Turiste per Caso a Cuba

Syusy e Zoe ci raccontano il nuovo (e il vecchio) dell’isola della Revolución, prima che cambi del tutto!
Syusy Blady, 28 Ott 2015
turiste per caso a cuba
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Sono a L’Avana per il primo maggio. Ho voluto esserci, a costo di perdere l’inaugurazione dell’Expo in Italia. È capitato così, e ne sono felice. Siamo arrivati in tre: io, Zoe e Ivan, il cameraman. Facciamo un bel gruppetto e ci chiamano “quei tre”: siamo la formazione ideale, molto ristretta, di una troupe televisiva. Non potevamo perdere l’occasione che ci è stata offerta da Mintour, e partecipare all’evento annuale di FITCuba (una sorta di BIT caraibica) con Press Tour, che lavora a Cuba da 30 anni e rappresenta quindi uno spaccato “storico” della situazione del turismo sull’isola. Poi c’è naturalmente Zoe, più convinta che mai nel fare questo viaggio, in veste di organizzatrice, traduttrice e secondo cameraman. Cuba è un destino iscritto nel suo DNA, dato che c’era stata già nel 1994, quando era ancora nella mia pancia: ero incinta di sei mesi quando venni la prima volta con Patrizio e una semplice telecamerina, per fare le riprese di quella che fu la nostra seconda puntata di Turistipercaso, dopo l’India. Siamo stati qui circa venti giorni, proprio quando iniziava il cosiddetto Periodo Especial, aiutati dal nostro amico Ginestri (amante dell’isola da sempre). Poi Zoe è tornata a sette anni, nel 2002, quando facemmo il giro del mondo con Adriatica, la barca di Velistipercaso, mentre a Cuba iniziava un nuovo periodo, con le prime “case particular” e l’apertura verso il turismo. Sull’Isola della Gioventù ha imparato ad andare sott’acqua, con le lezioni di una maestra eccezionale: Deborah Andollo, primatista mondiale d’apnea.

Ora siamo di nuovo qui, dopo che Raul Castro ha abbracciato il presidente degli Stati Uniti. Tra qualche mese il Papa farà visita a L’Avana e le cose si evolvono rapidamente verso un’apertura incredibile. La Chiesa ha fatto da ponte anche con il rapporto con l’America, e questa venuta a Cuba di un Papa (insolito) come Francesco promette bene. Una vera rivoluzione nella rivoluzione, se si pensa ai rapporti internazionali, e quelli con la religione in generale, del Paese fino a poco tempo fa. Zoe rappresenta quindi, almeno per noi, io e Patrizio, i suoi genitori, il filo conduttore del nostro rapporto con Cuba, e di come cambia nel tempo un’isola ribelle, dove “no se rende nadie” (non si arrende nessuno), come disse Fidel, uno slogan che ancora oggi si legge sui cartelli per strada.

PRIMO MAGGIO CUBANO

Insomma, non è un caso se sono a L’Avana per il primo maggio 2015, in Plaza de la Revolución: che cosa strana! Andremo a fare riprese. Alle 4 di mattina, quando è ancora buio, si sentono per strada camion e altri mezzi che arrivano da chissà dove. Penso alla difficoltà di spostarsi dalle campagne fino in città: questa gente non ha dormito la notte. E si vede che qui sono abituati a organizzare una manifestazione popolare: è tutto ordinato, e anche noi, come giornalisti, dobbiamo solo prendere il tesserino e passare al controllo di telecamere e fotocamere. Ci sistemano su un palco, da dove osserviamo la piazza. C’è il grande Monumento a José Martí e un palco, dal quale si affacceranno i politici, i militari, le autorità, e quest’anno anche i cosiddetti “cinque eroi di Miami” (agenti dell’intelligence cubano liberati dagli USA). Di fronte a noi, dove sfilerà il corteo, c’è una banda musicale formata da numerosi elementi, e rafforzata da un folto gruppo di figuranti, capaci di voltare all’unisono delle bandierine colorate, per formare varie figure. Un grande schermo proietta le immagini della manifestazione, in attesa del via. Io e Zoe siamo perplesse: il tutto, finora, ha un aspetto un po’ “sovietico”. Ma aspettiamo l’inizio. Prima parla un rappresentante del governo e poi comincia la parata: sfilano i medici, gli studenti e i contadini.

LE COOPERATIVE

Adesso passano le imprese cooperative. Un esperto italiano mi ha detto che l’economia è pur sempre economia: ocapitalistica, e allora rende ma non ridistribuisce, oppure collettivistica, che distribuisce, ma solo il poco che produce, e non rende. Quindi, che fare? La soluzione, in Europa e soprattutto in Italia, l’abbiamo sperimentata da tempo: la cooperativa, che produce e distribuisce. Sembra che qui la cosa abbia preso piede, com’era logico, e nel giro di pochi anni sono aumentate in vari settori. Comincia a piovere e molti operatori rinunciano alle riprese. Oltre ai cartelli, spuntano ombrelli colorati, ma nessuno si spaventa per un po’ d’acqua, che qui è vista come una benedizione. Notiamo delegazioni di Paesi latinoamericani, ma anche gruppi e altre rappresentanze non ufficiali: persone con in mano la bandiera inglese e canadese, una della Siria, alcuni turchi e un gruppo di americane che sfilano tutte vestite di rosa. “Chi siete?”, chiedo. Si dichiarano pacifiste femministe ecologiste: hanno l’aria da hippie, e tra di loro ci sono uomini e molte ragazze, giovani e carine. Mi dicono che è ancora difficile per uno statunitense venire a Cuba: o si passa per il Canada, o si paga una multa di quasi mille euro se ti trovano col visto cubano, anche se oggi, arrivando in gruppo con uno scopo preciso, forse te la cavi.

IL NUOVO TURISMO

Il cambiamento è imminente. Ed è quello che sperano i cubani che operano nel settore. Perché chi lavora col turismo guadagna i cuc, il peso cubano convertibile che ha sostituito il dollaro nell’economia cubana, con cui si acquistano tutti i beni di consumo che vale la pena di comprare. Insomma, chi lavora nel turismo probabilmente si arricchirà, e questo è un fatto. Cuba sarà diversa, perché ci saranno (e ci sono già) quelli che potranno spendere in cuc e altri che non potranno farlo. E intanto, qui in piazza continua a sfilare il popolo cubano: allegro, spiritoso, divertente, entusiasta. Da solenne, la musica è diventata allegra: ormai è un carnevale! La gente regge cartelli con frasi inneggianti anche all’agricoltura organica: ne leggo uno con scritto “Rivoluzione è difesa dei valori”. È proprio vero! Ma non solo a Cuba. “Che strano”, dice Zoe, “qui è normale e istituzionalizzata una manifestazione per cui in Italia, di solito, ti mandano dietro la polizia!”. Ma come cambia, e come cambierà Cuba con il turismo? È la domanda che mi ha spinto a tornarci per la terza volta. La stessa che ha invogliato i turisti italiani che ho ritrovato sull’isola ad andarci: “Prima che cambi, prima che arrivino i McDonald’s”.

SÌ, MA COME CAMBIA?

I cubani diventeranno come tutti gli altri popoli, intenti a fare soldi con il turismo? Questo li priverà di una parte della loro proverbiale dignità? Sarà intaccata la loro identità, preservata da sempre da un sentimento di appartenenza a una nazione che fin dai tempi dell’indio Hatuey, passando per José Martì e Castro, li ha portati a combattere per l’indipendenza? In poche parole, c’è il rischio di tornare a Batista? L’apertura al mercato e agli investimenti (turistici e non solo) farà di Cuba il solito posto di “ginetere” (ragazze disponibili) e della vendita sfrenata, pur di ottenere i prodotti così ambiti dalle società di consumo? Io credo di no. Anni di discorsi di Fidel, e di battaglie contro la più grande nazione capitalistica del mondo, hanno fatto dei cubani un popolo vero, molto istruito e per buona parte orgoglioso. Si può dire che l’orgoglio di quel poco che hanno e del lavoro sia la caratteristica cubana. Come potrà mai questa gente prestarsi al servizio del turista, fare il mestiere più complicato del mondo: servire e sorridere? Prendersi cura di un tipo – il turista “generalista”, appunto – che arriva con esigenze occidental-borghesi e vuol essere servito secondo gli standard internazionali? Uno che è spesso immusonito e stanco (per non dire arrogante), visto che ha lavorato nel suo Paese per pagarsi questi pochi giorni di paradiso tropicale, e si aspetta alla lettera quello che dicono i depliant?

LE STRATEGIE

Io, che francamente ne ho visti molti che vivono di turismo, ho la tentazione di ipotizzare quali potrebbero essere le strategie per sopravvivere a questo mestiere. E se mi concedete bonariamente questa licenza, provo a elencarle. 1) Turismo “alla catena”. Praticare cioè un turismo “industriale”, di massa. Fare come in tutto il mondo vacanziero: un’organizzazione centralizzata (spesso multinazionale), fatta di catene alberghiere con operai e impiegati pagati (possibilmente poco) che devono adempiere a delle mansioni prestabilite, e lo fanno con un falso sorriso e un atteggiamento svogliato. Piatto tipico: spaghetti alla bolognese, che non esiste, però tanto caro alla cucina internazionale. 2). Turismo “alla romagnola”. Diffuso, artigianale, familiare. Pensare che sia meglio questo che andare nei campi: coltivare il turista o il villeggiante è meglio che coltivare le zucchine o la canna da zucchero. Fino a qualche anno fa i romagnoli avevano certo un vantaggio sui cubani: potevano pensare di fare un lavoro stagionale, di alcuni mesi, per poi andarsene, coi soldi guadagnati, a fare i turisti da qualche altra parte, e continuare l’estate al caldo. Ma adesso, con la crisi, pure il romagnolo ha poco da scialare: anche per noi è iniziato una sorta di Periodo Especial. Piatto tipico: piadina. 3) Turismo alla “Relais-Resort”. D’élite, di nicchia. Fare come alcuni albergatori e ristoratori italiani o francesi, che ti presentano un vino con molta prosopopea, tanto da farti sentire quasi in colpa per non conoscerne le proprietà, o che allestiscono opere d’arte (vere o finte) in camera, che quasi t’intimidiscono. Quelli che ti servono un cibo così buono, da farti sentire onorato di essere presente. Che ti ospitano in un luogo d’arte e storia, e ti fanno sentire onorato di poterci entrare. Piatto tipico: tortino di mais al brasato di kobe massaggiato al barolo in salsa di noci della Val Brembana. A quali di questi modelli potranno riferirsi i cubani? Gli auguro di schivare il primo (tra l’altro, la proprietà o comproprietà degli alberghi per ora resta dello Stato). E non credo possano sostenere il terzo…

RICETTA SOSTENIBILE

Mi sono divertita a pensare una ricetta accettabile per i cubani, che non li cambi, ma che possa far guadagnare loro il necessario, da quella che è la prima risorsa economica per l’isola (come per noi italiani, del resto): il turismo. Anzitutto, balza all’occhio una certa somiglianza fra cubani e romagnoli, se mi concedete di utilizzare a piene mani alcuni stereotipi (che hanno però una loro legittimità). Entrambi sono ospitali, comunicativi, intraprendenti, si basano sulle relazioni umane e sono orgogliosi della loro identità “nazionale”. Provate voi a scambiare un romagnolo per un emiliano, o addirittura per un marchigiano! Il romagnolo, poi, ama essere intraprendente: è libero di prendere iniziative anche in modo familiare, in proprio. Come sta avvenendo qui a Cuba per le case particular o le mesetas, che stanno creando una classe di benestanti. I primi ristoranti in mezzo alla campagna, ricavati in aziende agricole riconvertite a piadinerie, io li ho visti in Romagna. E anche a Cuba potrebbe svilupparsi un circuito legato all’agriturismo, ben legato con la tradizione agricola, sfruttando l’impulso dell’agricoltura bio-sostenibile. E già ce ne sono di cooperative o di aziende bio e che usano tecnologie sostenibili. I cubani sembrano sensibili anche alla protezione del paesaggio, con quel tanto di “old”: a parte le auto anni 50, per strada si notano già carretti trainati da cavalli, molto scenografici, oltre che sostenibili.

SLOW-TUTTO

I cubani sono tranquilli. Non bisogna avere fretta? Meglio! Perché qui è tutto slow: fatelo vivere anche al turista come una conquista. Non a caso, da noi va forte lo slow food, lo slow tour, etc. No al virtuale. Qui non c’è Internet e il Wireless. Questo, lo confesso, può essere un guaio: trovare un posto dal quale inviare foto e articoli è abbastanza difficile. Negli hotel il collegamento c’è, ma costa caro, anche 12 cuc per due ore: che per collegarti-aspettare-riprovare è veramente molto. Ma facciamolo diventare un pregio. Perché troppo Internet nuoce ai neuroni! In vacanza bisogna liberarsi da questa schiavitù e disintossicarsi. Forse alcuni di questi slogan e di queste provocazioni potrebbero anche funzionare, ma prendeteli come consigli appassionati di una Turistapercaso, per maneggiare il turismo senza scottarsi le dita. Sono soprattutto i consigli di un’italiana che ha visto il suo Paese sperperare molte delle sue bellezze, in nome anche di uno sviluppo turistico discutibile. Accidenti, lo spazio è finito, e finora mi sono limitata a una sorta di introduzione: non ho ancora iniziato a raccontarvi il viaggio vero e proprio! Ma per Cuba serviva un’introduzione. Perché non è, e non può essere, una meta “normale”.Comunque la si pensi, è un posto speciale per chiunque, carico di significati che vanno al di là del colore del suo mare. Ma siamo pur sempre Turisti per Caso, e qui a Cuba ci aspetta un viaggio alla scoperta delle zone dell’isola che ancora non conosco. L’Avana vecchia e quella “giovane” (ovvero, scoprire cosa fanno e pensano i giovani universitari cubani). Poi la parte Est: la regione di Pinar del Río, da Viñales a Cayo Levisa coi suoi rari lamantini, la parte a Sud, con la Baia dei Porci e i dintorni di Cienfuegos, la bellissima Trinidad e poi il paradiso preparato per i turisti internazionali a Cayo Coco, e quindi Camaguey e Santiago. Nel prossimo articolo ve ne parleremo, giuro! Io e anche Zoe.

Syusy