Il Deserto della Tatacoa

Bisogna sapere che in Colombia durante l’anno ci sono decine di lunedì festivi o ‘puentes’. Questo perché una legge, la Legge Emiliani (solo un discendente di un italiano poteva), ha determinato che se una festa cade un giorno della settimana, si sposta automaticamente al lunedì successivo. La gente festeggia felice, però nessuno si...
Scritto da: davovad
il deserto della tatacoa
Partenza il: 15/10/2005
Ritorno il: 17/10/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
Bisogna sapere che in Colombia durante l’anno ci sono decine di lunedì festivi o ‘puentes’. Questo perché una legge, la Legge Emiliani (solo un discendente di un italiano poteva), ha determinato che se una festa cade un giorno della settimana, si sposta automaticamente al lunedì successivo. La gente festeggia felice, però nessuno si ricorda più che festa sia.

Decidiamo di approfittare di uno di questi ponti per visitare il deserto della Tatacoa.

Partiamo la mattina presto dal terminal terrestre di Bogotá su un bus diretto a Neiva, la capitale del dipartimento del Huila. La autopista sud si lascia alle spalle la località di Ciudad Bolívar ed il municipio di Soacha. Dopo aver percorso tratti di campagna pianeggiante, la strada comincia a scendere lungo la valle del fiume Magdalena, seguendo il corso dell’inquinatissimo río Bogotá. La vegetazione diventa sempre più rigogliosa e la temperatura aumenta. Lasciamo il río Bogotá perdersi nel Salto del Tequendama e proseguiamo verso Silvania e Fusagasugá. Arrivati a Melgar la strada corre incassata nello stretto canyon dell’impetuoso río Sumapaz. A Girardot attraversiamo il río Magdalena, ci lasciamo alle spalle il dipartimento di Cundinamarca ed entriamo nel Tolima. Dopo tanta montagna, la pianura tolimense è quasi irreale. Il bus sfreccia sulla strada rettilinea, circondata da campi di riso. A sinistra la Cordillera Oriental, a destra la Central.

35 chilometri prima di arrivare a Neiva, ci facciamo lasciare sulla strada in corrispondenza di Aipe. Sono le tre del pomeriggio, fa caldo. Ci beviamo una gazzosa in un baretto vuoto con una invitante piscina ed affrontiamo la camminata fino al paese, che ci accoglie con una roccia sulla quale sono state scolpite delle figure di indigeni, condor, e frutta.

Il paesino conserva tracce di architettura coloniale, nella piazza principale è tutto un fervore per la festa del paese. In Colombia, come nel resto del Sudamerica, si pranza tra le dodici e le due, dopo è difficile trovare qualcosa. Riusciamo a stento a trovare da mangiare e ci facciamo indicare il cammino per l’imbarcadero. Seguiamo un sentiero che esce dal paese e si inoltra nella campagna fino al Río Grande della Magdalena. Non ci sono canoe in vista. Sulla riva tre persone cercano di far passare un toro dall’altra parte del fiume. L’impresa non è facile, il toro non vuole proprio saperne. I tre lo tirano con una corda finché riescono a farlo entrare nell’acqua. Salgono su una lancha (canoa a motore) e lo mantengono assicurato con una corda, mentre il toro cerca di nuotargli dietro. Dopo un po’ passa un contadino, che ci racconta vari episodi di affogamenti avvenuti in quel tratto di fiume, tra cui una coppia appena sposata. Mia moglie non sa nuotare, lo ringrazia di cuore! Il posto è bello, ci viene quasi voglia di mettere giù la tenda sulla riva, se non fosse per il pericolo di piene improvvise.

Arriva il barcaiolo. Siamo gli unici due passeggeri. Ci porta fino all’isola che si è formata nel mezzo del fiume. Da lì seguiamo un sentiero fino all’altro lato, dove ci aspetta un altro barcaiolo, che in breve ci conduce alla riva opposta del Magdalena.

Qui si trova Villavieja, il posto dove originalmente fu fondata Neiva nel 1551, che però venne abbandonata a causa degli attacchi degli indigeni. Percorriamo le stradine fiorite fino alla piazza principale. In un angolo della piazza si trova una bella casona coloniale adibita ad hotel. Avrebbe bisogno di qualche ritocco, però nel complesso è molto accogliente. Prendiamo una stanza e aspettiamo che finisca il giorno, mentre varie guide si offrono di portarci nel deserto in jeep. Di notte, con gran disappunto, ascoltiamo il gocciolio della pioggia, sperando che smetta. La mattina dopo continua a piovere e rimaniamo indecisi sul da farsi. Finalmente smette di piovere, anche se rimangono pesanti nuvoloni neri nel cielo. Già che siamo arrivati a Villavieja non ci sono altre opzioni: decidiamo di andare al deserto.

Uscendo dal paese prendiamo il cammino sulla destra. La terra rossa è fradicia di pioggia. La vegetazione è costituita da arbusti spinosi e da cactus, tra i quali pascolano capre e mucche. In un paio di orette passiamo tra una casa e una piccola laguna, attraversiamo un ponte, lasciamo sulla destra una casa sulla sommità di una collina, attraversiamo un altro ponte e finalmente arriviamo all’osservatorio astronomico.

Ci accoglie Andrés, il custode dell’osservatorio. Anche se c’è poco da custodire, visto che tempo fa i ladri hanno svaligiato le preziose attezzature del laboratorio. Comunque il deserto della Tatacoa continua ad essere uno dei posti migliori in Colombia per osservare il cielo.

Andrés vive in una casetta adiacente all’osservatorio, a mezzo costruire e con il cemento a vista. Le pareti sono tappezzate di mappe astronomiche. E’ un personaggio bizzarro, con camicie psicadeliche ed occhiali scuri, che stonano non poco in quel contesto.

Passiamo la giornata girovagando per il deserto. In realtà non si tratta di un vero e proprio deserto: prima che si innalzasse la Cordillera Occidental qui c’era il mare. Quest’area di 300 chilometri quadrati era il fondo sabbioso e salato di quell’antico mare. Il terreno è stato erosionato dalla pioggia e dal vento e presenta formazioni a pinna di pesce, faraglioni, calanchi, ponti naturali. Qualcosa di simile alla valle della luna a La Paz. La zona attorno all’osservatorio è conosciuta come il Cuzco e la sua attrattiva sono le due torri gemelle di color ocra, su una della quali svetta l’enorme nido di un avvoltoio. La forte salinità del terreno permette che crescano solo cactus e che si allevino solo capre.

Una delle quali ci viene servita per il pranzo, che mangiamo nella casetta della zia di Andrés, che si trova a un chilometro dall’osservatorio e funziona da ristorante e campeggio.

Passiamo la giornata girovagando tra quel paesaggio lunare, protetti dal sole implacabile da un ombrello. Verso sera montiamo la tenda.

La notte approfittiamo del corso di astronomia che impartisce Javier Rúa, un paisa arrivato al deserto per vedere la cometa di Halley e che da allora vive lì.

Il cielo è limpido, però la luna piena opaca le stelle. L’orizzonte è illuminato da minacciosi lampi.

Di notte, improvvisamente, percepiamo il rumore più temuto da chi dorme in tenda: una goccia d’acqua. Il rumore si intensifica e dopo un po’ ci troviamo sotto un temporale degno di Noè. La tenda non regge, ci bagnamo quasi completamente. Quando ormai albeggia, ci trasferiamo alla casetta di Andrés. Siamo in uno stato pietoso. Prendiamo il cammino del ritorno, allagato dal temporale. La camminata è faticosa, con la terra rossa che intrappola le scarpe. Quando siamo quasi arrivati a Villevieja, passa un camioncino che ci porta fino in paese. Sarebbe stato meglio che passasse prima, comunque è meglio che niente. Prensiamo un bus per Neiva. La strada sterrata passa per un guado, che la pioggia della notte anteriore ha ingrossato pericolosamente. Aspettiamo incolonnati dietro altri mezzi. Un sacco di gente aspetta su entrambi i lati del guado, senza fretta. Dopo un’oretta la prima jeep tenta di passare. Ce la fa. Le altre ci provano, una rimane bloccata però alla fine riesce a venirne fuori. Finalmente riusciamo a passare. Arriviamo a Neiva e prendiamo un bus per Bogotá. La ragione di tanta fretta da parte notra è che, come sempre, il controesodo è massiccio. Infatti arriviamo a Bogotá a notte inoltrata, dopo ore di code.



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