Ecco come ci siamo innamorati dell’Africa

Botswana overland 3246 kms Quante stelle appese al finestrino ho contato per arrivare da te Africa! “Ya se acaba el viaje pero deseo que la amistad que hemos hecho dure toda la vida. Ojalà voluamos a vernos. Siempre os recordarè” Precedentemente ero stata in Tunisia e poi in Egitto, brevi viaggi organizzati dentro quei lussuosi hotel dove...
Scritto da: bgmeetafrika
ecco come ci siamo innamorati dell'africa
Partenza il: 01/05/2005
Ritorno il: 18/05/2005
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 2000 €
Botswana overland 3246 kms Quante stelle appese al finestrino ho contato per arrivare da te Africa! “Ya se acaba el viaje pero deseo que la amistad que hemos hecho dure toda la vida. Ojalà voluamos a vernos. Siempre os recordarè” Precedentemente ero stata in Tunisia e poi in Egitto, brevi viaggi organizzati dentro quei lussuosi hotel dove tutto è incluso e non ho mai creduto a chi descriveva questo continente come a: “qualcosa che ti lascia il SEGNO”. Certo, le mie impacchettate esperienze non mi hanno permesso di provare gran che, quindi pensavo che il mal d’africa non fosse altro che una sfrenata ostentazione da parte di alcuni. Passano gli anni ed una serie di eventi mi riportano a puntare il dito in quella precisa zona del mio mappamondo e, non avendo il tempo e i mezzi necessari per organizzare, mi sono rivolta agli esperti scartando ogni proposta lussuosa. Scegliemmo un tour per il quale si richiedevano un’ottima forma fisica ed una partecipazione attiva al campo. Andiamo! Siamo partiti in due per unirci al gruppo a Johannesburg. Arriviamo di mattina presto e per la maggior parte del nostro itinerario le giornate inizieranno sempre alle prime luci dell’alba e finiranno la sera con tutti noi in cerchio davanti al falò a raccontare storie. Cosa è un viaggio? E’ ricerca, è conoscenza, è fare amicizia, è il piacere di condividere le emozioni con persone che sono al di fuori della sfera quotidiana. Oggi penso a quanto sono stata fortunata per aver vissuto, anche solo un poco, con quelle persone. Eravamo in undici e di varie nazionalità, il mezzo era uno di quei bus attrezzati che io chiamavo la scatola magica, perché dentro ci stava tutto: le nostre tende con l’occorrente per la notte, il tavolo da cucina, i fornelli, le derrate alimentari, le stoviglie, le sedie, gli zaini e…Noi. Di giorno si viaggiava e prima che il sole toccasse l’orizzonte ci fermavamo a montare il campo. Niente pranzi né cene luculliane ma semplicemente cibo per soddisfare le nostre pance, niente abiti da sera! Ricordo la mia prima notte passata nel deserto del Kalahari, sentivo il respiro di chi dormiva nelle tende disposte senza un ordine preciso tra le sterpaglie e la luna era tanto luminosa da poter stregare anche gli sguardi dei meno romantici. Percorrendo l’ultimo tratto della Transkalahari tra ampi spazi e distese di arbusti arriviamo al camping Sitatunga nella città di Maun, (base di partenza per le escursioni nella riserva Moremi) dove piantiamo i picchetti sotto alberi di alto fusto e tra termitai che sembrano grattacieli; qui lasceremo la nostra casa ambulante per quattro giorni. Con la jeep e il carrello per le provviste, raggiungiamo il Third Bridge camp site, distante circa novanta km dalla città e che si trova ai margini della laguna formata dall’Okavango. Sistemati i rifornimenti al sicuro, montiamo le tende, passeremo qui due giorni e i successivi due al Khwai camp più a nord. Axe è il nostro ranger e ci porterà a spasso nella savana destreggiandosi alla guida nel migliore dei modi. Ricordi: di respiri trattenuti, di occhi spalancati, l’atmosfera è frizzante e la sensazione è quella di sentirsi piccolissimi di fronte a tutto, specialmente quando Axe inizia un rito propiziatorio per auspicare buona fortuna a tutto il gruppo. Si ferma, lentamente abbandona il posto di guida, raccoglie basilico selvatico e dopo averlo sfregato tra i palmi ce ne fa annusare l’aroma, poi lo sparge sul cofano dell’auto: “Questo ci farà incontrare i felini”- dice. Risate: qualcuno dopo aver annusato cominciò a starnutire causando una fuga in massa di impala e volatili ma poco dopo davanti ai felini nessuno fiatava. Siamo circondati dagli animali ed io mi sento un’intrusa, nella notte il silenzio è interrotto dai loro movimenti. Attraversando un ponte costruito coi tronchi raggiungiamo a piedi un villaggio, un piccolo bambino mi corre incontro si aggrappa alla mia maglietta ed io lo sollevo prendendolo in braccio, regalo a lui un po’ di biscotti e poi lo lascio alla sua giovane mamma. Le impronte delle sue manine sono rimaste impresse sul tessuto bianco, si sono sbiadite mano a mano che il viaggio proseguiva ma neanche il tempo le cancellerà dai miei pensieri. Con il mokoro (canoa senza remi) galleggiamo sull’acqua limpida e cheta tra canneti e ninfee mentre qualcuno fischietta “nel blu dipinto di blu”. Sorvolare il delta del fiume con un piccolo aereo non è stata per me un’esperienza esaltante, per il semplice fatto che sono salita cercando di imitare Karen Blixen ed invece le evoluzioni del pilota mi hanno trasformato in vomitella, provocando il malessere anche alla signora australiana che mi sedeva accanto; ammetto comunque che la veduta sottostante merita molti scatti fotografici. A Kasane facciamo campo nel Chobe National park, al crepuscolo il grande sole sprofondando nel fiume, dissolve il giorno tra riflessi d’oro e rosse tonalità conferendo al posto un’atmosfera fatata. L’indomani, siamo in Zimbabwe a vedere le cascate Vittoria, oltre l’arcobaleno c’è lo Zambia e decidiamo di attraversare il confine. Il ponte che divide i due stati è lungo poco più di due chilometri, terra di nessuno dove molte persone senza fissa dimora hanno come casa un pezzo d’asfalto. Una breve camminata e siamo at the border, i funzionari imprimono il visto che ci permetterà di oltrepassare la linea e così sarà anche per il giorno successivo. Il frastuono del “mosy-oa-tunya” (chiamato dai Kololo e “shungu na mutitima” dai Leya) la cui traduzione è: “ il fumo che rimbomba”, mi attrae molto più di qualsiasi altra attività turistica e sportiva che si svolge intorno a questa magnificenza creata dal fiume Zambesi. Controvoglia i miei compagni mi trascinano a compiere un volo con l’elicottero per vedere la catarrata dall’alto e ammetto che sarei stata pazza a lasciarmi sfuggire una simile occasione. La prossima tappa ci porta alle Makgadikgadi pans, il complesso di saline più grande del mondo, che in questo periodo dell’anno è per la maggior parte ricoperto di acqua ed è affollato di fenicotteri e altri animali. Questo posto è straordinario, è magico e non ha nulla da invidiare al Chobe National Park, ci spiegano che nei mesi più caldi tutto diventa austero e irreale ma realmente si rischia di perdersi nell’abbagliante ed infinita bianca distesa.(12.000 Km quadrati) Siamo accampati al Nata e la sera ci vengono a trovare i piccolissimi bush baby, animaletti dagli occhi grandi, dei quali ora mi sfugge il nome scientifico, con rapidi movimenti saltano da un posto all’altro senza mai posare le zampe a terra e ci accorgiamo che hanno rosicchiato le nostre mele. Trascorriamo l’ultima notte in tenda al Molala Tau che sta per: “il riposo del leone”, definizione che si addice alla conclusione del nostro peregrinare; sempre intorno al fuoco ognuno di noi scrive il proprio pensiero di addio sul diario di bordo ed io disegno cuori che si tengono per mano. Ritornando attraversiamo il ponte sul Limpopo, lasciamo il Botswana alle nostre spalle e rientriamo in Sud Africa, in un giardino di Pretoria ci fermiamo a fare pic-nic e prima di sera raggiungiamo Johannesburg. Abbracci e lacrime trattenute tra le ciglia sono il nostro saluto all’Africa in questo giorno che finisce dietro alle vetrate dell’International airport. I’ll miss you Africa, I’ll miss you all my friends! Questo è il racconto della nostra insolita luna di miele che ha impresso il “SEGNO” nei nostri cuori! By one of the best group ever met till now, Dolores.


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