Angeli cinesi

Breve premessa Quello che mi accingo a scrivere, è il racconto di un viaggio un po’ atipico; atipico non nell’itinerario, ma nelle modalità di svolgimento e nelle circostanze. Non è una sorta di diario che descrive necessariamente in maniera cronologica lo svolgersi del viaggio, anche se una certa cronologia è presente, non vi sono...
Scritto da: Alessio Sebastio
angeli cinesi
Partenza il: 26/07/2005
Ritorno il: 08/08/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Breve premessa Quello che mi accingo a scrivere, è il racconto di un viaggio un po’ atipico; atipico non nell’itinerario, ma nelle modalità di svolgimento e nelle circostanze. Non è una sorta di diario che descrive necessariamente in maniera cronologica lo svolgersi del viaggio, anche se una certa cronologia è presente, non vi sono informazioni utili su alloggi e ristoranti, ma è principalmente un racconto che da rilievo ad una serie di considerazioni su quindici giorni vissuti in Cina tra e, soprattutto, con i cinesi, alla maniera dei cinesi. Andiamo, però, per ordine.

Una dozzina di anni fa, mia moglie Maria Clara ed io, Alessio, conoscemmo una simpatica e straordinaria donna cinese, Anling, che per motivi di studio e lavoro, soggiornò per circa due anni a Roma, ove tuttora viviamo. Dopo questo primo lungo soggiorno, da parte di Anling, ve ne furono altri più brevi che si ripetettero periodicamente negli anni a venire; in ognuno di questi successivi soggiorni, mantenevamo ed incrementavamo reciprocamente i contatti, fino a creare le basi di una solida e sincera amicizia. Più di una volta Anling ci invitò a trascorrere un periodo di vacanze in Cina a casa sua ed in giro per questo sterminato paese con lei, più di una volta le promettemmo sinceramente e minacciammo di realizzare questo viaggio. Poi, si sa com’è, tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare e così, di volta in volta, il viaggio veniva rinviato ad un momento successivo, fino ad un giorno dello scorso mese di maggio, allorquando Maria Clara, mentre proggettavamo le, allora prossime, vacanze pronunciò improvvisamente e testualmente: “e se andassimo in Cina da Anling”?… Brevissimo attimo di sorpresa da parte mia, che, evidentemente accettando senza condizioni la sua idea, poi dissi di rimando: “dobbiamo incominciare a cercare i biglietti”. Rapida consultazione di Anling via mail che rispose con manifesto entusiasmo all’apprendere il nostro progetto e dandoci la sua più assoluta disponibilità per ospitarci. Il viaggio: Eccoci dunque giunti al 26 luglio 2005, il giorno della partenza; dopo un breve trasferimento da Roma a Parigi nel grande ma, a mio avviso, esageratamente scomodo ed irrazionale aeroporto Charles De Gaul, eccoci dunque sul volo AF 126 con destinazione Pechino. Viaggio abbastanza confortevole, cibo buono, per quel che quest’aggettivo può rappresentare per il cibo d’aereo, aereo decisamente ben messo e nuovo; poco dopo la metà del viaggio abbiamo sofferto un paio d’ore abbondanti di notevole turbolenza, in particolare dopo aver attraversato gli urali e quindi sulla Siberia. Per la prima volta in vita mia, ho potuto ascoltare il sibilo, o meglio, l’urlo del vento tempestoso contro la fusoliera e le ali dell’aereo; è una sensazione allo stesso tempo terrificante ed affascinante, che ti fa riflettere su cosa può essere la Siberia d’inverno se d’estate è così… Ad ogni modo, in perfetto orario, 10.30 locali del mattino del 27 luglio, tocchiamo la leggendaria terra di Cina.

Scesi dall’aereo, facciamo la fila per ottenere l’annullamento del visto; ci accodiamo, seguendo una delle ultime scritte inglesi e comunque per noi comprensibili chevedremo, nella fila per gli stranieri… stranieri? Ma qui sembrano tutti cinesi! Infatti la fila è composta quasi interamente da orientali; gli occidentali sono abbastanza pochi. Ci colpisce le narici un pungente ed appestante odore di aglio vivo, che trasuda quasi dalla pelle delle persone, ma, che nei giorni a venire, non avvertiremo più con quella intensità… meno male! Ritirati poi i bagagli, ci incamminiamo verso l’uscita ove riabbracciamo Anling che ci aspettava. Come prima ho scritto, con Anling siamo amici di vecchia data e lei ha anche vissuto qualche anno in Italia e quindi, sa bene che per noi l’abbracciare ed il baciare una persona cara dopo diverso tempo che non la si vede, è quanto di più normale e spontaneo ci sia. Lei lo sa, ma per i cinesi non è così; abbiamo avuto modo di vedere, ed Anling ce lo ha confermato, che le persone normalmente riducono al minimo i contatti fisici, anche tra membri della stessa famiglia; praticamente non si toccano l’un l’altro. Se invece le persone in questione sono estranee e non si conoscono, praticamente si ignorano; più di una volta abbiamo visto persone che tra loro non si conoscevano, entrare in un’ascensore o altro spazio angusto insieme, ed ignorarsi completamente, a livello di non dirsi neanche buon giorno o accennare minimamente un saluto; praticamente gli estranei sono come fantasmi. Naturalmente ciò non può essere esteso in generale a tutta la Cina, poiché, la sua estensione enorme e l’altrettanto grande numero di etnie ivi residenti, danno luogo a comportamenti e costumi differenti a seconda della regione o zona. Yixian: Anling, come ho detto, mostrò molto entusiasmo quando le comunicammo l’intenzione di fare un viaggio in Cina; lei stessa ci disse che il periodo che noi avevamo scelto per il viaggio le andava benissimo, ma tutto ciò non significava affatto che lei fosse in vacanza; infatti, a meno che non si sia studenti in Cina i mesi estivi non differiscono affatto dagli altri, così come il sabato e la domenica, a meno che non si sia impiegati statali, non sono assolutamente diversi dagli altri giorni, si lavora… Tutto ciò per tacere del fatto che Anling ha un lavoro di grande responsabilità, essendo docente e vice preside della facoltà di giurisprudenza e scienze politiche, presso l’università della Cina, di Pechino; oltre a ciò è docente in altre due università, quella di Xi An e quella di Kunming. Tutto ciò stava a significare che volentieri avrebbe trascorso del tempo con noi, ma anche che avrebbe dovuto lavorare, e lavorare sodo, come ci saremmo accorti nei giorni a venire. Dunque, come fare nelle ore e nei giorni in cui lei non poteva essere con noi? Bisogna considerare che in Cina se non si ha una minima cognizione della lingua cinese parlata e scritta, esattamente il nostro caso, si è praticamente isolati da tutto e da tutti; l’inglese parlato è un’assoluta rarità, solo i giovani studenti cominciano a parlarlo e non sto a dirvi con quale orrrida ed incomprensibile pronuncia; l’inglese scritto, nel senso di indicazioni viarie, commerciali ed informative in genere, è presente in minima parte, negli aeroporti e basta. Solo oggi cominciano ad adeguare la segnaletica stradale, della grande viabilità, a quella internazionale. La patente di un paese occidentale lì non vale nulla, è perfettamente inutile. Anling, da donna brillante quale è, risolve il problema affidandoci ad una specie di due angeli custodi, due studentesse universitarie, che si prendono l’incarico di guidarci, farci da interpreti e, in modo quasi imbarazzante, assecondare ogni nostro desiderio possibile e cercare di assecondare quelli impossibili. Uno di questi due angeli, risponde al nome di Yixian; Yixian è una ragazza di ventiquattro anni, ma risponde ai parametri antropometrici di un’occidentale di forse quindici anni, dai capelli lunghi e lisci, tipicamente portati dalle donne cinesi, di una magrezza da noi inconsueta; circa 1.55 cm. Di altezza per 45/47 Kg di peso. È venuta con Anling a prenderci all’aeroporto; parla un inglese discretamente comprensibile ed abbozza anche qualche frase in italiano, lingua che ha cominciato a studiare a giugno 2005, con lo scopo di venire in Italia per perfezionare i suoi studi giuridici. È simpatica Yixian, parla, parla fin dal primo momento e cerca di farlo in italiano, ma quando non ci arriva, e ciò all’inizio avveniva appena dopo qualche parola, passa all’inglese con naturalezza e spontaneità. Da subito si dimostra loquace e rivela un carattere in apparenzsa quasi latino, più aperto, più curioso, una faccia tosta, nel senso buono, non comune tra i cinesi. Dice che una volta in Italia, vuole farsi chiamare Teresa; io le dico che Teresa non è un nome di origine italiana, anche se è usato in Italia, e che il suo nome è bellissimo, (a proposito si pronuncia quasi Iscien, è impossibile riportare in italiano la reale e corretta pronuncia, accentando la prima I) e che sarebbe un peccato farsi chiamare in modo diverso. Al momento in cui scrivo, Yixian è arrivata da qualche giorno in Italia per rimanervi tre anni filati, senza mai rientrare in Cina… la determinazione e la predisposizione al sacrificio per ottenere ciò che si desidera, è quello che mi colpisce in tutto ciò; andare a vivere per un periodo così lungo in un paese completamente sconosciuto, senza mai aver viaggiato, se si eccettua il viaggio che Yixian farà con noi come si potrà leggere più avanti, neanche in Cina, la consapevolezza di lasciare per un tempo considerevole affetti, usanze, tradizioni ed abitudini, la coscienza di essere soli così lontani da casa e di poter contare solo su sé stessa, sono deterrenti ed ostacoli psicologici non facili da superare; e pure, Yixian, data forse anche la giovane età, ha parlato sempre con estrema naturalezza e con entusiasmo di questo suo progetto. Va detto che questa determinazione e predisposizione al sacrificio, o sottomissione al fato, nei confronti dei più disparati obbiettivi, è qualche cosa che in Cina, per i più svariati motivi, si incontra spesso; la testardagine è comune, la voglia di realizzare i propri sogni, per quei pochi che se li possono permettere, è straripante.

Eccoci a casa di Anling.

Dopo circa tre quarti d’ora di strada dall’aeroporto di Pechino, eccoci giunti a casa di Anling; sono stati chilometri di strade larghissime, anche in piena città strade dalle otto alle dodici corsie sono comuni, chilometri punteggiati da grattacieli finiti o in costruzione, scanditi da innumerevoli grù ed operai, chilometri di traffico sempre più intenso di autovetture, anche se le biciclette ancora sono usate, tanto è vero che la corsia più esterna di ogni strada è adibita a pista ciclabile ed è rispettatissima dagli automobilisti. La casa di Anling è situata in un condominio con un ampio parco curato e recintato, con all’interno vari palazzi che s’innalzano di quindici piani, ad una quarantina di minuti dalla città proibita, il centro di Pechino. All’ingresso del condominio vi è tanto di gendarme che prende appunti su ognuno che arriva e se non si è accompagnati da una persona ivi residente o se non si possiede un permesso esplicito per entrare o se non si è attesi da nessuno, c’è poco dafare, si rimane fuori! La cosa veramente angosciante è che questo rito di controllo si perpetua per tutte le volte che si rientra, anche se incontri un gendarme che già ti ha visto più di una volta… quando si dice metodo, disciplina e rigidità. L’appartamento di Anling è situato al quindicesimo piano di uno di questi palazzi. É una casa ampia, nuova e confortevole, con un bel salone centrale ed arredata in stile italiano riprodotto in Cina, altrimenti sarebbe fuori della portata economica per quasi tutti i cinesi. Proprio in questo ambiente confortevole e che sa di familiare, ci accomodiamo per riposare un po’, dopo circa 14 ore di viaggio.

Ordine del giorno! Siamo seduti da una mezz’oretta circa, piacevolmente chiacchierando con Anling ed Yixian, bevendo qualche cosa di fresco, (la ormai globalizzante e maledetta cocacola), ancora increduli di essere con Anling in Cina! Qualche monosillabo tra Anling ed Yixian, e poi la domanda: “Cosa volete vedere?” Noi rispondiamo: “Cosa intendi Anling?” Il programma, facciamo un programma per questi giorni”. Da buoni italiani pensiamo di cavarcela dicendo le solite cose da italiani: “ora ci pensiamo, riposiamoci un po’ su, facciamo con calma”. Ancora qualche altro minuto di chiacchiere e poi si ripropone la domanda, cui noi rispondiamo pressappoco nello stesso modo di cui sopra. Al terzo reiterarsi della domanda, capiamo che non basta menare il can per l’aia, ma bisogna rispondere qualche cosa di concreto. Normalmente quando mia moglie ed io viaggiamo, lo facciamo da soli e studiamo il paese che visiteremo non pianificando giorno per giorno il viaggio, ma attraverso una panoramica generale, ci poniamo nell’ottica di poter decidere in loco, scegliendo tra differenti alternative possibili, a seconda di quello che riteniamo più opportuno. A dire il vero, questa volta, data l’enormità del paese in questione, la difficoltà nella memorizzazione dei nomi cinesi, una pessima guida come la Rutard, (normalmente prendiamo la lonely planet, ma non era disponibile in libreria e l’ultima edizione era aggiornata al 2002 mentre la rutard al 2004) e soprattutto la consapevolezza di avere saldi appoggi in loco, hanno fatto si che studiassimo poco il paese ove ci recavamo e quindi le informazioni di cui disponevamo erano poche, parziali ed incomplete. Qualche cosa, però, bisognava dirla e subito, per evitare di sentirsi reiterare la stessa domanda anche una decina di volte; così, sparo le prime cose che mi vengono in mente: “Be, oltre Pechino e dintorni, sarebbe bello vedere forse, hangzhou, Suzhou, Xi An, e…” Anling sembra soddisfatta e si siede al computer… oltre che pranzare, il primo pranzo di vero cibo cinese, su cui ritorneremo più avanti, non chiedetemi cosa è successo nelle successive due ore circa; una serie ininterrotta di conversazioni tra Anling suo marito Wang e Yixian, la quale avrà effettuato almeno una quindicina di telefonate. Risultato di questa febbrile attività, sono due fogli formato a 4, il primo dei quali porta come intestazione la scritta: (ORDINE DEL GIORNO) Di seguito, vi è la minuziosa descrizione di ciò che avremmo fatto a partire dal giorno seguente, fino al giorno del nostro ritorno in Italia. Come se non bastasse, qualche ora dopo bussa alla porta un fattorino che consegna ad Anling dei biglietti ferroviari ed aerei, vaucer di alberghi ecc. Non sto a dirvi la nostra sensazione di sorpresa, sbigottimento,meraviglia, incredulità, per una così potente manifestazione di organizzazione e capacità di programmare; se fosse dipeso da noi avremmo cominciato a decidere cosa fare un paio di giorni dopo almeno! Nei giorni a venire, comunque, ci siamo resi conto di quanto, per la gran parte dei cinesi, la necessità di programmare, di organizzare, di pianificare, insomma di avere sempre e comunque una traccia da seguire, un progetto da realizzare, sia di fondamentale importanza anche nelle più piccole cose; se potessero pianificherebbero anche quando andare al cesso o ammalarsi, ammesso che già non lo facciano. Una minima deviazione dal programma, una soppressione di parte di esso, un cambiamento, un imprevisto che ne ostacoli il pianificato svolgimento, sono motivo di ansia, sgomento ed angoscia visibili sui volti delle persone. Più di una volta noi abbiamo deciso, nei giorni a venire, di modificare o non realizzare in tutta la sua interezza il programma giornaliero, lasciando basite le nostre accompagnatrici, quasi che loro si sentissero in colpa per qualche oscuro motivo, della nostra decisione. Lu Wei (Lulù) Il giorno seguente il nostro arrivo, inizia la realizzazione di quanto l’ordine del giorno prescriveva. La prima tappa è la città proibita. Yixian si presenta all’appuntamento che aveva con noi, anche con Lu Wei. Lu Wei, rinominata immediatamente Lulù e così continuerò a chiamarla in questo racconto, è il secondo “angelo custode” che ci ha accompagnato nel nostro viaggio. Lulù è una ragazza di 27 anni, dai lineamenti del viso più marcati di quelli di Yixian; sembra di etnia mongola; fisicamente, però, appare più femminile di Yixian, forme non molto pronunciate ma armoniose, qualche centimetro e qualche chilo in più rispetto ad Yixian. È una ragazza dolce Lulù, dolce ma timida e ciò fa si che i primi giorni, ma solo i primi, trascorsi con noi sia stata inevitabilmente un po’ trascurata da noi, attratti dall’energia preponderante di Yixian e dalla sua voglia di parlare italiano. Parla un buon inglese Lulù, decisamente sopra la media dei cinesi; la sua pronuncia è chiara e comprensibile, ed è nobilitata dal suo splendido timbro di voce, caldo, suadente e sensuale.

Girando per Pechino e dintorni.

Dunque, con questi due angeli, rigorosamente muniti di ombrellino parasole, partiamo alla scoperta di quest’immensa città, la cui superficie comunale è di oltre 16000 KMQ, circa dodici volte più estesa di quella di Roma, e alla scoperta di alcuni dintorni. Non mi soffermerò sulle singole visite, basta leggere altri itinerari o una buona guida turistica per farsene un’idea, ma mi atterrò a considerazioni di carattere generale. La prima cosa che colpisce è la quantità e la densità di gente; ovviamente nei luoghi di interesse storico e monumentale essa è maggiore, ma anche nei centri commerciali, nei merchati ed anche nelle strade vi è una tale quantità di gente che mi ha fatto cambiare il concetto stesso di folla. Un po’ di capitali europee le ho visitate, ma una tale concentrazione di persone non esiste; un’idea di ciò che intendo, può essere resa, per chi è stato a Roma in via Del Corso in un giorno di particolare affluenza, da quella folla, ma considerando che essa si distende su una superficie molto ma molto più vasta, dandoti l’impressione che la città stessa sia pavimentata con un tappeto umano. Se poi a ciò si aggiunge che, come ho scritto più sopra, generalmente i cinesi non considerano affatto gli sconosciuti, neanche dal punto di vista fisico, ne consegue che spinte, gomitate, pestate di piedi ecc. Sono nella norma, molto più che da noi, solo che qui tutto ciò avviene non per ressa o per disattenzione, ma, piuttosto, per mancata considerazione dell’altro. Fortunatamente, anche se in Italia non verrei considerato di certo un gigante, lì ero decisamente superiore fisicamente, per altezza e peso, alla stragrande maggioranza delle persone; così quando ho capito l’andazzo, ho cominciato ad adeguarmi ed a sgomitare anch’io, con buoni risultati! La visita dei monumenti principali è abbastanza compromessa dalla quantità di gente ivi presente; in realtà, vi è una calca tale che la visita risulta praticamente impossibile. È impossibile sostare guardando il benchè minimo particolare; è come pretendere di mirare un punto fisso, stando però su di una barca in un mare mosso. Anche farsi fare una fotografia è un’impresa non da poco, data l’enorme quantità di gente che ti scorre avanti in continuazione e l’assoluta mancanza di abitudine a fermarsi ed attendere un attimo, quello necessario a scattare la foto; molte delle nostre fotografie sono piene di particolari e immagini parziali di altre persone perché sono state scattate in quei pochi, brevissimi intervalli in cui c’era un minimo di spazio tra l’obiettivo della macchina fotografica ed il soggetto. Bisogna poi considerare che i cinesi, per ora solo in piccola parte, da pochissimi anni hanno la possibilità economicha di poter pensare al turismo ed ai viaggi. L’impressione che ho avuto è che i cinesi comincino ad interessarsi al turismo, più per spirito d’imitazione nei confronti degli occidentali, che per un reale interesse spontaneo. Da quello che mi è parso, sembra che essi fanno i turisti, ma non ancora capiscono perché… Anche l’attenzione delle autorità competenti nei riguardi dei monumenti e dei luoghi storici, sembra dovuta più ad un potenziale ritorno economico che gli stessi possono garantire, che ad una reale conservazione e valorizzazione. I tratti d’interesse turistico della grande muraglia, per esempio, sono stati completamente ricostruiti con materiale evidentemente nuovo; praticamente l’originale, se c’è ,si vede a stento. Allo stesso modo il restauro della città proibita, è improntato non al recupero dell’originale, ma è stato effettuato con colori vivi che rischiano di far perdere per sempre l’antica parvenza degli edifici. Va considerato che tutti i monumenti, all’epoca di Mao, furono praticamente abbandonati, spogliati e saccheggiati di tutti i loro arredi e delle loro suppellettili, che chi sa quale fine hanno fatto; quindi tutto ciò che si visita, risulta praticamente vuoto e disadorno. Certo, la grandiosità delle strutture è perfettamente visibile, ma gli spazi vuoti pesano negativamente sulla visione d’assieme. Anche lo stesso concetto di restauro dei monumenti è diverso dal nostro; da noi si tende a conservare e valorizzare quanto più possibile ciò che rimane degli edifici e dei manufatti in genere; in Cina sembra che tutto sia improntato alla ricostruzione ex novo del tutto e poco importa se il fascino del tempo va perduto per sempre. Si tratta certamente di una sensibilità diversa, che in Cina è stata probabilmente inculcata dalla dittatura di Mao, allorchè si affermava che tutto ciò che aveva a che fare con il periodo dell’impero, durato migliaia di anni, doveva essere completamente abbandonato e rimosso. Solo oggi, con la grande apertura della Cina al turismo di massa, i resti del passato assumono un nuovo grande valore solo inquanto fonte di grandi introiti economici per lo stato cinese e uno dei motori dello stesso movimento turistico. Ma il valore in sé del passato in genere, mi pare che in Cina non sia considerato neanche un po’; il cinese medio guarda il turista occidentale impegnato nelle sue escursioni, con un misto di curiosità, legata forse al differente aspetto fisico e ai differenti costumi, di diffidenza, che anche noi ricambiamo, dovuta forse alla poca conoscenza reciproca, e di interrogazione: Ma cosa mai ci troveranno questi occidentali nel visitare i resti del passato? Estendendo il concetto, ho l’impressione che i cinesi siano pericolosamente dimentichi della propria millenaria storia; sembrano guardare in avanti senza mai voltarsi, rimuovendo le memorie del passato, sembrano voler azzerare la loro cultura millenaria per tuffarsi completamente e con veemenza nello stile di vita occidentale. Ciò è molto molto pericoloso, poiché un popolo privato della propria storia viene automaticamente privato del proprio futuro ed anche perché mi sembra che dell’occidente si stiano imitando le cose peggiori; non capisco se siamo noi che riusciamo sempre ad esportare il peggio di noi stessi o se, invece, siano gli altri a recepire solo quanto di peggio la nostra civiltà, che pur ha prodotto tante mirabili cose materiali ed ideali, riesce a concepire. In realtà, è comprensibile che vi sia una corsa frenetica, compatibilmente con le scarse risorse economiche della grande maggioranza dei cinesi, all’accaparramento di beni materiali e di consumo, ora che è possibile comprare e possedere, in un paese come la cina, in cui fino a pochissimo tempo fa la proprietà privata era considerato un furto dalla stessa costituzione della repubblica popolare cinese; (se volete approfondire quest’argomento, potete cliccare il lynk sottostante, un’intervista del Corriere della sera ad Anling, su una proposta di riforma costituzionale in tal senso http://www.Corriere.It/Primo_Piano/Esteri/2004/11_Novembre/15/cina.Shtml Riprendiamo però il filo. Un’altra cosa che colpisce girando per Pechino, è la quantità di cantieri aperti e la solerzia rassegnata degli operai che lavorano ininterrottamente per 10/12 ore 7 giorni su 7; la domenica, le festività in genere non esistono, se si eccettuano il capodanno cinese e la festa in commemorazione della fondazione della Repubblica popolare cinese; in tutto stiamo parlando di due settimane all’anno, ma, ricordo ancora, senza domeniche e simili! Una forte impressione che si riceve è quella che l’individuo singolo, la persona umana insomma, abbiano senso solamente se inquadrati nella società per il contributo che riescono a dare ad essa, ma le esigenze dei singoli, le proprie aspirazioni, le individualità e le particolarità, vengono totalmente ignorate e disattese dall’attuale assetto sociale cinese. Forse, e mi rifaccio a quanto scritto più sopra, è questo il motivo che spinge le persone ad incanalare tutte le loro attività all’interno di un progetto rigoroso e, quanto più possibile, inalterabile. Proprio la mancanza d’attenzione alle individualità e la negazione delle istanze del singolo individuo, è ciò di cui, più di una volta, Anling mi ha parlato, vedendo in queste disattenzioni la causa di possibili gravi problemi per un futuro non molto lontano, poiché già oggi si registrano crescenti disordini, manifestazioni e proteste anche violente, che però, per il momento, non vengono quasi mai a conoscenza della popolazione cinese e del resto del mondo. Non di rado tali proteste sfociano in scontri che danno luogo a morti e feriti; l’esasperazione, diceva Anling, potrebbe far sfociare il tutto in una guerra civile ed etnica e quando a combattere una guerra sono 1350000000 di persone, quale possa essere il suo esito è difficilmente controllabile ed immaginabile. Non di meno va considerato che la popolazione cinese è stimata in tale cifra, ma probabilmente i numeri reali sono più alti; bisogna considerare, infatti, dato il programma di limitazione delle nascite, un figlio per donna in città e due nelle campagne, che la maggior parte delle famiglie, non dichiara i figli che esulano dal numero prestabilito, per non incorrere in sanzioni economiche che non potrebbero permettersi di pagare. Mangiare e bere.

Chi di noi non è andato al ristorante cinese in Italia almeno una volta? Quanti sono i fanatici di questa cucina e, di contro, quanti si sentono male ogni volta che la mangiano? In ogni caso, statene pur certi, quella che si mangia qui ha a che fare con la cucina, o meglio le cucine cinesi, nella misura in cui il caffè americano è paragonabile all’espresso italiano. I piatti che vengono proposti nei ristoranti cinesi in Italia, sono generalmente un adattamento della cucina cinese sud-orientale, ai nostri gusti; infatti la gran parte dei cinesi emigrati in Italia, proviene proprio da quella zona della Cina. Naturalmente l’adattamento ai nostri gusti, fa sì che vengano introdotte anche specialità provenienti da altre zone del paese; ad esempio, i famigerati ravioli al vapore o alla piastra, (jao zi)sono una specialità del nord, quindi della zona di Pechino, che ben si adattano ai gusti di noi italiani, inquanto ci ricordano molto da vicino i nostri ravioli, tortelloni e un po’ tutti i tipi di pasta ripiena. Inoltre in Italia al ristorante cinese si conserva l’abitudine tutta italiana di pasteggiare seguendo la nostra classica divisione del pasto in antipasto, involtini primavera che in Cina non sanno neanche cosa siano, primo piatto, generalmente di pasta, secondo, a base di carne o pesce, e dolce, che praticamente in Cina non esiste. Il famigerato gelato fritto dei ristoranti cinesi, sarà anche buono, ma in Cina neanche immaginano che esista, come non esiste una tradizione di pasticceria. Con quanto elencato sopra, comunque, si potrebbero sfamare almeno quattro cinesi; le quantità di cibo da loro consumate, sono notevolmente inferiori alle nostre, che facciamo la figura di veri maiali! Oltre a ciò, un pranzo normale, intendo quello consumato quotidianamente, è costituito da un piatto unico e si conclude eventualmente trangugiando una zuppa di provenienza generalmente ambigua, mangiandone il solido e bevendone il liquido. Nel caso di un’occasione speciale e quindi di un pranzo o di una cena con più piatti, l’ordine con il quale vengono mangiati non ha alcuna importanza, come vedremo più avanti. Vediamo però da vicino una tavola cinese apparecchiata: ogni commensale ha un piccolo tovagliolo, a volte umidificato, un paio di bacchette e un piattino delle dimensioni di quelli da te, quando si è fortunati, altrimenti è delle dimensioni di quelli da caffè. Questi piattini, vengono continuamente riempiti attingendo dai piatti da portata, posti al centro del tavolo. Vi chiederete: e il bicchiere? Il bicchiere come accessorio a sé stante in Cina a tavola non viene messo; generalmente esso viene portato in tavola già colmo di te verde, bevanda ognipresente e con la quale si pasteggia anche, o, quando si ordina una birra, viene portato insieme alla stessa. Non provate a chiedere l’acqua nei ristoranti in cina, tanto non c’è; le uniche bevande da pasto sono quelle già mensionate: te, birra o il famigerato zuppone (alla porcara)che serve da mangia e bevi. Ultima considerazione, il prezzo: il pasto più economico, ma veramente ottimo in un antico locale di Pechino specializzato in ravioli, è costato la bellezza di 90 centesimi di euro a persona! All’estremo opposto, quello più costoso in un gran bel ristorante a Suzhou, è costato la bella cifra di 2€ e 90 centesimi a persona. I prezzi si commentano da soli e si consideri che lo stesso rapporto c’è con i prezzi degli alberghi, dei trasporti ecc. Ho l’impressione che i tour operators guadagnino oltre misura, sui prezzi che praticano per i pacchetti di viaggio in Cina. Pensate che in quindici giorni in totale abbiamo speso la bella cifra di 750€ includendo qualsiasi cosa, tra cui: due biglietti aerei per un trasferimento interno, quattro biglietti ferroviari a lunga percorrenza, tre notti in albergo, tutte le colazioni (a proposito a colazione le ragazze che ci accompagnavano mangiavano spaghetti al brodo di polipo) pranzi e cene per quattro persone, taxi a volontà, una tratta in pulman per due persone e tutte le cazzatelle che uno si riporta dai viaggi; a proposito, le cazzatelle non erano poi così poche poiché abbiamo dovuto comprare una valigia in loco, per l’esorbitante cifra di 8€ Da parte mia, devo ammettere che pur essendo, dal punto di vista gastronomico, radicatissimo nel mediterraneo, in Cina ho mangiato e ho gustato sapori nuovi ma, almeno alcuni di essi, ottimi; non posso dirmi un fanatico della gastronomia cinese, ma la apprezzo abbastanza per molti aspetti, nonostante le grandi differenze con il nostro cibo ed i nostri sapori. Sul cibo, ritorneremo tra un po’.

Suzhou, Hangzhou e Xi An.

Come previsto dall’ordine del giorno, ad un certo punto è arrivato anche il momento di partire per un tour in alcune città di questo sterminato paese. Eccoci dunque alla stazione di Pechino per prendere il treno per Suzhou; durata del viaggio meno di 13 ore per circa 1400 Km di distanza. Prendere un treno dovrebbe essere un’esperienza comune, facile, che non lascia particolari tracce nei ricordi di una persona… invece no! Prendere il treno, nel senso di arrivare dall’ingresso della stazione alla vettura prenotata, in Cina può essere un’impresa da pentatleta. La prima disciplina è naturalmente la lotta collettiva di Sumo, anche se in miniatura, nella ressa che si accalca all’interno dell’arena, (scusate), stazione; spinte, gomitate, pestamento di piedi, valige alle quali alla fine potresti trovare attaccati anche brandelli di carne e parti di corpo umano, sono la consuetudine e raggiungono l’apoteosi nei pressi dei metal detector, ove ognuno è obbligato a passare, proprio come in un aeroporto. La seconda e la terza disciplina è l’inseguimento a squadre su e giù per infinite rampe di scale e il sollevamento pesi, ove i bagagli più o meno ingombranti ben si prestano allo scopo. La quarta disciplina è la prova di orientamento senza bussola, per trovare la banchina giusta ove il treno è in partenza. Quinta ed ultima disciplina è il raggiungimento del vagone, ossia la venti Km di marcia, data la lunghezza dei treni cinesi; se sei in uno degli ultimi vagoni del treno, a partire dalla testa del binario, sono veramente cavoli tuoi! Comunque riusciamo a salire sul treno e perfino a raggiungere il nostro scompartimento con sei cuccette; oltre a noi quattro, Lulu, Yixian, Maria Clara e me medesimo, c’è una giovane coppia cinese. Certo due treni sono pochi per poter tirare una seria conclusione sulla qualità del servizio di trasporti ferroviario in Cina e quindi mi atterrò solo a quello che ho costatato. Sul primo treno, appunto quello da Pechino a Suzhou, avevamo un biglietto di seconda classe; il treno era molto ben curato e pulito. Lo scompartimento con le cuccette disponeva di biancheria ben lavata e che sembrava anche di una certa qualità; periodicamente il servizio di pulizie passava a raccogliere i rifiuti prodotti nel frattempo. Anche i servizi igienici, sono curati più che decentemente e se sul primo treno avevamo il bagno alla turca, sul secondo, da Xi An a Pechino ove avevamo un biglietto di prima classe, non solo vi era il WC, ma esso era posto in un ambiente assolutamente separato da quello dei lavabi che, lungi dall’essere di plasticaccia, erano in marmo liscio. Su quest’ultimo treno, inoltre, lo scompartimento delle cuccette era da quattro lettini, ognuno dei quali disponeva di cuffia, radio e televisione indipendenti… esattamente come in Italia! Anche l’aereo della China Western aerlines, con il quale siamo andati da Hangzhou a Xi An,era nuovo e ben tenuto; su i mezzi di trasporto, i Cinesi danno l’impressione di voler investire molto per ampliare le capacità di portata, ora che la gente comincia a muoversi sempre di più anche da loro. Ma torniamo a noi. Dopo circa 13 ore di treno, eccoci a Suzhou; una piccola città, ci avevano detto. L’inpressione è tutt’altra ed, infatti, apprendiamo che vi abitano più o meno un milione di persone… sarà piccola per loro! In effetti considerando le dimensioni delle più grandi città cinesi, un milione di abitant non è gran cosa. La città è molto bella, si respira anche un’aria più rilassata ed allegra rispetto a Pechino e la sua maggior attrattiva sono i così detti “giardini cinesi”; noi ne abbiamo visitato solo uno, che è chiamato Giardino dell’umile amministratore, che proprio umile non doveva essere. Occupa un’estensione di circa 5 ettari ed al suo interno sono ricostruiti, in modo totalmente artificiale, paesaggi montani, lacustri, cascatelle, boschetti ecc. Sembra, come in effetti voleva essere, un rifugio dalla vita pubblica, ma che in sé conteneva tutti quegli elementi della natura che evidentemente dovevano essere cari a questo nobile cinese, che ne era il proprietario. Terminata la visita di questo luogo, decidiamo di tornare in albergo poiché l’aria è veramente irrespirabile; il caldo è insopportabile e l’umidità è massacrante. Io sudo come credo un uomo non possa mai sudare, mentre Yixian e Lulu, sono completamente asciutte. Comincio a pensare che non siano cinesi ma marziane ed evito di star loro troppo vicino perché ho paura di far loro schifo! Verso sera, con l’aria un minimo, ma solo un minimo più respirabile, Yixian ci porta in una sala da tè che si dimostra essere la cosa più interessante che abbiamo visto e fatto a Suzhou; oltre a consumare litri e litri di tè verde, in questa sala c’è musica tradizionale cinese che, nei secoli passati, migrata a Pechino, approdata alla corte imperiale e nobilitata da scene e costumi è divenuta la celeberrima “opera di Pechino”, Invece, l’oper di Suzhou, per così dire, è molto più modesta ma molto intima e immediatamente comunicativa; il tutto è costituito da una coppia, un uomo ed una donna, che cantano e suonano strumenti tradizionali cinesi, brani musicali piuttosto brevi ma, spesso, intensi. Dopo aver trascorso in questo luogo alcune ore, andiamo in uno splendido ristorante del centro della città, ove mangiamo divinamente per la “stratosferica” cifra di 2€ e 90 centesimi a testa. Che ladrocinio! Il giorno dopo, lasciamo Suzhou per Hangzhou. La maggior attrattiva di quest’altra piccola città, due milioni di abitanti, è il lago… Il lago?! Minchia ma è ancora più umido! Ci è mancato poco che rivoluzionassi la fisica moderna, dimostrando che l’uomo può palesarsi in due stati: quello solido e quello liquido! La percezione che si ha, è quella del vestirsi dopo aver fatto una bella doccia, dimenticando però di asciugarsi! La differenza, però, è che mentre dopo un po’ normalmente ci si asciugherebbe, ad Hangzhou ciò non avviene e questa sensazione si perpetua. Ad ogni modo il lago, con le sue bellezze e la sua atmosfera, ha la sua grande influenza su di noi; proprio durante il giro in barca, si istaura tra noi, mia moglie e me, e le due ragazze cinesi, un diverso grado di intimità, amicizia ed affezione. Non che quprima i rapporti fossero formali o freddi, ma qui ci siamo sentiti veramente vicini nell’animo ed è una sensazione che, in seguito, ci ha portato a stringere i rapporti tra noi. Oltre al lago, sono da segnalare a Hangzhou, una bellissima, caratteristica ed antica farmacia tradizionale cinese con migliaia di cose a noi sconosciute ed un viale del centro della città che la sera si anima con centinaia di chioschetti e ristorantini all’aperto, ove abbiamo visto animali vivi e morti, la maggior parte sconosciuti, frutta e verdura, come sopra. Sarebbe stato un posto veramente caratteristico da fotografare, ma non ci è sembrato di buon gusto. Cosa direste voi se un turista vi fotografasse mentre vi ingozzate con una strepitosa amatriciana o sbranate una mitica fiorentina? Il giorno dopo, in aereo raggiungiamo Xi’An. Dopo circa due ore di volo atterriamo e attendiamo la nostra amica Anling proveniente da Pechino, con la quale ci eravamo dati appuntamento proprio all’aeroporto di Xi’An. Anling non è venuta a Xi’An per turismo, ovviamente, ma per lavoro. Ad ogni modo abbiamo un po’ di tempo per stare insieme. Quel giorno stesso abbiamo visitato una delle cose che mi hanno maggiormente sconvolto in Cina, e non sto parlando dell’esercito di terracotta del quale deliberatamente non parlo poiché già troppo inflazionato, ma della ricostruzione, con pretesa di valore storico, di una città della dinastia Tang, II secolo A.C. La ricostruzione, dal punto di vista architettonico, potrà anche essere fedele e l’effetto essere impressionante, ma è tutto nuovo! Non c’è un minimo di polvere lasciata dal tempo, non c’è una crepa, i colori sono vivissimi, i mattoni lisci; oltre a ciò, all’interno di questo spazio (parliamo di circa 10 KMQ), si svolgono spettacoli di vario genere che si fanno risalire a quel periodo. Più che altro ho l’impressione che i cinesi, a volte, confondano la storia, quella vera, con i parchi a tema di argomento storico. Tale mia impressione mi è stata confermata da Lulu, nel momento in cui mi ha posto una domanda che un occidentale non mi avrebbe mai posto: “Ti piace più questo o la città proibita? Al di là di qualsiasi paragone e gusto, è come se io chiedessi ad ognuno di voi che avete avuto la pazienza di arrivare fin qui nel racconto: vi piacciono più i Fori Imperiali o Gardaland?… Oltre a ciò, però, Xi’An ha posti piuttosto interessanti. Uno di questi è il vecchio quartiere musulmano con la sua moschea, unica al mondo, a forma di pagoda! non so perché ma quando ho visitato questo quartiere, mi sono sentito quasi a casa… Ed ora, come ho scritto più sopra, torniamo un po’ al cibo. La cena di quella sera si annuncia speciale. Noi quattro, oltre ad Anling, veniamo invitati dal rettore e dalla vice rettrice dell’Università di Xi’An, a cenare in una sala esclusiva del miglior ristorante della città. Poco prima di sederci, ci spiegano che si tratta di una cena a base di un piatto tipico locale, il cui nome in italiano suona pressappoco come “pomo”. Quando ci sediamo oltre alle solite cose con le quali la tavola cinese è normalmente apparecchiata, troviamo una scodella di ceramica con cucchiaio in ceramica anch’esso, e una specia di piccoli panini schiacciati al centro del tavolo; dopo aver distribuito i panini, uno a testa, ci dicono di cominciare a sminuzzarli in briciole, il più possibile piccole, nelle scodelle. Da buoni cinesi, ci dicono anche il tempo necessario per quest’operazione, l’incredibile tempo di 20 minuti! Perplessi portiamo a termine la nostra opera. Quando tutti hanno finito le scodelle, ormai colme di questo pane sbriciolato, vengono ritirate dai camerieri. Subito dopo arriva una serie lunghissima di portate che vengono adagiate sulla grande tavola; c’è di tutto: frutta cruda e non, pesce, carne, verdura ecc. Ci dicono che si può cominciare a mangiare e la prima cosa che ci mettono nel piatto, come atto di cortesia, sono i datteri. Perplessi mangiamo e poi capiamo che più che ongi altra volta, in quest’occasione, non c’è un ordine di successione delle pietanze; infatti vediamo cominciare ognuno con una pietanza diversa, passare ad altro, ritornare poi su ciò che aveva mangiato prima, alternare nella più assoluta indifferenza dolce e salato, piccante e non, pesce e carne. Per inciso va detto che la carne era tutta quella che un montone può avere in dosso; io, ma lo sapevo già, ho grossi problemi intestinali nel mangiare carne ovina, ma, nonostante questo, mi piace e la mangio, sopportando le conseguenze di questo gesto. Quando tutto sembra finito, ecco riapparire le scodelle: oltre al pane, sono colme di un brodo denso e grassissimo, anche se gustoso; è il brodo del montone! Tra gorghi e risucchi dispensati generosamente dai commensali nell’assumere quest’ultima prelibatezza, termina la cena, che avrà, per quanto mi riguarda, risvolti tellurici e meteorici durante la notte… Ad ogni modo, il giorno seghuente, dopo aver visto l’esercito di terracotta e dopo aver salutato Anling, noi quattro, ripartiamo in treno per Pechino.

Ultimi giorni a Pechino: Per gli ultimi tre giorni, alloggiamo a casa di Anling, ma con lei assente, poiché rimasta per lavoro a Xi’An. I rapporti con il marito di Anling e il figlio, del quale non ricordo come si scrive il nome, sono ottimi e cordiali; peccato che non riusciamo a scambiare neanche una parola! In questi ultimi giorni, non visitiamo monumenti ma li passiamo tra mercatini, centri commerciali e negozi, sempre più tristi per l’imminente partenza e per la separazione da yixian e Lulu. L’ultima sera, mia moglie ed io riusciamo ad organizzare, in maniera più che soddisfacente se si considera che eravamo a 10000 KM dall’Italia, una pizza fatta da noi a casa di Anling. Per l’impasto non ci sono grossi problemi, ma è il condimento quello che langue; riusciamo a comprare del formaggio simil gorgonzola che si rivelerà filare bene sulla pizza, e dei pomodorini rossi simil pachino, da noi ribattezzati, ovviamente e senza fantasia, pomodori Pechino… Nonostante la limitatezza dei mezzi gastronomici a disposizione, otteniamo un grande successo, tanto che spesso, nelle mail che ricevo dalla Cina, ancora oggi si fa riferimento con entusiasmo a quella pizza. Il giorno dopo, tra i saluti, gli abbracci e le lacrime di yixian all’aeroporto nel momento della separazione, il viaggio di ritorno a inizio e quello in Cina ha termine.

Andai in Cina carico di curiosità e mistero e carico di curiosità e mistero torno. Certamente è un paese così grande e dalle usanze ancestrali così diverse dalle nostre che non basterebbero decine di viaggi al suo interno per comprenderlo correttamente. Ad ogni modo i miei ricordi di quei giorni sono paragonabili a quelli dei sogni, tanto reali nel momento del loro rivelarsi e tanto lontani quando ci si sveglia. Da questo sogno, però, mi sono svegliato riuscendogli a strappare due perle per me preziose, quanto di più bello la Cina mi abbia regalato: Lulu E Yixian. Con quest’ultima continuo ad intrattenere rapporti telefonici ed anche a vederla di persona; con Lulu ci sentiamo solo per e-mail, ma il mio cuore è tanto vicino anche a lei e sono sicuro che ci rincontreremo.

Alessio.



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