati all’altitudine e alle vie d’accesso, fu consacrata il 13 dicembre 2008. Di fronte la chiesa, un ponticello e una piccola area pic-nic. E’ tempo di risalire sulla cabina, che può contenere al massimo 6 persone, e tornare a quota mt 3.000. Una navetta gratuita ci porta su una strada principale e da lì un bus ($ 0,25pp) per la stazione… ma volendo, proprio all’uscita del TelefériQo, con $ 1pp una navetta conduce direttamente a vari terminal.

A pranzo incontreremo una coppia di amici romani, ospiti di un ragazzo ecuadoriano di origine italiana il quale ha prenotato un esclusivo ristorante di cucina tipica: Hasta la vuelta, Señor… (www.hastalavuelta.com) a un minuto da Plaza Grande. Il locale gira su una balconata al terzo piano di un bell’edificio, è apparecchiato in maniera ineccepibile e come aperitivo offre ciotoline con mais tostado salato e dolce. Ci facciamo ovviamente consigliare e ordiniamo piatti differenti per assaggiare un po’ di tutto dal seco de chivo (spezzatino di carne di capra tenerissima, cotta nel succo di naranjilla e dal sapore delicato accompagnato da insalatina, avocado, riso e platano maduro tagliato longitudinalmente e fritto), alla fritada (maiale fritto con mote, llapingachos=frittelle di patate e formaggio, avocado e fettina di platano fritto), al seco de pollo (coscia di pollo in umido con platano fritto, insalatina e riso). Come bibita, ovviamente, la birra Pilsner, la cerveza ecuatorianamente refrescante. E’ poi la volta dei dolci e qui ci si apre un mondo sconosciuto. Passiamo da un helado de paila al gusto di guanabana (un gelato la cui particolarità è la preparazione in una scodellina di bronzo riempita con paglia e ghiaccio dove il succo del frutto viene mescolato a tal punto da formare un cremolato), ad un pristino (una sorta di frappa gigante e friabile annaffiata con miele di zucchero di canna) e finiamo con un hijo con queso (fico cotto con chiodi di garofano, cannella e accompagnato da formaggio campesino). Sazi per le bontà, soddisfatti per le spiegazioni di ogni singolo piatto, della sua preparazione e della presentazione, ringraziamo il ragazzo ecuadoriano per averci dato modo di conoscere un’altra sfaccettatura di questo paese e per averci offerto il pranzo! La prossima meta, dopo tanto relax, è il Panecillo=pagnottella, una collinetta a Sud della città che raggiungiamo da Plaza Grande con un taxi ($ 1,30 con tassametro, altrimenti $ 3) e sulla quale si erge l’imponente statua della Virgen de Quito, una Madonna con una corona di stelle, due ali e ai piedi un drago incatenato. La città, con le case differentemente colorate, attorniata dai vulcani, è un paesaggio da cartolina. Per tornare nella città vecchia non aspettiamo un altro taxi, ma scendiamo una scalinata a zig zag continuando ad ammirare il panorama. La giornata è bella e luminosa, ma sicuramente la zona è un po’ isolata. Noi non abbiamo avuto nessuna sensazione di pericolo, ma forse in altri orari o con il brutto tempo non è bene avventurarsi.

Oggi abbiamo pure scoperto quanto sia importante lo sport nazionale, il calcio, da boati improvvisi dovuti alle grida dei tifosi durante l’amichevole Portogallo-Ecuador 2-3!

16° – Giovedì 7 febbraio. QUITO: Plaza San Blas, Parque La Carolina, El Centro e Mercado Central

Ultimo giorno, prepariamo le valigie, scendiamo dall’Hostal, subito un jugo (più che un succo è un frullato di frutta fresca bello denso) di mora presso la Comida de Casa ($ 0,75) e un cocco presso un venditore ambulante, frutto non duro quanto quello che si trova in Italia né grande, verde e fresco come se ne vedono ai Caraibi, ma di piccole dimensioni, già tutto sbucciato, incartato con un cellofan e con un buco per berne il succo prima di addentarlo e consumarlo come fosse una mela.

Dedicheremo la mattinata a un’ultima passeggiata per alcune zone che non avevamo battuto. Alle porte del centro storico, dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, un giro a Plaza San Blas sulla quale affaccia l’omonima chiesetta di metà ‘500, dall’entrata in pietra e dal bianco campanile (tutto l’insieme è stato ristrutturato nel 18° secolo), al centro una fontana, delle curate aiuole e all’apice di una scalinata una statua in ferro battuto del Santo attorniato da bambini.

Poi una bella ossigenata al Parque la Carolina un vero polmone verde dove i quiteños giocano a calcio, basket, gli artisti si esibiscono e presso il quale c’è la possibilità di affittare un pedalò dal momento in cui, proprio in mezzo al parco, è stato creato un fiumiciattolo abbastanza largo.

Poi ripercorriamo le viette de El Centro, entriamo in qualche chiesa (del Sagrario, La Compañìa de Jesùs, la mia preferita, semplicemente spettacolare), in certi Monasteri (di San Augustìn, di Santa Catalina), non ci stanchiamo di guardare i tanti bambini che puliscono le scarpe a chi si siede sulle panchine della Plaza Grande, le indìgene che gridano claudìa, claudìa e non per chiamare qualche amica ma per vendere piccole susine o quelle che si aggirano con grandi pacchi sulle spalle o con in mano uova, verdura, frutta o pentoloni di cibo cucinato a casa e da vendere su strada. Per concludere in bellezza shopping presso il Mercato Centrale, dato che in Italia vogliamo far assaggiare un po’ di sapori e colori della supervitaminica frutta ecuadoriana. Vietato trasportarla sia nel bagaglio a mano sia in quello imbarcato, ma rischiamo, tentiamo la sorte: la incartiamo e poi la proteggiamo dentro bottiglie di plastica vuote che nasconderemo tra la biancheria. Acquistiamo prodotti introvabili nel nostro paese come il taxo (internamente simile a un frutto della passione ma dalla forma di una piccola banana), il tomate de arbro o tomatillo (dalla forma di un pomodoro San Marzano ma dal sapore di un frutto agro), il pepino (ovale, bianco con striature marroni: una pera insipida), il babaco (simile alla papaya ma a forma di stella), la pitahaya (sembra un fico d’india esternamente fucsia e internamente un kiwi bianco ma molto più pieno di semini) o di quelli che in Italia hanno un sapore meno deciso e sono piuttosto costosi come la maracuya, la granadilla, il mango, la papaya, l’ananas dall’interno arancione o bianco e le banane. All’interno del mercato compro presso Las guatita de rocio un caliente e ricco morocho ($ 0,50) mentre il mio boy si rinfresca con un batido de sandìa (frullato di anguria).

Porteremo con noi anche il mais tostato ($ 1,70 la libra) e le sfiziose chifles (fettine sottili di banane fritte e croccanti come le patatine). Il resto… lo racconteremo e lo mostreremo cercando di spiegare le mille immagini scattate fugacemente per le vie brulicanti del centro storico a: negozietti in cui con le Singer si riparano o creano abiti; in cui si espongono gomitoli di lana di tutti i colori e dimensioni, uno sull’altro (calle Flores); in cui si vendono migliaia di zapatos=scarpe per noi un po’ fuori moda; DVD anche non originali!; quante pelucheria=parrucchieri-barbieri; foto a poliziotti che indossano giacchetti catarifrangenti e fosforescenti, a volte con i cani, a guardie giurate con baionette visibilmente abbracciate, alla semplice insegna del cine Hollywood, un cinema che propone due film del momento, alla tanta pubblicità di manicure con smalti e fiorellini per $ 1,50 e ancora immortaliamo bambini di tutte le età che vanno o tornano da scuola indossando le divise collegiali (le ragazze quasi sempre gonna azzurra al ginocchio plissettata, camicia bianca, maglioncino a V blu come i gambaletti di cotone e le ballerine), arrotini inginocchiati su un banchettino di legno per affilare coltelli e forbici, venditori di palloncini dalle forme più bizzarre…

Piccolo spiacevole inconveniente: in pieno giorno, su una delle strade principali, il mio zainetto dietro le spalle è stato un invito per i borseggiatori. Il sentire la cerniera che si apriva, il girarmi e vedere tre ragazzi a distanza troppo ravvicinata… è stato un attimo. Li ho rimproverati, se ne sono andati senza batter ciglio e soprattutto senza aver preso nulla di ciò che vi tenevo dentro (k-way, acqua e felpa), ma il fastidio di esser stata adocchiata è stato comunque tanto.

E a proposito di sicurezza, in nessun hostal o hotel economico né nave di classe media è presente la cassetta di sicurezza per cui è consigliabile conservare le cose di valore in una valigia da riporre in un armadio magari da chiudere con un lucchetto aggiuntivo.

Cibi che avrei voluto assaggiare? La corvina, un pesce, non sempre spigola, fritto.

Dove non ho volontariamente mai mangiato? Negli chifa=ristoranti cinesi che propongono cibo ecuadoriano: più cari e non pulitissimi.

Cosa non ho avuto il tempo di vedere? Il museo del famoso pittore Oswaldo Guayasamìn e il monumento-museo la Capilla del Hombre.

Chi non ho avuto tempo di ascoltare? I bravi gruppi che si esibiscono nel segnalatissimo locale El Pobre Diablo.

Un po’ di difficoltà nel trovare i francobolli=estampillas in città, ma per fortuna appena fuori l’aeroporto c’è un ufficio postale e, per quanto non li venda con immagini bellissime… almeno si potrà spedire cartoline un attimo prima di salutare il paese.

17° – Venerdì 8 febbraio. QUITO→GUAYAQUIL→MADRID→ROMA (voli Iberia).

Imbarco pieno di sorprese!

Economica sorpresa: la tassa d’imbarco di $ 45, occorrenti per costruire il Nuevo Aeropuerto Internacional de Quito, che sarà inaugurato fra una settimana, è stata tolta!

Fumosa scoperta: le sigarette Marlboro al duty free di Quito costano $ 36 a stecca ($ 2 in più rispetto a qualsiasi “tabaccaio” all’interno della città).

Dolcissima sorpresa: presso la Repùblica del Cacao (www.republicadelcaco.com) che ha addirittura tre negozi all’interno dell’aeroporto, la squisita cioccolata ecuadoriana (una sede di questa chocolateria-boutique è anche a Quito, Plaza Foch e agli aeroporti di Guayaquil e di Cuenca), può essere assaggiata, in tutte le sue differenti qualità, prima di essere (o no) acquistata. Prezzi un po’ cari per una tavoletta: $ 9 ma se come me, nel frattempo, ne mangiate, tra pezzetti qui e lì già una… alla fine costa la metà!

Ritardataria sorpresa: l’aereo farà scalo a Guayaquil (sosta non prevista, né scritta sul biglietto elettronico stampato!) dove presso l’Aeropuerto Jose Joaquin de Olmedo il duty free ha prezzi veramente convenienti (tre stecche di sigarette Marlboro a soli $ 57!). La sosta, però, sarà troppo breve per dare una sbirciatina a questo capoluogo della provincia del Guayas.

Sul volo Quito-Madrid (posti 8E) serviranno due pasti: dopo un’oretta dalla partenza la cena completa e a un’oretta dall’atterraggio la buona colazione. Si ricomincia a pensare e parlare in italiano, soprattutto perché accanto a me c’è un simpatico ragazzo, Paolo, che vive in Ecuador da 7 anni, sta tornando in Italia per votare e ci parla dell’associazione di volontariato per la quale lavora, che promuove ed esegue progetti di cooperazione internazionale, appoggia e sostiene il turismo responsabile (sensacional.org). Veramente interessante! Ci rimettiamo in linea con l’ora che troveremo in Europa appena raggiungiamo Madrid; solo un’ora di scalo e poi Madrid-Roma (posti 28B), consumazioni a pagamento e già si ricomincia a fare i conti con la nostra cara moneta. Arrivo, insieme alle valigie, puntuali!

Buon viaggio

Luna Lecci

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Nativi e non

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Vesto poncho

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Quadro reale

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