Diario Cuba

Havana 24 Agosto 2008 Nel Barrio Chino tutto appare diroccato da imporre all’anima la sensazione di sentirsi ferita. Ferita per un sogno mancato. La libertà di un popolo negata eppure sbattuta in faccia come la propaganda di un regime ormai stanco. Fantoccio e moribondo, privo di inventiva e prospettive per il futuro, ma desideroso di...
Scritto da: Cle viaggia
diario cuba
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Havana 24 Agosto 2008 Nel Barrio Chino tutto appare diroccato da imporre all’anima la sensazione di sentirsi ferita. Ferita per un sogno mancato. La libertà di un popolo negata eppure sbattuta in faccia come la propaganda di un regime ormai stanco. Fantoccio e moribondo, privo di inventiva e prospettive per il futuro, ma desideroso di sopravvivere. Attaccato ad un alimentatore succhia vita da chi qui viene a cercare quello che ha sempre sognato e che semplicemente non esiste. Nell’era del tutto e subito, subito ti portano ad ascoltare la loro musica, scherzano, saltano, ridono a ritmo di rumba. Il caldo cocente smotta gli animi in un paesaggio da metamorfosi kafkiana ti ritrovi tra altri turisti nell’evento della domenica ad ascoltare un gruppo di percussionisti nella Calle Hallem. Eppure non partecipi, assisti. Assisti allo sfacelo di un popolo, sperando che resista, ma inconsapevole che il sogno è finito. E non da un po’. I bambini si tuffano lungo il Malecon, e come gli schizzi di quei tuffi ogni passo in queste vie sono un colpo che marca la consapevolezza che i miti sono fatti per credere, perché l’uomo ne ha bisogno, a volte per resistere, spesso per giustificare. Camminando lungo le sale del Museo della Rivoluzione le targhe e i ritagli dei giornali regalano rimandi ad un passato glorioso a giustificare un regime che di principi ne aveva, e anche buoni. I venti punti del programma di Fidel sono puntuali e concreti. I principi sono solidi. Istruzione e salute per tutti. Solidarietà per gli altri popoli in difficoltà. Lotta all’imperialismo. Ma come in ogni dinamica rivoluzionaria, alla fine segue un amplesso mancato e il popolo ne resta disatteso e deluso. Ma quanto più dà rammarico è la perseveranza a mantenere il sogno ormai consumato. E mantenerlo non solo per el pueblo, ormai tra l’altro consapevole di quanto non c’è più, ma per el mondo entero, per cui si continua a far vedere quello che non c’è più, o non c’è mai stato.

Se tutto si potesse fermare, come il tempo che qui a volte è sospeso su queste macchine, quante ancora ne rimarranno, e poi solo per noi, per continuare a farci credere al loro sogno, o anche per loro, perché in fondo ci credono davvero? E non raccontiamoci che stanno bene, semplicemente stanno, si fanno scorrere il tempo addosso. Arriva una donna gravita mentre camminiamo lungo le calle dissestate del barrio e con una naturalezza tale ci incomincia a spiegare che la domenica si tiene la festa della salsa, ci dice di seguirla, ci invita a bere qualcosa (naturalmente paghiamo noi), ci porta in una casa privata, ci offre dei sigari, li paghiamo un prezzo spropositato. Ci spiega che il governo le dà degli incentivi se accompagna i turisti. Quando passiamo nella zona souvenir del Museo troviamo gli stessi sigari alla metà del prezzo per cui ce li ha venduti. E’ la prima fregatura cubana. A cui ne seguiranno altre a distanza di poche ore, piccoli o grandi raggiri denotano, da un lato la nostra incapacità di discernere l’ospitalità dall’opportunità, dall’altra l’esigenza di questo popolo di profittare di chi viene da lontano e può permettersi ciò che loro non hanno. Eppure come ogni cosa, c’è il risvolto della medaglia. La cordialità della padrona della casa particular in cui alloggiamo ci regala momenti di ospitalità e assistenza propri del percorso stile “turismo responsabile”. Un modo per portare ricchezza direttamente a casa dei residenti, e allo stesso tempo sentirsi a casa, protetti e assistiti. Ti accolgono all’arrivo dall’aeroporto con un succo rinfrescante, ti aspettano al risveglio con una colazione abbondante, ti accompagnano in banca per il cambio dei soldi, ti invitano con loro per la gita domenicale a Playa de l’Este. Recliniamo l’invito perché ci attende una giornata piena di tappe turistiche tra il barrio e il centre dell’Havana. “Non hai dentro il Sud”, è questo il commento che faccio al mio compagno di viaggio quando ride meravigliato perché l’ordinazione di una rosticceria te la passano da un paniere calato dall’ultimo piano di un palazzo lungo la strada. Nei vecchi paesini del sud Italia, in uno dei quali viveva mia nonna, l’uso del paniere come strumenti di interazione con i venditori ambulanti è ancora una modalità in corso. Che dire, se il sud è questo lo continuo a cercare. “Scarrupato”, diroccato, sporco, truffaldino, stanco, assonnato, ma sempre animato. E mi ci arrotolo dentro. Come un gatto gli faccio le fusa, un po’ infedele e schiva ma in fondo innamorata, perché c’è sempre qualcosa che mi stupisce, mi cattura e mi regala qualcosa di cui poi non ne posso fare più a meno.

25 Agosto Se tu sapessi la storia che c’è dietro queste rughe della vecchia città. Se tu sapessi quanta è stanca questa terra di pensare a quello che non si può più permettere. Allora capiresti. Capiresti i luoghi della memoria, l’enfasi posta ad ogni passo lungo i passi della storia. Dall’assalto alla liberazione. Dai miti passati e stanchi l’eco degli ideali che infondo come fai a non condividere? Come fai a non sentire? Ma non sai quello che c’è, non conosci i “barbudos”, “Granma”, “Radio Rebelde”, il Movimento 26 de Julio, il senso della parola “revoluzion” . E allora non puoi sentire la forza evocatrice, la potenza della memoria infranta. Brulicante di vita Sta Lungo la curva del sogno E dal balcone rivedo Te lontano Uomo solo e affranto E il vociare delle donne Del balcone di fronte Guardare giù in compagnia D’un cane Lungo la strada Fischi di bambini E lontano una partita Questo è il tempo dell’Havana vieia o chino Sta ed è passata 5 Settembre Eccoci giunti nel lembo di terra più orientale di Cuba. La regione di Baracoa, la città più antica, che per prima si oppose alla dominazione spagnola, e il cui indios tainì appare con tutta la sua fierezza nella piazza principale di questa piccola cittadina. Qui il Malecon, a differenza di quello dell’Havana è certamente meno conosciuto, forse un po’ più diroccato, meno affollato e più percosso dalle onde, come quelle di questi giorni passati che oltre tre metri hanno invaso le stradine adiacenti al lungo mare, regalando relitti e basura di ogni genere. Baracoa, ultima tappa lontana, la più estrema, per poi ritornare a ritroso, lungo la spina dorsale di questo paese pieno di contraddizioni. Da qui ripenso alle visite ai maggiori musei nazionali di Santiago e dell’Havana dedicati alla storia di questo paese, quella patriottica, rivoluzionaria, ribelle, che insieme ai manifesti, alle effige e a tutte le scritte sui muri sparsi dovunque mi restano in mente come foto scattate. Strano paese, fatto di miti passati su cui regge. I rivoluzionari, i principali protagonisti della loro gloria, dai pensatori ispiratori, Josè Martin, agli attivisti, prima della guerra di indipendenza contro gli spagnoli invasori e poi della guerra contro il regime batista e da sempre contro l’imperialismo nord americano. Eppure, se di gloria si tratta e ci trovo a tratti delle analogie rispetto alla storia patriottica italiana, e ci sta il fatto che vengano commemorati, ricordati, esaltati, coloro che hanno “liberato” il paese prima dagli invasori e poi dai malfattori dittatori, quello che non mi quadra è quello che è successo. Dove sono finiti? Le conseguenze dipendono dall’embargo e dalla doppia economia inserita dal 93 o l’ingranaggio non funziona dall’inizio? Leggendo i manifesti rivoluzionari, o le scritte in sostegno all’attuale regime si evince il senso forte di scommessa teso alla volontà di “cambiare” le cose. Rivoluzione è il momento storico, “cambiare le cose che devono essere cambiate”. Fidel condannava lo stato di povertà e la basura in cui versava il popolo sotto il regime batista, le crudeltà inferte ai dissidenti, rivendicava la volontà di imporsi per cambiare, lo fece, la prima volta andò male, la seconda riuscì. Ancorati al 26 Julio del 59 che compare dovunque, tutt’ora, addirittura nel mercato delle verdure nelle bancarelle che vendono le cipolle. Ma la sensazione è che il tempo si sia fermato a quel “momento storico”. Come i patrioti, i rivoluzionari si opposero con tutti i mezzi per cambiare, per stravolgere un sistema di potere, usando anche mezzi illegali: la violenza. E’ questo che fa la rivoluzione. Ma quello che non mi capacito è che camminando per queste cittè cubane respiro il fanatismo che esalta la gente per quello che sembra essere diventato ciò che si voleva combattere, e si è abbattuto con il sangue di tanti giovani. Un regime. Ma il pensiero non è lineare, se da una parte sento il malcontento di gran parte della popolazione per quello che non hanno, per l’inflazione, e la sensazione che noi stranieri turisti siamo l’unico contatto con l’esterno, dall’altro mi domando, perché non hanno condotto alla democrazia dopo la rivoluzione? Come è possibile che ci sia tanta cecità? Canta che ti passa? E’ per questo che abbondano le Case de la Trova? Il desiderio di cantare di amore e morte in un paese in cui in nome della patria molti rischiano di morire di fame? E che fine ha fatto Fidel? Di sicuro rivive negli spiriti di molti cubani, lo trovi dovunque sui muri, la propaganda inneggia alla fedeltà, alla patria, al patto con Fidel e Raul: “ Luchar e Trabajar”. E se non ci fosse più? Se fosse tutto una grande finzione? Quanti cubani ne sarebbero contenti, ormai stufi di tirare avanti? L’emergere di un rinnovato sistema di caste dopo l’introduzione della doppia moneta ha creato una parte di popolazione che per lo più commercia con i turisti che sta relativamente bene, e il resto, dai tassisti ai contadini, che sopravvive, campicchiando con 300 monete nazionali al mese, e a far di tutto per andarsene, cercando di rimpinzare i guadagni soprattutto attraverso gli stranieri. Questa visione parziale che ho per essere una turista cela comunque una condivisione con alcuni dei cubani con cui abbiamo parlato: “davvero non basta, non possiamo viaggiare all’estero senza permesso, non possiamo usare internet, e la posta elettronica sono su richiesta, e l’elenco potrebbe continuare, quello di adesso è peggio del fratello, viviamo nel nostro paese ma non siamo liberi”. E che fine ha fatto Che Guevara? Non solo l’idea di un uomo nuovo di cui parlava. Ma lui stesso? Ho notato che nella maggior parte dei musei commemorativi delle gesta eroiche rivoluzionarie, se da una parte si esaltano le sue doti sia intellettuali che pratiche dalla fase di programmazione, l’azione rivoluzionaria e la svolta, poi il comandante scompare nel nulla. Solo nel museo della rivoluzione dell’Havana si allude a qualche sua campagna umanitaria, ma nessuno specifica che fine ha fatto Che. Ma poi è morto davvero? O lo hanno fatto fuori perché era diventato scomodo? Voleva portare a termine sia nel paese liberato sia nell’America Latina e in Africa un programma socialista, senza però perdere mai di vista il senso dell’azione rivoluzionaria: eliminazione di miseria e basura.

Camminando per le strade dell’Havana, di fronte all’Hotel Ambo Mundi, dove era solito alloggiare Heminghway, vedo un vecchio con un basco nero e la stella rossa, una folta barba bianca. Mi sorride, mi invita a sedere vicino a lui. Lo guardo, lo fisso. Quest’uomo lo conosco, ma non sarà mica???? Poi vedo la sua immagine impressa nel bel mezzo della copertina della guida turistica. Chissà la manciata di pesos che devono avergli dato per la pubblicità. E’ ancora per strada, per cui non devono essere stati poi tanti. Ma del resto siamo in un paese socialista, e tutto è a favore del governo rivoluzionario, si intende. Altra contraddizione.

7 Settembre Bloccati dall’ennesimo uragano di questa intensa stagione di turbolenze. Dopo Fay, Gustav, Hanna, ecco Ike. Così, seppur per la regione di Santiago non c’è gran pericolo, non possiamo proseguire per Trinidad perché sono stati bloccati tutti i trasporti a causa del pericolo sulle principali vie di collegamento. A quanto pare potremmo ripartire domani sera, ma resta ancora la situazione di allerta. Forse magnana, chissà? Come incide sullo stato d’animo dei cubani? Sul loro modo di affrontare le cose? Se per sei mesi l’anno sono costantemente in allerta per l’arrivo dell’ennesimo uragano. La capacità di accettare gli eventi, di aspettare quello che passa e che non può essere cambiato. E’ la naturalezza! E allora serve attenzione a la vida umana, prudenzia e solidarietà. Si sta in casa, si aspettano gli aggiornamenti per il telegiornale e il passaggio della pioggia e del vento. Non ansia, non agitazione, né rabbia. Sia nell’attesa, che nel dopo. Quanto mi ha stupito la reazione dei cubani della regione devastata dall’uragano Gustav in Pina del Rio. Inneggiavano alla ricostruzione e alla solidarietà, con una viva Raul e la revoluzion, che ci sta sempre bene. Massimo rispetto verso le forze dell’ordine, giunte in loco, attività per ricostruire e pazienza, tanta pazienza. E come se ci sono cose che possono essere cambiate e cose che non lo possono essere. La natura passa, il ciclone arriva e bisogna aspettare che passi. Ma quando arriva “ el momento historico?” di cambiare le cose che possono essere cambiate? Chi sas, chi sas, chi sas. VIVA LA SUERTE! Certo non c’è soddisfazione tra i giovani, che vivono le privazioni materiali come una mancanza di libertà, e sorseggiando l’ennesima birra offertagli a singhiozzo ti fan capire la limitatezza economica in cui vivono…E il resto lo lasciano sottintendere, se sei in un luogo pubblico. L’attesa delle cose che passano, aspettando il momento giocando a domino, una semplice strategia di accostamento, e non mosse combinate o azzardate La semplicità di un popolo che aspetta.



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