Stone upon stone: Dublino

"Se ho scelto Dublino per scena è perché quella città mi appariva come il centro della paralisi." Ciò scriveva Joyce, del suo Ulisse. Il nostro continuo girovagare invece, ci ha fatto intuire che non esistono posti sospesi nel tempo, dato...
Scritto da: anniaffollati
stone upon stone: dublino
Partenza il: 19/11/2014
Ritorno il: 23/11/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
“Se ho scelto Dublino per scena è perché quella città mi appariva come il centro della paralisi.” Ciò scriveva Joyce, del suo Ulisse. Il nostro continuo girovagare invece, ci ha fatto intuire che non esistono posti sospesi nel tempo, dato che non esiste un tempo unico. Esistono però grazie a Dio posti diversi tra loro: è questa l’unica vera ricchezza del mondo.

Solo tre giorni effettivi per perdersi nella dolce bruma dublinese sono davvero pochi, oltretutto un giorno intero vorremmo anche passarlo sulla costa, ad Howth. Con queste premesse, partiamo da Orio al Serio un mercoledì sera, il ritorno sarà la domenica mattina all’alba, unico modo per risparmiare qualcosa con Ryanair.

Negli zaini una copia di Dubliners di Joyce e un catalogo delle bellezze dell’isola recuperato a Febbraio alla BIT.

Appena atterrati, dobbiamo fare i conti con la fine pioggia che ogni giorno – per almeno 10 minuti narra la leggenda – infradicia i vestiti degli irlandesi. Poco importa, perché con il bus Aircoach (12 euro a/r) preso all’uscita del terminal, arriviamo in città in una ventina di minuti (ha corse sia di giorno – ogni 15 minuti – che di notte – ogni 30 minuti – da e per l’aeroporto). Il nostro B&B è in pieno centro e lo consiglio vivamente perché pulito e tranquillo: The Charles Stewart Guesthouse, in Parnell square, a due passi da “The Spire”, lo spillone che svetta alto nel notturno cielo rosso della città. Resisto dalla tentazione di infilarmi nel primo pub che incontro, la Guinness N.1 del viaggio voglio gustarla l’indomani al St.James’s Gate. Potendo, arrivateci a piedi di mattina, c’è meno ressa. Una rassegna dei molti ponti che passano sul fiume Liffey è ciò che ci vuole la mattina per digerire un’Irish Breakfast preparata come si deve. Da Flanagans (http://www.flanagansrestaurantdublin.com/) costa sugli 8 euro a testa, té incluso, ma c’è da scoppiare: fagioli, uova, salsicce, bacon, black pudding (sanguinaccio speziato), verdure alla piastra, pane e burro. Quando uscite, fate un salto al primo infopoint che trovate, qui potrete recuperare una mappa gratuita della città e acquistare i ticket per il museo Guinness a prezzo scontato: sui 18 euro a testa comunque, ma li vale tutti. Infilando il viale d’ingresso della factory, sembra di piombare nell’800 vittoriano. Cavalli legati a paletti, su strade di ciottoli levigati dal tempo e dai carri che portavano orzo per poi ricondurre al porto cataste di barili di birra. Qui, alla fine del ‘700, il lungimirante Signor Guinness in persona prese in affitto dal comune questa vasta area (un decimo circa del centro città) per 9000 anni. Il tutto al modico prezzo di 45£. La parte centrale dello stabile che ospita il museo, ha la forma del bicchiere della mitica stout. Passando in rassegna i vari piani, si passa dal negozio di cimeli del piano terra, ai vari ingredienti, dalle varie fasi della fermentazione della bevanda – in cui il multimediale è mischiato sapientemente ad antichi macchinari in uno fino a pochi decenni fa – al confezionamento e al lavoro dei bottai e dei trasportatori. Il tutto con l’ausilio di una audio-guida molto pratica. Giunti al 5° piano, ci è possibile utilizzare il buono-stout (consegnatoci all’entrata) per metterci alla prova come spinatori. Possiamo così godere del suo gusto inimitabile, orgogliosi dell’attestato che ci viene rilasciato. Giunti al 7° piano, al GravityBar possiamo continuare a bere osservando la città a 360° da una sorta di cupola in vetro. Davvero ottimo, se si vuole osservare dall’alto la disposizione dei vari edifici e giardini della città: i molti nomi sono scritti sulle pareti trasparenti. Per il pranzo non serve spostarsi di molto, al piano della degustazione, al Arthur’s Bar è possibile mangiare spezzatino e pane alla Guinness. Giornata monotematica, ma davvero stupendo il tutto.

Usciamo alle ultime luci pomeridiane e ci dirigiamo ancora più ad ovest, verso l’IMMA: Ireland’s museum for modern and contemporary art. Come ogni museo pubblico, è visitabile gratuitamente, ma a dire il vero a parte la location davvero suggestiva – The Royal Hospital, risale alla fine del ‘600 – diciamo che non ci ha convinto del tutto in quanto ad opere esposte; comunque merita un giro. Mentre la luna sale in cielo, torniamo verso il centro e ci spostiamo in zona Dublinia (un museo sui primi insediamenti vichinghi locali) e Christ Church, cattedrale vichinga risalente al 1100, ma ricostruita in gran parte alla fine dell’800 da un produttore di whiskey filantropo. Proseguendo verso est, ci si imbatte nel Dublin Castle, maniero risalente al XIII secolo. Fu per molti secoli il centro del potere politico inglese, ed è visto perciò dagli abitanti con non troppa simpatia. In ogni caso, osservarlo la sera, attraversare il suo piazzale e sbucare dall’altra parte è davvero d’effetto. Nonostante vi siano vaste aree destinate a parcheggio qui intorno, gli ultimi edifici costruiti in prossimità delle mura stemperano molto bene il passaggio tra antico e nuovo. La stanchezza si fa sentire, ma la curiosità ha la meglio, così scendiamo verso St.Stephen’s Green alla ricerca della statua di Oscar Wilde, proprio di fronte alla casa in cui abitò in giovane età. Le case in questa via, e nei viali limitrofi, sono tutte in stile georgiano, vale a dire facciata molto classica, qualche gradino per accedere all’ingresso e porte ognuna di colore diverso. La leggenda vuole che il motivo della loro diversa colorazione, sia da imputare ai ripetuti errori d’individuazione della propria dimora da parte dei proprietari che ubriachi vi rientravano a tarda notte.

Il giorno seguente, la pioggia e il freddo non ci frenano di certo. Coperti con scadenti kway – immancabili, mai venire da questa parti senza – ci mettiamo in moto, destinazione Trinity College, e la sua inestimabile biblioteca che si dice cresca di alcuni chilometri di scaffali ogni anno. Causa orario un po’ infelice, la coda è già piuttosto cospicua, quindi ci accontentiamo di passeggiare per il cortile interno, sotto l’insistente pioggia autunnale. Decidiamo di asciugarci un po’ le ossa presso la National Gallery: altra scorpacciata di cultura gratuita. Poche opere a dire il vero, distribuite però davvero ottimamente lungo i corridoi e le grosse sale. Da Beato Angelico a Caravaggio, da Canaletto a Van Dyck e Brueghel il giovane. Davvero una carrellata che scalda lo spirito anche dell’osservatore meno attento. Uscendo, riaffrontiamo la pioggia e facciamo rotta a sud, in cerca di un locale di cui ci hanno parlato molto bene. The Bernard Shaw è un locale storico, aperto dalla fine dell’800, in zona St.Stephen’s Green. Un gruppo di italiani da qualche anno si è inventato di esportare in questa sorta di pub storico-avanguardistico-squat la cucina italiana. Si mangiano ottimi arrosticini e la sera si può cenare a base di pizza sull’autobus parcheggiato nel cortile interno! Davvero niente male, anche se per scelta all’estero non cediamo mai alla cucina italiana.

Spostandoci a nord, direzione Old Jameson Distillery, passiamo accanto alla St.Patrick Church, famosa cattedrale protestante in cui dovrebbero essere custodite le spoglie del grande scrittore Jonathan Swift. Noi non entriamo, sfiliamo solo accanto all’esterna statua di Benjamin Guinness e proseguiamo: siamo in ritardo per la visita alla distilleria. Una volta arrivati nell’antica sede della Jameson, (i ticket costano 15 euro e si entra scaglionati) restiamo sorpresi per l’ambientazione di questa sorta di museo: molto è rimasto com’era decenni fa. Il tour fa visitare alcune sale in cui sono ricostruiti gli ambienti in cui il whiskey (attenzione, da non confondere col whisky americano o lo scotch) veniva prodotto, ma la guida spiega molto in fretta e anche per questo è poco coinvolgente. Astenersi assolutamente tutto coloro che non capiscano l’inglese alla perfezione; questa è certo una pecca, tutti dovrebbero essere messi nella condizione di capire, dato l’oneroso biglietto d’entrata, attraverso una guida che parli a una velocità umana, oppure mediante audio-guide. Alla fine del tour c’è anche un assaggio di whiskey (oppure si può scegliere un cocktail) ma complessivamente l’esperienza – comprensiva di degustazione solo per pochi eletti del Jameson a confronto col Sir. Johnny Wlaker e con Mr. Jack Daniels – non ci ha entusiasmato molto. Diciamo che se durante il giro alla Guinness ci siamo sentiti al centro delle vicende eno-gastro-culturali dublinesi degli ultimi secoli, qui alla distilleria ci è parso di aver fatto un giro a Gardaland. All’uscita è ormai buio e ci bardiamo per affrontare la camminata sotto la pioggia. Facciamo rotta verso il pub più antico della città (risale al 1100): al The Brazen Head Pub sono da poco passate le cinque e la gente sta già cenando. Così ordiniamo l’ennesima birra e l’ennesimo cocktail whiskey-ginger ale e addentiamo onionrings, ottime e patatine fritte niente male, mentre il nostro sguardo si posta qua e là nelle piccole sale col camino acceso. Sembra proprio di stare a casa, l’aria che si respira nei pub è davvero conviviale ed accogliente, niente a che vedere con quella che c’è nei nostri locali: il risultato è che non te ne andresti mai.

Più tardi passiamo di nuovo di fronte a St.James Gate, poi tagliamo verso Temple Bar, è venerdì sera e forse è il momento di affrontare la ressa. Entriamo di straforo in un paio di pub sovraffollati a rubare qualche scorcio di brani e restiamo davvero colpiti dall’entusiasmo con cui ogni gruppo locale (che suona ovviamente sempre e soltanto irish music) viene salutato e di come la gente si scateni al suono della fisarmonica e del violino. Temple Bar è insostenibile a quest’ora, così ci spostiamo di nuovo verso il Liffey. Lungo la strada, la nostra attenzione è catturata da una strana piazzetta interna, la cui copertura è realizzata con strutture simili a steli di calle giganti ravvicinati. È l’ingresso all’Irish Film Institute, altro esempio di come da queste parti la cultura – in questo caso quella cinematografica – non sia appannaggio di pochi eletti, bensì uno dei pilastri su cui poggia la società irlandese. In questi giorni ci sono retrospettive sul cinema francese e mai mi sarei aspettato di vedere tali file ai botteghini per la proiezione di film impegnati vecchi e nuovi. Mi limito a curiosare nel bookshop e poi proseguiamo la passeggiata verso Parnell Street.

L’ultimo giorno prendiamo la DART da Connolly Railway Station (5€ a persona a+r) in direzione Howth, piccolo paese di pescatori molto caratteristico, attendendoci una località iper-turistica. Niente da fare, anche in questo caso si tratta di un villaggio che ha ben mantenuto le sue caratteristiche, senza grandi hotel e scempi architettonici a deturpare il paesaggio naturale. Sul molo dove fino a cento anni fa c’erano case dei pescatori e piccole aziende per la trasformazione ittica, ora ci sono ristoranti di altissima qualità e negozi che offrono il meglio del pescato giornaliero, oltre agli affumicatoi dove ancora oggi trattano la carne di salmone col fumo del legno di quercia. Appena usciti dalla stazione andiamo a destra, cercando il Deer Park Golf Club, ricavato sui terreni dell’antico castello di Howth. Il maniero è ancora visibile ma non è visitabile internamente. Tornando verso il porto, non stiamo nella pelle: abbiamo letto che nuotano foche lungo questi moli e non possiamo perderle. Anche se all’inizio non si fanno vedere, man mano che i pescherecci vanno e vengono, fanno la loro comparsa sulla scia delle imbarcazioni. Tra il cibo che accettano di buon grado dai turisti e gli scarti di pesce che gettano loro dalle navi, devono mangiare parecchio. È così strano vedere animali che appartengono alla sfera del sogno e dei libri, fare comparsa di fronte a noi così platealmente, davvero un’emozione. Dopo esserci spostati verso il crinale che si trasforma ben presto in scogliera – continuando per qualche chilometro verso sud-est si incontra il faro più spettacolare della penisola, ma le nostre scarpe non lo consentono, se venite da queste parti dotatevi di scarpe da trakking – torniamo al molo ed entriamo nell’unico ristorante che non sia interamente prenotato perlopiù da gente del posto (e questo certifica ancora di più la qualità del cibo). Al Deep restaurant pranziamo con dell’ottimo fish&chips e del formidabile salmone affumicato. Poi, seguendo le indicazioni, arriviamo all’antico centro di Howth, fondata dai vichinghi prima dell’anno 1000. Oltrepassando una chiesa priva di tetto, prendiamo al volo un autobus che porta verso l’Howth Baily Lighthouse. Il costo salatissimo del bus, non ci permette di esultare per la fatica risparmiata; oltretutto è doverosa una precisazione: arrivati in cima al promontorio, per raggiungere il faro è necessario farsi altri 20 minuti a piedi per arrivare… da nessuna parte, dato che il faro è chiuso al di là di un cancello invalicabile. C’è da dire che il panorama che ci godiamo al tramonto da qui è impagabile. Tornando, facciamo in tempo a guardarci l’ultima partita di rugby della nazionale all’O’Neill’s Bar, enorme pub su tre piani con una Guinness notevole.

Consiglio finale per chi come noi abbia deciso di passare la notte in aeroporto avendo il volo prestissimo la mattina successiva: scordatevi di riuscire a dormire!

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Howth's sunset

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Dublin's windows

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Guinness Storehouse1

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Dublin tower

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Next to the Guinness Storehouse

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Temple bar1

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Guinness Storehouse

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Irish film institute

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Howth harbour



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