Tibet; discesa dello tsangpo con le gowa

Le gowa sono piccole barche fatte in pelle di yak; per una barca servono 4 yak e ci vuole una settimana di lavoro . Fino a qualche anno fa erano i mezzi di navigazione più usati in Tibet, per il trasporto di passeggeri o di merci; alcuni autori-esploratori descrivono decine di barche che trasportavano pellegrini da una sponda all’altra . Ora...
Scritto da: Franco Pizzi
tibet; discesa dello tsangpo con le gowa
Partenza il: 01/10/2003
Ritorno il: 14/10/2003
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
Le gowa sono piccole barche fatte in pelle di yak; per una barca servono 4 yak e ci vuole una settimana di lavoro . Fino a qualche anno fa erano i mezzi di navigazione più usati in Tibet, per il trasporto di passeggeri o di merci; alcuni autori-esploratori descrivono decine di barche che trasportavano pellegrini da una sponda all’altra . Ora le gowa sono sostituite da barconi a motore che attraversano lo Tsangpo molto più velocemente, ma non hanno certamente il fascino della piccola barchetta che si muove lenta sulle acque placide e verdi del fiume.

La mia esperienza con le gowa incominciò appena fuori Lhasa, con un gruppetto di clienti; vi condurrò giorno per giorno in questo viaggio stupendo per farvi conoscere un pò di Tibet inusuale.

22/10/ Lasciamo Lhasa sulle barchette; siamo in tre su ogni barca , un pò stretti seduti su delle tavole rivestite di coperte, con i nostri bagagli come poggia schiena. La destinazione è Ushe, 4 ore e trenta di navigazione. Il Kyiciu è particolarmente tranquillo oggi; è pulito, la sua acqua è verde con sfumature blu, e guardando verso l’alto non si vede una nuvola; un cielo terso come quello del Ladakh.

Arriviamo alla spiaggetta nel pomeriggio e mentre i barcaioli mettono su le tende noi ci avviamo verso il gompa a 4270 m, facendoci 400 m di dislivello su un sentiero un filino ripido. Ridiscesi mi siedo sulla sabbia mentre le mie clienti con il loro vociare rovinano il silenzio incantato che ci circonda. Guardando verso ovest, al tramonto, la catena del Nyang la Chen all’orizzonte è di un colore rosa e le sue punte lontane segnano la fine del mondo. Il tramonto è veloce e colorato; il calare del sole si unisceal sorgere della luna quasi piena. Le clienti parlano ancora, non si sono accorte di questa magia, in questa terra da favola dove ogni fenomeno è visto come una manifestazione della volontà di qualche divinità.

Sotto la tenda, nel mio sacco a pelo, mi addormento cullato dalle canzoni dolci dei barcaioli, vicino alle gowa alzate contro i pochi alberelli per asciugarsi.

Al mattino nella tenda la temperatura è –2 gradi ma presto, all’esterno,salirà a +10.

23/10 Il Kyiciu è un affluente dello Tsangpo e oggi facciamo il nostro ingresso in questo fiume maestoso sulle cui rive è nata la civiltà tibetana . In barca! Siamo entrati nello Tsangpo e i barcaioli cantano, cantano e giocano. Fanno le gare e cantano; sembra che il remare per loro non esisite, non si stancano! Il sole è troppo forte ma non abbiamo nessun riparo, sulle barche non c’ è molto da fare.Ad un certo punto sentiamo delle grida di richiamo; sull’altra sponda un pulman di turisti si è fermato, ci stanno salutando e scattano foto. Sull’altra sponda sono vicini all’aeroporto, che rovina il paesaggio. Subito dopo non si sente più niente, a parte il rumore delle rapide non molto rapide; una musichetta in armonia con la bellezza selvaggia di questo luogo. La mia guida si chiama Pemba, un ragazzo timido, gentile, preparato e disponibile. Siamo diventati amici. Anche con il cuoco che oramai conosco da molto tempo siamo in rapporti ottimi; come se fosse lo chef di un grande albergo, dall’altra barca mi chiede in tibetano, urlandocosa vogliamo per cena. Incredibile! Oggi non abbiamo gite per cui passiamo il nostro tempo sulla spiaggia a chiacchierare su vari argomenti riguardanti il Tibet e il buddhismo.

Il tramonto ha sempre attirato gli uomini di tutte le razze e di tutti i credi come un qualcosa di misterioso, di divino e anche se ai giorni nostri sappiamo che cosa è, non ci sfugge questo momento magico. Almeno, io faccio parte di questo genere di persone; osservo quello che sta succedendo: verso ovest il fiume diventa una colata di oro zecchino; dal Kailash le benedizioni degli yogin arrivano sulle acque dello Tsangpo, e mi sento a mio agio nella mia tenda nel deserto di sabbia.

In serata sento come uno squillo di telefono. Mi guardo intorno incuriosito, e vedo una mia cliente con il cellulare in mano. Pazzesco! Non perchè la signora sta telefonando, ma perchè questo piccolo strumento che dà la sicurezza del contatto squilla in mezzo alle dune di sabbia. Le chiedo se mi fa telefonare! 24/09 Stamane siamo partiti alle 10. Con comodo; il tempo da queste parti scorre come deve: “lento”! Lenta è la navigazione su l’immenso Tsangpo. A ovest, la direzione opposta a quella verso dove stiamo lentamente scivolando, il fiume sembra racchiuso da una catena di montagne, in questo periodo dell’anno innevate. Verso sud-est: spazio! Sembra che il fiume termini nel cielo. Stiamo costeggiando la sponda sinistra e non vediamo quella destra; dune di sabbia dorata lavorate dal vento, banchi di sabbia con rara vegetazione impediscono la vista della veloce strada che corre verso Tsedang. Ora siamo nel distretto di Lokha “la regione che guarda a sud” La sponda sinistra è ancora in mano alla natura; a mezzogiorno ci siamo fermati in un villaggio di pescatori, quello dei nostri barcaioli. Il villaggio è primitivo, le case sono fatte con materiale rudimentale, e le gowa sono state appoggiate agli alberi ad asciugare. Rendiamo visita alla casa del mio barcaiolo; una moglie con voce dolce mi invita a bere il chang e a mangiare qualcosa. Accetto solo il chang. Andando via mi chiedo , se sanno che il loro paese è in mano ai cinesi, se la loro influenza si è fatta sentire dovunque oppure se qualcosa o qualcuno è riuscito a sfuggire.

Mentre torniamo alle barche un aereo passa sopra le nostre teste: un oggetto e un rumore stridente con l’ambiente; ma in fondo ce ne serviamo anche noi ! Siamo di nuovo in barca e sono seduto al livello dell’acqua; gli unici rumori che si sentono sono i remi che tagliano quest’acqua benedetta e antica e i canti dei barcaioli, alle volte dolci e alle volte no, ma sempre in armonia con il posto.

Quindici giorni fa 5 cinesi annegarono nello Tsangpo in un incidente d’auto; le autorità misero a disposizione 1000 yuan [una cifra considerevole] per chi ritrova i cadaveri. Ad un certo punto la mia barca si ferma vicino ad un isolotto per un bisogno fisiologico di una cliente; l’altra barca si ferma ad un’altro isolotto, e vedo i barcaioli correre verso una delle sponde.Guardano, parlano e capisco che hanno trovato dei cadaveri. Ritornano. Ricorrono indietro di nuovo. Finalmente risalgono sulla barca; stendono banconote per un valore di 2000 yuan ad asciugare al sole, e guardano un bigliettino da visita. Hanno trovato i cadaveri dei cinesi e li hanno derubati… Pemba mi dice che la seconda volta che sono tornati verso i cadaveri era per vedere se riuscivano a recuperare anche il telefonino o altre cose! La navigazione riprende e loro parlano, ridono come se niente fosse accaduto; ridendo descrivono le condizioni dei cadaveri e quando ci fermiamo si dividono i soldi. La guida e il cuoco sono esclusi dal bottino. Fra pochi giorni telefoneranno alla polizia; hanno sistemato i cadaveri in modo che non vengano portati via dalla corrente, e guadagneranno altri 1000 yuan. Rimango perplesso e mi pongo delle domande sulla santità del popolo tibetano.

Il nostro campeggio èsulla spiaggia antistante al monastero di Dorje Drak, un monastero Nyingmapa in via di ricostruzione, abitato da 27 monaci. All’interno troviamo una folla di pellegrini arrivati da Lhasa; sono ospiti dei monaci e dormiranno sulle coperte stese sul pavimento del cortile. Sono gentili e ci offrono pö cha [il tè tibetano] e patate bollite. Gentilmente rifiutiamo.

Come al solito mi fermo a contemplare il tramonto. Il tramonto del sole e il sorgere della luna sono contemporanei e io sono piccolo fra le dune che da una parte sono dorate e dall’altra sono già argentate dal colore della luna.

Per cena mangiamo pesce pescato dai barcaioli; forse i pesci avevano mangiato la carne dei cadaveri più a monte, ma sono gustosi. 25/09/ una giornata completa di navigazione, con le solite canzoni dei barcaioli. Il paesaggio sulla sponda sinistra è lunare; dune di sabbia e rocce. Il campeggio è sistemato su una spiaggia bellissima e Pemba sta trattando per i trattorini che domani ci condurranno al villaggio; e poi, a piedi, andremo alle grotte sacre di Guru Rimpoce.

26/09/ il trattorino è venuto a prenderci alle 9, e ci siamo fatti un viaggio massacrante di un’ora. Arrivati al villaggio proseguiamo per il gompa delle monache, a 45 minuti di cammino. Un piccolo monastero tenuto da monache carine e gentili, molto pulito e con tanti fiori che rivelano una gestione femminile. Ci mettiamo in cammino per le grotte su un sentiero molto, molto, ripido; dobbiamo salire, 1500 m di dislivello. Una passeggiata molto dura ma siamo ricompensati da un paesaggio stupendo. Al nostro ritorno la spiaggia offre un momento magico e tranquillo, grossi uccelli,- i Dun Dun- si muovono tranquillamente fra le secche mentre i pescatori tirano le reti per un’altra cena a base di pesce.

27/09 Oggi è l’ultimo giorno di barca. I rematori tirano le reti e vi trovano 50 pesci. Li sventrano e poi li mettono a seccare al sole. Saranno le loro scorte per l’inverno, oppure li venderanno in qualche piccolo mercato.

Dunque è l’ultima giornata di barca: Samye, uno dei più famosi monasteri del Tibet perchè in quel luogo il buddhismo fu riconosciuto come religione di stato, rappresenta per noi il ritorno nella civiltà. I barcaioli cantano una canzone che si chiama Arro Khampa e dice: “ Vengo dall’Amdo e vado al Kailash in pellegrinaggio; quando sono sulla strada non ho bisogno di una casa o un riparo; quello che voglio è acqua e fuoco; quello che voglio veramente è non avere la necessità di cavalcare o usare mezzi di trasporto; quello di cui ho veramente bisogno sono le scarpe Quando vidi il Kailash ho tolto il mio cappello e mi sono prosternato, dopo aver visto il Kailash il mio corpo non ha più importanza, è come la terra.” Oggi impiego il mio tempo in una piccola intervista al mio amico Pemba.

È nato nelle vicinanze di Lhasa ed ha 26 anni, da 12 vive in Lhasa. La sua famiglia è di origine contadina, ma facoltosa; ha studiato a Lhasa pagandosi gli studi insegnando tibetano agli occidentali che risiedono all’università di Lhasa. Prima dell’87 lavorava con i nomadi.

D Com’è in questo momento la relazione fra voi e i giovani cinesi? R Credo che le nostre relazioni migliorano perchè la mentalità diventa la stessa e ci capiamo molto bene. Loro sanno cosa vogliono e vice versa.

D Non vi sentite più “cittadini di seconda classe”, come dicono i tibetani in esilio? R Se hai studiato, che tu sia tibetano o cinese non ha importanza. Qualunque cosasi faccia, l’importante è mantenere il proprio spirito.

D C’è libertà religiosa in Tibet? Vi sentite occupati? R Nel 1994 hanno limitato gli studi nei monasteri di Drepung, Sera e Ganden. Il governo cinese è molto severo con chi vuole approfondire la filosofia.

D È ancora proibito mettere foto del Dalai Lama nei monasteri? R Si, tranne che nei monasteri più piccoli.

D I tibetani sposano le cinesi? R Pochi, ma lo fanno. Noi non vogliamo essere separati dai cinesi, vogliamo essere uguali a loro. D Ti piacerebbe andare in India? R silenzio D Pensi che questa gente sente la presenza cinese come quelli in Lhasa? Mi riferisco ai pescatori, ai contadini etc…

R Non gli interessa. Quello che vogliono è vivere in pace e avere il loro lavoro. Tutto li! Desiderano incontrare il Dalai Lama una volta nella vita, ma se ritorna o no, non è un problema loro.

La barca si ferma sulla spiaggia dove un camion ci attende per portarci a Samye.

Il viaggio è finito; almeno, questa parte del viaggio. Per una volta mi sono reso conto di essere vissuto a stretto contatto con 6 tibetani, e la mia è stata un’esperienza molto positiva,moltodiversa dai contatti con i tibetani in esilio. I barcaioli hanno guadagnato 2200 yuan in sei giorni, direi niente per il lavoro che hanno svolto: hanno remato tutto il giorno, aiutato a montare le tende, pescato per regalarci il pesce, soddisfatto le assurde pretese di alcuni clienti. Persone simpatiche e belle.

Rimbaud disse : “Che ci faccio io qui?” Anche io me lo chiedo. La risposta? “non lo so”! P.S. Se volete vedere le foto del Tibet e in particolare quelle delle gowa andate nel mio sito www.Viaggiinasia.Com nella galleria fotografica sezione Tibet. Grazie.



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