Canada: natura, animali e..

Canada (Ontario e Québec) dal 3 al 24 agosto 2008. E' stato un viaggio lungo, ma davvero straordinario. Il merito va certamente a queste distese immense, tutte diverse tra loro, che amplificano il senso di libertà di chi le percorre per oltre 4000 km. 3 AGOSTO Ho fatto la valigia venerdì sera. Ormai sono veloce... Mi sono bastate poche ore....
Scritto da: Vladislav
canada: natura, animali e..
Partenza il: 03/08/2008
Ritorno il: 24/08/2008
Viaggiatori: in coppia
Canada (Ontario e Québec) dal 3 al 24 agosto 2008.

E’ stato un viaggio lungo, ma davvero straordinario. Il merito va certamente a queste distese immense, tutte diverse tra loro, che amplificano il senso di libertà di chi le percorre per oltre 4000 km.

3 AGOSTO Ho fatto la valigia venerdì sera. Ormai sono veloce… Mi sono bastate poche ore. L’ho chiusa sabato mattina e domenica, prima di partire, mi è venuto un dubbio: ” cavolo, non ho messo niente in borsa… Che se ce la perdono…”.

“Tranquilla -mi ha rassicurata SuperTechMan-, tanto abbiamo fatto l’assicurazione”.

Lì per lì non ho pensato che di domenica sera, a Toronto, quando i negozi alle 18 hanno già chiuso, soprattutto alla vigilia della Ontario Civic Holiday, difficilmente con il solo foglio dell’assicurazione mi sarei potuta lavare i denti.

Siamo partiti da Milano questa mattina, 3 agosto, con volo Alitalia delle 9.30 da Linate, direzione Roma Fiumicino.

Al desk Alitalia SuperTechMan mi batte sul tempo e chiede alla signorina se ci può imbarcare il bagaglio fino a Toronto… Ho urlato un “nnnnooooo”, a denti stretti, mentre la signorina ha guardato attonita prima me, poi SuperTechMan, e mentre il codice a barre usciva dalla macchinetta per essere appiccicato sul bagaglio, mio marito mi guardava stranito, come per dire “eddaaaiii… Sembra che sia la prima volta che viaggi… E poi c’è sempre l’assicurazione!!”.

Non so… Qualcosa mi diceva che quella valigia avrebbe dovuto rifare con noi il check-in a Roma, al banco dell’Air Canada, dove ci presentiamo con giusto anticipo, per sentirci dire che il volo al momento era in overbooking, ma che comunque ci avrebbero fatti salire (noi sì… Ma la valigia no, evidentemente!).

Dopo 8 ore e mezza di volo, che forse sono state 9 o forse anche di più, mettiamo piede sul suolo canadese. “Dobbiamo andare al baggage claim”, dico io… “No, lo sai che non ti danno la valigia finché non hai passato la dogana”, mi ricorda SuperTechMan. Il punto è che non me l’hanno data neanche dopo.

Abbiamo atteso diligenti al nastro su cui era scritto il numero del nostro volo, invano. Al desk dell’Air Canada, una signora, dopo aver controllato il codice, si è detta molto dispiaciuta, in quanto la mia valigia sarebbe arrivata l’indomani e ci sarebbe stata recapitata all’albergo in serata o la mattina del giorno dopo al più tardi.

4 AGOSTO Oggi il programma prevedeva un tour organizzato alle Cascate del Niagara.

Ora… Sono un’americanata pazzesca. Due sipari di acqua abbastanza larghi, che cadendo dal lago Eire nel lago Ontario fanno un sacco di schizzi, che non si vede quasi nulla. Non sono alte, come ci si aspetterebbe, ma anzi, sono piuttosto modeste.

Tuttavia, la crociera (pure questa molto American style) sul Maid of the Mist, il battello che ti porta fin sotto ciascuna delle cascate (una statunitense, l’altra, a ferro di cavallo, canadese), va fatta indispensabilmente, non fosse altro che per indossare l’impermeabile blu da portare a casa come ricordo e per scattare qualche foto da un punto di vista privilegiato.

Avevamo prenotato il tour online perché come primo giorno non volevamo metterci alla guida e siccome il sito prometteva che era sufficiente dare i propri riferimenti senza pagare, saldando poi a tour effettuato, ho fatto prima una prova come “lamorachevola” e, una volta confermato che funzionava, ho prenotato a nome di SuperTechMan. Purtroppo ho però dimenticato di cancellare la prenotazione de “lamorachevola” e quando l’omino è venuto a prenderci all’hotel, dopo aver individuato SuperTechman, ha iniziato a cercarmi. Non ho risposto all’appello, per paura che mi fosse richiesto un ulteriore pagamento, oltre a quello insieme a SuperTechMan. Risultato: il pulmino è partito dal nostro hotel con mezzora di ritardo perché “lamorachevola” non si trovava, con buona pace di chi era già sul pulman (una famiglia italiana) e di SuperTechMan, che mi guardava con disappunto! L’omino era molto arrabbiato e dopo aver preso su tutti coloro che si erano prenotati in altri hotel della città, è tornato al nostro a cercare di nuovo “lamorachevola”, che temeva fosse solo in ritardo. SuperTechMan scuoteva la testa in segno di disapprovazione e io mi sono sentita un po’ in colpa, anche se faticavo a trattenere il sorriso.

Una volta partiti (finalmente), abbiamo fatto sosta a una fabbrica di cioccolato dove, dopo aver ascoltato la storia della signora Monique, la titolare, abbiamo potuto assaggiare una serie di praline e cioccolatini niente male, che però ci hanno assetati tremendamente. Seconda tappa, la Cantina Pillitteri (assaggio di vini rossi e bianchi canadesi doc… Non ci hanno fatto provare però il famoso “Iced Wine”!)… Dopo il cioccolato, ci stava a pennello. Infine, prima di arrivare alle Niagara Falls, tappa a Niagara on the Lake, un paesello dell’Ottocento che in ogni abitazione ha ricavato un esercizio commerciale (immaginate un nostro outlet!). Immancabile l’acquisto dello squisito Sciroppo d’Acero canadese.

5 AGOSTO Anziché partire alla volta di Kingston e Gananoque, oggi siamo rimasti a Toronto, prenotando una notte in più nell’albergo in cui già alloggiavamo, in attesa della nostra valigia.

Dopo aver visto dall’alto Fort York, la ricostruzione di un forte inglese, molto simile a quelli popolati dai soldatini dell’infanzia di molti ragazzini, siamo andati sulla CN Tower, l’edificio più alto del mondo (553 metri), perché la vista dall’alto rientra tra le attrazioni della città.

Considerando che la cosa che più caratterizza lo skyline di Toronto è la torre, e che dall’alto della stessa, la torre chiaramente non si vede, lo skyline da lassù risulta abbastanza spoglio: grattacieli anonimi, tetti, e il lago Ontario con le sue isole. Carino, ma certamente non meritevole dell’attesa: siamo entrati nella torre attorno alle 10 e siamo usciti alle 15! Non ci bastava infatti la vista panoramica al primo livello (un’ora e mezza di attesa per salire sull’ascensore!)… No! Noi si doveva andare anche al secondo livello (un’altra oretta) ed entrare nella zona in cui una parte del pavimento è di vetro e sembra di star sospesi nel vuoto (foto di rito!).

Siamo usciti esausti, con un male alle gambe pazzesco.

Non paghi di ciò, ci siamo portati fino al lungolago, dove però ci siamo spalmati sulla prima panchina libera, finché un signore che non sembrava propriamente “in centro” ci guarda e, segnando il cielo, ci dice: “it’s coming through… I feel it!”.

SuperTechMan: “figurati se viene il temporale… I rumori che sente sono quelli delle barche… Certo che di sciroccati ce ne sono in giro anche qui!” Appena finita la frase ha iniziato a diluviare! Così, di punto in bianco! Abbiamo trovato un rifugio di fortuna sotto la tangenziale sopraelevata, dove siamo rimasti per circa un’ora e mezza a respirare smog e ad assistere al progressivo allagamento della città, oltre che a diversi esempi di pragmatismo canadese: famiglie intere che camminavano senza ombrelli né impermeabili sotto una pioggia battente che non dava tregua, con un vento che ti entrava nelle ossa e, immagino, congelava genitori e ragazzini zuppi d’acqua, che talora si toglievano le scarpe per attraversare le pozzanghere più profonde, come fossero assolutamente abituati ad acquazzoni di questa portata.

Da domani, prima di uscire dall’hotel, ci sintonizzeremo ogni giorno sul meteo! PS: oggi è arrivata la valigia!!! 6 AGOSTO Sono nella hall del Metropolitan Hotel (108, Chestnut Street, Toronto). Abbiamo fatto il check out e mentre io sono parcheggiata qui con i bagagli, SuperTechMan è andato a Union Station a ritirare l’auto prenotata online con Hertz. Avremmo dovuto ritirarla ieri, ma abbiamo chiesto alla signorina dell’autonoleggio se potevamo posticipare di un giorno, visto che rimanevamo in città. Permesso accordato: la prenotazione ha validità 24 ore. In questo modo abbiamo evitato di pagare il parcheggio per un giorno intero. Le tariffe qui non sono propriamente economiche: 2 dollari e mezzo, 3 in certi quartieri, ogni mezzora! (1 dollaro canadese = 0,55/0,60 euro).

Digressione Gastronomica Un amico che ha vissuto a Toronto per 3 anni, ha definito questa città “buona”, più che bella. E in effetti, approfittando di un’altra coppia di amici che vive qui e che abbiamo incontrato in queste sere, siamo andati a cena in due locali davvero meritevoli di segnalazione.

THE REX Ristorante dal sapore un po’ retrò, tipicamente americano (anche nelle porzioni!), dove suonano musica jazz e blues dal vivo. SuperTechMan ha preso un hamburger gigante con patatine e insalata, mentre la sottoscritta ha provato una bistecca di brontosauro (per le dimensioni!) con patatine e greek salad. Il dessert consisteva in una cremosissima cheesecake con biscotti al cioccolato per me (dopo due cucchiaini ero già sazia!) e una classica cheesecake per SuperTechMan, che dopo aver mangiato la sua, si è spazzolato anche quanto avanzava della mia! JERUSALEM Prima volta in assoluto, sia per me che per SuperTechMan, che si provava la cucina ebraica/kosher.

Abbiamo mangiato l’hummos, una crema di ceci, tahini e limone, dal sapore molto particolare, accompagnato con carni di agnello e manzo condite ai pinoli, e pita (che noi chiameremmo piadina o forse tigella… Un pane non lievitato a metà strada tra le due: grande come una piadina, spesso come una tigella). Oltre a spiedini di verdure e melanzane fritte, tra i contorni c’era anche il riso al burro. Solo che il burro qui è quello dal tipico profumo che oggigiorno si sente spesso nei cinema italiani: il sapore del riso era gradevole… Giusto che una volta inghiottito, sembrava di aver mangiato i popcorn. Per il dolce, una baklava a SuperTechMan e un budino al latte di mandorla per me.

Qui, inoltre, spopola PIZZAPIZZA, una catena di pizzerie al taglio, tipo PizzaHut o il nostro Spizzico, dove la pasta della pizza è croccante, ma il resto è davvero mediocre. Va bene per uno spuntino di metà pomeriggio, ma solo per dire di averlo provato e sentire per un po’ la pancia piena.

7 AGOSTO Dopo aver lasciato Toronto, abbiamo fatto tappa a Kingston, l’antica capitale del Canada, una città piccolina, carina, con diversi edifici in pietra molto belli, un municipio imponente e graziose costruzioni in mattoni rossi. Da qui abbiamo effettuato una crociera verso le Mille Isole (Thousand Islands) del Lago Ontario.

La parte iniziale del viaggio non è molto emozionante: ci si scotta con il sole e si vedono Fort Henry e il Collegio Militare di Kingston. Ma è al largo che il moto di invidia si fa bruciante. Quando si gira attorno a isolotti grandi come una casa con giardino, su cui, appunto, un fortunato proprietario ha costruito una casa con giardino!!! (ce n’è una rossa che si chiama “I love you” e quando la si avvicina occorre dire tre volte “I love you” alla persona amata!) Al termine della crociera, che SuperTechMan ha riassunto con un sonoro “li mort…” romanesco, abbiamo cenato da Stoney’s (dove ho preso una trota arcobaleno dell’Idaho… Vabbè…) e dormito all’Holiday Inn (pagando uno sproposito, pur rinunciando alla “stanza dalla magnifica vista sul lago”, che chiaramente di notte non avremmo potuto apprezzare appieno!).

8 AGOSTO Oggi siamo partiti per Ottawa, la capitale.

Ottawa è un centro amministrativo, pieno di palazzoni di vetro e le sole attrattive turistiche sono sulla Parliament Hill, dove l’edificio del Parlamento e quelli circostanti, con i loro tetti a punta, danno un tocco molto francese alla zona in cui sorgono. Carino anche il Rideau Canal, un canale regolato da una serie di dighe a gradoni, che con ingegneria idraulica e olio di gomito permettono alle navi che lo percorrono di entrare nell’Ottawa River.

Così come al Colosseo ci sono le “gattare” che si occupano dei gatti randagi, sulla Parliament Hill ci sono i “procionari”, che si occupano dei procioni girovaghi… Animaletti stupendi, con una mascherina di pelo nero disegnata sugli occhi, che mangiano a 4 mani! 9 AGOSTO Dopo Ottawa, una delle mete più attese: il Parc Oméga di Montebello.

Una riserva naturale all’interno della quale si può effettuare un safari a bordo delle proprie autovetture, incontrando gli animali a distanza ravvicinata.

E mentre SuperTechMan interloquiva in romanesco con i cervi (vedi video sopra), io ammiravo gli orsi… E mi sorprendevo di quanto gli alberi possano essere resistenti! 10 AGOSTO La meta finale della tratta di ieri era Montréal, che la guida Lonely definisce “la città più gay del Canada”.

Montréal è una città che incontra il gusto degli europei, per la somiglianza con le città del vecchio continente: c’è la città vecchia, tutta stradine e negozietti, il quartiere latino con ristoranti per tutti i gusti e un centro città più commerciale e amministrativo con negozi grandi marche e grattacieli.

Ci sono anche una chiesa che si chiama Notre Dame e che è molto simile a Notre Dame di Parigi, e un’altra chiesa, la cattedrale Marie Reine du Monde, che assomiglia moltissimo a San Pietro. C’è il porto, sul San Lorenzo, e un parco gigantesco, sul Mont Royal, la collina che sovrasta la città, inclusa l’isola all’interno della quale si sviluppa il centro.

Il traffico è delirante: frenetico come a Milano, incasinato come a Roma. La popolazione è bilingue, con netta predilezione per il francese. Finalmente riprendo a parlarlo! La sera del nostro arrivo siamo andati in perlustrazione. Metro fino a Place d’Armes, vicinissima a Notre Dame, passeggiata fino al Municipio, di fronte a Place Jacques Cartier. La piazza è decisamente il prototipo del luogo turistico in cui non ci si dovrebbe mai fermare né ad acquistare, né tantomeno a mangiare, ma ormai era tardi e le nuvole incombenti non promettevano nulla di buono. Così, spinto dalla voglia di cucina musulmana, SuperTechMan sbircia il menù esposto di fronte al ristorante Kasbah, nota il cous cous e decide di mangiare lì. Il cous cous purtroppo non c’era e con lui, a dispetto del nome del locale, non c’era neppure alcun altro cibo orientale. Abbiamo quindi scelto altro e abbiamo mangiato ascoltando una suggestiva colonna sonora cantata, nell’ordine, da Patty Pravo, Al Bano, Pupo e Nicola di Bari. Scappati di lì a gambe levate, ci siamo fiondati in un negozio di souvenirs per acquistare un magnetino a forma di bandiera canadese e, saputo che siamo italiani, la signorina ci ha chiesto per quale motivo fossimo arrivati a Montréal, visto il freddo che fa da queste parti… In effetti la domanda aveva un senso.

Oggi tour alla scoperta della città. Abbiamo acquistato lo sciroppo d’acero vero, quello dell’unica marca che sia degna di distribuire questo nettare divino. Si chiama Les Délices de l’Erable e realizza il solo sciroppo d’acero bio in commercio. L’avevamo provato da amici intenditori e dobbiamo convenire che proprio non ha paragoni. Della stessa marca ci siamo presi anche il tè (provato sempre dagli stessi amici) e lo zucchero granulato. Il gelato e la mousse consumati in loco lasciano senza parole! Abbiamo pranzato in un locale su Rue Saint Paul specializzato in crèpes e fondute (Chez Suzette) e nel pomeriggio abbiamo preso un taxi per raggiungere il Mont Royal. La taxista non aveva idea di dove fosse il luogo che avevamo chiesto di vedere, ma per tutta risposta ci ha condotti a due belvedere che davvero meritavano una visita. Passeggiando per Rue Sainte Catherine, poi, siamo entrati in un negozio di occhiali. SuperTechMan ha comprato il nuovo modello Oakley polarizzato e al momento del pagamento il commesso ci ha chiesto: “Siete polacchi, di dove??”. Pensando a Kripstak e Petrektek, di Zelig, la tentazione di inventare il nome di una città inesistente piena di consonanti è stata grande, ma mi sono trattenuta.

Cena al Quartiere Latino, alla Casa Galicia (ristorante spagnolo), dove le tapas erano squisite, ma la paella di verdure, meno. SuperTechMan sperava di trovare l’horchata de chufa tra i dessert, ma niente da fare.

Infine ora siamo in camera e sopra di noi qualcuno sta facendo baldoria al ritmo supergiovane di qualche unz unz unz tunz tunz tunz contemporaneo. Se riusciamo a dormire, domani partiamo per Trois Rivières.

12 AGOSTO Lasciata Montréal, in città sono scoppiati tumulti che hanno portato all’uccisione di un immigrato ispanico da parte della polizia, scatenando ancor di più l’ira dei dimostranti contro le forze dell’ordine. Quando siamo partiti da Toronto, qualche giorno fa, abbiamo poi letto che in città è scoppiata una raffineria e hanno arrestato un latitante mafioso italiano.

Oggi abbiamo lasciato Trois Rivières, dove abbiamo soggiornato una notte. Speriamo non succeda niente.

Trois Rivières è una località amena, nel mezzo del niente, tra Montréal e Québec City. Uno scalo tecnico, si direbbe. Senonché trattasi di cittadina che si fa rispettare: ha un sacco di musei, che però chiudono troppo presto. Sulla Lonely si parlava benissimo del museo della Prigione e dell’adiacente museo del Folklore e della Civiltà del Québec, ma purtroppo non abbiamo fatto in tempo a vederli. Abbiamo invece privilegiato una sosta alle Forges du Saint Maurice, praticamente il primo insediamento dell’industria metallurgica canadese -dove per fare una foto mi sono spinta oltre e ho fatto scattare l’allarme- (sito davvero ben strutturato, a 7 km da Trois Rivières) e al Santuario di Notre Dame du Cap (4 km dalla cittadina). In città c’è una cattedrale di spirito un po’ franco-gotico che merita una foto, ma soprattutto è sorprendente vedere come anche un centro minore, qui in Canada, sia sempre estremamente vitale. Non c’era bar, ai cui tavoli non fosse seduto qualcuno.

A Trois Rivières abbiamo avuto un piccolo problema tecnico: due delle nostre tre carte di credito hanno dato errore al terminale dell’hotel. Fortunatamente la terza ha “retto”, ma questo inconveniente ci ha indotto a contattare immediatamente (con i dovuti accorgimenti dettati dal fuso) con le nostre banche. Purtroppo il collegamento web era gratuito solo nella hall dell’albergo, cosa che non ci ha agevolati. Abbiamo dunque cercato di chiamare e mandare email di corsa, il che si è tradotto in una serie di comunicazioni burocratiche, tipo “mi mandi un fax”, o “compili il modulo online”, o ancora “il servizio è attivo dalle 17 alle 19”. L’emergenza non è ancora rientrata, anche se il prelievo di contante per ora sta ancora funzionando, ma a SuperTechMan, che dal suo mondo “super-avanti” non tollera la lentezza burocratica italiana e men che meno concepisce l’uso del web a pagamento, è venuto un gran mal di testa.

Fortunatamente con la carta sopravvissuta sono riuscita a prenotare l’hotel per la nostra tappa successiva: Sainte Anne de Beaupré. Doveva essere Québec City, ma siccome non abbiamo trovato stanze che costassero meno di 120 euro a notte, abbiamo optato per un motel fuori città.

Ora… Fuori è senz’altro fuori, però è in una delle località che la Lonely suggeriva di visitare, per via di una Basilica particolarmente meritevole. Morale: il motel è fighissimo. Ci hanno dato una “suite”, come la chiamano qui, con soggiorno, angolo cottura e televisore LCD a 40 pollici, che, insieme alla possibilità di collegarsi gratuitamente a internet, ha parzialmente alleviato le sofferenze di SuperTechMan.

In compenso, dalla Basilica si stanno levando cori di “Ave Maria”, che accompagnano una processione piena di lumini.

Domani è un altro giorno…

APPUNTI DI VIAGGIO: La guida non menzionava quella che a mio parere è stata invece la parte più bella del percorso di oggi: il “Chemin du Roy”, ovvero la prima strada che unì Montréal a Québec City. E’ un percorso meraviglioso, pieno di villette graziosissime… Avete presente la canzone che fa: “Volevo una casetta piccolina in Canadààà, con tante finestrelle e tanti fiori di lillààààà”… ? Ecco… Proprio tali e quali. Uno spettacolo da non perdere! Superata Québec City, invece, una sosta va fatta al Parc de la Chute du Montmorency: cascate che per portata non competono certo con quelle del Niagara, però sono 30 metri più alte di quelle più famose e possono essere vissute un po’ di più, perché si può salire su un ponte sospeso e vederle dall’alto, oppure avvicinarsi alla base, fino a toccarle.

14 AGOSTO Esiste un videogioco che richiede grande abilità.

Con una pistola virtuale in mano, bisogna mirare allo schermo della macchinetta e colpire i cani delle praterie.

Il cane della prateria è un animaletto che scava buche nel terreno, senza apparente motivo, esce con la testa per una frazione di secondo a vedere chi passa, e subito si ritira nella tana da cui è sbucato. E’ un animaletto piccino, velocissimo e dello stesso colore della terra da cui emerge. Colpire il cane della prateria con la pistola virtuale su uno schermo da videogiochi è impresa molto ardua. Ma ogni colpo regala mille punti.

Ecco. Oggi ho cercato di totalizzare quanti più punti possibili con la macchina fotografica, scattando rapidissime foto all’indirizzo di cani della prateria che sbucavano, mentre noi si passava, durante il Safari allo Zoo Sauvage di Saint Félicien. Colpito! A dispetto del nome, lo Zoo Sauvage non è quello che in Italia definiremmo uno zoo. Qui hanno preso una collina, l’hanno recintata lasciando all’interno tutti gli animali che ci vivevano, dopo di che hanno detto “Signori, se volete entrare, accomodatevi, ma questa è casa loro…”. Allo Zoo Sauvage si segue prima un percorso a piedi su passerelle da cui si vedono i macachi del Giappone, gli stambecchi, la gru canadese, il castoro, il porcospino, la lince, il coguaro (che non abbiamo visto), le foche… Quindi si entra nella voliera dei rapaci, dove occorre rimanere immobili qualora un’aquila, per esempio, ci voli troppo vicino, e infine si sale su un trenino blindato per entrare nella zona in cui vivono gli animali più feroci. In pratica, i visitatori sono messi in gabbia e si aggirano tra gli animali selvatici. Un’emozione fortissima. Tre, soprattutto, le ragioni per venire fin qui (luogo a oltre 300 km a nord di Sainte Anne de Beaupré, lontano dai più battuti percorsi turistici e non menzionato dalla Lonely): Rispettivamente: orso bruno americano, orso bianco e grizzly.

Sono meravigliosi! APPUNTI DI VIAGGIO: A causa del ritardo nel recapito della valigia a Toronto, abbiamo dovuto modificare il nostro itinerario. Dormire a Saint Félicien e da lì scendere a Tadoussac per imbarcarci in cerca di balene diventava complicato, perché occorreva mettere in conto un pernotto a Tadoussac, visto che i collegamenti tra le due rive del fiume avvengono solo in certi orari e da località stabilite. Quindi da Sainte Anne de Beaupré abbiamo scelto di fare andata-ritorno sia per Saint Félicien, sia per Tadoussac. Questo ci costerà un po’ di più in benzina (che qui è a 1.234 dollari; 1 dollaro=0,633 euro), ma ci consentirà di avere minori difficoltà nel raggiungere Rimouski, sulla riva meridionale del San Lorenzo, nostra prossima tappa.

Come detto, Saint Félicien è a oltre 300 km da Sainte Anne de Beaupré. Il percorso è tra le tipiche strade del Québec: salite vertiginose e discese altrettanto ripide, che ti fanno acquisire gran velocità. Numerosi i camion, tipici trucks americani. L’andata oggi ha avuto luogo prima sotto qualche nuvola, poi sotto un sole luminoso che ci ha fatto apprezzare la foresta di abeti che copre tutta la zona, punteggiata di laghi-specchio immobili, su cui si specchiano casette da favola. Il paesaggio, soprattutto una volta arrivati a Lac Saint Jean, su cui appoggia Saint Félicien, è così bello che confonde.

Durante il ritorno, improvvisamente un acquazzone ci è piovuto addosso, battente. Ho avuto così conferma del fatto che SuperTechMan è decisamente un uomo “urbano”. In un contesto metropolitano, infatti, scatta tra una corsia e l’altra, comprende i taciti segnali degli altri automobilisti, visualizza senza esitazione le indicazioni del tomtom e procede spigliato, tra le luci della città.

Scivolare su un asfalto scarsamente drenante, a bordo di una Pontiac G6 “over size” a cambio automatico, su pendenze al 18% e bestioni americani a rimorchio sia davanti, sia dietro, sia in sorpasso, ha fatto sì, invece, che lui entrasse in modalità “silenzio e concentrazione, con doppia impugnatura del volante”. Abbiamo percorso oltre 300 km senza fiatare. Ogni tanto pronunciavo un timido “come va?” e per tutta risposta ricevevo un mugugno inespressivo, che ho interpretato come “tutto bene”.

Arrivati in hotel siamo crollati, in stato catatonico, sul letto.

17 AGOSTO Se sulla riva nord del San Lorenzo sono le salite e le discese a tener sveglio chi guida, sulla riva sud, appena ondulata e dolcissima, ci pensano le raffiche di vento.

La riva meridionale del grande fiume offre un mix di paesaggi che a noi sono familiari, presi singolarmente, ma che messi insieme spiazzano: ci sono i campi di grano con i colori e le pendenze della Toscana, i pini e gli abeti delle valli alpine, il cielo con le nuvole disegnate dell’Umbria, il vento della Genova-Milano e un sole giallo e caldo come quello del nostro Sud.

Dall’auto in corsa che, condotta da SuperTechMan, sfrecciava solitaria sulla rete autostradale canadese, che di autostradale ha molto poco, sono riuscita a scattare questa foto: lamorachevola: “ci sono riuscita! sono riuscita a beccare quello scorcio che riassume cromaticamente e botanicamente la natura di questo territorio…” SuperTechMan: “mmm… Bello… Sembra Windows!” … No comment …

APPUNTI DI VIAGGIO: Oggi ci siamo spostati da Sainte Anne de Beaupré a Rimouski, “scalo tecnico” per raggiungere l’estremo oriente del Canada, la punta della Gaspésie, la località di Percé, dove il nostro arrivo è previsto per domani, e dove ci tratterremo per un paio di giorni.

Costeggiando il San Lorenzo, abbiamo fatto tappa a: • Rivière du Loup (dove abbiamo visto in velocità il Parc des Chutes, il Parc à la Croix e il Manoir Fraser, solo per scattare le rispettive foto) • Isle Verte (purtroppo i collegamenti tra terra ferma e isola omonime dipendono dalle maree; oggi ne erano previsti solo due e quello che avrebbe fatto al caso nostro ormai era partito. Il territorio, dove il San Lorenzo è a tratti biondo o ambrato, ci ha però stregati, per cui al ritorno passeremo nuovamente di qui e vedremo di salire sull’isola ove è custodito il faro più antico del Canada) • Trois Pistoles (che in tutte le manifestazioni ufficiali ricorda il suo passato… Basco! C’è persino il solo campo di pelota presente in Canada! Molto bello il panorama dalla Promenade…) • Parco Le Bic (meritevole di una permanenza di almeno 8 ore! Noi ne abbiamo avuto un assaggio al tramonto ed è stato splendido. C’era la bassa marea e l’Isola degli Amori (Ile des Amours) dava il meglio di sé. Diversi sono i punti di osservazione sul San Lorenzo e le sue rive… Luogo perfetto per chi è appassionato di trekking e percorsi ciclabili anche proibitivi, per via delle pendenze… Un po’ ripide…).

Oggi dormiamo all’Hotel Comfort Inn di Rimouski.

19 AGOSTO Ci abbiamo messo un giorno, da Rimouski, ad arrivare fin qui, fra raffiche di vento proibitive, cartelli che raffiguravano possibili cadute di massi e altri che minacciavano onde anomale che dall’Oceano potevano arrivare sulla strada e risucchiare le auto dei passanti.

Ma ne valeva la pena.

Siamo sull’estremità orientale della Gaspésie, dove non prendono i cellulari (evviva!), la gente ti sorride e ti dice “bonjour” se ti incrocia fra i sentieri, si mangia del pesce favoloso, per lo più merluzzo, crostacei e salmone affumicato e ci si può beare di un’alba da capogiro (fra le 3 e le 6 del mattino).

Si chiama Percé, ed è una delle località più belle di questa penisola. Nota per il suo “Rocher Percé” (nella foto), e per la colonia di Sule (Fou de Bassan) più numerosa dell’emisfero settentrionale.

Siamo andati a vederle, nel loro habitat naturale, sull’Ile Bonaventure, a un quarto d’ora di traghetto, proprio di fronte a Percé.

APPUNTI DI VIAGGIO.

L’Ile Bonaventure si raggiunge con un traghetto (traversier) che parte dal molo di Percé, fa mezzo giro attorno al Rocher Percé, per mostrarne il retro battuto dalle fredde correnti del nord e meno liscio della parte frontale, quindi gira attorno all’Ile Bonaventure consentendo di ammirare le foche grigie e le foche comuni che si spalmano al sole o fanno capolino dalle acque gelide dell’Oceano. Infine, attracca sull’isola.

Qui gli escursionisti possono scegliere quattro percorsi per arrivare alla colonia delle sule. Percorsi, che, secondo i cartelli, sarebbero tutti di difficoltà “intermedia”, ma che, in base alla preparazione atletica di ognuno, possono essere vissuti in modo diverso (ça va sans dire!).

Il più lungo, per esempio, le Chemin du Roy, ha, oltre a una serie di salite e discese, anche 300 scalini. SuperTechMan avrebbe voluto prendere quello. Io ho scelto quello delle Colonie: sulla carta, 45 minuti, con il mio passo, un’ora abbondante. TACCUINO: A Percé abbiamo dormito nel Motel Le Panorama, sulla strada principale (Route 132 -è oltre il centro, su un curvone-, ma basta chiedere all’Ufficio Turistico, segnalato da un punto interrogativo, qualora non lo si trovasse al primo colpo) e quando si arriva, val la pena di chiedere se è libera la stanza numero 9. Da lì ho scattato le foto all’alba.

Domani si ritorna a Rimouski, ma questa volta percorrendo la costa sud della Gaspésie, anziché quella settentrionale.

20 AGOSTO Ieri la giornata è trascorsa pigra, in macchina, per oltre 300 km.

Siamo tornati a Rimouski, attraverso la Baie des Chaleurs, per vedere un paesaggio un po’ diverso.

Abbiamo ammirato la costa più dolce della Gaspésie, dove numerose casette sorgono sulle spiagge, in riva a una mare relativamente più calmo e caldo. Un paesaggio assopito, ieri, sotto una coltre di nuvoloni grigi. A Matapédia abbiamo virato verso nord, puntando alla riva meridionale del San Lorenzo, attraversando così il cuore montuoso della Gaspésie, fatto di torrenti, laghi e vegetazione alpina. Sul grande fiume faceva freddo e ieri sera ci siamo messi sotto le coperte, mentre fuori c’erano appena 12 gradi.

Oggi ci attende la tratta più lunga senza soste: 700 km per raggiungere Brockville. Rientriamo nella zona delle Mille Isole… Ed è tornato il sole.

21 AGOSTO Siamo arrivati a Toronto giovedì, rientrando da Brockville, tappa intermedia cui la Lonely non dava un centesimo e che noi abbiamo invece trovato carina (qui, qualche foto). Ripartiamo domani, destinazione Italia.

Eravamo stati qui all’inizio della nostra vacanza e ci eravamo fatti un’idea della struttura di Downtown, della metropoli vista dall’alto della CN Tower e di come si mangia in questa città. Non l’avevamo però ancora “camminata”, per cui questi giorni siamo stati assorbiti da una pianificazione metodica, che ci ha consentito di lasciare le nostre impronte su tutto il suolo cittadino: ieri finendo esausti a cena alle 18.30 da Eggspectation (su Younge Street, la strada più lunga del mondo), quindi a bere una birra da The Foxes Den (Bay Street, vicino all’albergo), e oggi fiondati nel bel mezzo di una festa indiana (Gerrard Street).

Toronto dal punto di vista culturale è straordinaria. Qui hanno trovato la formula per far convivere etnie che in patria si sparano (tipo indiani e pakistani), e ogni weekend c’è un quartiere che festeggia, chiudendo al traffico una strada della città: Greek Town, Little Italy, China Town…

Stasera era la volta del quartiere indiano, e la guest star della festa era DJ Sola.

APPUNTI DI VIAGGIO • G & G sono una coppia di amici che vive a Toronto da qualche tempo (quando non sono a Londra, in Olanda, in Indiana o a Varese). Sono studiosi. Hanno un amico, John, luminare planetario nella sua materia, originario dell’Alberta, ma che abita a Toronto e lavora all’università, come loro. Poi c’è Ben, che al momento è nella pancia di G, ma che dovrebbe arrivare il 17 settembre, ma forse anche prima. John abita vicino a Little India, e oggi ci ha portati in quello che, a detta di molti indiani suoi colleghi, è il miglior ristorante di Toronto nella preparazione di piatti dell’India del Sud. E’ per merito suo che abbiamo presenziato alla festa indiana, visto come si prepara il Naan (tipico pane indiano in forma di piadina, pure questo come la Pita), mangiato la Masala Dosa e bevuto, come accompagnamento, un Mango Lassi, che altro non è che uno yogurt al mango.

• Lasciata la festa indiana, siamo andati al Tricolore Bar Café, su Saint Clair Avenue West, ovvero Corso Italia. Qui le vetrine dei negozi sono tremendamente simili a quelle che si potrebbero incontrare in giro per le nostre strade, l’arredo del Bar Novecento ricorda quello di una gelateria in cui una volta sono entrata a Novi Ligure, le boutique di abbigliamento si chiamano “Oggi” e “Gente”, nei locali si sente la musica di Gianluca Grignani e dei Pooh e gli avventori parlano amabilmente italo-calabrese, come se a loro del Canada, dell’Ontario e di Toronto non fregasse proprio nulla. Va detto che l’espresso, qui, è un espresso vero.

• Questa mattina, invece, abbiamo visitato Little Italy, ma invece di pranzare da “John’s Classic Pizza”, dove temevamo di trovare un surrogato italiano da raccapriccio, abbiamo optato per “I feel like crêpe”, dove ci è parso di vedere finalmente una interpretazione un po’ più vicina allo stile di vita italiano contemporaneo. Il locale è fashion-trendy con pareti rosse e arredo nero con inserti di metallo e poggiaschiena imbottiti alti quanto le pareti. Si mangiano crêpe squisite, tra cui quella alla Nutella (originale) come dessert, e l’espresso non supera la mezza tazzina ed è firmato Illy. Oggi è più probabile che un italiano, nella sua città, entri in un locale di questo tipo, piuttosto che in una pizzeria per ordinare spaghetti, sentendo suonare il mandolino.

• In questi giorni a Toronto c’erano un sacco di iniziative culturali, tra cui il Buskers Festival, un festival di artisti di strada che si esibiscono nelle performance più strane per le vie della città (festival internazionale che, peraltro, in Italia ha luogo ogni agosto a Ferrara). Ci siamo fermati ad applaudire un bravissimo suonatore di didgeridoo e abbiamo ballato al ritmo di rapper senza strumenti musicali, che riproducevano scratch perfetti con la bocca.

• Avevamo prenotato, per questi ultimi giorni a Toronto, un “apartment” all’hotel Sutton Place, l’offerta economicamente migliore di Expedia. Gli “apartments” sono sorte di monolocali con angolo cottura. Ci piaceva l’idea di poter comprare gli alimenti al supermercato e cucinarli per conto nostro: sarebbe stato più economico e più salutare. Tuttavia, arrivati all’hotel, ci siamo trovati di fronte una specie di 4 stelle, con tanto di parcheggiatore di auto e signorina dispiaciutissima, che dal desk ci ha informato che purtroppo di “apartments” disponibili non ce n’erano più, ma allo stesso prezzo ci avrebbe potuto dare una “suite”. Ho rinunciato volentieri all’angolo cottura per una camera d’albergo più grande di casa mia, dotata di due bagni, salottino e vetrinetta della nonna, letto “king supersize” e doppio televisore LCD: 50 pollici in soggiorno e 40 in camera da letto. TACCUINO Sutton Place Hotel, 955 Bay Street.

Eggspectation, 220 Yonge Street, corner Shutter (c/o Eaton Centre).

The Foxes Den, 1075 Bay Street, south of Bloor.

Il ristorante indiano si chiama Udupi Palace, 1460 Gerrard Street East.

La crêperie, I feel like Crêpe, è al 605 di College Street.

Il Tricolore Bar Café si trova al 1240 di Saint Clair Avenue West.

DIARIO DI BORDO…

Del Canada sono moltissime le cose da dire.

Scriverle tutte, giorno per giorno, avrebbe richiesto uno sforzo galattico, che avrebbe irrimediabilmente portato a pochissime ore di sonno. Così ho scelto di accorpare alcuni dettagli in una serie di post successivi, che inauguro con questo, dedicato alla lingua.

Il Canada è una confederazione di stati bilingue, in cui si dovrebbe parlare inglese e francese. In realtà il solo stato ufficialmente bilingue è il New Brunswick: tutti gli altri sono “monolingua” inglesi, e il Québec è monolingua francese.

Si penserebbe che, in quanto eccezione, il Québec si fosse adattato a parlare almeno un po’ di inglese, e invece no. Al di là della richiesta, a più riprese, di essere indipendente dal resto del Canada (ma i referendum non l’hanno mai data vinta ai separatisti), la gente proprio dell’inglese non sa che farsene.

Tutto è scritto in francese, segnali stradali inclusi, e la gente parla francese (ops… “québecois” -leggi kebekkuà-… Altrimenti detto anche joual). Di più: se ci si rivolge loro in francese, si ha vita davvero molto facile, mentre se si parla loro in inglese dando per scontato che questi lo debbano parlare, ebbene, loro fanno la faccia schifata e apostrofano una tolleranza al limite della sopportazione. Diverso l’approccio, se prima di parlare in inglese si chiede loro, in francese: “Parlez-vous anglais?” (ovvero, “parlate inglese?”).

A questo punto sorrideranno e vi diranno, in un inglese faticoso, che faranno uno sforzo per rispolverarlo per voi.

Simpatici come i francesi d’Oltralpe, direte voi.

E invece no. A loro dà solo fastidio che non si conoscano la loro tradizione, le loro abitudini e la loro storia.

Insomma… Meglio andare in Québec da “Viaggiatori”, che da “Turisti”.

E ora un po’ di “Québecois for dummies”, così come l’ho sperimentato io.

Il Québecois è francese a tutti gli effetti, soprattutto nella costruzione delle frasi, nella grammatica, ma anche nella scrittura. Tuttavia, ha introdotto una serie di termini “mixati” all’inglese oppure meno usati nel francese comune e modi di “leggere” certe dentali, che possono mettere in difficoltà il francese europeo. A complicare il tutto ci si mette la loro particolare cantilena, che a SuperTechMan ricorda il barese (!).

Alcuni esempi: Al ristorante vi chiederanno: “Qu’est-ce que vous voulez comme breauvage?”, invece di “Que désirez-vous comme boisson?” (breauvage e boisson = bevanda, quindi “cosa volete da bere?”) Sulle porte dei ristoranti troverete i “mets du jour”, ovvero i piatti, le pietanze del giorno.

Vi accadrà inoltre di entrare in qualche ristorante in cui si offre la “table d’hôte”, che a Parigi sarebbe un “menu prix fixe”, ossia un menu a prezzo fisso.

Può capitare che vi chiedano “dix sous” (dieci soldi), invece di “dix centîmes” (dieci centesimi) Per scusarsi diranno solo “Excusez!”, invece di “Excusez-moi!” o “Pardon!” Troverete lungo la strada anche un sacco di “Casse-Croûte”. “Casser la croûte”, ovvero “rompere la crosta” è un modo colloquiale per dire “mangiare”. Quindi i “Casse-Croûte” sono generalmente dei baldacchini in legno dove potete fermarvi a mangiare qualcosa… Simili ai baldacchini dove si mangia la frittura di pesce al mare… Avete presente? Nel ferrarese credo ne sopravviva ancora qualcuno…

In giro incontrerete anche decine di negozi con la scritta “Dépanneur”, che, letteralmente sarebbero coloro che vi tolgono dalla situazione di “en panne”, e dunque risolvono i vostri problemi. Nell’accezione più larga, applicata agli esercizi commerciali, sono negozi in cui potete trovare generi di prima necessità, a prezzi contenuti, aperti normalmente 24 ore.

In Québec dicono “char” (leggi shàr) per dire auto… Ma anche il più francoeuropeo “voiture” è molto usato Vi chiedono l’ora con un “Y’est quelle heure?” invece del “Quelle heure est-il?” d’Oltralpe … E mischiano i pasti: in Francia avrete “le petit déjeuner” (colazione), “le déjeuner” (il pranzo) e “le dîner” (la cena), mentre in Québec si parte con “le déjeuner” (colazione), quindi a mezzogiorno si avrà “le dîner” (il pranzo), e la sera un bel “souper” (cena).

Per dormire potrete scegliere tra i comuni hotel e motel, ma potreste incappare anche in “chambres avec cuisinettes” (piccoli residence), “cabines” (che sembrano le cabine dei lidi italiani: sono giusto poco più grandi, per farci entrare un letto matrimoniale) o “gîtes” (affittacamere).

Nel Québecois orale, infine, dopo la D e la T mettono una S, quindi “lundi” diventa “lundsi” (lunedì), oppure “petit” diventa “petsit” (piccolo) o uno dei piatti tipici locali, la “poutine” (scritta così), si legge “poutsine” [nota: trattasi di patate fritte, miste a pezzetti di formaggio non meglio identificato, cosparse di una salsa dal sapore sconosciuto].

Parliamo ora della viabilità canadese.

1. Le auto canadesi hanno il cambio automatico, come quelle americane, anche se, ci dicevano, stanno dando incentivi a chi passa al cambio manuale, che farebbe consumare meno. Tuttavia, la Pontiac G6 che abbiamo noleggiato ce l’aveva. Avevo provato a guidare un’auto con cambio automatico lo scorso anno in America, o per meglio dire, in un garage americano, prima di uscire in strada, e non mi sembrava complicato. Tuttavia, nel parcheggio canadese in cui ho provato la Pontiac, ho cacciato un’inchiodata, che per poco non faccio scoppiare gli airbag! 2. I ciclisti canadesi portano tutti, indistintamente, il casco. I genitori, i bambini, gli uomini di una certa età e anche le signore appena uscite dal parrucchiere. La sicurezza, prima di tutto! 3. Non ci sono gallerie in Canada (la sola che abbiamo incontrato è un sottopassaggio che consente di entrare a Montréal da est). Per il resto, le strade scalano le montagne, non le attraversano, per poi fiondarsi gù in picchiata dalle cime, con pendenze fino al 18%. Quanto a Montréal, è la città più trafficata del Québec. L’autostrada la attraversa trasformandosi per l’occasione in una sorta di tangenziale, su cui nelle ore di punta si concentra tutto il mondo. Possono servire fino a 3 ore (esperienza diretta!) per andare da una parte all’altra della città! Durante l’attraversamento di Montréal, SuperTechMan ha dato libero sfogo a tutta la sua romanità da strada: “eh cazzo, tutti sulla corsia di sorpasso no, però! che siamo veramente a Boccea, siamo? … E tu levati co’ sta macchina… Ma che macchina è? ma manco cce dovresti stà su strada te…!” 4. La benzina in Canada è creativa. Le pompe possono essere (a) normali, ovvero come da noi: estrai la pistola, la metti nel serbatoio e schiacci; (b) con la levetta, ossia estrai la pistola, tiri la levetta che sta sotto la pistola verso di te, metti la pistola nel serbatoio e schiacci; o ancora (c) a pulsante, ovvero estrai la pistola, schiacci un enorme pulsante verde sulla pompa, inserisci la pistola nel serbatoio e schiacci. E’ possibile pagare in modalità “self service” con carta/bancomat o in contanti, oppure procedere alla cassa, dove inevitabilmente vi chiederanno se avete la carta fedeltà.

5. I numeri civici sulle strade canadesi sono quanto di più originale esista. Possono procedere di 6 in 6, di 8 in 8, di 10 in 10 senza apparente motivo logico. Il postino, visto che i numeri arrivano a 9000 e oltre, procede lungo quella che da noi sarebbe la corsia di emergenza dell’autostrada, a bordo di un’auto con lampeggiante, e serve ogni cassetta postale che, giustamente, è posizionata a bordo strada, e non accanto alla porta d’ingresso.

6. Infine le autostrade. Non sono autostrade come le intendiamo noi, ma piuttosto superstrade a un massimo di 3 corsie, con corsia di emergenza. Le uscite sono numeri, e corrispondono al chilometro in cui si posizionano, Così, per esempio, sull’Autostrada 401, l’uscita numero 497, per raggiungere l’Apple Bar, si trova al km 497 di questa autostrada, che da Toronto va verso Kingston. L’uscita ha lo stesso numero in entrambe le direzioni, visto che i km procedono in fase crescente da Toronto verso Kingston e in forma di “conto alla rovescia” da Kingston a Toronto.

APPUNTI DI VIAGGIO: L’Apple Bar è un’americanata (clicca sul link all’album per avere un’idea!) Si tratta di una pasticceria specializzata in torte di mele, all’esterno della quale è stata costruita la mela più grande del mondo. Una cosa inutile, come l’Aragosta più grande del mondo, costruita senza alcuna necessità vera, in Australia. Tuttavia è una delle attrazioni “on the road” del Canada. Di quelle che non si possono perdere. E poi la torta non è niente male…

All’interno, la pasticceria è diventata un ristorante self service, con possibilità di acquistare torte di mele di vario genere. Alle pareti sono appesi i quadri di tutte le costruzioni inutili più grandi della terra (inclusa la suddetta Aragosta), e in fondo al corridoio c’è l’immancabile negozio di souvenirs, dove ho comprato una formina per decorare le crostate di mele.

E infine… I musei.

Avendo a disposizione un tempo relativamente limitato, ovvero troppo stretto per fare 4mila chilometri senza rinunce, abbiamo scelto di visitare il Canada prevalentemente “dall’esterno”, vale a dire privilegiando le strade, i quartieri, la natura, i safari e le crociere tra gli animali. Abbiamo quindi tralasciato l’ingresso ai musei, fatta eccezione per poche occasioni: l’ingresso alla CN Tower di Toronto, il museo delle Forges du Saint Maurice a Trois Rivières, il museo dello sciroppo d’acero, sotto la bottega delle “Délices de l’Erable” a Montréal, la mostra fotografica alla Chute de Montmorency, vicino a Québec City, l’economuseo dei mulini dell’Isle aux Coudres, la Cittadella e gli scavi relativi ai resti dei “Saint-Louis Forts and Châteaux” presso la funicolare di Québec City, e infine La Maison Le Boutillier, sull’Ile Bonaventure e il Centre de Découverte di Percé. Tutto sommato, neanche pochi…

Caratteristica comune dei musei canadesi è l’interattività, cosa che trovo straordinaria. Entrando in un museo italiano, o europeo, in generale, si può solo guardare. Per quanto comprensibile il divieto di toccare tele e sculture, infatti, mi è sempre rimasto il dubbio che non si potesse fare di più per coinvolgere i visitatori. Rimasi perciò incantata dal Museo della DDR di Berlino, dove l’utente può aprire cassetti e toccare i “reperti” esposti, rara eccezione. In Canada ho trovato conferma della possibilità di ravvivare l’interesse del visitatore di un museo.

Qui, infatti, passando di fronte ai pannelli in cui è descritta, per esempio, la fauna del luogo, è facile trovare, accanto, un gioco che richieda di individuare l’intruso: si guarda attraverso un binocolo all’interno di una foto e si deve scegliere quale animale non appartenga a quel mondo. La soluzione è nascosta da un panno, sul pannello. Oppure ci sono dei cubi rotanti, che riportano su ogni faccia un animale diverso. Vi sarà richiesto di mettere in ordine gli animali, seguendo la catena alimentare. Trovo che soluzioni di questo genere siano strepitose, sia per gli adulti, ma soprattutto per i bambini e i ragazzini, che così sono coinvolti in prima persona nella scoperta del museo, e non sono solo trascinati di stanza in stanza a guardare noiosissime (per loro) rappresentazioni, che difficilmente riusciranno ad apprezzare.



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