Vedi Napoli e poi… Capri!

Week-end nel regno della mondanità partenopea: la mitica piazzetta, la villa di Tiberio e l’immancabile gita ai faraglioni
Syusy Blady, 01 Mar 2016
vedi napoli e poi... capri!
Quest’estate mi sono concessa due giorni di vacanza, dico due, a Capri. Visto che però in questo piccolo lasso di tempo sono successe parecchie cose, non incredibili ma sufficientemente “partenopee” da rimanere per me memorabili, devo iniziare il mio racconto già dal mio arrivo alla stazione, perché Napoli Centrale è già di per sé un luogo significativo e tutto da visitare.

Bastano pochi passi e ci si può addentrare, tra la confusione dei taxi e della gente, in quella che dovrà essere una modernissima piazza coperta che collegherà la stazione alla metropolitana – tra l’altro bellissima, che una volta ho preso per andare in centro – superarla e arrivare al bar Mexico, proprio di fronte alla stazione. Lì il caffè va assolutamente preso: un vero napoletano ne beve almeno cinque al giorno, c’è chi arriva a 10 e 15. Ma seguitemi nel racconto: adesso siete di fronte alla macchina San Marco del vero caffè napoletano, non a bottone ma a stantuffo, che sbuffa come una locomotiva. Il barista, o meglio il macchinista, fa gesti veloci e sicuri sfiatando il vapore, alzando la temperatura dell’acqua, manovrando a mano l’emissione lenta e la pressione dell’acqua calda che si deposita sulla polvere di caffè tostato, più sottile o più grosso a seconda del momento della giornata e della temperatura e umidità dell’aria. La miscela Passalacqua, mi dice Massimo (detto Mago) – che è di Salerno, abita e opera a Bologna e fa l’avvocato e il clown – è quella amata dai napoletani veraci. Adesso abbiamo davanti la tazzina di caffè: vi avranno chiesto se la preferite calda o fredda, senza dirvi che quella calda scotta e può bruciarvi le labbra. Se siete un vero napoletano prenderete col cucchiaino un po’ di caffè e ne cospargerete il bordo per raffreddarla, ma questa è una cosa da fare davanti al barista solo dopo aver provato più volte a casa per conto vostro. Potete sorseggiare il vostro caffè ora, senza dimenticare che prima si beve l’acqua che ti danno a parte e poi il caffè: guai bere l’acqua dopo come si fa al Nord! In più il nobile infuso va sorseggiato caldissimo e se si aspetta, per qualche disattenzione inammissibile (ma possibile), bisogna coprirlo con il piattino. Se aspetti troppo te lo rifanno d’ufficio. La distrazione è ammessa solo se, come nel mio caso, si è indecisi sul prendere la pastiera o il babà.

IL MERCATO E IL TAXI

Una volta fatto questo – e nel frattempo sono successe parecchie cose che vi hanno distratto – potrete riprendere il viaggio, ma a Napoli è difficile mantenere una precisa direzione o anche elaborare un’idea, perché si è distratti da mille cose che ti accadono tutt’attorno. Il motorino che ti sfiora, l’uomo che ti sussurra qualche parola o un qualsiasi evento che richiede un tuo giudizio e partecipazione: per questo, dice Massimo il Mago, è difficile concludere qualcosa. In ogni caso da lì si può girare l’angolo e trovarsi in un mercato tipo suk, con venditori “di tutto” e di diverse nazionalità: si può trovare dal bastoncino alla liquirizia o di legno per pulire i denti a qualche borsa cinese, passando per il kebab turco con qualcuno che magari può anche offrirvi un tiro di narghilè. Ho sperimentato questo accompagnata da due amici straordinariamente informati (Franco, napoletano antiquario, entusiasticamente capace di scovare situazioni partenopee, Massimo, non il mago ma un partenopeo a metà: mezzo napoletano e mezzo modenese), con cui ho preso il taxi perché bisognava andare a prendere il traghetto.

Traghetto che parte un po’ a tutte le ore e, proprio per questo, visto che è tempo di pranzare, abbiamo ascoltato il consiglio del taxista Raffaele, che ci ha proposto di passare in un ristorante-supermercato dove le eccellenze campane sono messe lì in bella mostra. Raffaele non solo ci accompagna, ma ci consiglia anche cosa mangiare. Il posto è molto moderno, ma i napoletani non si smentiscono mai, e riescono a creare un ambiente caloroso anche in un luogo dall’aspetto freddo e modernista. La pizza e il calzone napoletano comunque la fanno da padrone, assieme a tantissime altre specialità. Sotto al forno della pizza c’è scritto: “La pizza non è di nessuno in particolare, è il prodotto della sapienza e della capacità del popolo partenopeo”. Dopo questa lezione di vita, Raffaele, che ci ha aspettato, ci accompagna al porto per prendere il traghetto per Capri.

VERSO CAPRI: LONTANE RADICI PARTENOPEE

E qui parte la vacanza vera e propria: già prendere un traghetto bianco che si staglia sul mare e sul cielo azzurro dà subito una sensazione di ferie e di vacanza. La navigazione è breve, però già ti dà la possibilità di leggere il giornale, di guardare il bellissimo golfo che hai di fronte e di chiederti: “Cosa ci faccio io al Nord?!”. Sì, cosa ci faccio io al Nord Italia, per il clima intendo, quando l’Italia è anche questo. Quando c’è questo mare, “il mare che è la voce del mio cuore, è la voce dell’amore che ci fa cantare: i miei baci a te, i tuoi baci a me ce il porta il mare”. Così cantava Sergio Bruni, un cantante melodico che ricordo di aver visto in TV da piccola. Già: da piccola…

Il mio primo viaggio a Capri proprio sul traghetto l’ho fatto da bambina, quando con il babbo e la mamma (io avrò avuto sei anni, ma avevo un bellissimo cappello di paglia da diva che mi copriva parte della faccia) venimmo a Napoli a trovare gli zii napoletani, lo zio Ubaldo e la zia Carlotta e i cugini Oscar, Walter e Paola. Ebbene sì: ho dei cugini napoletani e quindi qualcosa di partenopeo – anche se indirettamente, visto che lo zio era bolognesissimo – c’è in me! Forse è stato quel viaggio a Capri che mi ha dato questa napoletanità che sento dentro: a sei anni mi sono accorta benissimo che lì c’era uno spirito particolare nelle persone e forse quello spirito è proprio nell’aria, una specie di pazzia fra virgolette che mi coinvolgeva invece di spaventarmi, anche se avevo ricevuto un’educazione “nordica”. Da sotto il mio bellissimo cappello di paglia da diva, a sei anni, guardavo quello stesso paesaggio che sto guardando in questo momento e anche allora mi sentivo esattamente come adesso: grata!

Il traghetto sta per arrivare in porto a Capri, mi ricordo di essere venuta qualche anno fa a intervistare una campionessa di nuoto in mare aperto. Abita qui e faceva tranquillamente Capri-Sorrento e ritorno a nuoto. Una vera sirena. Noto però proprio nel porto una ciminiera che butta fumo nero: cosa sarà, mi chiedo? Qualcuno sta cuocendo del pesce e lo sta bruciando? Ma questa invece è una vera e propria produzione di CO2 altamente inquinante. Mi spiegano che questa fabbrica serve per produrre l’energia elettrica sull’isola. Da qualche tempo, però, grazie alle insistenze dei più accorti abitanti di Capri, è arrivato il cavo dell’Enel da Napoli. Mi chiedo a cosa serva ancora questo bruttissimo biglietto da visita che crea inquinamento e anche grossi problemi di salute a chi abita proprio sopra la ciminiera.

Prendiamo la funicolare e c’è molta gente, potremmo anche prendere un taxi, magari in collettivo con altri per spendere meno, oppure l’autobus. Si arriva a Capri dove c’è la famosa piazzetta, che è ancora è piena di gente, con la chiesa, il campanile e poi una serie di viuzze che portano alla Capri più nascosta, quella tra le vie senza traffico che si devono percorrere tutte a piedi. Una specie di giusta punizione per chi ha il privilegio e l’avventura di fare le vacanze in questa bellissima isola. Il posto dove dobbiamo andare, però, non è facile da trovare, si deve camminare molto, arrampicarsi per le stradine in salita, ma la bellezza del luogo è tale che certo non si può definire una sofferenza. Forse un esercizio, forse uno scotto inevitabile se si vuole conquistare il paradiso.

FRA LE NUVOLE E LE VILLE DA… IMPERATORI

In paradiso ci stava anche l’imperatore romano Tiberio, che dalla sua villa Jovis, qui a Capri, governò l’impero per oltre 11 anni. Mica scemo, e poi senza neppure Internet! Appena sotto la domus imperiale c’è un’altra villa che per architettura non le è da meno: è la casa dei nostri amici, Stefano e Maria. Anche qui non ci sono parole per descrivere la gentilezza, i pranzi e le cene che abbiamo fatto con i frutti della terra locali, come d’abitudine per le persone che hanno l’orto accanto alla casa qui a Capri: pomodori, fichi, fiori di zucca, peperoni appena colti vicino a casa. Abitudini agricole accanto a una fasto imperiale. Imperiale perché questa residenza singolare – che è anche un B&B di pochissime camere – e persino un teatro! Da qui poi, grazie agli amici di Stefano, si può andare a fare un bagno ai faraglioni, ammirando e nel contempo criticando i grandi yacht esagerati che sfoggiano ogni tipo di gadget per il divertimento marino: moto d’acqua, complicati mulini la cui funzione mi sfugge e scivoli gonfiabili. Peccato che spesso a bordo sembra esserci solo l’equipaggio o un povero bambino viziato costretto a godersi tutti questi giocattoli da solo.

GODERSI L’ISOLA? BASTA UNA BARCHETTA…

Noi italiani, e soprattutto i capresi, sappiamo che la vera vacanza è fatta di cose ben più semplici: basta una barchina per non dovere fare parecchi chilometri a piedi con un su e giù che può anche distruggere le ginocchia di chi ha i menischi deboli. Con una barca, magari un gozzo come nel nostro caso, si possono andare a vedere le grotte e fare il giro dell’isola. Con un’imbarcazione abbastanza piccola si può anche passare sotto l’arco dei faraglioni, ed è un momento meraviglioso. E poi ammirare la villa di Curzio Malaparte costruita su un costone dell’isola, villa che si dice che Malaparte avesse regalato ai cinesi, ma questa sua volontà credo non sia stata rispettata. Si può vedere la scalinata fatta costruire da Krupp, quello delle acciaierie che pagò la guerra a Hitler. Da certi scorci si possono vedere però anche le case dove vissero per un po’ Lenin, Andy Warhol, Joseph Boys. Già perché Capri non è stata solo meta della dolcevita: a Capri sono venuti veramente tutti, anche Totò e Fantozzi. Quello che però ho capito di Capri e che qui è rimasto sempre uno zoccolo duro di abitanti storici, i cui genitori o avi avevano terra e vivevano di agricoltura. Dalle foto dei primi fotografi inglesi o tedeschi che immortalavano i bei capresi come Dei dell’Olimpo, o nei dipinti di Alma Tadema, si capisce come questo posto sia poi stato colonizzato da artisti, da ricchi e da divi, ma mi sembra che le persone che veramente gestiscono l’isola, siano ancora gli isolani originari di Capri. Negli anni 70 ci furono poi tanti intellettuali che passavano di qui, magari più propensi a sottoporsi alla sofferenza di marce forzate verso il mare e di tuffi dagli scogli.

Il secondo giorno, Franco decide che bisogna andare ad Anacapri, prendendo l’autobus. Lo sport preferito di chi li guida è… fare il pelo all’altro autobus che arriva dalla parte opposta e avvicinarsi pericolosamente all’estremo limite della strada che dà sul precipizio. Tutto questo ha però il privilegio di offrirti una visione unica del panorama. E a quel punto i turisti sull’autobus urlano come se fossero su una giostra! Nell’autobus, Franco si mette anche a cantare una canzone napoletana e alla fine tutti applaudono. Si scende e Massimo propone di andare sul Monte Solaro con la seggiovia. Così mi trovo improvvisamente su un seggiolino che sale vertiginosamente, donandomi una visione aerea strepitosa su tutta l’isola! Un vero e proprio volo, una visione incredibile da lassù, con – a fare da quinta – una statua di Tiberio che guarda verso i faraglioni. Mi dicono essere vera, ma mi permetto di dubitare: si tratta di una copia di quella ritrovata qui e che ora si trova al Louvre.

Basta, finito, questa è stata la mia vacanza di due giorni a Capri. Vi auguro di passarci più tempo e lo stesso vorrei fare io la prossima volta. Ma anche due giorni bastano, meglio che niente!

Syusy