Sahara algerino, silenzio e pace regnanano sovrani

Era da tempo che desideravamo fare un viaggio nel cuore del Sahara ma, non potendo optare per la Libia a causa dell’impossibilità di Marco ad ottenere il visto di ingresso in quanto nato a Tripoli, abbiamo scelto l’Algeria come meta per approfondire questa esperienza unica . 20/10/2008 Alle 15 decolliamo da Roma Fiumicino con il volo Air...
Scritto da: pacam70
sahara algerino, silenzio e pace regnanano sovrani
Partenza il: 20/10/2008
Ritorno il: 03/11/2008
Viaggiatori: in coppia
Era da tempo che desideravamo fare un viaggio nel cuore del Sahara ma, non potendo optare per la Libia a causa dell’impossibilità di Marco ad ottenere il visto di ingresso in quanto nato a Tripoli, abbiamo scelto l’Algeria come meta per approfondire questa esperienza unica .

20/10/2008 Alle 15 decolliamo da Roma Fiumicino con il volo Air Algerie, il piccolo aereo al suo interno non è in ottime condizioni, inoltre, sento un leggero imbarazzo essendo l’unica donna presente su questo volo.

Dopo circa un’ora e trenta minuti atterriamo a Algeri, la città dall’alto si presenta ai nostri occhi molto più simile ad una città del sud Italia, la vegetazione è paragonabile a quella delle nostre coste mediterranee. Abbiamo diverse ore di attesa prima di volare nel sud del paese a Tamanrasset.

Avremmo voluto visitare la casbah di Algeri ma, non potendo lasciare i bagagli in deposito, lasciamo perdere questa opportunità concentrando il nostro viaggio solo ed esclusivamente al deserto. Alle 23 lasciamo Algeri, la stanchezza prevale -dormiamo per tutto il viaggio- facciamo un breve scalo a Djanet e alle 2,50 atterriamo a Tamanrasset.

Ad attenderci nel piccolo aeroporto ci sono: -Dalila, che insieme al marito Fabrizio (al momento impegnato con un gruppo di turisti), ha organizzato il nostro circuito, -Lila, giovane ragazza che da Algeri si è trasferita qui per lavorare con loro, -Abdellah, la nostra esile guida con indosso l’abito tradizionale (galabiyya) e lo shesch (turbante tuareg).

Lasciamo l’aeroporto e, a bordo di una Toyota Land Cruiser raggiungiamo in breve la città di Tamanrasset, l’aria non è fredda e nel buio della notte non riusciamo a scorgere più di tanto. I voli nel sud dell’Algeria arrivano e partono solo durante la notte, con lo svantaggio di non poter ammirare il deserto dall’alto, così rimandiamo a domani, al nostro risveglio, la scoperta della natura che ci circonda.

Raggiunto un vicolo, ci fermiamo, scarichiamo gli zaini e salutiamo Abdellah che stanco va a casa a dormire. L’abitazione di Dalila e Fabrizio è molto accogliente, ci invitano a mangiare un boccone e fare una doccia, ma data l’ora e la stanchezza non solo nostra rinviamo all’indomani questi piaceri infilandoci al più presto nel letto preparato con tanta cura per noi e in pochi minuti ci addormentiamo. 21/10/2008 Mi sveglio con la curiosità di vedere l’ambiente che mi circonda, un buon sonno è ciò che serviva per riprendere le forze.

Dalila ha già preparato la colazione, ci mettiamo al tavolino e davanti a una tazza di buon tè parliamo dei dettagli del nostro circuito.

Ci racconta dell’amore nato tra lei e Fabrizio, lui italiano con una grande passione per il deserto, lei algerina che dopo aver lavorato come hostess per Air Algerie è passata all’ Onat (ufficio nazionale del turismo) e, in seguito, all’Opna (ufficio del parco nazionale dell’Hoggar). Unendosi in matrimonio oltre ad aver consolidato il loro amore hanno trasformato la loro reciproca passione per il deserto in una attività vera e propria .

Facciamo la doccia e nel frattempo anche Abdellah bussa alla porta.

Usciamo tutti assieme per fare qualche acquisto, qui a Tamanrasset l’artigianato è molto vario e con prezzi abbordabili, mentre a Djanet c’è meno scelta e con prezzi molto più elevati.

La città di Tamanrasset (1400m) è situata ai piedi del massiccio dell’Hoggar o Ahaggar, un tempo era un importante crocevia per le carovane che attraversavano il deserto.

Ora la cittadina è molto più grande, molti tuareg hanno abbandonato la vita nomade stabilendosi qui.

La città è un buon punto di partenza per i turisti che vogliono approfondire una singolare esperienza nel deserto.

Pranziamo tutti assieme a casa di Dalila, la tv è accesa su un canale italiano, Rete4 e stanno trasmettendo “Forum”, il noto programma sulle cause civili, è veramente buffo vedere tutto ciò anche nel deserto algerino! Prendiamo il tè salutiamo Dalila e Lila e a bordo della Land Cruiser lasciamo Tamanrasset.

Ci immettiamo su una pista e puntiamo verso nord, l’immensa regione dell’Hoggar è di origine vulcanica, il paesaggio è lunare, è un continuo saliscendi lungo vallate di pietraie grigie interrotte da isolate vette di varie forme, costeggiamo l’Akar Akar (2216m) conosciuto anche come castello di Antinea. Si narra che le antiche vestigia di Atlantide, dopo essere sprofondate nel mare, riemersero qui, che Antinea fosse la regina ed i Tuareg i loro discendenti. Dopo circa 70 km raggiungiamo l’Assekrem, l’ultimo tratto è difficoltoso, la pista si inerpica e siamo costretti a proseguire molto lentamente, Abdellah ci indica un punto dicendo che è una buona alternativa per fare campo per la notte invece che dormire al rifugio che si trova ai piedi dell’eremo di Père de Foucauld.

Per ammirare il panorama dall’eremo bisogna fare una piccola scalata a piedi lungo una parete di pietraie dove ci sono una moltitudine di minuscoli fiori rossi.

Il cuore è leggermente in affanno, siamo a 2780 metri di altitudine ma, il meraviglioso panorama toglie ogni parola e ogni fatica. Rimango ammaliata, gli altipiani sono dominati dalle vette di questo particolare e singolare luogo.

I tanti massicci dell’Hoggar si innalzano al cielo e sono simili a colate di cera, il contrasto tra l’azzurro del cielo e il marrone/grigio delle rocce crea un’armonia cromatica paragonabile solo a quella di un dipinto.

La nostra attenzione viene distolta da un piccolo gatto nero che reclama coccole ad ogni costo, Marco lo prende in braccio ed il micio inizia un’interminabile sequenza di fusa molto rumorose, è tenerissimo, lo soprannominiamo Père pensando che l’anima del religioso sia tornata in questo paradiso sotto le sembianze del gattino che ora stiamo accarezzando.

All’interno dell’eremo c’è un piccolo altare dove il sacerdote era solito raccogliersi in preghiera.

Un giovane sacerdote polacco ci fa da cicerone spiegandoci in una lingua a noi non comprensibile le varie vicissitudini di Père de Foucauld. L’esile sacerdote si avvicinò alla popolazione Tuareg, studiò la loro lingua e la loro cultura, tradusse poemi, canti e proverbi. Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, de Foucauld fece costruire a Tamnarasset un fortino per proteggere la popolazione da attacchi e razzie. Il 1 Dicembre 1916 venne sorpreso da un gruppo di Tuareg, comandati da alcuni Senussi, che lo catturarono e legarono. Durante il saccheggio arrivarono due Meharisti (soldati alle dipendenze dei francesi), ci fu il panico, partì un colpo e Père de Foucauld venne ucciso.

Il sole sta calando, ci spostiamo su un altro versante per poter ammirare il tramonto che a causa di una leggera velatura non regala colori da imprimere nella nostra memoria.

Tornati al rifugio Abdellah ha preparato la cena, ci chiede se vogliamo restare qui per la notte oppure se preferiamo scendere nel punto da lui indicato in precedenza, accettiamo, lui sorride assicurandoci che, nonostante sia già calato il freddo, saremo pienamente soddisfatti della scelta.

Montiamo la piccola tenda a igloo, stendiamo il tappeto di lana e consumiamo un ottimo spezzatino di carne e verdure.

Nel buio della notte udiamo un grido, è un mix tra un pianto e un abbaio, Abdellah punta la luce della torcia poco distante e, nel buio più totale, illumina due occhioni color arancio: è un fennec (volpe del deserto). Sono sorpresa, prendiamo alcuni pezzetti di pane, li lanciamo vicini al tenero animaletto, puntiamo nuovamente la torcia e scorgiamo altri occhioni color arancio, siamo attorniati da una decina di fennec. Abdellah ci suggerisce di nascondere alcuni pezzetti di pane sotto i sassi, gli animali si muovono velocemente senza il minimo rumore, spostano con la zampa il sasso e senza alcun timore mangiano il pane. Mi sento come una bambina davanti a un gioco appena ricevuto! Abdellah sorride dicendo: volevo farvi vivere questa gioia, ecco perché vi ho proposto di non dormire su al rifugio.

Felici alziamo lo sguardo al cielo contemplando l’infinità di stelle che questa prima notte ci regala.

22/10/2008 Ripulito il campo, lasciamo questo luogo percorrendo a ritroso la pista che ci ha condotto fin qui fino ad arrivare ad un bivio che presenta una porta in pietra a due archi indicante la vicina guelta di Afilal alimentata da piccole sorgenti e attorniata da oleandri in fiore.

Ci fermiamo nei dintorni di Tamanrasset, dove all’ombra di una acacia gustiamo una buona insalata variegata e datteri come dessert. Terminato il pranzo, Abdellah apre una valigetta che racchiude tutto il necessario per la preparazione del tè.

Per i Tuareg bere il tè non è un semplice piacere, ma un rituale antico che viene tramandato da generazioni. Lo bevono più volte nell’arco di una giornata e ogni volta ne consumano tre piccoli bicchieri per persona.

Il tè Tuareg è forte e scuro, ognuno dei tre bicchierini ha un significato: □ Il primo lo definiscono amaro come la morte.

□ Il secondo è poco dolce come la vita.

□ Il terzo è dolce come l’amore.

La preparazione della bevanda è un vero e proprio cerimoniale, serve tempo, calma e molta cura, componenti che nel deserto non mancano mai.

Servono due barrade (piccole teiere smaltate), se il tè viene preparato per molte persone si usano teiere in alluminio molto più grandi.

Si pone sul fuoco la barrada con acqua e foglie di tè verde, quando l’infuso bolle si aggiunge lo zucchero e con un gioco abile e preciso viene passato da una barrada all’altra fino a formare una densa schiuma, un sorso d’assaggio, prima di offrirlo è necessario per regolare la giusta quantità di zucchero poi il tè viene servito e bevuto facendo un rumorino di risucchio.

Viene ripetuta la stessa procedura altre due volte aggiungendo nuova acqua alle stesse foglie di tè, altro zucchero e, se disponibili, anche alcune foglie di menta fresca.

Ritornati a Tamanrasset, passiamo da casa di Abdellah, carichiamo i viveri e una scorta di acqua in quantità sufficiente per affrontare buona parte del viaggio.

Oltre alle taniche abbiamo anche una ghirba, singolare contenitore ricavato da una pelle intera di una capra che appende al paraurti anteriore della jeep.

Lasciamo velocemente Tamanrasset dirigendoci verso sud, siamo nel Ahaggar National Park istituito nel 1987 per preservare la ricchezza geologica e archeologica, la flora, la fauna e i suoi incredibili massicci.

Questa vasta zona di 450000 kmq di superficie comprende oltre all’Assekrem anche Tamanrasset e si estende a sud fino al confine con il Mali e il Niger. Fa parte del suddetto parco anche il Tassili du Hoggar.

La pista che percorriamo è disseminata da acacie e calotropis procea, pianta medicinale tipica delle zone desertiche, con piccoli fiori viola che sembrano di cera le cui foglie ovali producono un latte tossico.

Raggiunta Tamekerest, entriamo nell’omonimo oued (letto di fiume asciutto) dove facciamo campo per la notte.

Dal letto dell’oued si innalza un’adrar (montagna) di roccia granitica rosa con striature verdi, una piccola cascatella precipita dalla roccia formando alla base alcune piccole pozze. Scaliamo la cima per ammirare il sole che cala dietro la montagna.

Tornati al campo, Abdellah è in compagnia di un guardaparco, proviamo compiacimento nel vedere che stanno preparando il cous cous.

Nonostante la serata sia calda, per precauzione montiamo la tenda, consumiamo poi l’ottima cenetta davanti al fuoco ascoltando la conversazione in Tamaschek tra Abdellah e il guardaparco cercando di immaginare cosa si stiano raccontando.

23/10/2008 Esco dalla tenda, Abdellah è già sveglio ed ha acceso il fuoco, poco distante da noi ci sono tre dromedari che stanno mangiando le piccole e tenere foglie di un’acacia, prendo la mia inseparabile reflex e lentamente, cercando di non spaventarli, mi avvicino, hanno le zampe anteriori legate da una corda, segno che appartengono a qualcuno. Mentre il sole sorge mi diverto ad alternare scatti all’alba e ai simpatici amici a quattro zampe.

Riprendiamo la marcia attraversando una zona con grandi tamerici e acacie, avvistiamo alcune gazzelle che, impaurite dal rumore della jeep, corrono veloci e in pochi istanti spariscono nel nulla, purtroppo sono attimi che non riesco a fotografare! Proseguiamo attraversando una vasta area di altipiani di roccia nera che contrasta con il color crema della sabbia dove ogni tanto spunta qualche acacia che a stento cerca di vivere in questo ambiente tanto arido.

All’ombra di una di queste consumiamo il pranzo e beviamo il tè, un po’ di riposo poi riprendiamo la pista fino ad entrare nell’oued Tin Tarabine, nei Tassili du Hoggar.

Lungo l’oued ammiriamo il nostro primo graffito, è scolpito nella parete di una grande roccia, rappresenta un animale che non riesco a ricondurre a nulla che conosco, ha l’aspetto alieno ed è chiamato Tiblist.

Proseguiamo all’interno dell’oued fossilizzato fino ad arrivare a Youf Ahakit, in tamaschek questo luogo significa “meglio che sotto la tenda”. L’impatto con l’antico insediamento neolitico è impressionante, formazioni di roccia erose dal vento emergono dalla sabbia color ocra. Ci fermiamo in prossimità di una roccia che ha le sembianze di un elefante, stanotte dormiremo in questo luogo surreale, il cuore mi batte forte dall’emozione, vaghiamo tra rocce arrotondate e forate dal vento, all’orizzonte un immenso plateau con pinnacoli che sembrano delimitare e proteggere questa parte del deserto.

Il silenzio la pace e la tranquillità penetrano nel profondo dell’anima, uno stato di beatitudine si impossessa di me, sensazione questa che mi accompagnerà per tutto il resto del viaggio.

Saliamo in cima ad un massiccio scorgendo al di sotto un accampamento di tuareg, molte caprette stanno rientrando dal pascolo assieme ad alcuni bambini.

Il tramonto irradia nel cielo tonalità di giallo e arancio, mentre le rocce assumono sembianze di draghi che sembrano essersi materializzati da una fiaba.

Stasera cena all’italiana, “spaghetti con sugo di verdure” datteri e l’immancabile rito del tè. Il cielo notturno ci appare come un gigantesco schermo sul quale si proiettano miliardi di stelle che ci avvolgono, Abdellah ci impartisce una lezione sull’immensa cupola che ci sovrasta, la via lattea illumina il cielo e le stelle fanno da contorno a questo spettacolo unico al mondo.

Da stasera decidiamo di dormire senza tenda e beneficeremo di questo “hotel a milioni di stelle” per tutto il resto del viaggio.

24/10/2008 E’ stato meraviglioso dormire sotto le stelle! Ieri sera non volevo addormentarmi per non perdermi lo spettacolo che avevo davanti ai miei occhi.

Durante la notte abbiamo udito alcuni lamenti simili a ululati, Abdellah dice che era il verso di uno sciacallo, animale molto difficile da vedere perché appena sente l’odore dell’uomo si allontana.

A nostra insaputa abbiamo avuto anche la visita di uno o più fennec, infatti intorno a noi ci sono diverse tracce, chissà se sarà venuto a odorarci la testa? Usciamo dal calduccio dei sacchi a pelo quando ha già albeggiato, abbrustoliamo le baguette sul fuoco e le spalmiamo con marmellata e formaggini della “vache qui rit” all’improvviso sbucano quattro bambini tuareg, si avvicinano, uno di loro ha una bottiglia con del latte di capra appena munto, parlano con Abdellah, gli porgono la bottiglia, lui si alza e fruga nella nostra dispensa alimentare, offrendo in cambio pane e frutta, anche noi contraccambiamo regalando maglioncini di lana sicuramente utili durante le notti fredde che dovranno affrontare nei prossimi mesi. Ci ringraziano ma senza dimostrare troppo interesse per noi occidentali, la cosa non mi disturba, anzi, sono felice che non si facciano contaminare dall’apparenza del nostro mondo. Assaggiamo il latte, è molto denso e con un sapore acido, simile allo yogurt naturale, ripulito il campo lasciamo il nostro “hotel” e iniziamo la visita alla scoperta di graffiti, pitture rupestri e simboli misteriosi, nell’epoca sahariana questo era sicuramente un luogo di culto per gli antichi abitanti, tra le varie particolarità c’è anche una singolare roccia simile alla sfinge. Lasciamo Youf Ahakit, proseguendo di poco verso nord est addentrandoci nell’immenso plateau di Youf Arlel, qui le rocce assumono forme bizzarre, giganteschi funghi si innalzano dalla sabbia color ocra, è un luogo dall’aspetto irreale e lunare, le emozioni che provo creano nella mia mente visioni fiabesche.

Fa molto caldo, i miraggi si profilano al nostro orizzonte, questo effetto non è altro che un’illusione ottica naturale, quando l’aria calda e l’aria fredda si scontrano la luce riflette e si crea una specie di specchio.

Passiamo sotto un tunnel naturale, il vento, che è il grande protagonista del deserto ha creato questa opera. Facciamo diverse soste per ammirare le tante formazioni che emergono dalla sabbia e si reggono in piedi su esili basamenti.

All’ombra di una grande roccia prepariamo il pranzo, vicino a noi ci sono graffiti ben conservati. Sbucciate le patate bollite e le rape rosse, facciamo una bella insalata con verdure e legumi, sarà il nostro consueto pranzo durante tutto il viaggio.

Dopo le 15 proseguiamo all’interno del sito di Youf Arlel, alti pinnacoli svettano verso il cielo, statue bizzarre che il vento ha scavato nel tempo creano una coreografia molto affascinante. Una grotta aperta su due lati ci riserva pitture rupestri, molti resti di antiche macine e pezzi di vasellame a testimoniare l’epoca neolitica.

Ci fermiamo su una duna piatta circondati da enormi funghi e da rocce con le sembianze di volti umani, questo luogo è un vero anfiteatro naturale.

Andiamo in esplorazione, scalo una grande roccia forata e dall’alto ammiro l’immensità di questo luogo, mi guardo intorno spaziando con la vista a 360° e mi domando: “il suolo lunare sarà così bello?” Lo stato di beatitudine e l’irrealtà del posto mi fanno pensare che la luna sia esattamente così. Troviamo una sella di dromedario rotta, è stata abbandonata qui da qualche tuareg, vicino c’è anche una ghirba per l’acqua, uguale a quella che abbiamo noi attaccata al paraurti.

Il tramonto è impreziosito dalla figura di Abdellah che impasta la Taajeelah: tipico pane tuareg fatto con la farina di semola, sale e acqua, dalla forma di un disco schiacciato che viene cotto sotto la sabbia, ricoperto con la brace per circa 30 minuti, grattato, lavato e ripulirlo dalla sabbia per essere consumato così oppure spezzettato e aggiunto alla chorba (zuppa di verdure e carne).

Concludiamo questa meravigliosa giornata consumando la prelibata cena davanti al fuoco scrutando le stelle.

25/10/2008 Mi sono svegliata intorno alle 5,45 l’aurora irradiava nel cielo splendide tonalità di rosa fino al fucsia e viola, quando il sole ha fatto la sua comparsa i colori sono mutati con la predominanza del giallo e del rosso che sembra vogliano far esplodere questa nuova giornata.

Non c’è modo migliore per iniziare un nuovo giorno contemplando il sorgere del sole nel silenzio assoluto. Il deserto così vasto e misterioso mi fa sentire più vicina a Dio, inaspettatamente mi ritrovo spesso a ringraziarlo per avermi dato la possibilità di provare questo stato di beatitudine.

Entriamo nell’oued Tadant, siamo contornati da altipiani scuri, acacie e tamerici, avvistiamo una lepre, alcune gazzelle e diversi dromedari selvatici. Proseguiamo, il letto dell’oued si fa più accidentato, il vento ci costringe a una sosta pranzo veloce, la particolare sabbia polverosa s’infila dappertutto anche a “condire” la nostra insalata variegata.

Arriviamo ad un pozzo, nelle vicinanze ci sono alcune piccole casette di pietra dove si è stabilito un gruppo di tuareg, un’anziana donna col viso coperto si intrattiene con Abdellah mentre attingiamo l’acqua per la nostra riserva, subito dopo, arrivano una decina di bambini assieme ad un giovane, timidamente chiedo a loro se posso fotografarli, accettano, scattate le foto regaliamo loro qualche capo d’abbigliamento quindi riprendiamo la rotta. Lasciato l’oued Tadant entriamo nell’hammada (deserto roccioso) di Iffararaten, una vasta zona con grossissimi sassi marroni di roccia granitica, in certi momenti mi sembra di vedere i kopje del Serengeti (Tanzania) la sabbia a grana grossa color crema tendente al rosa e i grossi macigni rendono unica questa area.

Al calar del sole ci fermiamo su una collinetta contornata dai grossi sassi, Abdellah prepara la cena mentre noi facciamo scorta di legna e accendiamo il fuoco, mangiamo la chorba di verdure e riso, laviamo i piatti, sto imparando questa abile pratica. E’ molto difficile riuscire a lavare le stoviglie con soli due catini di acqua, ma Abdellah con molta pazienza mi sta insegnando ad essere parsimoniosa con uno dei beni più preziosi del deserto: l’acqua! Dopo il consueto rito del tè restiamo davanti al calore del fuoco a farci impartire una lezione di lingua tamaschek.

26/10/2008 Ci siamo svegliati un po’ tardi, la notte è stata piuttosto fredda, un’abbondante colazione ci rimette in forma e in breve il sole ci riscalda. Continuando il viaggio verso est superiamo i bellissimi rilievi di Anhef fino ad arrivare al pozzo di Tiririne per poi entrare nel grande plateau di Tafassasset dove in lontananza si scorgono le prime dune dell’Erg d’Admer distanti ancora un centinaio di chilometri.

All’ombra del monte a sei punte Tissemamine ci fermiamo per il pranzo, Abdellah scruta l’area, immediatamente vede una vipera cornuta del Sahara (Cerastes cerastes) rintanata sotto all’unico grande sasso che fornisce un po’ d’ombra. Con il manico di un rastrello la stana e la uccide staccandole la testa con colpi decisi, in seguito scava una piccola buca e seppellisce la testa mentre lancia il resto del corpo lontano. Questo è uno dei pochi punti di ombra disponibili prima di entrare nell’erg d’Admer, per il bene del prossimo ha preferito ucciderla.

Pranziamo tenendo sempre gli occhi all’erta da eventuali nuovi incontri con animaletti così poco simpatici: un morso di vipera uccide anche un cammello! Lasciamo trascorrere senza far nulla le ore più calde della giornata, verso le 15 ripartiamo, ci addentriamo nell’erg d’Admer percorrendo i canali tra le dune fermandoci, infine, in una conca protetta, luogo adatto per trascorrere la notte.

Alla vista del mare di dune l’emozione esplode dentro di me, non riesco a trattenere le lacrime, quando si pensa al Sahara si immaginano immense distese di sabbia, in realtà solo il 15% del deserto è costituito da sole dune. Ammiriamo con gli occhi umidi lo spettacolo della sabbia color crema punteggiata da cespugli di erba secca, poi, a fatica, scaliamo una serie di dune, in certi punti la sabbia è tanto morbida da sprofondare, in altri punti è molto compatta, il lato che è rimasto esposto al sole per tutto il pomeriggio ha la sabbia rovente, mentre sul lato in ombra la sabbia è fresca.

Raggiunta la sommità di una duna il vento è l’unico elemento che emette un rumore e noi ci divertiamo a rompere le creste ben delineate prestando attenzione al rumore prodotto che è esattamente come quello del vento.

Contempliamo il tramonto in stato di estasi osservando Abdellah che, in lontananza, ha acceso il fuoco ed è proprio seguendo la luce della fiamma che ci orientiamo nel buio calato velocemente. Stasera si mangia zuppa di verdure e lenticchie in umido, siamo molto soddisfatti dell’ottima cucina del nostro amico tuareg.

Davanti al fuoco Abdellah ci parla delle tradizioni dei tuareg, antica popolazione nomade che discende dai berberi, che per il loro stile di vita si definiscono “imohar” (uomini liberi).

La religione dei tuareg ha origini animiste, ma vennero convertiti all’Islam 1200 anni fa dagli arabi, ma ugualmente hanno mantenuto intatte alcune delle loro tradizioni e modificato alcune di quelle mussulmane. Al contrario di quanto vuole la tradizione araba qui le donne hanno il viso scoperto, tramandano la scrittura ai bambini ed erigono le tende.

Gli uomini si occupano della lavorazione della pelle, dei monili in argento e del commercio lungo le piste transahariane, molti tuareg oggi si sono sedentarizzati ed il turismo è per loro una buona fonte di reddito. Il schesh (turbante tuareg) è una lunga striscia di stoffa che ogni uomo indossa con abilità dando forma ad un ornamento bello, ma anche utile per ripararsi dal vento e dalla sabbia. Secondo la tradizione il copricapo scaccia gli jin (spiriti maligni).

27/10/2008 L’alba irradia bellissimi colori, girando tra le dune troviamo un bel pezzo di una antica macina, strumento che nell’era neolitica veniva utilizzato per pestare miglio, sorgo, sesamo e altre piante locali. Il tatto ne percepisce la levigatura per l’uso frequente e con il pensiero torno indietro nel tempo immaginando il suo vecchio possessore.

Davanti agli attuali paesaggi aspri e aridi è difficile credere che milioni di anni fa il deserto fosse una terra fertile con verdi pianure, boschi, fiumi, laghi azzurri e immense savane, pensando a ciò nasce spontanea la curiosità in merito alle antiche popolazioni che abitavano queste zone.

Proseguiamo il viaggio lungo i canali naturali delle dune fino a raggiungere la strada asfaltata che conduce alla vicina Djanet, piccola oasi ai piedi del Tassili n’Ajjer.

Il villaggio, contornato da palme, è da sempre un punto d’incontro per le carovane, l’insieme di etnie che vi abitano vivono anche grazie al turismo, ma con lo svantaggio di perdere molte delle loro tradizioni: un vero peccato! Passiamo dall’uffico del Parco Nazionale dei Tassili (OPNT) per compilare il permesso per visitare il Tadrart, facciamo il pieno di gasolio, poi mentre Abdellah fa la spesa per affrontare questa ultima parte del viaggio, noi girovaghiamo per le vie della piccola cittadina. Pranziamo in un ristorantino poi lasciamo il caos cittadino fermandoci poco fuori Djanet dove ci rilassiamo all’ombra di un’acacia sorseggiando i consueti tre bicchierini di tè.

Proseguiamo lungo la strada asfaltata in direzione sud-est, nella regione dei Tassili n’Ajjer, lungo l’oued Amais, fino ad arrivare nell’Adrar tin Enouar, da qui domani entreremo nel Tadrart.

Montagne rocciose fanno da sfondo a dune color arancio, sono talmente soffici che ci insabbiamo subito, scaviamo attorno alle ruote, inseriamo le ridotte per avere più aderenza e subito siamo liberi.

Facciamo campo per la notte ai piedi di una duna, il luogo è singolare la sabbia color arancio è mescolata a differente sabbia di color nero, tutta la zona è piena di rocce aguzze dai colori che variano dal nero, marrone e azzurro, scopriamo nelle vicinanze anche un antico lago essiccato. La giornata si conclude davanti al fuoco contemplando il firmamento di stelle.

28/10/2008 Raggiungiamo la falesia del Tadrart Akakus, uno dei più imponenti musei di arte rupestre della terra, penetriamo in questo mondo fatato attraverso l’alveo dell’oued in Djeran, ciò che si presenta è qualche cosa di assolutamente inaspettato, ammiriamo un’infinità di graffiti e pitture rupestri, scene di vita pastorale, immagini di caccia, buoi, giraffe, elefanti, ma anche simboli misteriosi e scene erotiche. L’oued è contornato da canyon di arenaria modellata dal vento, pareti rocciose ricoperte dalla sabbia, grotte, labirinti, torrioni, bizzarre formazioni fiabesche, cattedrali e guglie. Man mano che proseguiamo la sabbia color ocra lascia il posto a quella più rossa e la poca vegetazione è costituita da acacie, calotropis procea, anastatica hierochuntica, citrullus colocynthis e cespugli secchi, è un susseguirsi di soste per ammirare tanta bellezza, alcune pitture e graffiti sono ineguagliabili. All’ombra di una parete rocciosa consumiamo il pranzo, mentre Abdellah si rilassa, io e Marco, sotto un sole cocente, scaliamo una duna che si adagia su una parete rocciosa, arrivati in cima, il grande oued n’Djeran rivela tutta la sua naturale bellezza, lo si può benissimo immaginare milioni di anni fa con una fitta vegetazione e abbondanza di animali. Alcune formazioni di arenaria creano degli archi naturali di rara bellezza.

Proseguiamo lungo una diramazione fino ad arrivare nel magico anfiteatro di Moul Naga, le sue cattedrali di roccia proteggono le alte dune dalle forme sinuose, antiche falesie si ergono all’interno dell’anfiteatro come fossero statue, qualche acacia fa da contorno a questo scenario tra i più suggestivi del Tadrart.

Il tramonto rende ancora più intensi i colori della sabbia, è un tripudio di emozioni e colori, alla base di una duna mi appoggio sopra un sasso per cambiare l’obiettivo, poco dopo Marco curiosando alza la pietra, sotto c’è una piccola biscia color crema, lo spavento è inevitabile, ma subito dopo capiamo che non è pericolosa, ne avevamo intravista una nella guelta di Afilal e Abdellah ci disse che era innocua.

Anche questa serata si conclude davanti al fuoco contemplando le stelle, Abdellah ci indica la costellazione di Orione, punto di riferimento per ogni tuareg.

29/10/2008 Lo spettacolo si ripete ogni mattina, l’aurora da il cambio all’alba in un crescendo di colori, è sempre emozionante svegliarsi in luoghi così carichi di magia.

Ripartiamo lungo i canali dell’oued, la sabbia è di un rosso mattone, vediamo altri graffiti di elefanti e giraffe molto ben delineati, dietro ad una grande roccia un’estrosa rappresentazione erotica ci fa sorridere e pensare a quanto fosse già importante a quell’epoca la raffigurazione del sesso.

Facciamo scorta di acqua a Bouhdian, nella piccola guelta nascosta tra le rocce, qui vengono anche i dromedari ad abbeverarsi, ma questa ci servirà solo per lavare le stoviglie! La giornata prosegue tra soste incantevoli per ammirare paesaggi irreali, formazioni di arenaria contorte, archi, guglie, pinnacoli, tracce fossilizzate e le innumerevoli pitture che venivano realizzate con terre policrome mescolate a un “legante” costituito da albume d’uovo o caseina. Poco prima di arrivare alla grande duna di Tin Merzouga, c’è Iknassy, una roccia modellata dal vento a forma di riccio, un’opera che pare essere eseguita da uno scultore.

L’oued in Djeran si perde nel mare di sabbia di Tin Merzouga, lo scenario è degno del miglior regista, ci sentiamo letteralmente stregati, le imponenti dune abbracciano sensualmente le rocce nere e aspre in un connubio assolutamente unico. L’imponente duna è davanti a noi, la sabbia sembra zucchero colorato d’arancione, una lunga scalata ci separa dalla Libia, per Marco l’emozione è ancora maggiore, i ricordi dell’infanzia vissuta a Tripoli riemergono. Man mano che avanziamo sprofondiamo nella morbida duna, il cuore batte all’impazzata, il fiatone si fa sentire, la cresta sembra sempre più lontana, ma a piccoli passi e con il cuore in gola la conquistiamo, lo spettacolo è di ineguagliabile bellezza, davanti a noi a perdita d’occhio c’è l’Akakus libico, mentre alle nostre spalle il magnifico Tadrart algerino. Percepisco a pelle la forte emozione che sta vivendo Marco, chissà magari un giorno quando Gheddafi darà la possibilità a chi è nato in Libia di tornare potremo andare a Tripoli, visitare la città e andare anche nel deserto libico, Inshallah! Il tramonto è un tripudio di colori, il panorama si veste di tonalità ancora più calde e avvolgenti, Il rumore che emette il vento mi da la sensazione come se ci stesse parlando, rompo alcune creste per emettere il suo stesso suono, e l’incantesimo di Tin Merzouga ci avvolge in questa atmosfera ultraterrena.

Scendiamo la duna correndo come bambini, Abdellah ha già preparato il campo, stanotte dormiremo ai piedi della grande duna.

Consumiamo la cena davanti al fuoco, Abdellah racconta che in questi ultimi anni il deserto e l’Africa sono diventate rotte per il transito verso l’Europa di merci di ogni tipo, contrabbandieri a bordo di potenti pick up viaggiano lungo il deserto trasportando droga, alcool, sigarette e anche persone.

30/10/2008 Una magnifica alba apre questa nuova giornata, alcuni mola mola (passero del deserto) come ogni mattina vengono a darci il buon giorno, per i tuareg questi piccoli passerotti bianchi e neri sono dispensatori di felicità.

Dopo aver fatto colazione ripuliamo il campo, è molto importante non lasciare spazzatura nel deserto, purtroppo è facile trovare soprattutto nel Tadrart, lattine, vetro, plastica e anche copertoni, questi materiali rimarranno per sempre, non costa fatica portarsi dietro la propria spazzatura e lasciarla a fine circuito nella città di arrivo, qui non passano gli spazzini a ripulire, serve un minimo di buon senso!!! Lasciamo le incantevoli dune di Tin Merzouga, andiamo verso nord-ovest, poco distante ammiriamo un’altra opera modellata dal vento, la World cup, è la perfetta copia della famosa coppa dei mondiali di calcio, nei dintorni c’è un gruppo di dromedari selvatici, stanno pascolando, ci sono anche due piccoli, lentamente ci avviciniamo a loro, ma si allontanano impauriti. Proseguiamo fino alla grotta di El Circ, uno stretto labirinto di arenaria rossa modellato dal vento, all’uscita Marco scorge tra le fessure di una roccia una vipera cornuta del deserto, non siamo soli, è arrivata una coppia di turisti francesi con rispettive guide, uno di loro prende un bastone e inizia a infastidirla, è lunga circa 40 cm, si sente minacciata, si muove nervosamente, spalanca la bocca cercando di mordere il bastone ed emette il tipico verso dei serpenti “sssss” ho paura ma nello stesso tempo sono curiosa, scatto qualche foto poi lasciamo perdere questo gioco un po’ troppo pericoloso.

Proseguiamo lungo una diramazione dell’oued in Djeran, facciamo la sosta pranzo a In Zawatin, le dune arancioni in contrasto con il terreno fossilizzato di un antico lago fanno da sfondo al nostro pranzo. Come sempre nel momento che stiamo per andare via arriva una coppia di corvi, ci sorvolano in attesa della nostra partenza per poi poter mangiare i resti delle verdure che lasciamo, questo è l’unico rifiuto che non crea danno, anzi, è un contributo per molti animali .

Il pomeriggio prosegue tra le varie soste per ammirare graffiti e pitture rupestri, percorriamo l’oued a ritroso, raccogliamo un po’ di piante di anastatica hierochuntica o meglio conosciuta come la rosa di Gerico, è una piccola pianta secca che se viene messa a bagno nell’acqua come per incanto si apre, infatti, le rare volte che piove nel deserto, i suoi rametti si schiudono, i semi vengono trasportati dal vento e si rigenerano altre piante.

Prepariamo il campo per la notte vicino alla bellissima formazione rocciosa chiamata Cattedrale. Come da copione la serata termina davanti al fuoco sorseggiando tè e guardando le tante stelle cadenti, alcune di loro lasciano una scia molto più luminosa per poi esplodere come fuochi d’artificio, è pazzesco! 31/10/2008 01/11/2008 Ripercorriamo l’oued a ritroso, avvistiamo una comunità di simpatiche marmotte che al nostro passaggio scappano veloci, per quasi tutta la giornata ci accompagna il vento, soffia da ovest verso est, usciti dall’oued ci fermiamo per la notte nell’Adrar tin Enouar. Questa serata è animata dalla presenza di un piccolo topolino del deserto, è color crema con grandi occhioni neri e una lunga coda bianca, è attratto dalle bucce delle verdure e continua a gironzolare velocemente intorno a noi e alla jeep.

Proseguiamo verso nord-est paralleli alla strada asfaltata che porta a Djanet, visitiamo due pozzi, una grotta, poi all’improvviso un problema al radiatore ci costringe a fermarci.

Con i giusti collanti e un po’ di astuzia Abdellah ripara il buco che si era creato, riprendiamo la rotta costeggiando i meravigliosi Tassili n’Ajjer, all’interno dell’oued Amais facciamo sosta a un pozzo per fare acqua, c’è un gruppo di pastorelle tuareg con al seguito asinelli e capre, acquistiamo qualche amuleto d’argento, poi proseguiamo e ci fermiamo per pranzare all’ombra di una acacia.

Mentre sorseggiamo il tè vediamo in lontananza due pastorelle con il branco di asinelli che lentamente vengono nella nostra direzione, riconosciamo che sono le stesse incontrate al pozzo, le chiamiamo e con il branco al seguito ci raggiungono. Sono una donna e una bambina di circa 10 anni, si siedono con noi e gli offriamo tè e biscotti, vorrei chiedergli tante cose ma parlano solo il tamaschek, ci scrutiamo a vicenda facendoci grandi sorrisi.

Abdellah ci fa da tramite per conversare un po’ con loro, sono cugine e il loro campo è poco distante da qui, la donna guarda insistentemente Marco, come se fosse un dolce da poter mangiare da un momento all’altro.

Siamo colpiti dalle mani e dai piedi della donna, ha profonde spaccature callose e lamenta dolori alle gambe, le do una crema antibiotica sperando che possa esserle d’aiuto. Alla bambina regalo un piccolo fischietto, felice lo prova subito richiamando i suoi asinelli che nel frattempo si erano allontanati, la gioia di questa bambina per aver ricevuto un dono così particolare rimarrà indelebile nei nostri ricordi. Salutiamo le simpatiche amiche e proseguiamo la giornata lungo l’oued in un’alternarsi di paesaggi a tratti con acacie e altri con grandi sassi granitici.

02/11/2008 03/11/2008 Ci svegliamo con un leggero amaro in bocca, stanotte lasceremo la beatitudine del deserto, usciti dai sacchi a pelo allontaniamo questo triste pensiero con un’abbondante colazione.

Nei dintorni di Djanet visitiamo una suggestiva tomba preislamica composta da un tumulo centrale di pietre, due cerchi concentrici e un piccolo viale d’accesso, sempre nei dintorni c’è un piccolo elefante di roccia, è talmente perfetto da sembrare scolpito a mano.

Entriamo in mattinata a Djanet, visitiamo il piccolo museo situato all’interno dell’ufficio del Parco Nazionale dei Tassili (OPNT), qui si possono ammirare reperti che illustrano la storia e l’ambiente della regione. Nella periferia a nord di Djanet, si trova il mercato dei tuareg, giriamo tra le tante baracche di lamiera, dove attratta dai loro monili faccio qualche acquisto cercando di contrattare sul prezzo, a Djanet l’artigianato è veramente troppo caro! Dopo aver pranzato in un piccolo ristorante affollato, ci dirigiamo all’hotel Tadrart per fare una meritata doccia, tornati come nuovi ci sentiamo già pronti per affrontare altri 15 giorni di deserto, ma la realtà è ben diversa, a breve saremo nuovamente catapultati nel caos e nella frenesia che la nostra vita ci propina tutti i giorni! Nel pomeriggio lasciamo definitivamente Djanet, ci dirigiamo a nord, verso l’aeroporto, dove i meravigliosi faraglioni di Terarart nascondono il graffito più famoso della zona chiamato: “la Vache qui Pleure” ossia “la Vacca che Piange” l’immagine raffigura tre buoi dalle lunghe corna, si chiama così per via delle lacrime che scendono dai loro occhi, sono ritratti nell’ atto di abbeverarsi, i musi arrivano quasi a toccare terra, dove forse un giorno si trovava l’acqua, chissà per quale motivo lo sconosciuto artista ha voluto rappresentare i buoi in un atto triste.

Sostiamo nei dintorni del graffito, al calar del sole il cielo si infuoca regalandoci un tramonto indimenticabile. Come ultima sera Abdellah torna a farci la buonissima Taajeelah, lo ammiriamo nei suoi abili movimenti, mentre prepara e cucina il loro pane tradizionale, lo consumiamo con una chorba di verdure e carne, la deliziosa cenetta è disturbata dal continuo ronzio delle fameliche zanzare della zona, siamo nei pressi dell’oasi, qui le zanzare pullulano! Questa esperienza nel deserto ha superato ogni nostra aspettativa, abbiamo trascorso giorni immersi in un ambiente surreale dove il silenzio e la pace ci hanno trasmesso serenità e positività, è un’esperienza talmente straordinaria che definirei spirituale, siamo rimasti talmente affascinati che assieme a Abdellah progettiamo un itinerario per un futuro ritorno nel Sahara algerino, “Inshallah”! A mezzanotte chiudiamo l’avventura sahariana bruciando le scatole di cartone che sono servite come dispensa alimentare per tutto il viaggio, salutiamo il deserto davanti al falò illuminando a giorno l’area intorno a noi.

Lentamente raggiungiamo l’aeroporto, sbrigate le pratiche d’imbarco salutiamo Abdellah, compagno ideale per condividere un’esperienza così unica, la sua gentilezza, la premura e l’attenzione nel farci vedere e conoscere i misteri del deserto ha reso questo viaggio un’esperienza indimenticabile.

Un proverbio tuareg dice: “Dio ha creato terre con laghi e fiumi perché l’uomo possa viverci e il deserto affinché possa ritrovare la sua anima”.



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