Spedizione a cavallo sulle montagne rocciose

A cavallo sulle montagne rocciose canadesi, Expedition horsepack trips into Banff Park 20-25 luglio 2006 Banff - Johnston Creek - Flints Park - North Cascade - Panther Pass - Upper Panther - Elk Horn Lake - Sulphur Springs - Panther River. Cavalli, natura, avventura, non posti turistici, dove andare? Un collega mi propone una cosa un po' fuori...
Scritto da: draco9
spedizione a cavallo sulle montagne rocciose
Partenza il: 18/07/2006
Ritorno il: 26/10/2006
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
A cavallo sulle montagne rocciose canadesi, Expedition horsepack trips into Banff Park 20-25 luglio 2006 Banff – Johnston Creek – Flints Park – North Cascade – Panther Pass – Upper Panther – Elk Horn Lake – Sulphur Springs – Panther River.

Cavalli, natura, avventura, non posti turistici, dove andare? Un collega mi propone una cosa un po’ fuori dall’ordinario nel suo paese, il Canada. Una settimana in tenda e a cavallo, a zonzo nelle foreste selvagge. Interessante, proviamo. Con internet, e una buona agenzia, organizzo il tutto e attendo la data della partenza. 20 luglio BANFF, ALBERTA “Benvenuti a Calgary, terra di cowboy e cowgirl”. È il telegrafico messaggio del pilota all’atterraggio. Ma il farwest non sta nel sud ovest degli states? Qui mi aspettavo orsi, foreste e giubbe rosse. 18 sera, sbarco dal volo Lufthansa, diretto da Francoforte, all’aeroporto della città di Calgary, nell’Alberta, sud ovest del Canada. Ordinato, efficiente e molto tranquillo; poca gente, massima cortesia, indicazioni chiarissime.

Devo aspettare la navetta per Banff, base della spedizione. Giro un po’ e vedo dai manifesti sulle pareti che in città è appena terminata la Stampede: “The Greatest Outdoor Show on Earth”. Pare si tratti del più grande evento western americano, una spettacolare manifestazione, combinazione di rodeo, mostre agricole e commerciali, gare e musica, che attrae circa un milione di persone ogni anno, e col quale la popolazione dell’Alberta celebra orgogliosa la propria tradizione culturale di ranch e cowboy. “Da approfondire”, mi segno nel diario.

A questo punto non mi meraviglia vedere, disposti un po’ ovunque nell’aeroporto, grandi e pregevoli gruppi scultorei in bronzo che ritraggono cavalli in corsa, cowboy e anche pescatori con tanto di acqua corrente. È pure in corso una esposizione con scene di storia locale: pionieri, indiani, fattorie, ecc. Buon inizio.

La navetta mi porta, con altre quattro persone, a Banff. Paesaggio di praterie verdi su sfondo di boschi, poche case qua e là, qualche cavallo e alcune mucche. Montagne all’orizzonte, strade larghe in perfette condizioni e poco trafficate.

Il giorno successivo visito il paese e mi organizzo. Banff è un paesino di edifici caratteristici ben tenuti, al tre piani al massimo, strade ampie e notevole contorno di montagne e boschi. Ci scorre veloce un fiume di acque limpide e abbondanti. Molti turisti, molti negozi per turisti, prezzi altini, qualità anche buona. Bel tempo, cielo blu e aria asciutta e profumata di bosco. Ricorda un po’ la Val d’Aosta. Salvo che il tema principale sono le culture western e indiana. L’albergo è uno dei tanti in centro, prezzo anche decente considerando la media del posto. Ma è un paese famoso, d’inverno è la capitale degli sport invernali, un po’ come la nostra Cortina di un tempo, e fa fino venirci a passeggiare, anche per dire a casa di esserci stati. Curioso un po’ nei negozi di abbigliamento e ricordini locali, parecchi gestiti da cinesi. E noto che parecchi cappelli e giacconi da cowboy, per non parlare dei ricordini indiani, sono di ottima qualità e prezzo, ma secondo l’etichetta sono fabbricati in Cina. Mi imbatto e visito il museo naturalistico locale (fuori le strade brulicano di turisti, dentro due visitatori in tutto), un gioiellino in legno dell’800, con vetrine antiche piene di animali impagliati e oggetti archeologici locali, una meraviglia. E naturalmente trovo subito il locale distaccamento di vigili del fuoco, proprio al centro del paese. È sera e i colleghi sono al lavoro con su le divise annerite e bagnate, stanno sistemando i mezzi e asciugando delle manichette. Devono essere appena rientrati da qualche incendio, quindi non li disturbo. Mi limito ad ammirare i mezzi e la caserma nuova, un pezzo architettonicamente pregevole. Una targa in metallo riporta una foto del vecchio distaccamento e la sua storia. Sono stanco per il viaggio e domani si comincia quindi, preferisco mangiare in camera, dopo aver comperato comperato qualcosa al fornitissimo centro commerciale, che trovo pieno zeppo di turisti. Deduco che i prezzi nei ristoranti non devono essere tanto bassi.

PREPARATIVI Il giorno 20 passo dal negozio di articoli sportivi dove ritiro sacco a pelo e materassino, noleggiato via internet. Noto che è pieno di biciclette da montagna da affittare. Infatti fuori le strade brulicano di ciclisti. Buona idea, le strade sono ottime e senza traffico, e corrono tra boschi e panorami mica male. Poi torno in albergo, mi vesto da cowboy come da istruzioni e, trascinandomi dietro tutti i miei bagagli per le strade ancora deserte, mi presento all’appuntamento delle otto nel negozietto di mr. Warner, “The trail raider”, sede della “Holiday on horseback”. Vendono anche abiti e altri oggetti western, roba buona, vedo; ovunque immagini, effigi e libri di cavalli. Compero un bel pile, un paio di jeans wrangler “pro rodeo”, ottimi per cavalcare e introvabili in Italia e un cappello da cowboy, pieghevole per poterlo mettere in valigia. Prezzi buoni, e col valore dell’euro anche meglio (1 $can = 0.7 €).

Il resto l’ho portato da casa: stivali, fazzoletto, guanti ecc., come stava scritto nella lista dettagliata che l’azienda mi aveva fornito. E soprattutto una “borsa morbida”, ne ho trovata una da ginnastica, senza bordi o parti rigide o punte o altro che possa dare fastidio alla schiena del cavallo che dovrà portarla. Dentro, il minimo indispensabile, come da istruzioni.

Una simpatica ragazza mi consegna il materiale rimanente: le borse da sella, un telone da mettere sotto la tenda e un impermeabile da cavallo – oilskin slicker -. Mi aiuta a confezionare anche il materiale da tenda. In mezzo al negozio, tra gli sguardi curiosi di qualche mattiniero cliente giapponese, stendiamo telone, materassino e sacco a pelo e ne facciamo un rotolo unico, facilmente caricabile su un animale. E gli altri ospiti? Di solito sono cinque o sei, ma questa settimana siamo solo due, c’è pure un simpatico ed energico signore tedesco in pensione di settant’anni. Messi al sicuro nei sotterranei i nostri bagagli, prendiamo solo la borsa col minimo indispensabile e mr. Warner in persona ci trasporta con un pulmino al punto di partenza di questa settimana. Un’ora di strada tra i boschi e montagne, con paesaggi da fiaba che sarebbero già sufficienti come vacanza. Ci inoltriamo in zone del parco nazionale proibite ai più, incontriamo ormai solo qualche automezzo della forestale. Gran parte dell’immenso parco è chiusa del tutto, e dove andremo noi è zona protetta, si entra solo con permessi a numero chiuso e a cavallo, su percorsi dichiarati e concordati. Per non disturbare il bosco e gli animali, soprattutto gli orsi, che quest’anno sono un po’ nervosi. Warner racconta che lavora qui con i cavalli da quarant’anni, ha visto crescere Banff e il turismo. Adesso ne ha trecento, più una cinquantina di muli, e coi suoi sessanta dipendenti lavorano tutti tutto l’anno, offrendo attività turistiche e sportive di ogni tipo. PARTENZA! Ci lascia su un prato sul limite del bosco, dove ci aspetta un automezzo per il trasporto di animali e numerosi cavalli già sellati, molti caricati con casse. Tre ragazzi stanno finendo di caricare un mulo. Un vero mulo da montagna, non ne avevo mai visti dal vero. Mr. Warner ci lascia nelle mani di Greg, che sarà la nostra guida. Sembra uscito da un film di cowboy: serio, spettinato e impolverato, cappello e fazzoletto al collo sgualciti, camicia a quadri e wrangler sporchi, stivaletti strausati e con gli speroni! Stringe la mano con un cenno d’intesa, prende un cavallo e ci mostra come salire. Così si va avanti, così a destra e sinistra e così si ferma, ci dice, manovrando di redini il cavallo che obbedisce docilmente. Fine delle istruzioni. Il corso più veloce mai visto. Da questo capisco che questi canadesi qui sono di poche parole, e non badano alle apparenze. Ottimo inizio. Noto anche che sono tutti biondi con gli occhi azzurri, sembrano di origine nord-europea, forse svedesi.

Ci presenta i cavalli che ha scelto per noi, in base alle informazioni scritte nel questionario che avevamo compilato via internet. Il mio si chiama Fuzzy; è grande, muscoloso, scuro di colore, la criniera molto lunga; la coda arriva fino a terra e un lungo ciuffo di peli gli nasconde parzialmente gli occhi. Lo accarezzo la fronte e gli faccio sentire il mio odore, poi lego la giacca e le altre cose alla sella. Incontriamo Cindy e Ray, cowboy da film anche loro, che sono già pronti a partire, ciascuno con una fila di animali legati in fila. Saliamo e partiamo anche noi seguendo la guida e ci inoltriamo nel bosco, che diventa sempre più fitto. Per dove e come, chi lo sa? Greg non dice molto. Non che sia poi gran bisogno, adesso sono occupato a imparare a conoscere questo cavallo, e a guardare il paesaggio.

Gli altri seguiranno un altro percorso per arrivare prima di noi al luogo dove monteranno il campo per la notte. In realtà dopo un po’ li incrociamo, poi li perdiamo in fondo a un prato; li rivedremo solo a sera.

Oltre il prato ci infiliamo in un altro bosco, stavolta di conifere molto alte; è un bosco vecchio e fitto, che sale fino a metà della montagna. Il terreno è soffice, erba, muschio e aghi di pino lo rendono elastico e silenzioso. L’unico suono è quello di un torrente che scorre da qualche parte, qualche raro verso d’uccello. Il bosco è intatto, non una cartaccia, un ramo o un fiore spezzato. Anche il sentiero che percorriamo si distingue appena, non ci passa nessuno qui. La strada asfaltata è ormai alle nostre spalle, lontana, non saprei neanche da che parte. Il cavallo cammina tranquillo, comodo. Provo qualche comando, bisogna far buona impressione subito all’animale, altrimenti prende lui il comando. Fuzzy sembra sorpreso, ma obbedisce, si ferma, riparte. Basta un tocco leggero, e non prova neppure a mangiucchiare mentre cammina. Ottimo animale. Ma noto che i comandi sono un po’ diversi da quelli di casa. Anzitutto non è addestrato ai comandi vocali. Poi vedo che la nostra guida cavalca a gambe larghe e in avanti, non le stringe mai ai fianchi del suo cavallo, e solo occasionalmente li tocca per farlo partire. Le redini le tiene sì con una mano sola, ma molto in alto, e non sotto il pomo come sono abituato io. Provo anche io, ma vedo che il mio cavallo risponde ugualmente nei due modi, quindi le tengo basse. È chiaramente abituato a seguire il cavallo davanti, ma insistendo un poco riesco a farmi ascoltare e fare qualche manovra. Tutto ok, pare che al comando ci sia io. Ma so bene che è lui che conosce il territorio, quindi gli dò la massima fiducia, si vede da come si muove, sicuro e determinato, che conosce il suo lavoro.

Il mulo nero, carico di due casse rosse protette da un telone, ci accompagna camminando agile e leggero, dietro la guida. Usciamo allo scoperto dopo non so quanto tempo, presso il torrente che attraversa la valle. Alcuni cartelli segnaletici del parco mostrano una mappa della zona e le regole per i turisti. Ma non c’è nessuno. La guida ci indica alcuni laghetti azzurri, sono sorgenti termali fredde che colorano l’acqua. Ci fermiamo alcuni minuti per far riposare gli animali e sgranchirci le gambe. I prati sono pieni di fiori mai visti. Ripartiamo e dopo un paio di ore di bosco arriviamo in un’altra valle, e ci fermiamo per il pranzo in una radura. C’è una casetta in legno, molto ben tenuta, con un paio di corna di cervo sulla porta; è una postazione della forestale per i lavori di manutenzione. Greg scarica dal mulo vicino a un cerchio di pietre annerite nel prato. I cavalli li lasciamo liberi, noto che il mulo ha una campana al collo che adesso Greg sblocca, e iniziano subito a mangiare l’erba folta che qui cresce ovunque. Lui tira fuori una griglia di ferro e la legna secca per accendere il fuoco, più una serie sorprendente di sacchetti di cibo, pane, guanti isolanti, attrezzatura da cucina, ecc. La cuccuma per il caffé la riempie al torrente lì vicino. Noi guardiamo, chi ha mai visto niente di simile? A parte i documentari in tv, ovvio. In pochi minuti gli hamburger sono pronti, il caffé pure. Noi ci guardiamo e poi ci serviamo, nei sacchetti c’è tutto quel che serve, frutta secca compresa e un sacco di salsine. Ci indica un paio di tazze e un pennarello per segnarci su i nostri nomi, saranno nostre per una settimana. Posate non servono, l’acqua è nel torrente, qui è già pulita. Al momento avrà pronunciato una quarantina di parole, ma sufficienti. E poi così non sappiamo mai cosa ci aspetta, e tutto è una sorpresa. Approfitto per riempire la mia bottiglia, che tengo nella borsa. L’acqua è dolce, leggera, priva di sali. Non è da molto che era neve.

Dopo un’oretta ricarica tutto sul mulo e ripartiamo. D’ora in poi non vedremo più traccia di presenza umana per diversi giorni.

IL CAMPO Continuiamo ad avanzare per altre quattro ore, quasi sempre in silenzio. Gli animali si arrampicano senza esitazioni su e giù per sentieri per nulla facili, rocce e massi, tronchi caduti, grosse radici, buche e ghiaioni, anche in forte pendenza, per passare da una valle all’altra. Non hanno nemmeno il fiatone, si vede che sono allenati. Traversiamo anche il torrente un paio di volte. È largo una decina di metri, l’acqua non è profonda, trenta centimetri al massimo, ma molto fredda e scorre veloce. Il fondo è costituito da rocce e sassi, ma i cavalli l’attraversano senza alcun problema. Si limitano ad abbassare il muso per vedere bene dove mettere i piedi. Non hanno proprio paura di nulla, e non si sorprendono, nemmeno per gli uccelli o gli scoiattoli che ogni tanto sbucano all’improvviso dai rami. Piuttosto dobbiamo stare attenti noi, i boschi sono fitti e bisogna evitare i rami e i tronchi che continuamente si presentano davanti agli occhi. Il cappello è molto utile, e il fazzoletto al collo e le maniche lunghe della camicia pure. E c’è pure qualche zanzara e tafano. Ma il panorama diventa, se possibile, sempre più bello. Le valli sono molto grandi, con grandi prati fioriti attorno ai torrenti, e infiniti boschi rigogliosi che si arrampicano sulle montagne fino ad una certa altezza, lasciando scoperte le cime rocciose. Lontano si intravedono tracce di neve. L’aria è asciutta e profumata, il sole scotta nel cielo limpido e blu scuro, ma quando passa una nuvola si sente che la temperatura scende in fretta. Stanotte mi sa che farà freddo. Continuiamo ad avanzare in questo strano paesaggio da cartolina, il tempo non ha più molta importanza.

All’improvviso in fondo alla valle, presso il torrente e sul limitare del bosco, scorgiamo una tenda e diversi cavalli legati ad una fune tesa fra due alberi. Le altre due guide stanno terminando di scaricare gli animali. Scendiamo e Greg ci mostra come legare con la lead rope il cavallo alla fune, assieme agli altri, e come togliere la sella e riporla nel mucchio con le altre. Noto che la mia è dotata di pettorale e sottocoda, devo trafficare un po’ per toglierla. Mi spiega che poiché Fuzzy ha un girth (garrese) basso, ciò aiuta la sella a stare ferma. Per questo mi controllava spesso la cinghia che la stringe al corpo del cavallo. Ci indica il mucchio dove stanno i nostri bagagli, i sacchetti con le tende e uno spiazzo di erba dove possiamo montarle. Sono tende a igloo, da tre posti ciascuna, come quella che possiedo; si montano in un attimo e sono molto comode. La tenda principale è molto grande, è costituita da un tetto di tela sostenuto da pali, trovati sul posto; sotto trova riparo tutto il materiale da cucina, viveri, selle, ecc. Loro ci dormono nei sacchi a pelo, sono abituati. Su un tronco stanno due catini con sapone biodegradabile e uno specchio fissato ad un albero; al di sotto un sacchetto di plastica con un rotolo di carta igienica accanto ad un vanghetto. Il “bagno” è il bosco, da lasciare assolutamente intatto dopo l’uso. Quando il vanghetto manca, vuol dire che il bagno è “occupato”.

Sotto la tenda stanno pure due secchi con acqua calda e fredda per lavarsi. Sulla griglia del focolare Cindy ha già sistemato un numero notevole di pentole, tegami e pentolini, neri di fuliggine, da cui escono ottimi odori e vapore. Lì accanto Ray sta spaccando la legna con un’ascia, non per bruciarla adesso, ma per asciugarla e trasportarla domani. Cindy ci mostra una quantità di snacks, dolci, biscotti, frutta secca, salse, barattoli e altro da mangiare, possiamo prendere quel che vogliamo, per il resto basta chiedere. Francamente io mi trovo un po’ a disagio, tre persone e quindici animali al nostro servizio, e che servizio. Troppo lusso, mi aspettavo una cosa più rustica, ma sono molto ammirato dalla professionalità che offrono agli ospiti. Cerco la mia tazza, mi verso un po’ di caffé e mi siedo su un tronco accanto al fuoco, aspettando la cena. Non ho nulla da fare, tranne aggiornare il mio diario. E imparare a pulirmi le mani dopo aver toccato la caffettiera.

GLI ANIMALI Gli animali. Sono affascinato, soprattutto dai muli. Adesso che hanno liberato la campana a tutti fanno un bel baccano, mi sa che di animali selvaggi ne vedremo pochi con tutto ‘sto casino. E purtroppo siamo in una zona con nuvole di zanzare e tafani accaniti, sembra la Siberia, e loro si agitano continuamente per scacciarli, per questo hanno criniera e coda così lunghi. Poi andrà meglio, per fortuna, ma per adesso mi sono cosparso di repellente (era in lista, ma ho pure una pomata contro le punture).

Non avevo realizzato che per trasportare tutto il materiale occorressero tanti animali. E ci sono pure alcuni cavalli di scorta, giustamente se qualcuno ha problemi o si fa male, ci vuole il sostituto.

È così che facevano un tempo, quindi: lunghe file di animali, legati tra loro uno dietro l’altro, per trasportare ciascuno una parte di carico, su e giù per i passi e le vallate, per giorni e giorni. Con tutti i problemi che la cosa comporta. Questa era la quotidianità dell’umanità nel mondo, una caratteristica costante del paesaggio e della vita quotidiana, fino a un centinaio di anni fa. Si fa presto a dimenticare, con le nostre strade e le auto. E poi si chiedono ancora come mai tante antiche civiltà conoscevano la ruota ma non l’adoperavano. E dove, su e giù per le montagne? Costruire strade costa moltissimo, e poi non è solo problema di soldi.

Aiuto un mulo a scacciare una decina di tafani che lo tormentano, lui smette di agitarsi e lascia fare, paziente. Dalle ferite esce sangue. Così sono questi i famosi muli, grandi come cavalli, dalle lunghe orecchie, pazienti e fortissimi. Gli piace farsi accarezzare la fronte. Gli animali mitici dei nostri gloriosi alpini, così indecorosamente soppressi alcuni anni fa per ragioni economiche. I cavalli non sono gli agili quarter horse del Colorado, questi sono più grandi e robusti, pur eleganti e bellissimi come sono tutti i cavalli. Dopo le salite non li ho mai sentiti ansimare. Mi spiegano che adesso stanno pascolando i tre cavalli guida, che verranno poi legati durante la notte quando verranno liberati gli altri. Alla mattina verranno tutti recuperati, anche grazie al suono delle campane. In pratica vivremo assieme per tutta la settimana, giorno e notte.

Passo spesso presso la corda dove sono legati (con corde molto lunghe) per guardarli. Alcuni, appena liberati dalla sella, si rotolano nella polvere con evidente soddisfazione, qui ci sono davvero molti insetti.

E non è necessario poi sapere tanto sui cavalli per questo viaggio, giusto un minimo. Qui non si può certo correre, il terreno non lo consente, di piano c’è solo il torrente, e non sempre neppure quello. Al massimo a volte per qualche decina di metri si fa un trotto leggero, per raggiungere gli altri se si resta indietro, ma niente di più. Non sono cavalli da corsa questi.

Ma è importante dargli una mano, per esempio, quando le salite o le discese sono molto ripide e, naturalmente, quando devono urinare, spostando il centro di gravità. Un’altra cosa da ricordare è di inchinarsi di lato, quando si incontrano rami bassi, per evitare zuccate quando lui scuote all’indietro la testa.

Anche qui ci hanno detto di non lasciarli mangiare mentre camminiamo. In effetti non ci provano spesso, e basta un tiretto alle redini quando ci provano per risolvere il problema. Quando ci fermiamo per una sosta, invece, li lasciamo fare, sciogliendo loro le redini e la lead rope a terra, che poi loro si trascinano dietro. Noto che quando le pestano, spostano i piedi per liberarle; non tutti lo capiscono. Ma non sono di cuoio, per cui non si rompono. Io invece ho imparato – non del tutto – a tenere i miei piedi lontani dai loro, dopo due o tre volte che sono stato pestato. Per fortuna il suolo è morbido, perchè un cavallo è davvero pesante, anche solo per meno di un quarto.

Mentre il sole comincia a sparire dietro le cime rocciose che circondano la valle, Cindy avverte che la cena è pronta; sulle casse sono poggiati piatti e posate, tutti in metallo, e ci serviamo. Ci sediamo attorno al focolare, Ray ha preparato dei tronchi a mò di sgabelli o panchine. Quattro chiacchiere, ma troppe cose nuove per me anche solo da guardare. È facile sentirsi a proprio agio con queste persone, semplici e dirette. Loro sono abituati.

Nei numerosi pentolini che ha preparato sul fuoco c’è parecchio cibo. Zuppa di verdure, stufato di carne, salse e verdure di contorno. Alla fine, da non so dove tira fuori anche due barattoli di gelato. Tentiamo di dare una mano per sgomberare, poi ci ritiriamo nelle nostre tende. Sono solo le 20.30 ma, chissà come, io non riesco a stare sveglio. E poi sta venendo freddo molto in fretta, assieme al buio. Le tende sono da tre posti, anche troppo spaziose. Organizzo la mia roba, i vestiti dentro un sacco di plastica per tenerli asciutti, la lampada tascabile a portata di mano e mi infilo nel sacco a pelo, sistemato in modo da rendere minima la pendenza. E sperando di ricordarmi dove sono, per non cadere nel vicino torrente nel caso dovessi uscire, mi addormento. No, niente silenzio, ma fa lo stesso. A parte lo scroscio continuo del torrente, Greg ha liberato gli animali per farli mangiare durante la notte, ha sbloccato le campane che hanno al collo, quindi tutta notte si sente il loro scampanio, più o meno vicino. Spero solo che non inciampino sulla tenda. E in effetti durante la notte il terreno morbido di muschio e aghi di pino trasmette i tonfi di qualcuno che incespica qua e là. Anche perchè ai più vispi è stato applicato un aggeggio alle gambe anteriori che ne limita un po’ i movimenti. Ma è un suono rassicurante, gli orsi dovrebbero stare alla larga, e si dorme tranquilli.

MATTINA La mattina mi sveglio presto, fuori è silenzio. Greg ha già recuperato tutti gli animali, che adesso dormicchiano in fila sotto la corda. Gli altri due colleghi, vedo, stanno ancora dormendo sotto il tendone. È un freddo boia, il cielo è limpido e il sole non dovrebbe tardare, ma finchè non esce da dietro le cime delle montagne qua restiamo in ombra. Muovendomi silenzioso, prendo la pala e faccio un giretto veloce nel bosco. Esperienza nuova, per fortuna non ci sono insetti a quest’ora. Ci avevano detto che la colazione era alle 7.30 – 8.00, la partenza alle 9.0. Mi consulto con Gundel, reimpacchiamo velocemente la nostra roba nella borsa e smontiamo letto e tenda, facendone due involti, poi depositiamo tutto nel mucchio dei bagagli già pronti da caricare sui muli. Faccio un giretto attorno al campo, l’erba è alta e gli alberi aggrovigliati, ma arrivo al torrente. L’acqua è limpida e fredda, mi lavo velocemente, da bere è ottima. Non potrei mai fare cose del genere in Italia senza rischiare la salute. Qui è una cosa ovvia, invece. Hanno preparato acqua calda presso i catini. Li lascio a Gunder, preferisco il torrente, per me è questo è un privilegio. Punti di vista.

La colazione è pronta, Cindy ci chiede come vogliamo le uova e il resto. Un altro mare di roba da mangiare. Io mi butto sul caffè caldo. Mangiamo assieme come al solito, si parla poco ma si sta bene. Sorpresa, un piatto con frutta fresca tagliata: melone, fragole, ciliegie, mango, ananas. Come al solito quanto resta va bruciato completamente, la frutta rimasta viene data agli animali. Occorre quasi un’ora per smontare tutto e caricare tutto. La procedura è interessante: l’animale sta immobile, e gli viene messa mo’ di sella un’armatura di legno. Su questa vanno incastrate le due casse, di peso uguale, e legate con nodi e avvolgimenti appositi, che Greg e Ray eseguono veloci. In cima vanno alcuni pacchi, la legna, e poi il telone che copre tutto, a sua volta legato in un modo particolare. Quindici animali, dieci carichi, tutti fatti con la massima attenzione, provati e verificati. Poi vengono legati in due file, e siamo pronti a partire. Prima partono Ray e Cindy con tutti i loro cavalli e muli al guinzaglio, tranquilli e docili, esperti. La scena della carovana che si inoltra nel bosco tra le luci dell’alba è qualcosa di epico, bisogna vederlo per capire. Poi montiamo in sella anche noi e partiamo dietro a Greg, seguito dal nostro mulo nero. Mai saputo il nome, brava bestia.

IL PASSO Il sole è alto quando partiamo, si scalda in fretta e compaiono i primi insetti. Greg ci porta in alto, oltre gli alberi e la striscia di prato verde che orla le rocce. Quando un’ora dopo ci fermiamo, vediamo stendersi sotto di noi tutta la valle, col suo torrente che si perde lontano in fondo ai piedi delle montagne e gli alberi che riempiono ogni spazio. Un falco fischia in cielo. Per il resto è silenzio, ci siamo solo noi in questa valle. Bè, oltre a tutti i suoi animali. Proseguiamo, il terreno adesso si fa roccia e ghiaia, pochi cespugli e tanti fiori blu e rosa. La salita è ripida, sposto il peso in avanti per aiutare il cavallo, che comunque non rallenta e non ansima nemmeno. Ma Greg ci fa sostare spesso. Quando arriviamo al passo, è tutta ghiaia rossa e lastrine di scisto, e notiamo anche alcuni mucchi di neve. Attorno le cime sono alte nel cielo e soffia il vento. Noto un mucchio di pietre che qualcuno ha sistemato una sull’altra. Facciamo qualche foto, quattro chiacchiere. Da qualche parte sbucano all’improvviso gli altri, scambiando qualche scherzo, ci sorpassano e proseguono scomparendo dietro il crinale.

Poi superiamo anche noi il crinale e iniziamo a scendere il ghiaione che porta in basso, ripidissimo e molto sdrucciolevole, un dislivello di oltre un centinaio di metri. I cavalli non sono per nulla preoccupati; io sì, ma mi fido, sono loro gli esperti, percepiscono tante cose più di noi e hanno riflessi velocissimi. E poi hanno quattro gambe, se gliene scivola una, gliene restano sempre tre, no? La pendenza aumenta, così Greg imbocca un sentierino invisibile, largo meno di venti centimetri, che corre giù a zig zag giù e si perde là in fondo da qualche parte. Noi siamo a metà. Gli animali lo percorrono veloci, a tratti addirittura trottano, dobbiamo frenarli un poco. Fuzzy si distrae per acchiappare al volo qualche boccata di fiori rosa, pare che li gradisca molto, e ogni tanto inciampa. Mah, io avrei difficoltà a camminarci a piedi. E realizzo che prima di qua sono passati tutti gli altri animali, in fila e carichi. Chissà quante volte l’hanno già fatto.

Dopo dieci minuti, ma sembra un’eternità, arriviamo in fondo e troviamo il solito torrente. È già mezzogiorno, Greg fa apparire la solita griglia, in meno di un secondo ha già acceso un bel fuoco, e in dieci minuti è pronto il caffé, hot dog e un poco di pancetta. Oramai sappiamo come comportarci e ci godiamo il posto. Qua sì che c’è silenzio, si sente solo il vento frusciare sui sassi. E l’acqua che scorre, scendendo da questi banchi di neve, non c’è altro. Dice Greg che in Canada i ghiacciai non sono cambiati da quando li conosce, a differenza di quelli europei che stanno scomparendo. Io guardo questa estensione infinita di rocce e alberi, la valle che si stende sotto di noi, e che da qualunque parte ci sono altri valli, una dietro l’altra, fino dove? Ma quanto è grande questo posto? E non c’è nessuno, niente inquinamento, niente cartacce, niente sporco per chilometri e chilometri. E qua sopra, da qualche parte, c’è l’Alaska, che è ancora più selvaggia, aliena e deserta. Qualche parte del mondo si salva ancora dalla pestilenza della razza umana. Di che vivono gli abitanti non mi è chiaro, a Banff di certo di turismo, ma ci saranno anche aziende e industrie da qualche parte.

Ora di partire. Recuperiamo i cavalli, che stanno strappando l’erba da qualche parte, Greg carica il mulo e via, di nuovo.

IL RESTO Il programma dei giorni successivi non cambia molto. Il paesaggio è sempre splendido e ci si abitua anche troppo presto al silenzio e alla tranquillità del posto. Il sentiero, o quel che è, ci porta spesso attraverso boschi bruciati, i nuovi arbusti crescono in mezzo a una selva di enormi pali neri, e a volte invece candidi, alcuni rovesciati mostrano la rosa delle radici carbonizzate. Per la verità di sentieri possibili ce ne sono tanti, non ho idea di come Greg trovi la strada. Certo che senza di lui siamo persi di sicuro, e parecchio.

Alcuni boschi sono molto vecchi, gli alberi sono grossi e alti, sotto di loro è quasi buio, e le radici enormi coprono il terreno come una griglia. Che i nostri cavalli scavalcano tranquillamente, come fanno per i grandi tronchi caduti che ci troviamo spesso sui nostri sentieri. E non si spaventano mai, neppure quando sbucano dalle foglie i soliti scoiattoli o gli uccelli. Mi chiedo se non siano abituati anche agli orsi. Quando l’ultimo giorno alcune capre di montagna (grandi) entrano nel campo, loro non le guardano neppure.

Ogni giorno il menù è diverso, a volte sorprendente. Per esempio mercoledì sera Greg ci lancia alcuni barattoli di birra gelata. Deduco che alcune casse siano refrigerate, forse con ghiaccio secco. In effetti la carne e la verdura che viene cotta sulla griglia è sempre fresca. Questa è anche la prima volta che bevo qualcosa di alcolico in america, le altre volte no mi era mai capitato. In Arizona, perchè ero in una riserva Navajo, dove è vietato (si rifanno poi di notte) e in Colorado perchè nel ranch non sono previsti, forse leggi locali. Non che mi manchino, ma mi ha fatto piacere. L’ultima sera, steak e patate alla brace, e un paio di torte. Oltre al resto, e ci sono pure i famosi fagioli da bivacco.

Una sera Greg ha provato anche a cantare qualcosa di country canadese, ma ha lasciato perdere quando è risultato che noi europei non conoscevamo quelle canzoni, e lui era solo e senza chitarra. Così abbiamo fatto semplicemente delle chiacchiere. Un’altra volta ha organizzato una gara di lancio di ferri di cavallo nel prato, cosa che noi conoscevamo bene come le canzoni, ma ci siamo divertiti parecchio.

Per quanto mi riguarda ho cercato di esplorare a piedi il territorio attorno al campo, la sera. Immancabile la visita al torrente di turno, più o meno vicino al campo. La seconda sera incontro Ray che con l’asciugamano e in ciabatte va al fiume, mi dice, per fare il bagno. Be’, allora se si può (e io che ne so?) ci vado anche io. Avevo qualche dubbio essendo in un ambiente ignoto e selvaggio; se capita qualcosa ci vuole davvero l’elicottero per avere soccorso – sempre che si riesca a comunicare. Per diversi mesi ho letto via internet i quotidiani locali, e le notizie di turisti infortunati o morti non sono rare. In genere, a parte qualche orso un po’ nervoso, si tratta di cadute o di smarrimenti. Il torrente poi non è profondo, ma l’acqua è gelata e la corrente è forte. Insomma, mi spoglio e provo, visto il caldo che fa; il peggio è camminare sui sassi, fanno un male boia ai piedi. Per il freddo, basta buttarsi. Il problema è che quando mi tuffo e tento di nuotare un poco mi accorgo che la corrente sotto è ancora più forte che sopra, e mi trascina. Quindi mi afferro ai sassi e mi tengo vicino alla riva, e dopo un po’ esco. Non male, comunque, si sta benissimo. Da allora tutte le sere cerco di fare un bagno, tanto qua i torrenti non mancano. Non con sapone e shampoo, quelli (ecologico) si usano nel catino al campo, e si butta poi l’acqua in una buca. Niente inquinamento qui.

Cammino spesso lungo il fiume, tra l’erba, o tra i tronchi. Mi siedo ad ascoltare il vento, e allora gli abitanti del bosco escono e si fanno vedere, soprattutto scoiattoli e uccelli.

LE CASCATE Due giorni nello stesso campo. Per arrivare qui siamo entrati in una valle molto grande e verde. Ovunque ci sono grandi alberi da cui pendono vecchi licheni pallidi, e radure verdi piene di fiori, rami e ronchi bianchi e ossa. Notiamo tante corna di cervo, bianche, sparse nel paesaggio che sembra proprio quello delle favole, sempre più irreale, sempre più nel sogno. Anche qui passano i branchi di lupi.

Al mattino ci svegliamo più tardi, non c’è da smontare il campo. I ragazzi restano a lungo dentro i loro sacchi, e cerchiamo di non disturbarli. È una specie di giorno di riposo per loro.

Greg ci dice che la colazione sarà pronta più tardi, poi faremo un giretto qua intorno, c’è un bel posto che ci vuole mostrare. Nel frattempo potremmo fare una passeggiata, poco più avanti c’è anche una cascata. Parto assieme a Gunder, camminando lungo un sentierino che corre lungo la scarpata del fiume, verso un gruppo di rocce. Ci sono impronte di animali, vecchi e nuove, capre forse, anche di cavalli, e qualche altra che non capiamo. Oltre le rocce arriviamo alle cascate, il salto è di una trentina di metri attraverso una serie di vasche blu. In fondo una valle verde, con al centro, lontana, una costruzione in legno e una bandiera canadese che spicca rossa sullo sfondo degli abeti verdi. Sarà una postazione della forestale. Un bel posto dove stare.

Scendiamo con cautela fino alla prima vasca per fare qualche foto, poi torniamo, rintracciando a fatica il sentierino. Io mi perdo anche al mio paese, quindi il mio timore di perdermi qui è fondato.

Ho detto che sapevamo che c’erano parecchi orsi in zona. Un po’ speravo di vederli, ma non è successo, ma loro invece penso proprio che ci abbiano visto. Qui, a cento metri dal campo, su un tratto di terreno privo di erba (sono gli animali misteriosi che vivono nelle tane enormi che vediamo ovunque che la scavano fuori e creano tanti mucchi di argilla) ci sono le impronte belle nitide di orso, più grandi della mia mano, con i solchi delle unghie profondi. Ma di orme ce sono tante, di ogni tipo, ovunque, spesso freschissime. Chi le lascia è qua attorno, nascosto tra gli alberi, e ci vede di sicuro.

Durante la colazione riferisco a Greg, ma lui chissà quante ne ha viste in tanti anni che gira in questi luoghi. Queste devono essere di Grizzly, vista la dimensione.

Ripartiamo per un giro un po’ più comodo del solito. È il quinto giorno, Greg ci porta in alto, di nuovo le rocce e i sassi, fino ad una piccola valle di erba folta e muschio; al centro un laghetto blu di acqua limpida che riflette le nuvole e le cime innevate che circondano la valle. Nascosta tra gli alberi c’è una barca e alcuni strumenti, questo parco è molto studiato dalle università locali. Beviamo direttamente dal lago, assieme ai cavalli. Presso la riva ci sono le ossa e il cranio bianche di un cervo. Greg dice che si tratta di lupi, ce ne sono parecchi qua attorno d’inverno. Dopo il pranzo ci stendiamo sul muschio foltissimo ad ascoltare il vento. Questo posto è magico, il più bello tra quelli splendidi che ricordo. Anche gli animali sembrano appartenergli; bevono a lungo sulla riva del laghetto, e brucano a lungo l’erba e il muschio folto, trascinandosi dietro le redini e la lead rope.

Lentamente il sole si oscura, il vento rinforza e porta l’eco di tuoni lontani. Il tempo cambia velocemente. Greg ci fa fretta per partire, non è il caso di farsi sorprendere qui da un temporale, dobbiamo anche scendere il ghiaione. Qualche goccia cade. Mi manca la cavalcata sotto l’acqua; siamo muniti di oilskin, l’impermeabile lungo da cowboy dei film, quindi non ci bagneremmo, però diventerebbe difficoltoso il percorso. Il temporale ci accompagna da lontano fino al campo e ci fa la cortesia di scatenarsi solo dopo cena, quando siamo già tutti sotto le tende. La mattina piove ancora ed è freddo, ma appena Cindy accende il fuoco smette e torna lentamente il sole e il caldo.

Mi sono anche fatto qualche giretto a notte fonda: il cielo stellato è fenomenale. Solo nel deserto algerino l’ho visto più limpido, e la via lattea così luminosa.

Dopo sei giorni di questa vita si comincia a ragionare in termini di ora di levata del sole e del suo tramonto, di orme in terra per capire chi o cosa si aggira tra le foglie, e di orizzonte per sapere dove si va. Greg raramente consulta la sua carta alla sera, ma solo per sapere quale sia la strada più adatta. Per il resto va a memoria, trova sentieri del tutto invisibili anche da vicino, non si perde mai. O non ce ne accorgiamo, chi lo sa. Dice che sono tanti anni che gira in questi boschi, ormai conosce il profilo delle cime dei torrenti, si orizzonta facilmente.

Anche Cindy fa questo lavoro da anni, meno di Greg, ma ha già condotto alcune spedizioni, come quelle nel territorio dei lupi. È un’altra bella avventura, col campo fisso e spedizioni giornaliere. Ma se si è abbastanza pazienti e fortunati, si possono incontrare i lupi. I lupi canadesi, quelli grossi e dal pelo folto, il famoso lupo grigio dei romanzi e delle favole. Grigi ma anche bianchi, neri, e di ogni colore intermedio. Può essere un’idea, una scusa per tornare in queste terre, in questo tempo di prima del tempo, dove la terra sembra ancora giovane e sana. Veramente ci sarebbe anche qualche spedizione per vedere gli orsi, più facili pare, ma non è il momento giusto, per qualche motivo ambientale, al momento ignoto, proprio quest’anno sono molto irrequieti, e un po’ pericolosi.

Se l’orso è un animale mitico, e rappresenta la forza primordiale, il lupo ha una sua valenza mitica fortissima, soprattutto per noi europei, che gli orsi li abbiamo fatti fuori tutti da tanto tempo. Il lupo ci è più vicino, familiare (qualcuno è anche sopravissuto in Europa), nei nostri miti è la guida che porta nel mondo nascosto, l’inconscio, l’assoluta libertà al di sopra del bene e nel male.

RITORNO AL PRESENTE Nuvole sparite, sole. Ultimo giorno, ma non lo sento tale, è solo un altro giorno di cammino verso non so dove. Facciamo le cose come sempre, smontiamo le tende, colazione, carichiamo gli animali e partiamo. Prima le due file di animali di Cindy e di Ray, poi noialtri sette, tre umani, tre cavalli e il mulo nero. Come sempre lasciamo il campo pulito e intatto come l’abbiamo trovato. Traversiamo il torrente limpido e freddo, il più grande e profondo incontrato finora nel nostro viaggio, il sole brilla sulle onde veloci della corrente. La vegetazione è molto fitta, non è immediato risalire sulle sponde, bisogna infilarsi con forza dentro i cespugli che graffiano le gambe di tutti.

Man mano che scendiamo lungo la valle la vegetazione si fa sempre più fitta e umida, vedo anche alcuni funghi spuntare dal folto muschio che cresce sotto gli abeti, coperti di licheni. La pista – che al solito solo Greg vede – attraversa molte volte il torrente, che si fa sempre più largo e profondo. Nei guadi il livello dell’acqua non raggiunge mai la pancia dei cavalli, ma un paio di volte arriva alle staffe. Ed è sempre cristallina; Fuzzy guarda con attenzione dove posare gli zoccoli e traversa senza problemi. Mi sa che hanno contribuito anche le piogge di ieri. E penso che dipende anche dal tempo il poter traversare un torrente e potere percorrere una strada anziché un’altra. Bè, anche dove abito io capita, giusto quando i fiumi tracimano o la neve è troppa, ma è cosa molto rara e non ci si pensa mai.

Ci sono anche tante cascate, oltre ai tanti torrenti sempre più ricchi di acqua e veloci che andiamo incontrando. L’acqua ci sbarra continuamente la strada, tronchi e rami ci ostacolano, bisogna infilarsi nel folto del bosco e dei cespugli, chinarsi e strusciare contro tronchi antichi per riuscire a passare e sbucare alla fine in un qualche prato o radura. È come se qualcosa non ci volessero lasciare passare, e dovessimo varcare infiniti portali e barriere per uscire da questa terra, attraverso un percorso tortuoso e difficile da trovare.

Magari lavoro troppo di fantasia, ma come si fa quando si sa di tornare ad una realtà di casino, traffico, catene e inquinamento totale come è il posto dove abito? Fa bene sapere che non è l’unica realtà, e che sul pianeta ci sono ancora posti sani. Ben più sacri e antichi di una cattedrale, dove si può ancora sentire il respiro di Gaia.

Dopo ore Greg interrompe il silenzio: “Questo era l’ultimo torrente da attraversare, non ce ne sono più” e riprende ad avanzare col suo passo tranquillo. Oltre gli ultimi alberi ci troviamo improvvisamente sul bordo di una strada asfaltata, deserta. E per la prima volta Fuzzy si arresta, rifiutandosi di proseguire. Dopo avere traversato senza problemi torrenti gelati e rombanti, foreste oscure, discese su ghiaioni, corso su sentierini quasi inesistenti sull’orlo di precipizi, scavalcato tronchi e buche e pozze di fango, per la prima volta rigido, con le orecchie diritte e lo sguardo fisso, mostra timore di qualcosa. Seguo il suo sguardo: un segnale stradale.

Percorriamo il sentiero sul bordo che costeggia la strada e il fiume, dove passa anche qualche camion di servizio della forestale, fino ad un largo piazzale dove ci aspettano gli altri. Gli animali sono già la strada alla solita corda presso un camion per il trasporto degli animali, e c’è pure un pulmino con un collega della Warner’s che sta caricando i nostri bagagli. La nostra avventura finisce qui.

Ma non del tutto. Salutati e ringraziati i ragazzi e i cavalli, senza più sapere bene che giorno sia e dove siamo finiti, saliamo sul pulmino e partiamo. La strada è lunga, ci vorrà un paio di ore per ritornare a Banff, passando per Canmore dalla parte di Calgary. Chissà quanta strada abbiamo fatto in questi giorni, e dove. Chissà quanti giorni di cavallo ci volevano per andare da Bologna a Roma, con lo stesso cavallo? Racconta Giulio Cesare di essere andato, una volta, da Roma in Gallia in due giorni per prendere il comando dell’esercito che lo aspettava. Ma cambiando continuamente cavallo però. E chissà come stava la sua schiena? Ci fermiamo a comperare qualcosa da mangiare in una stazione di servizio, ancora dentro la foresta. Fuori solo mezzi della forestale, dentro alcune persone in abito da lavoro, direi taglialegna, ma è difficile distinguerli dal barista. Sugli scaffali del mercatino sono esposti stivali, attrezzi impolverati, caschi da lavoro, guanti, e impermeabili. Sui muri mappe della zona. Le cose indispensabili in un posto come questo.

Il temporale ci ha finalmente raggiunti, e pure la grandine. Cindy e Ray viaggiano con noi, avranno due giorni liberi prima della prossima spedizione. E così fino a ottobre. Greg invece è rimasto solo con i cavalli; lo raggiungeranno con altri tre cavalli, gli ospiti sono cinque la prossima settimana.

Man mano che ci avviciniamo a Banff il traffico aumenta, e pure il caldo. Mi rendo conto che stiamo viaggiando seduti su un sedile imbottito e con un tetto sopra, cosa che non faccio da una settimana.

In città entriamo nel negozio dal retro; restituisco gli oggetti noleggiati, saluto tutti ed esco sulla strada principale con bagagli e valigie e mi incammino verso l’hotel. Noto che qualche passante mi osserva, e mi rendo conto all’improvviso di essere in mezzo alla folla dell’elegante passeggio pomeridiano di Banff, vestito ancora come nella foresta, col cappello dietro le spalle, impolverato e con camicia, wrangler sporchi e stivali peggio, abbronzato e con la barba da sistemare. I miei vestiti emanano anche un notevole odore equino. I passanti, invece, per lo più son qui a Banff proprio per sfoggiare la propria presenza sulla lussuosa Main Street, l’equivalente di viale Ceccarini o di Via del Corso. Quindi solo per un attimo mi sento fuori posto, poi penso che forse lo sono loro.

Mentre cammino in zona boutique, tra i folti gruppi di giapponesi, tedeschi e statunitensi, sento parlare alcuni italiani, i primi da quando sto qua; giro alla larga, ma tanto non mi riconoscono di sicuro così conciato.

Mi affretto verso l’hotel, a cambiarmi e lavarmi. E intanto penso che ‘sto Canada è proprio bello; bisognerebbe vederne di più.

************************** UN PO’ DI DATI L’azienda che ha organizzato questo tipo di viaggio è la Warner Guiding & Outfit , Box 2280 Banff, AB T1L 1C1 Phone: 403-762-4551 Fax: 403-762-8130, Toll Free: 1-800-661-8352 E-mail: warner@horseback.Com Trovate il catalogo delle loro proposte, estive e invernali, in http://www.Horseback.Com/,. Ci sono pure spedizioni speciali naturalistiche, nel territorio dei lupi o in quello degli orsi, di costo molto conveniente. È possibile visitare a cavallo splendidi posti nel parco, ma meno lontani dei nostri, partendo quotidianamente da bungalow o da un campo fisso. Costi da 1194.00$c a 1356.00$c (840€-950€), veramente poco.E per ogni tipo di attività ci sono soluzioni da tre, quattro, cinque o sei giorni.

Il tipo di viaggio che ho scelto io è il più “avventuroso” e costoso: $1770.00 canadesi, pari a $1609.00 americani, ovvero 1,241 euro. Vanno aggiunti i costi del materiale a noleggio (sacco pelo, borse e indumenti vari), circa altri 100 $ canadesi, e la mancia per ciascuna delle guide, che per una settimana va dai 30 ai 100 dollari canadesi. (1$can = 0.7€).

Per l’albergo, o B&B o altro, a Banff si trova facilmente, ma costa parecchio perchè sta dentro il parco. Consiglio di cercare a Calgary o Canmore, più economici. Il taxi o il bus per Banff si trova sia all’aeroporto di Calgary, dove stanno gli uffici – ben segnalati -, che tramite l’albergo. Per entrare nel parco c’è un pedaggio di circa 40 dollari.

Per il materiale da portare, è tutto descritto nel loro sito.

La Warner’s non è la sola azienda che offre questi viaggi, in Canada ce ne sono tante altre, vedi ad esempio: http://www.Hiddentrails.Com/usa/cd/index.Htm Inoltre ci sono ottimi ranch, in Canada, come negli Stati Uniti, ma costano meno, e non gli manca nulla, vista la forte tradizione western che sopravvive in Canada.

Se vi serve qualche informazione, sono a disposizione: draco9@tiscali.It



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