Botswana Avventura self-drive in roof tent

Alcuni imprevisti hanno movimentato la nostra vacanza, tutti finiti bene...
Scritto da: Panteri
botswana avventura self-drive in roof tent
Partenza il: 20/07/2014
Ritorno il: 05/08/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Dopo il meraviglioso viaggio in Namibia di due anni fa (2012 – documentato in Turisti per Caso), quest’anno abbiamo deciso di ripetere l’esperienza nell’Africa subsahariana, scegliendo come meta principale l’attiguo Botswana.

Anche in questo caso, il merito dell’organizzazione del viaggio è soprattutto di mio marito Filippo, anche se abbiamo condiviso ogni meta e scelta logistica. Io mi sono concentrata sull’organizzazione delle vaccinazioni necessarie – abbiamo effettuato profilassi per tifo, tetano, epatite e malaria (Malarone) – e sui presidi medici consigliati.

Il viaggio prevede, come in Namibia, un fuoristrada equipaggiato con “roof tent” ed attrezzatura da camping, nel periodo dal 20 luglio al 5 agosto con soste in parchi e campeggi, come da foto.

A differenza del precedente viaggio in Africa, nonostante un’organizzazione scrupolosa, questa volta ci siamo “concessi” alcuni imprevisti che hanno movimentato e rallegrato la nostra vacanza, essendo tutti finiti bene…

20-21 luglio

La partenza è stata subito vivacizzata dalla minaccia di uno sciopero che tuttavia, almeno per noi, non ha creato alcun ritardo al volo che anzi è partito puntualmente. Alle 11.00 di domenica 20 luglio abbiamo lasciato Malpensa e dopo lo scalo a Jeddah in Arabia Saudita siamo arrivati a Johannesburg l’indomani all’incirca alla stessa ora.

Lo scalo a Jeddah, piuttosto lungo, si è rivelato alquanto “suggestivo”: l’aeroporto infatti è in via di ristrutturazione per cui tutti i viaggiatori sono ospitati in una grande sala che offre complessivamente un duty free, un piccolo ristorante ed un bar. Gli sfarzi di Abu Dhabi e Dubai sono qui sostituiti dall’autenticità dei viaggiatori locali: nei momenti di picco, non meno di un migliaio di persone tra uomini, donne e bambini, prevalentemente arabi (gli unici occidentali credo fossimo io, mio marito e un altro paio di coppie), chiacchierano animosamente come fossero al mercato in una confusione talvolta disorientante, con voli continui in partenza per le destinazioni più disparate: Islamabad, Parigi, Mumbai, Karachi… Anche il passaggio ai varchi di controllo è ben diverso da quello cui siamo avvezzi: a parte la divisione fra uomini e donne, è un vociare continuo in mezzo ad una folla irruenta che non fa mancare spintonate… Ad un certo punto mi sento, senza volerlo, allontanata dalla coda sino a quando una coppia di militari donne mi fa progredire e superare il varco redarguendo le mie vicine indisciplinate. Insomma, un’esperienza diversa dal consueto, ma che francamente non rifaremmo volentieri…

Arriviamo a Johannesburg in mattinata, dove ci attende il nostro referente del noleggio auto: ci conduce a Pretoria, presso la sede, e nel consegnarci l’auto dopo le firme di rito ci illustra tutte le indicazioni necessarie per guidare, fare benzina, montare la tenda e iniziare il nostro viaggio in assoluta tranquillità e sicurezza.

Partiamo quindi alla volta di Gaborone, capitale del Botswana, dove arriviamo verso le 19.30, dopo aver varcato, senza troppi vincoli amministrativi, la prima frontiera “border point” della vacanza. Per la prima notte, dopo il lungo viaggio in aereo e in auto, ci concediamo una riposante notte in albergo, presso il centralissimo Cresta Hotel, dove ci godiamo una cena tipica: per me seswaa (carne tritata di capra), pap ( un purè fatto di farina di mais) e morogo (spinaci selvatici) e per mio marito pesce alla griglia con leputshe (zucca selvatica).

22 luglio

Dopo colazione, facciamo un breve giretto in città, attraversiamo la via pedonale sino al Municipio in un’atmosfera un po’ spenta, nonostante ci troviamo nella capitale del paese, e facciamo spesa per avviarci alla parte di viaggio più naturalistica e avventurosa.

Percorriamo inizialmente la strada asfaltata in direzione Molepolole per poi inoltrarci lungo una sterrata sino a raggiungere la Khutse Game Reserve che rappresenta un ampliamento meridionale del Central Kalahari G.R. Prima di entrare nella riserva, svolgiamo, per la prima volta, gli adempimenti per l’accesso, che diventeranno poi una pratica abituale: presentazione del permesso di entrata e prenotazione del camp site, senza i quali non avremmo avuto accesso, redazione di tutti i nostri dati sul registro di ingresso e scambio di alcune parole con le guardie che, in questo caso, ci chiedono rassicurazioni sul fatto che abbiamo acqua e cibo in abbondanza.

Khutse, che significa “dove ci si inginocchia per bere” in lingua sekwena, si presenta subito nella sua arida e primitiva bellezza: orici e springbok ci danno il benvenuto, mentre una miriade di uccelli ci accompagna sino al nostro campeggio di Molose, completamente deserto, ma con una bella pozza nelle vicinanze per avvistare la fauna. La piazzola è spaziosa e minimalista: oltre a un bell’albero, disponiamo di una doccia con un secchio da riempire con la nostra acqua e di un sanitario che scarica i bisognini nella grande fossa sottostante. Ci sistemiamo, preparando fuoco e cena sotto un cielo colmo di stelle.

23 luglio

Sveglia alle 5.30 per vedere le luci dell’alba ed i primi animali abbeverarsi alla pozza d’acqua: il sole sorge presto e alle 18 il freddo e il buio non consentono molte attività… Da qui percorriamo in auto un lungo tratto, senza incontrare anima viva eccetto un pick-up stracarico di locali, tra curiose verdure sferiche che somigliano a dei piccoli cocomeri lungo strade ad ampi tratti fatte di soffice e profonda sabbia chiara, sino alla zona centrale del Kalahari G.R. nel villaggio di Molapo, raggiunta perché non abbiamo imboccato la strada corretta dopo l’incrocio all’altezza di Bape Camp. Tuttavia, anche grazie a questa lunga deviazione, abbiamo la possibilità di passare in mezzo ai grandi pan, circondati dalla boscaglia ed ad alcuni piccoli villaggi san, dove ci intratteniamo con alcuni autoctoni per chiedere indicazioni (i villaggi si trovano proprio lungo la pista e individuare la direzione corretta non è banale, anche perché i cartelli segnaletici sono ben rari nel Kalahari!): gente cordiale e sorridente, che alla nostra offerta di acqua fresca e pane, preferirebbe un paio di sigarette.

Prima di raggiungere il nostro campsite a Xade come da programma, abbiamo un imprevisto. Forse per la lunga giornata e forse per un po’ di stanchezza alla guida, quando ormai il sole è tramontato e la visibilità si riduce, ci impantaniamo a quindici km dalla destinazione in un tratto particolarmente sabbioso. Proviamo a scavare, a sgonfiare ulteriormente le gomme, ma ogni tentativo sembra vano: più cerchiamo di uscirne e più l’auto si inclina e sprofonda nella sabbia. Nel frattempo, cala del tutto la luce e arriva la notte, e con essa anche i suoni e i rumori del deserto. Stanchi ed un po’ preoccupati, saliamo in auto, consapevoli che ci attende una notte insolita. Sdraiati nell’auto, ci lasciamo avvolgere dalla maestosità di questo arido luogo, che ci incute anche un po’ di timore con i suoi lunghi silenzi interrotti solo dal vento e dal rumore secco degli arbusti.

Ci addormentiamo guardando dal finestrino dell’auto il cielo stellato.

24 luglio

Nonostante la notte in auto, ci svegliamo piuttosto riposati alle prime luci del sole. Mangiamo qualcosa e cerchiamo di uscire dall’impasse, senza tuttavia riuscirci, constatando invece che l’auto ha una grossa ammaccatura proprio sulla parte anteriore destra, probabilmente un’altra conseguenza della guida con scarsa illuminazione la sera precedente, benché sul momento non ce ne fossimo accorti. Nel frattempo passano i minuti, che diventano ore, senza veder sopraggiungere nessuno. Cominciamo a preoccuparci un po’ di dover passare una nuova notte in auto, e che possa non essere l’ultima. I cellulari non prendono, non pare che questa zona sia d’interesse per molti turisti, e oltretutto mettersi in cammino a piedi è sconsigliabile per gli incontri che si possono fare… Intorno alle 13.00, vedo arrivare in lontananza un Land Rover e mi vengono quasi le lacrime agli occhi: forse possiamo ripartire! Nella sfortuna di quanto ci è capitato siamo fortunati perché il fuoristrada è condotto da un’esperta guida sudafricana che si muove con destrezza e nel giro di un’oretta dopo aver liberato con dei badili gli assi delle ruote e vari tentativi di traino, prima in retromarcia poi in avanti, finalmente usciamo fuori dalla buca nella quale ci eravamo inabissati.

Siamo molto grati ai nostri salvatori, grazie ai quali possiamo riprendere il nostro viaggio sino al campsite di Xade nel quale avremmo dovuto sostare la notte precedente. Visto che il luogo è ben attrezzato, ne approfittiamo per rigenerarci con una doccia calda. Mentre cerco di attivare la sveglia per l’indomani, mi accorgo che in vecchio iphone su cui abbiamo caricato la sim Mascom locale ha assunto dimensioni strane: non appena cerco di muoverlo un po’ si dilata così tanto da aprirsi a modo di ventaglio mettendo in evidenza le schede interne. Siamo esterrefatti; è davvero l’ora di dormire.

25 luglio

Dopo esserci rigenerati durante la notte ci siamo svegliati presto con tutti i buoni propositi per riorganizzare il viaggio: in considerazione del carburante a disposizione decidiamo di non proseguire per Piper Pan (ulteriori 70 Km di strada sabbiosa come inizialmente programmato), ma di deviare per Ghanzi (170 km di strada non asfaltata, di cui i primi 70 Km molto sabbiosa) e da lì raggiungere Motopi Pan, dove avevamo prenotato un posto nel campsite.

I primi 70 km di strada si rivelano particolarmente impegnativi: dossi, sabbia e tortuosità non ci concedono molto spazio per ammirare altro paesaggio se non la strada dritto davanti a noi. Al termine di questo primo tratto, ci fermiamo per una sosta e con nostro sommo sconcerto scopriamo che gli imprevisti non sono terminati: il nostro Toyota 4×4 cabinato si è trasformata in un pick-up! abbiamo perso completamente la parte di copertura metallica comprensivo della seconda tenda, nonché un trolley e chissà cos’altro ancora, seminato per la strada. La sorpresa è tale che sia io che mio marito rimaniamo senza parole. Mi sarebbe piaciuto avere la freddezza di immortalare le nostre facce in una fotografia. Dopo alcuni attimi di sconforto, condividiamo i passi da compiere: dirigerci a Ghanzi per il rifornimento dell’autovettura e chiedere aiuto a qualcuno per aiutarci a ripercorrere a ritroso la strada così da recuperare il cabinato e gli oggetti persi con lui.

Lungo il tragitto incontriamo finalmente un altro pick-up e – sarà la vista, tutt’altromche frequente di una vettura, sarà il desiderio di ricevere conforto da qualcuno – fermo l’auto e inizio a parlare con l’autista. Scopriamo così che si stanno dirigendo per lavorare verso New Xade, poco distante dal campsite nel quale abbiamo pernottato, al limitare del tratto sabbioso, e che sono disponibili ad aiutarci. Il guidatore ci affida un ragazzo, dicendoci che ci aiuterà ad andare in città e poi ci ritroveremo al loro villaggio vicino per andare insieme a recuperare quanto perso. Così facciamo: il ragazzo è giovane, parla un po’ di inglese ed ha una buona manualità, tanto che mentre facciamo rifornimento, mi aiuta a sistemare la tenda rimasta.

Torniamo a ritroso in cerca della struttura del cabinato. Prima andiamo al villaggio di New Xade, ma dell’uomo che ci aveva detto che ci avrebbe aiutato non c’è alcuna traccia, così si aggrega a noi un altro ragazzino, sveglio e smilzo. Tutti e quattro ripercorriamo la strada, sino a quando, ormai un po’ avviliti per non aver trovato ancora nulla dopo aver percorso più di 50 km, incontriamo un sudafricano con un Land Lover ultra equipaggiato che, facendo lampeggiare le luci abbaglianti, ci saluta così: “Hi! Are you looking for a red trolley and a roof?”. I nostri sorrisi sono la più chiara risposta. Discorriamo con lui e la moglie dei fatti accaduto ed apprendiamo che tutto l’equipaggiamento è a una decina di chilometri di distanza, intatto. Il signore sudafricano è particolarmente arrabbiato: vorrebbe telefonare, con il suo telefono satellitare, al noleggiatore dell’auto per spiegargli che quanto accaduto è frutto di un montaggio eseguito male e che dovrebbe aiutarci a porre rimedio. Tuttavia lo convinciamo che in questo momento il problema è solo nostro ed essendo all’inizio delle nostre vacanze vogliamo solo poter recuperare la situazione e continuare. Così, riprendiamo la strada e troviamo tutto! Grazie ai due nuovi amici, riusciamo a caricarci sulle spalle la struttura esterna che si è staccata, comprensiva di tenda, e riagganciarla al resto dell’auto, nella stessa identica posizione di prima. Già solo per il peso, da soli non saremmo mai riusciti a farcela. I due ragazzi inoltre danno prova di una sorprendente abilità: con corde e lacci piuttosto semplici riescono ad assicurare saldamente il tutto. Che soddisfazione, tranne per il fatto che ci accorgiamo che il fanalino destro posteriore si è rotto, probabilmente nel momento in cui abbiamo perso il tetto. Poco male: cercheremo di risolvere anche questo ulteriore problema… Vista la vicinanza con il campsite, facciamo una breve sosta lì, dove la guardia del parco, preso da tenerezza nei nostri confronti, ci consiglia e ci prenota un posto in albergo dove pernottare la notte a Ghanzi.

Così riprendiamo la via: riportiamo a casa i due ragazzini, non senza averli ricompensati per il prezioso aiuto, regalando a uno dei due il nostro iphone “panino”, e raggiungiamo verso le 21.00 di sera l’albergo.

E’ carino e pulito. Riusciamo anche a mangiare un boccone caldo: carne, patate e zucca, quest’ultima buonissima, prima di sprofondare nel sonno.

26 luglio

Al risveglio, ho un po’ paura di iniziare la giornata: così ci accadrà oggi? Facciamo il punto della situazione: innanzitutto occorre far fissare stabilmente con delle viti il tetto all’auto e riprendere finalmente il viaggio come da programma.

Per quanto riguarda il primo punto, chiediamo supporto alla reception dell’albergo, che ci indirizza verso un garage vicino – Kali Motors – che nel giro di poco più di un’ora ci restituisce una vettura ammaccata ma finalmente integra. Dopodiché, riprendiamo il percorso con destinazione Maun e il camp site di Khumaga nel Makgadikgadi Pans, riprendendo così l’itinerario che avevamo stabilito.

La strada verso Maun è tutta asfaltata ed attraversa una vasta distesa di praterie e savane; la città è uno dei più importanti luoghi turistici del Botswana, punto di accesso per varie escursioni nel delta dell’Okavango. Lungo il tragitto ci troviamo anche a passare lungo una zona di quarantena dove ci chiedono di pulirci le scarpe in una bacinella di acqua scura e far passare l’auto in una specie di piscina dall’acqua altrettanto scura.

Gli imprevisti, per quanto ci appaiano risibili rispetto ai giorni precedenti, non sono finiti:

· Poco prima di arrivare a Maun, abbiamo preso una multa per eccesso di velocità: andavamo a 67km all’ora anziché 60 km all’ora. I poliziotti sono stati gentili, ed alquanto scrupolosi nell’applicazione della legge…

· Ci siamo accorti che il telefono di mio marito era introvabile: smarrito chissà dove.

Tuttavia la cosa più bella della giornata è arrivare nella zona del Makgadikgadi National Pans, che grazie alle acque del fiume Boteti, negli ultimi anni sempre meno asciutto, richiama numerose specie di animali. Per raggiungere il campsite di Khumaga dobbiamo prendere un ferry che ci porta sull’altra sponda del fiume, dove trascorreremo la notte. Il parco ci da il benvenuto con i suoi innumerevoli animali: zebre, orici, gnu, impala, kudu, zebre, babbuini, elefanti, ippopotami e tanti uccelli.

Durante la visita al parco, nel pomeriggio, mentre il sole inizia a tramontare, vediamo uno spettacolo bellissimo: due grandi elefanti attraversano il fiume Boteti da una sponda all’altra. Restiamo incantati mentre li osserviamo immersi quasi completamente nelle acque.

27 – 28 luglio

Lo spettacolo di ieri ci ha messo di buon umore: sembra che gli eventi volgano al meglio. Ripartiamo di buon ora, dopo aver visto un paio di babbuini scendere da un albero e curiosare sul tavolo di un altro campeggiatore; attraversiamo prima il parco, uscendo dalla porta a nord, e ci dirigiamo quindi verso Moremi G.R. nel delta dell’Okavango, dove rimarremo per due notti.

Il delta dell’Okavango è un ecosistema unico e complesso, costituito da uno dei più grandi delta interni del mondo in cui diversi fiumi si danno appuntamento sommergendo le terre, dando ristoro ai numerosi animali, per poi arrestarsi e finire, senza mai incontrare il mare, nelle saline del Botswana centrale. Come viaggiatori indipendenti, ci è stato possibile soggiornare nella riserva tramite la prenotazione di un posto nel campsite di South Gate sin dall’Italia. Dedichiamo le due giornate alla visita più completa possibile della riserva: al mattino ci dirigiamo nella parte nord -occidentale, incontrando lungo la strada alcuni licaoni e bufali. Raggiungiamo Xakanaxa, nei pressi della quale visitiamo Paradise Poll, uno degli angoli più suggestivi della riserva, con alberi dalle forme più strane e piccole pozze d’acqua circondate da molti animali. Successivamente, dopo aver superato il quarto e terzo (sic) ponte in legno – quest’ultimo alquanto malandato – arriviamo nel vicino campsite da dove acquisiamo alcune informazioni per raggiungere Mboma Island, da dove è possibile fare una bella gita in mokoro. Il mokoro è una piccola canoa a due posti spinta con un lungo bastone, chiamato ngashi, da un abile e giovane barcaiolo, che ci fa scivolare tra le acque basse del delta e il verde-giallo dei canneti in un’atmosfera di silenzio che ci incanta per la sua unicità. Al termine, ci spostiamo verso sud, superando il secondo ed il primo ponte in legno, tra alberi i cui frutti sembrano salami e gruppi di elefanti intenti a spruzzarsi con acqua e fango, sino a risalire verso Khwai, nei pressi della quale andiamo a visitare la Hippo Pool, dove possiamo ammirare alcuni ippopotami fare il bagno e sentire sbuffi e “ruggiti” davvero impressionanti.

La sera, mentre ci scaldiamo vicino al fuoco e Filippo si infila i pantaloni del pigiama, intravedo una strana ombra. Illuminandola con la torcia, noto che assomiglia ad un grosso lupo: è sicuramente una iena curiosa e famelica, che tuttavia, non appena agito la torcia ed emetto qualche gridolino, fugge in mezzo ai cespugli vicini.

29 luglio

Partiamo presto dal campsite visto che la nostra direzione è Ngoma , appena varcato il confine della Namibia. Attraversiamo l’altra parte del Parco per raggiungere il Chobe National Park, a cui accediamo dal lato sud-occidentale, con l’intenzione di raggiungere Savuti.

Percorriamo un primo tratto di bianca sterrata, che in alcuni punti ci costringe a delle deviazioni, comunque segnalate, a causa dell’invasione delle acque del Savuti Channel che – dopo qualche pozza superabile in modo relativamente agevole – interrompono la via principale con un corso d’acqua inguadabile. Presto la strada torna ad essere molto argillosa e sabbiosa. Raggiungiamo il villaggio di Savuti, dopo aver fatto una tappa presso le Leopards Rock, monoliti di roccia che si ergono dalla sabbia circondati da una fitta boscaglia, in mezzo ai quali – nomen omen – cerchiamo naturalmente di avvistare qualche leopardo, purtroppo senza successo.

Ammaliati dal paesaggio, sbagliamo strada e anziché dirigerci verso Kasane, imbocchiamo una strada sabbiosa che ci porta sulla sponda nord-occidentale del fiume Linyanti e all’omonimo campsite, da cui ammiriamo un bel paesaggio brulicante di uccelli. Onde evitare di sbagliare nuovamente strada, chiediamo informazioni alla guardia del parco che ci consiglia di prendere una strada poco battuta ma meno sabbiosa in direzione Kasane sino ad un incrocio. Percorriamo la strada per circa un’ora e mezza e finalmente troviamo un bivio, che imbocchiamo con un po’ di titubanza, in assenza di indicazioni. La strada, per non perdere l’abitudine, diventa molto sabbiosa: evitiamo un nuovo insabbiamento sgonfiando ancora le ruote e finalmente verso le 15.00 arriviamo a Kachikau dove la strada ritorna ad essere asfaltata. Attraversando il ponte e la frontiera, più tardi raggiungiamo Ngoma, in Namibia, dove ci sistemiamo nello stupendo campsite proprio lungo la riva del fiume, che dispone di un’ottima piazzola privata circondata da canne di bambù e una doccia calda riscaldata dal fuoco. Il campeggio dispone anche di una decina di lodge e di un ristorante, per cui questa stasera di concediamo il lusso di una cena a lume di candela di fronte agli animali che si abbeverano nel fiume.

30 luglio

Stamattina all’alba di fronte a noi si apre uno splendido paesaggio: i colori intensi ed accesi, del cielo e dell’acqua del fiume, sfumano dal rosso cremisi al giallo ocra. Le nostre mete oggi sono Livingstone e le Victoria Falls.

Varchiamo con relativa tranquillità, alleggeriti di circa 120€ e impiegando complessivamente poco più di mezzora, il confine con lo Zambia, e percorriamo circa 60 km di fianco al fiume Zambesi: lungo il percorso vediamo tanti piccoli villaggi e tanti bambini che vanno a scuola che si sbracciano per salutarci con grandi sorrisi. Dopo un’oretta circa ci accorgiamo che nonostante il fiume Zambesi sia sulla nostra destra, stiamo andando a nord anziché a sud verso Livingstone, per cui invertiamo la rotta e riprendiamo la direzione corretta. Almeno in questo caso è valsa la pena di sbagliare strada. Raggiungiamo Livingstone dopo un percorso di 190 km che si presenta vivace e gradevole, nonostante per un ampio tratto iniziale il manto stradale sia costellato da innumerevoli e profonde buche. Passeggiamo per un’oretta lungo la via principale Mosi-oa-tunya Rd e poi ci dirigiamo verso l’attrazione principale: le cascate Vittoria.

Annoverate fra le sette meraviglie del mondo, hanno non solo una grandissima portata d’acqua ma sono anche incastonate in uno splendido paesaggio: attraversiamo il Knife Edge per osservare la Eastern Cataract e risaliamo fino in cima per osservare il punto prima dello scroscio a cascata. Riscendiamo poi giù per vedere il resto del parco.

Dopo la visita, riprendiamo l’auto per raggiungere lo Zimbabwe così da poter vedere le cascate anche da questo versante. Il passaggio alla frontiera si rivela piuttosto snervante: gli addetti alla dogana ci chiedono di pagare una tassa di $80 per un’assicurazione al nostro veicolo che considerano commerciale ed un ulteriore tassa di $50 di natura più generica, in aggiunta ai $30 a testa per il visto. Inizialmente proviamo a sostenere la conversazione opponendoci alle richieste, ma l’insistenza e la capziosità della situazione è tale che desistiamo. Non appena usciamo dal punto di confine, nel quale abbiamo trascorso un’ora buona, una coppia di sorridenti poliziotti ci ferma chiedendoci spiegazioni sulla mancanza degli adesivi bianchi da apporre sul fronte del paraurti, obbligatori in Zimbabwe (sembrerebbe solo lì), e per non aver sostituito il fanalino retrovisore danneggiato. Tentiamo di spiegare che, durante il nostro viaggio, abbiamo più volte cercato un garage per la sostituzione: a Ghanzi, a Maun e a Livingstone, ma senza successo: le autorimesse erano chiuse o non disponevano del pezzo di ricambio adatto. Tutto inutile: non sfuggiamo al ruolo di vittima sacrificale a cui siamo inesorabilmente destinati e riusciamo a strappare soltanto un piccolo sconto, pagando una multa di $20 anziché 30.

La sera dormiamo presso il camp site delle Victoria Falls, il primo campeggio relativamente affollato della vacanza: non solo di turisti, ma anche di babbuini, che tuttavia non ci hanno dato noia.

31 luglio

Stamattina abbiamo di nuovo assolto il passaggio di confine, uscendo dallo Zimbabwe per rientrare in Botswana: in questo caso le pratiche amministrative presso l’area di Kazungula sono state piuttosto celeri e senza esborsi. Da qui ci siamo spostati verso Kasane e poi verso il Chobe Riverfront Park dove abbiamo trascorso l’intera giornata. Qui si possono avvistare tantissimi animali: ippopotami, giraffe, zebre, antilopi, bufali, gnu e perfino uno schivo leone che, tranquilli, si avvicinano per bere e riposarsi lungo le sponde del fiume. Nel tardo pomeriggio, prima di raggiungere il nostro campeggio, siamo ritornati a Kasane nel consueto vano tentativo di sistemare il fanale retrovisore dell’auto. Il camping è bene attrezzato e costruito intorno ad una pozza d’acqua nella quale vengono ad abbeverarsi gli animali, in particolare gli elefanti: alla sera quindi ci godiamo uno spettacolo dal vivo inusuale per la breve distanza che ci separa dai pachidermi.

1 Agosto

La giornata di oggi si prospetta piuttosto tranquilla. Percorriamo la strada asfaltata verso sud, in direzione di Nata, che raggiungiamo intorno alle 10.30. A pochi chilometri di distanza visitiamo il Nata Bird Sanctuary, una riserva naturale con molti uccelli acquatici. Dopo la visita ci spostiamo al nostro camp site, Elephant Sands, dove speriamo di poter fare una camminata nel bush, ma purtroppo il giorno del nostro arrivo non è prevista. Ci dedichiamo quindi a noi, un po’ di relax, godendoci il pomeriggio in attesa della cena che consumiamo con la bella visita di una nutrita famiglia di elefanti che bevono poco distanti da noi.

2 Agosto

Al risveglio cominciamo a fare i conti con l’approssimarsi della fine della vacanza: mancano solo pochi giorni, ed il nostro viaggio si proietta verso il sud del paese.

Prima raggiungiamo Francistown, seconda città del Botswana, ma che passeggiando per le sue strade, memori dell’impressione suscitata da Gaborone, pare essere la vera capitale; vivace, pulita e molto animata. Ne approfittiamo anche per mangiare una torta salata al Pie City, rinomata panetteria, e per cercare di trovare, per l’ultima volta, una sistemazione al nostro faretto posteriore. Dopodiché ci spostiamo ancor più a sud prima verso Serowe ed il Khama Rhino Sanctuary, l’ultima riserva che visiteremo in Botswana, destinata alla protezione di rinoceronti bianchi e neri. Il camp site del parco è ben organizzato con dei bagni comuni puliti e con docce caldissime. Per la sera abbiamo organizzato un Night Game Drive per osservare gli animali: l’esperienza è da brividi per il freddo (la vettura era aperta e la temperatura avrà raggiunto al massimo gli otto gradi) ma interessante. Vediamo tantissimi animali, fra cui anche i rinoceronti e una specie di “piccolo canguro africano”, anche se con abbiamo la sensazione di disturbarli un po’ con la luce. Il freddo penetrato nelle ossa è tale che quando facciamo ritorno al nostro posto accendiamo il fuoco e ci restiamo incollati per una buona mezz’ora. Mangiamo due panini con un po’ di formaggio, sempre vicini al fuoco, e guardiamo l’ultima stellata del Botswana.

3 Agosto

Al risveglio, partiamo in direzione Bela Bela, a nord di Pretoria in Sud Africa. Viaggiamo superando Serowe, Palapye sino a raggiungere Sherwood dove oltrepassiamo il confine ed entriamo in Sud Africa. Facciamo un giretto a Bela Bela e poi arriviamo al nostro campeggio: un grande complesso ben organizzato ed attrezzato riaperto dopo un passaggio di proprietà a fine dicembre. Essendo gli unici clienti (l’alta stagione coincide con il nostro inverno e in questo periodo i resort della zona lavorano principalmente nei fine settimana), i proprietari ci prendono in simpatia e ci fanno visitare tutta la struttura (bungalow, campi tendati, aree di divertimento per bambini e per finire la zona del bush dove vediamo una giraffa, un paio di springbok e impala). La sera ceniamo davanti ad un caldo ed intenso fuoco, sorseggiando una bottiglia di vino sudafricano e ripensando alle giornate trascorse.

4 Agosto

Raggiungiamo Pretoria verso le 9.00 per restituire, con un po’ di preoccupazione, l’auto. Dopo l’iniziale comprensibile sconcerto del noleggiatore, concordiamo con un sorriso di ricevere un preventivo economico dei danni via mail così da saldare il tutto.

Ci dirigiamo in aeroporto con un autista che ci parla della situazione politica ed economica del Sudafrica con un po’ di tristezza ed amarezza, preoccupato del futuro, e partiamo in orario verso l’Italia.

Alcuni giorni dopo il rientro in Italia, ripensando al nostro viaggio ho quasi la sensazione di aver sognato: i posti che abbiamo visto e le sensazioni che abbiamo provato sono stati così intensi e diversi dalla quotidianità che mi sembrano quasi irreali, anche se so bene che ancora una volta l’Africa non ci ha deluso e ha saputo regalarci un bellissimo viaggio.



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