La buena suerte in Argentina, Bolivia e CILE 2

La buena suerte del viaggio in ARGENTINA, BOLIVIA E CILE Terza parte: Cile Confine. Due cartelli: Bolivia da una parte Cile dall'altra. La terra, le pietre, le montagne sono uguali sia da una parte sia dall'altra. Ma tra i due paesi non corre buon sangue e pare che i confini siano addirittura minati. Ma sarà vero? La terra sembra così innocua,...
Scritto da: Maria_Grazia
la buena suerte in argentina, bolivia e cile 2
Partenza il: 12/10/2002
Ritorno il: 09/11/2002
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
La buena suerte del viaggio in ARGENTINA, BOLIVIA E CILE Terza parte: Cile Confine. Due cartelli: Bolivia da una parte Cile dall’altra. La terra, le pietre, le montagne sono uguali sia da una parte sia dall’altra. Ma tra i due paesi non corre buon sangue e pare che i confini siano addirittura minati. Ma sarà vero? La terra sembra così innocua, non può celare simili insidie! ma ce ne guardiamo bene dal verificarlo. Insomma, la differenza più vistosa è la strada, sterrata polverosa sconnessa quella Boliviana, asfaltata liscia regolare quella Cilena, e in più si scende. Dal confine è tutta una discesa verso i 2400 metri della conca del Deserto di Atacama, il posto più arido del pianeta! Si dice che in certe zone non sia mai piovuto e che in altre sia successo due o tre volte in un secolo, ma quando succede, anche una semplice pioggia scatena una fantastica fioritura e “… Ricordo che mi addormentai stanco di osservare le migliaia e migliaia di stelle che illuminavano la notte del deserto, e all’alba del 31 marzo il mio amico mi scosse per svegliarmi. I sacchi a pelo erano fradici. Gli chiesi se aveva piovuto e Fredy rispose di si, che aveva piovuto come quasi ogni 31 marzo nell’Atacama. Quando mi tirai su, vidi che il deserto era rosso, intensamente rosso, coperto di minuscoli fiori color sangue. – Eccole. Sono le rose del deserto, le rose di Atacama. Le piante sono sempre li, sotto la terra salata. Le hanno viste gli antichi indios atacama, e poi gli inca, i conquistatori spagnoli, i soldati della guerra del Pacifico *, gli operai del salnitro. Sono sempre li e fioriscono una volta l’anno. A mezzogiorno il sole le avrà già calcinate. …” (da Le rose di Atacama di Luis Sepulveda).

* Conflitto del 1879-83 tra Cile da una parte e Perù e Bolivia dall’altra per il possesso di territori ricchi di minerali. In questo conflitto la Bolivia perse l’accesso la mare.

Non siamo stati tanto fortunati da poter assistere alla fioritura di quelle “speciali rose”, ma qualcosa doveva essere successo perché alcune zone erano coperte da un tappeto di fiorellini rossissimi, altre invece da lontano sembravano praterie mentre da vicino erano ricoperte soltanto da una rada peluria verde A dominare la scena il vulcano Licancabur, 5916 metri, il più bello, il più regale, ripido e scostante. Alla fine della discesa, San Pedro de Atacama, oasi e frontiera. Prima di entrare in paese si deve passare per la dogana. Un controllo vero, totale. E’ stato visionato tutto, bagaglio comune e bagaglio personale, la macchina è stata svuotata completamente ed ispezionata in ogni sua parte, e per ultimo una bella disinfettata esterna.

I doganieri oltre a cercare accuratamente eventuale droga (le foglie di coca sono facilmente reperibili in Bolivia e vengono usate regolarmente dai locali per sopportare meglio le fatiche, la quota e vincere il senso di fame), non consentono l’importazione di carne, formaggi e verdura. Alla fine dei controlli abbiamo dovuto rinunciare a patate e cipolle avanzi delle preziose scorte per l’altopiano boliviano.

SAN PEDRO DE ATACAMA era piena di turisti, e dopo l’isolamento dei giorni precedenti questo frastornava un po’. In pochi anni la piccola oasi sta “pericolosamente” diventando un importante centro turistico per le tante attrattive della zona. Ci sono già molti negozi, ristoranti, case di cambio, alberghetti, agenzie di viaggio, oltre a progetti di nuove costruzioni che potrebbero cambiare il volto ad un paese ancora molto tipico, ben integrato nell’ambiente, costruito tutto in mattoni crudi intonacati con terra rossa. Le strade sono strette e sterrate (l’asfalto finisce proprio all’ingresso della città). Una volta fatte le visite di rito – chiesa e museo – ci si trova a girovagare senza meta per godere del verde e della serena atmosfera dell’oasi che viene protetta e contesa al deserto per mezzo di muri di argilla, siepi spinose e filari di alberi, ma nonostante gli sforzi è facile vedere steccati e vegetazione coperti da mucchi di sabbia. La piazza principale è alberata e circondata da edifici e da portici. Alcune di queste case sono tra le più vecchie del villaggio con caratteristiche porte incaiche a forma trapezoidale. Anche la Chiesa di San Pedro del XVII secolo è molto interessante. Costruita nelle forme e con i sistemi tradizionali è circondata da un massiccio muro di cinta. L’interno è a navata singola con vari altari, il tetto è sostenuto da grossi travi contorti e legno di cactus cardon e ricoperto di argilla. In queste chiese stupiscono particolarmente le statue dei santi che sono sempre riccamente vestite.

L’altra visita da fare è il Museo Archeologico Le Paige dove è sintetizzata la storia della regione. Moltissimi reperti legati alle vicende umane, dal paleolitico, alle influenze delle culture tiwanaku e inca, fino alla conquista degli spagnoli: punte di frecce, monili d’oro, tecniche e attrezzatura per l’inalazione di allucinogeni, le belle ceramiche nere della cultura di San Pedro, la ricostruzione di una tomba, mummie e crani deformati in segno di prestigio sociale, per arrivare alle campane, alle spade e ai libri dei colonizzatori spagnoli. Ma ci sono anche le sale dedicate alla geologia, all’ambiente, alla vegetazione, alla fauna.

E scopriamo che nel 3500 a. C. Inizia l’allevamento del lama, che viene utilizzato anche per il trasporto. Da allora fino ad oggi questo animale è un simbolo e certamente sostegno dell’economia andina, una presenza costante sia negli antichi graffiti che nelle pitture rupestri di tutta l’area, sia nei negozi e mercati dove di possono acquistare caldi e soffici maglioni, berretti, guanti, calzettoni, poncho nei classici colori naturali. Ancora lama nelle cartoline e nei pannelli ricordo di legno o di lana. Ne è pieno il paesaggio dove lo si vede pascolare in piccoli gruppi e viene utilizzato anche come elemento folcloristico nei vari siti visitabili. Un giro al ricco mercato artigianale per l’acquisto di un ricordo possibilmente piccolo, infrangibile e leggero conclude la visita. E’ ora di uscire dalle piacevolezze di San Pedro e affrontare i desertici dintorni dovuti alla barriera dei monti che blocca le perturbazioni oceaniche per cui questa terra resta incredibilmente arida, ma ricca di minerali e di spettacolari forme erosive.

A pochi chilometri c’è CALAMA, nel bel mezzo della piana, ben altra cosa da San Pedro. La città, rigorosamente impostata sulla perpendicolarità delle strade, è nata e vive in funzione della miniera di CHUQUICAMATA, la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo. Un camion trasporta gigantesche ruote per gli altrettanto giganteschi camion in servizio alla miniera. Molte le macchine parcheggiate. E’ domenica e non c’è movimento, caldo e polvere, cani che vagano senza meta. Fuori dal compatto nucleo di case solo cespugli stecchiti. Sembra una condizione di vita assurda, compensata però da buone paghe, tanto che poter lavorare qui per molti cileni è un sogno.

Ma lo spettacolo è dietro l’angolo, ci stiamo già arrampicando nella CORDILLERA DE SAL verso la VALLE DELLA LUNA, una zona di straordinari effetti erosivi dovuti al vento e alla forza abrasiva della sabbia. Lo scenario cambia ad ogni curva. Il momento migliore è il tramonto per i giochi di luce e le intense colorazioni che prendono le profonde forre, i torrioni e i ripidi pendii. Un paesaggio lunare, arido, cosparso di buchi, costruzioni rocciose e dune di sale. La relativa vicinanza ai centri abitati fa sottovalutare le necessità e i problemi e ci capita di incontrare dei turisti in difficoltà: alcuni con la macchina in ebollizione; altri in bicicletta, senza acqua e assetatissimi, chiedevano indicazioni e consigli.

A TULOR, in pieno deserto, c’è uno degli insediamenti più antichi del Cile. Era un villaggio di capanne circolari di fango di cui restano solo le fondamenta. Per ricreare l’ambiente ne sono state ricostruite un paio, l’interno è freschissimo e ombroso, un vero ristoro al gran caldo e all’incredibile riverbero esterno. Infatti siamo nel bel mezzo del Salar de Atacama una enorme depressione salina di 3000 km2 intervallata da rugosità, croste di sale, aree steppiche, rari tamarugos (alberi adatti a suoli salini) e stagni, tra cui la laguna Chaxa, una zona protetta, ricca di uccelli tra cui una importante colonia di fenicotteri rosa.

E poi arriva il giorno della levataccia. I geyser del TATIO vanno visti all’alba! Partiamo alle 4 di mattina. 100 km tortuosi e sconnessi. Sonno e freddo. Il thermos di the caldo viene svuotato subito. Per paura di arrivare tardi siamo i primi sulla strada, ad ogni bivio l’incertezza della scelta ma in fine con un buon anticipo sul sole arriviamo sui 4300 mt del TATIO. I fanali illuminano dei vapori. Il freddo è veramente intenso e c’è chi preferisce rimanere nel vago tepore dell’auto. Fuori comincia a schiarire, le fumarole sono sempre più evidenti e ora si comincia a capire cosa fossero quegli strani rumori. E’ tutto un fermento di bolle, soffi di vapore continui o alterni, sottili fischi e soffusi barbottii. Il terreno è tutto un buco e guardando in giro si può rischiare di finire in qualche pentolone di fango bollente. Dopo che il sole sorge forse l’atmosfera ne perde un po’, ma finalmente fa un po’ caldo e la luce colora i muschi e le straordinarie colorazioni delle erbe.

Con questo spettacolare paesaggio alle spalle ci dirigiamo verso un nuovo territorio, verso CASPANA e CHIU CHIU, paesetti sperduti in un panorama ampio e bellissimo, dove le distanze sono sempre immense, brulle e disabitate, ma poi basta un piccolo ruscello ed ecco erba, coltivazioni, animali, case, vita. I paesetti sono particolarmente attivi, oggi è un giorno di festa e stanno preparando la processione. Donne e bambini salgono verso la chiesa portando fiori e cibo. Sono particolarmente felici. Ci scambiamo sorridenti saluti.

Ormai abbiamo esaurito il nostro tempo e ripartiamo. Ma anche il periodo cileno e quasi scaduto, ci resta da vedere la LAGUNA MISCANTI dove con grande dispiacere scopriamo che l’ipotetico rifugio era disabitato e chiuso a chiave. Una corona di colline verde salvia racchiude il lago dello stesso meraviglioso blu del cielo. Una volpe trotterella in riva al lago nella speranza di cibo. Stavolta nulla e se ne va, scomparendo tra le erbe del monte. In effetti il cibo non manca ma è ben protetto, infatti un buon numero di uccelli sta tranquillamente covando su imprendibili nidi galleggianti a buona distanza dalla riva. A malincuore dobbiamo lasciare questo paradiso diretti verso un alloggio che tarderà ad arrivare.

Un po’ incoscientemente e contando sulla nostra buena suerte continuiamo a bearci del paesaggio strepitoso con il tramonto che colora le erbe di giallo e le montagne di viola, trascurando il leggero guasto dell’auto, il vento furioso, l’oscurità incombente. Arrivati al PASSO SICO salta la speranza di un ricovero presso la caserma di confine. Proseguiamo nella bufera di vento ormai nella più totale oscurità e con la prospettiva di dormire ammucchiati nell’auto, ma poi ecco le luci del confine argentino e “colpo di scena” ci danno ospitalità proprio i doganieri. Letti, fuoco per cucinare, ambienti riscaldati e con la luce elettrica, un sogno in confronto ad una tormentata notte in tenda. Il giorno dopo sole, aria tiepida e nuovi orizzonti. Un po’ più giù SAN ANTONIO DEL COBRE 3900 mt, dove iniziamo a costeggiare la famosa e straordinaria opera ingegnieristica de “el tren a las nubes” (il treno verso le nuvole), una delle linee ferroviarie più alte del mondo che supera senza cremagliere più di 3000 metri di dislivello in 217 km ma con 21 tunnel, 29 ponti e 13 viadotti. Costruita, per le necessità minerarie, in 27 anni a partire dal 1921. Il simbolo di questa ferrovia è il viadotto la Polvorilla a 4200 mt di quota, alto 65 e lungo 224 mt. La Polvorilla è in una zona isolatissima ma c’è una casa, due bambini dagli occhi dolcissimi con un piccolo lama candido e un cane nero nero.

Infine la QUEBRADA DE TORO e il viaggio si chiude in bellezza in un tripudio di montagne colorate dalle forme ora sinuose ora aspre e nel “solito” cielo stupendamente blu. Via via che si scende, un cactus…Due…Tre e poi alberi e canti di uccelli. Pranziamo in riva ad un fiume in un posto che mi ricorda la strettoia del Brenta dopo Bassano. Ed è già casa.

Per ulteriori informazioni e/o contatti Maria Grazia Brusegan mariagrazia@arcam-mirano.It per vedere alcune foto www.Arcam-mirano.It rubrica “viaggi popoli culture”



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