BOTSWANA E ZIMBAWE: diversi aspetti dell’Africa

BOTSWANA E ZIMBAWE: diversi aspetti dell’Africa australe nei paesaggi di terra e di acqua Continuazione del viaggio iniziato in Namibia iniziato il 14 giugno ’07 (vedi NAMIBIA: itinerario di emozioni in un ambiente primordiale) Pernottamenti Maun 27/06 Pom Pom Camp 28 e 29/06 Deception valley...
Scritto da: carlottaben
botswana e zimbawe: diversi aspetti dell’africa
Partenza il: 27/06/2007
Ritorno il: 06/07/2007
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
BOTSWANA E ZIMBAWE: diversi aspetti dell’Africa australe nei paesaggi di terra e di acqua Continuazione del viaggio iniziato in Namibia iniziato il 14 giugno ’07 (vedi NAMIBIA: itinerario di emozioni in un ambiente primordiale) Pernottamenti Maun 27/06 Pom Pom Camp 28 e 29/06 Deception valley lodge 30/06 e 1/07 Chobe safari lodge 2 e 3/07 Victoria falls hotel 4/07

1° GIORNO mercoledì 27 giugno ‘07 (14° giorno di viaggio) da Caprivi Strip in Namibia a Maun in Botswana (vedi NAMIBIA: itinerario di emozioni in un ambiente primordiale) La strada è asfaltata, ma la carreggiata si presenta stretta e con un fondo stradale abbastanza dissestato, a differenza delle strade percorse in Namibia, per la maggior parte sterrate.

Un piccolo incidente a pochi chilometri da Maun: un sasso sollevato da un’auto che procede in senso contrario al nostro colpisce un finestrino laterale della nostra auto mandandolo in frantumi. Fortunatamente, nessun danno agli occupanti dei sedili posteriori, solo una momentanea paura per il gran botto. Nel primo pomeriggio arriviamo che a Maun . Si tratta di una cittadina africana che si presenta piena di contraddizioni. Capanne di fango e paglia si mescolano a centri commerciali di tipo europeo, creando nel viaggiatore un approccio di spaesamento locale. Maun è il punto di partenza per chi vuol raggiungere il delta dell’Okawango: lo si può vedere chiaramente dai carrelli zeppi di rifornimenti di ogni genere che escono dal supermercato principale, destinati a riempire i bagagliai di molte vetture in sosta. Qui a pochi km dal centro, c’è anche l’aeroporto da cui partono charter per un scenic flight sul delta. L’albergo dove pernottiamo è una costruzione abbastanza anonima di tipo occidentale, l’unica caratteristica africana, se così si può dire, è rappresentata dal tetto di paglia che copre i vari edifici di cui si compone Consumiamo il pasto serale al ristorante dell’albergo: mangiamo dell’ottima carne che gustiamo particolarmente anche perché abbiamo parecchia fame.

Qui si ritorna all’ora solare che è la stessa dell’Italia in questa stagione. In Namibia, invece, è in vigore l’ora invernale, cioè un’ora in meno.

2° GIORNO giovedì 28 giugno (15° giorno di viaggio) da Maun a Pom Pom sul delta dell’Okawango Lasciamo la nostra auto nel parcheggio dell’albergo, come d’accordo con la compagnia dalla quale l’abbiamo preso a noleggio. A metà mattina un referente dell’albergo ci accompagna in macchina all’aeroporto di Maun, a poca distanza. Dopo il check-in un addetto raccoglie i nostri bagagli su un carrello e quelli di altri due viaggiatori provenienti dal Sudafrica che voleranno con noi. L’aereo ha la capienza di 9 posti con il pilota. E’ la nostra prima esperienza con un aereo così piccolo. A stento abbiamo stipato i 12 kg di bagaglio consentiti a testa e le macchine fotografiche di Anna. Emilio prende posto con Anna dietro al pilota, a fianco del quale siede il sudafricano; mentre io, Roberta e Walter nei sedili posteriori. Inizialmente, al momento del decollo, il rumore è assordante, ma poi ci si abitua. Sotto di noi in una limpida giornata di sole cominciano a sfilarsi i primi bracci del fiume Okawango .

L’Okawango, conosciuto come “il fiume che non trova il mare”, dopo un percorso di1300 km si impaluda allargandosi e disperdendosi al margine della distesa desertica del Kalahari in tre corsi d’acqua principali e infinite ramificazioni. Due milioni di anni fa si gettava nell’oceano Indiano, dopo aver congiunto le sue acque con quelle del fiume Limpopo; nel corso dei millenni il suo corso originario è stato deviato da faglie di natura tettonica. Dall’alto il delta appare come uno sconfinato intrico di paludi, canali e lagune separate da isolotti ricoperti da vegetazione: questo paradiso di acqua e terra appare nella sua solarità incontaminata. Dopo 20’ di volo come ci aveva segnalato il giovane pilota sudafricano, si apre sotto di noi, bianca come una cicatrice, la pista di atterraggio. Il pilota, però, non atterra subito: prima si deve accertare che sulla pista di terra battuta non ci siano animali. Una jeep ci attende per condurci alla nostra meta: il campo di Pom Pom. Al lodge ci accolgono i gestori, due americani e alcune donne locali che ci augurano cantando e danzando Welcome. Percepiamo immediatamente che il posto è incantevole: nei percorsi accessibili e sicuri si può ascoltare il respiro della natura. Una decina di tende montate su piattaforme sopraelevate sono immerse nell’ambiente circostante, la clubhouse è molto ampia con il tipico tetto di paglia e aperta su tre lati. Verso le quattro del pomeriggio partiamo per un safari- drive. Non vediamo animali, solo qualche springbok e qualche isolato elefante in prossimità del tramonto del sole. In compenso, lo scenario che ci viene offerto è grandioso: il nostro driver ci fa conoscere da vicino alberi che noi abbiamo conosciuto solo sui libri, come ad es. Il sausage tree che fa un frutto di forma allungata del peso di circa 9 kg, molto pericoloso se cade in testa a qualcuno. Il frutto-salsiccia cade spontaneamente dall’albero quando ha raggiunto la maturazione, i semi contenuti nel suo interno fanno la gioia delle scimmie; mentre la parte fibrosa che ne rimane, conosciuta come loofa, viene usata in occidente come scrub per la pelle, mentre in Africa come medicamento epidermico . Attraversiamo la palude in due tratti, la Toyota land cruise abilmente guidata dal nostro driver, supera un guado profondo, l’acqua del fiume arriva al livello delle ruote: dobbiamo sollevare le gambe per evitare un probabile pediluvio. Dopo l’ormai consueto aperitivo al momento del tramonto del sole, si fa ritorno col buio. Fa molto freddo a causa di una perturbazione proveniente da Sud che ha portato neve in Sudafrica.

Ceniamo con una coperta avvolta intorno alle gambe e, dopo aver consumato il pasto serale, ci raccogliamo intorno ad un grande fuoco acceso in un braciere a terra. Apprendiamo che il lodge può contenere fino a 18 persone, in questo momento il numero degli ospiti, di varie nazionalità, è quasi al completo. Ci intratteniamo con olandesi, svizzeri di lingua francese e altri due italiani. A questo proposito, in tutti i lodge finora frequentati ci è stato detto che nei mesi di agosto e settembre la maggior parte dei turisti è costituita da italiani. Il freddo si è fatto nel frattempo così pungente che per la notte ci viene fornita una bull con acqua calda , in verità molto apprezzata.

3° GIORNO venerdì 29 giugno ( 16° giorno di viaggio) A Pom Pom La vita al campo si svolge in semplicità, come in tutti gli altri frequentati, si seguono i ritmi del sole . Anche oggi ci alziamo abbastanza presto e, dopo una rapida colazione, si parte per una escursione in mokoro. Questa è la tipica imbarcazione locale per solcare le acque non molto profonde del fiume, spinta da un palo a due denti nella parte terminale che affonda in acqua. Il mokoro ha il fondo piatto, ideale per navigare tra i bracci del fiume; un tempo era costruito in legno di tek, ora sostituito da vetroresina per motivi di conservazione ambientale, mantenendo, però, tutte le caratteristiche.

A bordo la capienza è limitata, oltre al conducente possono prendere posto solo due persone. Le canoe scorrono lentamente lungo le acque del fiume. Il silenzio che regna in questo ambiente è interrotto di quando in quando dal verso degli ippopotami che si divertono in acqua non lontano da noi. Le prime ore del mattino costituiscono il momento migliore per le escursioni in barca, quando la luce cambia continuamente conferendo sfumature intense al paesaggio circostante. Le ninfee formano un tappeto bellissimo sull’acqua: il nostro barcaiolo, che è una fonte inesauribile di informazioni, ci spiega che le ninfee possono essere diurne o notturne a seconda dell’apertura del fiore, la patata della ninfea viene consumata bollita dopo essere stata sbucciata e anche l’ovaio del fiore viene utilizzato come verdura una volta cotto.

L’acqua in parecchi punti si presenta limpida e tersa tanto che la nostra guida la beve abbondantemente e ci invita a fare altrettanto. Con garbo e delicatezza gli spieghiamo che a noi non abituati, quell’acqua potrebbe causare degli spiacevoli e sgraditi inconvenienti. Approdiamo su un isolotto dove la vegetazione è lussureggiante, per un frugale pic-nic. Sotto la guida esperta di uno dei barcaioli che nel frattempo sono arrivati sull’isola, ci inoltriamo nel fitto del bosco, dove crescono sausage trees e tek. In numerosi punti gli alberi evidenziano bruciature come se qualcuno intenzionalmente vi avesse appiccato il fuoco. Si è trattato di un incendio scoppiato lo scorso anno in febbraio quando un terribile temporale si è scatenato sulla zona: i fulmini hanno colpito parecchi alberi riducendoli in cenere. Sulla via del ritorno esploriamo altri bracci del fiume; continuando a restare nel più autentico ambiente lagunare, scivoliamo vicino ad un gruppo di ippopotami pigri che si sollazzano nell’acqua con rumore: un piccolo esemplare si appoggia con le zampe anteriori sulla groppa della madre da dove ci osserva incuriosito. Siamo al campo per l’ora del lunch. Nelle prime ore del pomeriggio riesco a resistere al sole solo per poco tempo, non tanto per il caldo che innegabilmente si fa sentire ma per i raggi solari che colpiscono con una angolazione diversa rispetto alla nostra latitudine. L’escursione termica fra il dì e la notte precedente, quando la temperatura è scesa a 2°, è veramente notevole. Nel pomeriggio, dopo l’ora del tè, si riprende il safari sulle tracce degli animali fino a che il buio non ammanta animali e natura. L’incontro più spettacolare avviene con un gruppo di elefanti nella boscaglia. Il nostro driver si è affiancato con la jeep ad un grosso esemplare che avanzava nel bush con passo più lento rispetto ai compagni. Ad un certo punto, non gradendo di essere tallonato, ha cambiato direzione di marcia, si è diretto verso di noi con un grosso barrito e offrendosi, da vicino alla nostra vista, con la sua mole possente che sovrastava la nostra auto. Il tracker ci ha raccomandato di stare fermi e in silenzio. Il momento ha costituito per tutti noi una esperienza emozionante: il bestione era a pochi metri da noi, si percepiva distintamente il suo odore, si vedevano anche le più piccole grinze della pelle. Poi, volteggiando con la proboscide e sistemandola alla fine tra le zampe anteriori, si gira noncurante dei suoi spettatori e prosegue la strada per unirsi al gruppo.

Il tracker ci spiega, quando ci è consentito di riprendere l’uso della parola, che l’elefante può diventare pericoloso quando gli si attraversa la strada; in particolare, la femmina con la prole diventa aggressiva perchè molto protettiva; se un piccolo si allontana dal suo fianco e qualcuno si interpone tra madre e figlio, l’elefantessa è pronta a tutto. Avvistiamo parecchi impala, kudu e gnu. Il momento è magico: il sole nella parabola discendente del suo percorso lancia riflessi rossi, mentre il cielo e le nuvole si tingono di porpora. Si ritorna al campo per il pasto serale. Fa un freddo pungente che ci costringe a sederci a tavola avvolti in una pesante coperta, come la sera precedente.

4° GIORNO sabato 30 giugno (17° giorno di viaggio) da Pom Pom a Deception Valley Lodge nel deserto del Kalahari Verso le 8 di mattina, dopo una frugale colazione, facciamo una passeggiata a piedi con il tracker armato di fucile. Nonostante sia iniziata la stagione invernale, non tutti gli alberi hanno perso completamente le foglie. Nella luce tersa del mattino, lo scenario della natura si offre a noi nitida e fresca, ideale per una esperienza a contatto ravvicinato. La vegetazione non è fitta, seguiamo da vicino la nostra guida passando attraverso baobab immensi, sausage trees, alberi marula e dell’ebano. Si torna al campo verso le 10. Da qui un volo di 50’ ci trasferisce al Kalahari desert.

L’aereo è particolarmente piccolo, ha sei posti compreso quello del pilota; i bagagli sono entrati a stento nella parte inferiore. Dall’alto si apre la vista grandiosa del delta del fiume che con i suoi numerosi bracci si perde nelle sabbie assetate del deserto che lo circonda.

All’arrivo in perfetto orario, veniamo prelevati da una jeep diretti al Deception Valley Lodge.

La sistemazione è una delle migliori finora incontrate: il corpo principale del lodge è arredato con gusto e in armonia con i colori del paesaggio circostante; un deck ampio e coperto corre intorno ad esso permettendo agli ospiti di riempirsi gli occhi dello scenario naturale. La struttura è situata al confine nord-est del Kalahari reserve, a 120 km a sud di Maun.

Una pozza antistante offre la possibilità di godersi un via vai continuo di animali che vanno ad abbeverarsi a seconda delle ore del giorno. E’ un avvicendarsi continuo di kudu, impala, facoceri.

I bungalows sparsi nell’immediato circondario sono ampi e ben disposti, all’interno un accogliente salotto e adiacente la camera da letto, con il bagno: l’arredo è curato e ben tenuto.

Mi sento i brividi, capisco di avere la febbre e così decido di passare il pomeriggio a letto, costretta a prendere medicine. Il raffreddore che mi porto dietro da alcuni giorni non mi dà tregua e si è trasformato in forte costipazione. Il resto della compagnia esce per un game drive a metà pomeriggio. Vagando con i pensieri, ripasso alcuni momenti già trascorsi del viaggio in Africa. L’ultima notte a Pom Pom avevo avvertito parecchi rumori, non ben definiti intorno alla nostra tenda. Non ero per nulla preoccupata, si trattava sicuramente di animali che prima o poi si sarebbero allontanati. I rumori, in seguito, si spostarono verso la laguna, sembravano degli splash continui e cadenzati sull’acqua . L’indomani scopriamo che dietro alla nostra tenda erano passati degli elefanti, lasciando vistose tracce di escrementi. Che bello! Avevamo imparato a non scomporci, dopo l’esperienza della notte insonne trascorsa al Caprivi.

5° GIORNO 1 luglio (18° giorno di viaggio) Kalahari desert Mi sento meglio, tuttavia decido di restare al lodge e non partecipare al game drive mattutino, è meglio non sfidare la sorte per non compromettere la vacanza nei prossimi giorni. Mi alzo più tardi del solito e mi siedo fuori sul deck che gira intorno alla clubhouse. Molti animali arrivano alla pozza per abbeverarsi: tre zebre non di grossa taglia lasciano il posto ai kudu che arrivano in numero consistente, poi è la volta dei facoceri. E’ interessante osservare come ogni specie animale e ogni gruppo familiare attenda in silenzio il proprio turno, quasi per non disturbare gli altri e usufruire dell’acqua della pozza per un tempo limitato solo per sè . Un tracker mi spiega che l’acqua che affiora alla superficie proviene da una falda idrica alla profondità di 90 m. Verso le 11 fanno ritorno al lodge Walter, Anna, Roberta ed Emilio. Sono molto effervescenti: nel loro mattutino game drive hanno avuto un incontro fortunato con 5 leoni. Il tracker seduto su una apposita sedia sistemata sulla parte anteriore della jeep, un ragazzo di 17 anni di origine San, ha sviluppato una vista particolarmente acuta che gli permette di avvistare gli animali a distanza. Raccontano che, una volta avvistati il gruppo di leoni, il driver ha iniziato un gioco di provocazione: come retrocedeva con l’auto, un leone avanzava e si arrestava quando l’auto era ferma. Nel primo pomeriggio abbiamo intrapreso una interessante passeggiata nel bush con la nostra guida e due bushmen, padre e figlio di stirpe san. Apprendiamo dalla guida che fa da interprete che il bushman- padre è vissuto nella boscaglia fino a pochi anni fa. Le caratteristiche somatiche dei San, il più antico popolo dell’Africa, si differenziano da quelle degli altri Africani: sono più vicine a quelle di un orientale. La statura è bassa, la testa è piccola, ma proporzionata con il resto del corpo, gli occhi a mandorla e il naso appena accennato. Il corpo è asciutto e scattante. La guida ci dice che la sua età può variare dai 42 ai 45 anni, nessuno lo sa con precisione. E’ interessante notare che nel passaggio da una generazione all’altra alcune caratteristiche sono cambiate: rispetto al padre, il figlio è più alto di statura e completamente eretto.

Il padre che è vissuto per anni nel bush si è adattato a questo ambiente naturale: la sua altezza non supera gli arbusti della boscaglia e, inoltre, la sua postura è curva. Il bushman padre ci dà un saggio delle abilità acquisite per sopravvivere in un ambiente non facile per l’uomo: come si caccia, come si cerca l’acqua, come si accende il fuoco, come si individuano le uova di struzzo e come si cucinano direttamente sulla cenere. Al tramonto, quando la luce del sole infiamma la natura circostante, il kalahari si offre nella sua selvaggia e aspra bellezza : per noi è il momento del brindisi.

Più tardi, la cena si svolge in un clima di gioviale serenità: oltre ai conduttori del lodge, si uniscono a noi due giovani inglesi che stanno svolgendo un lavoro di ricerca per l’Università e un simpatico sudafricano.

6° GIORNO lunedì 2 luglio (19°giorno di viaggio) dal deserto del Kalahari al Chobe safari lodge Partenza per la pista aerea vicina al lodge, diretti al Chobe. Durante il breve tragitto attraverso il bush, il nostro driver avvista due cheetahs, madre e figlio. I due felini si sentono osservati e si spostano, inseguiti dalla nostra jeep interno della boscaglia.

Sono di una bellezza indescrivibile. Il corpo è snello e gli arti sono più lunghi rispetto a quelli di altri felini; il ghepardo può essere confuso con il leopardo per il mantello di un giallo dorato cosparso di macchie nere, ma la caratteristica qualificante della specie è costituita dalle lacrime nere che partono dall’angolo interno dell’occhio e arrivano alla bocca, svolgendo la funzione di proteggere la vista dell’animale dai riflessi del sole durante la caccia.

All’improvviso ci danno un saggio della loro velocità e soprattutto della loro capacità di accelerazione, con pochi balzi fuggono completamente alla nostra vista ritirandosi nella boscaglia, lasciandoci, però, appagati per aver visto da vicino questi splendidi esemplari.

L’aereo nel frattempo è già atterrato: è lo stesso con cui siamo arrivati da Pom Pom. Il volo fino alla prossima destinazione, il Chobe, dura 80’. La giornata è ventosa, l’aereo decolla con facilità grazie alla bravura del pilota. Il vento contrario disturba la stabilità del velivolo causando un ritardo di una ventina di minuti. Sotto gli occhi si apre il deserto del kalahari e poi ancora il delta dell’Okawango con il suo ambiente lagunare.

Atterriamo a Kasane, piccolo aeroporto costruito nel ’95 come ricorda un’iscrizione su marmo posta all’esterno: rappresenta un punto di partenza importante per visitare il Chobe Park. Qui aspettiamo quasi un’ora prima che un rappresentante del Chobe Safari Lodge ci venga a prelevare: abbiamo il sentore che l’organizzazione, che finora è stata ineccepibile, difetti. Il Chobe Lodge che dista dall’aeroporto una decina di minuti d’auto, si presenta con caratteristiche ben diverse dai campi che ci hanno ospitato finora: l’impressione è quella di un grande villaggio turistico senza una identità locale caratteristica, con carenze evidenti nella gestione e organizzazione per la estensione della struttura. Le stanze sono collocate in edifici a schiera sparse in mezzo al parco che si affaccia sul fiume Chobe, sono ampie e confortevoli, ma abbastanza anonime nella scelta dell’arredo e della suppellettile.

Ci viene raccomandato di non lasciare aperta la porta – finestra che dà sul parco per evitare l’intrusione delle scimmiette che liberamente si muovono sul prato. Gli ospiti sono in prevalenza sudafricani che arrivano qui anche per una breve vacanza. Quando raggiungiamola clubhouse per la consumazione dei pasti, le nostre impressioni iniziali trovano conferma. Sembra di essere in un villaggio-vacanze di quelli che presentano una tipologia che si ripete in ogni parte del mondo, dove è necessario comunicare il numero di stanza prima di sedersi a tavola, dove l’affollata umanità corrisponde all’identikit del turista che esige certe comodità e non del viaggiatore animato da curiosità e da conseguente spirito di adattamento. In questo lodge, pur essendo della stessa catena di quello del Kalahari, avvertiamo la nostalgia per l’atmosfera domestica e informale incontrata finora nei campi a gestione familiare. A parte queste, il fiume e il parco Chobe dalla parte della Botswana offrono lo scenario di un paesaggio di incomparabile bellezza: si tratta di un fiume importante che nasce in Angola con il nome di Kwando, attraversa la striscia del Caprivi in Namibia con il nome di Mashi, segna il confine con il Botswana nella zona paludosa con il nome di Linyanti, per cambiarlo alla fine in Chobe nell’attraversare la pianura che un tempo ospitava il lago Liambesi.

Nel pomeriggio facciamo un’escursione in battello lungo il fiume, per assaporare la magia offerta dall’ora del giorno. Gli incontri con gli animali sono frequenti: numerosi ippopotami si riposano pigramente su un isolotto in mezzo al fiume; coccodrilli che si confondono con l’ambiente circostante sono appostati in agguato sulle rive, pronti a sorprendere la preda ignara del pericolo. Questa zona è nota per le varie specie di uccelli che vi trovano un rifugio ideale.

E’ interessante guardare la terraferma dall’acqua: da una parte la riserva del Chobe in Botswana che costeggia il fiume dove non mancano all’appuntamento elefanti, impala e springboks; dall’altra la sponda namibiana nel Caprivi che offre una vista diversa: gli alberi sono rari e il suolo è completamente pianeggiante.

Il tramonto costituisce sempre un momento magico, anche se parecchie immagini con questo soggetto sono entrate nella nostra memoria: la luce rossa e dorata dei raggi solari inonda dei suoi riflessi la superficie dell’acqua e il paesaggio circostante, offrendoci uno spettacolo di breve durata, ma intenso.

Durante la cena,a base di ottimi piatti locali, alcune danzatrici si esibiscono in una danza al suono ritmato di strumenti musicali insoliti per noi: lo spettacolo allieta la serata in modo gradevole. 7° GIORNO martedì 3 luglio (20° giorno di viaggio) al Chobe La sveglia è alle sei, Walter ed Emilio ripetono l’escursione in barca, mentre io, Anna e Roberta decidiamo di restare perché non abbiamo riposato bene durante la notte. Il racconto che viene fatto dai nostri compagni al ritorno dal safari boat è avvincente: quello stesso habitat della sera precedente si è presentato inserito in una cornice di rara bellezza esaltata dalla luce mattutina, ideale per osservare i numerosi animali avvistati sulla riva della riserva: ippopotami, elefanti, antilopi e bufali. A metà mattina il caldo si fa sentire e facciamo una passeggiata fino al paese che dista poche centinaia di metri. L’ ordine che regna nel centro abitato, le case in muratura e curate, la gente che incontriamo, dignitosa nei modi e nell’abbigliamento, testimoniano un certo benessere della popolazione locale.

Entriamo in un negozio attirati dagli oggetti tribali esposti in vetrina: maschere, scudi, contenitori di legno, utensili vari, ciotole per cucinare i cibi e per mangiare. Walter rimane affascinato da uno scudo non piccolo, usato nelle cerimonie tribali, come ci spiega la padrona . Il problema costituito dalle sue dimensioni che rendono difficoltoso il suo trasporto in Italia, viene superato e Walter torna al lodge con il suo trofeo impacchettato per bene.

Nel pomeriggio partecipiamo al game drive organizzato all’interno del Chobe National Park.

L’habitat è interessante, su un terreno sabbioso cresce il bush interrotto da piante alte soprattutto in prossimità del fiume; gradiremmo fermarci più spesso per guardare intorno, ma il nostro driver sembra avere molta fretta. Incontriamo parecchi animali, lo spettacolo che si propone a noi è degno di una scena da documentario: ippopotami, elefanti, rinoceronti che mostrano di non gradire la nostra presenza, impala, numerose famiglie di scimmiette, avvoltoi e aquile pescatrici. Non possiamo perderci uno degli ultimi tramonti in terra africana; anche se il tempo in questa parte del mondo ha una cadenza diversa, il diario giornaliero ci ricorda che il nostro viaggio sta volgendo al termine. Costringiamo il driver a fermarsi in un punto da cui il sole si tuffa nelle acque del fiume.

Ritorniamo che il sole è tramontato e un freddo pungente si fa sentire. Per la cena scegliamo un tavolo sotto la copertura di un ampio ombrellone e vicino ad un braciere a terra per scaldarci un po’ dai rigori dell’inverno australe.

8° GIORNO mercoledì 4 luglio (21° giorno di viaggio) dalla Botswana allo Zimbawe – Victoria falls Facciamo colazione più tardi del solito, perché la partenza per le Victoria falls è prevista verso le dieci. Aspettiamo nella hall del lodge impazienti: nessuno della reception sa nulla del pulmino che ci deve prelevare, sebbene il giorno precedente abbiamo chiesto conferma degli orari. Della disorganizzazione della struttura avevamo già avuto un primo saggio appena arrivati all’aeroporto di Kasane; dopo diverse sollecitazioni da parte nostra, arriva una jeep completamente aperta e scoperta adatta per i game-safari per portarci fino al confine con lo Zimbawe, dove ci attende un pulmino per portarci finalmente a destinazione. Prendiamo posto protestando vivamente presso la reception perché abbiamo perso inutilmente più di un’ora.

La Botswana sta promuovendo un tipo di turismo di elite vendendo pacchetti all inclusive, scoraggiando il fai da te: non è facile viaggiare in auto, anche se la maggior parte delle strade sono asfaltate a differenza della Namibia, perchè la carreggiata è molto stretta; inoltre, in alcune zone come il delta dell’Okawango, gli spostamenti interni avvengono solo con piccoli aerei. Se a Pom Pom e nel Kalahari deception valley non si risente della limitazione di viaggiare in libertà perché la conduzione familiare consente una gestione e organizzazione perfette, al Chobe safari lodge l’estensione della struttura e il conseguente numero elevato di ospiti ha favorito una situazione che pecca sotto diversi profili. Passiamo la frontiera dopo aver sbrigato alcune formalità presso gli uffici di confine e aver pagato US$ 30 a persona per il visto di entrata nello Zimbawe. Passiamo a piedi il breve tratto di confine tra i due stati, ad attenderci c’è un pulmino con altri passeggeri a bordo: con nostra meraviglia ci accorgiamo che alcuni di loro si trovavano con noi nella hall del Chobe Safari Lodge. Arriviamo al Victoria Falls Hotel in tarda mattinata, l’albergo più antico dello Zimbawe. Inizialmente, all’inizio del secolo, fu concepito scorso come edificio temporaneo per accogliere i tecnici che lavoravano nella costruzione della ferrovia che nel sogno imperialista inglese doveva collegare Città del Capo con Il Cairo, allo scopo di sottolineare la continuità territoriale britannica. Nel corso degli anni divenne una struttura alberghiera inaugurata in aprile del 1917, per accogliere il turismo proveniente dal Sud Africa. In seguito, in relazione all’incremento del numero di turisti che arrivavano da diversi continenti, al corpo centrale furono aggiunte due ali laterali, poi la piscina e successivamente la cappella, consacrata dal vescovo della Rodesia del Sud nel 1932. In perfetto stile coloniale, la struttura, che mantiene inalterati i vari ampliamenti, si presenta immersa in un giardino interno a terrazze con piante molto vecchie, da cui si gode una vista scenica sulle cascate e sul ponte al di là del quale si apre lo Zambia.

Nella parte interna dalle ampie sale centrali si snodano i corridoi laterali che conducono alle stanze: l’ arredo ben curato è in perfetto stile vittoriano, le pareti sono ornate con stampe d’epoca e giornali che ricordano avvenimenti storici fino alla dichiarazione d’indipendenza dall’Inghilterra nel 1965.

Quello che colpisce maggiormente è la raffinatezza della struttura gestita completamente da personale di colore professionalmente preparato, dove ogni cosa trasuda del periodo coloniale come retaggio di un passato da cui si è voltato pagina, ma che non va cancellato. Consumiamo un breve lunch in una terrazza del giardino interno: il cielo è particolarmente terso e l’aria è tiepida.

Nel pomeriggio accompagnati da una guardia, dopo un percorso di dieci minuti, arriviamo alle Victoria falls . Le cascate sono state dichiarate dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità. La bellezza incontaminata e selvaggia del luogo più visitato al mondo ha indotto il governo del paese ad attuare una politica attenta a salvaguardare il bene prezioso che la natura ha elargito con tanta generosità e a proteggere il viaggiatore che visita questa terra.

Sono convinta che l’emozione provata da Livingstone , l’esploratore inglese, al suo primo incontro con le cascate Musioa-Tunya, non sia dissimile da quella di un turista del nostro tempo quando si affaccia all’orlo del precipizio causato da una spaccatura della crosta terrestre. Il “fumo che tuona” da quel novembre del 1855 fu ribattezzato col nome di Victoria Falls, in onore della regina Vittoria.

Entriamo dall’ingresso principale, muniti di impermeabile per ripararci dagli spruzzi d’acqua. Le cascate sono formate da una serie di ‘salti’, il più esteso dei quali presenta un fronte di 1.800m., che il fiume Zambesi si trova a compiere nel suo corso, interrotto da isolotti prima di precipitare nel sottostante canyon. Lo spettacolo è intenso e grandioso: milioni di litri d’acqua tuonano sotto una sequenza di arcobaleni che finiscono il loro arco confondendosi con l’acqua che si infrange contro le rocce. Un pensiero tra tutti prevale sugli altri: la piccolezza e la pochezza dell’uomo di fronte al grandioso incanto di cui è capace la natura spontaneamente.

Percorriamo diversi sentieri che offrono la possibilità di godere l’incanto della massa d’acqua che cade fragorosamente da più punti di angolazione; arriviamo in vicinanza del Victoria Falls Bridge, ardita costruzione in acciaio che congiunge con i suoi 200m le estremità della gola di Batok dove confluiscono le acque dello Zambesi dopo il precipizio.

Il ponte, costruito all’inizio del ‘900 per soddisfare l’ambizioso sogno colonialista inglese, segna oggi il confine tra Zimbawe e Zambia e offre spettacolo per chi vuole cimentarsi nell’attività del bungee jumping con un volo nel vuoto di 111 m.

Ritorniamo all’albergo, siamo bagnati fradici dal ginocchio in giù; per fortuna un poliziotto ci accompagna attraverso un breve tratto di boscaglia dove ci sono parecchi bufali.

Decidiamo di visitare il mercato locale: una guardia ai cancelli dell’albergo si offre per farci da guida, il sole sta ormai per tramontare. Ogni venditore espone la sua merce su un lenzuolo steso a terra, il mercato è abbastanza esteso e presenta una recinzione: da una parte, all’aperto e sotto un porticato ci sono gli uomini; da un’altra più nascosta, all’interno di una struttura in muratura le donne vendono i loro manufatti.

E’ quasi impossibile fare un primo giro di ricognizione come è nelle nostre intenzioni, ognuno vuole catturare la nostra attenzione e invitarci a comprare. Ci allontaniamo dal mercato all’imbrunire con l’intenzione di ritornare l’indomani.

L’ultima sera della nostra vacanza la trascorriamo in modo memorabile: ci concediamo una cena nella sala interna del ristorante allietata dalla musica dell’orchestra. Un cantante di colore propone canzoni degli anni passati con una voce calda e suadente in perfetta sintonia con l’ambiente. I piatti ordinati vengono serviti in modo impeccabile e preparati con grande abilità culinaria: in questa occasione abbiamo assaggiato la carne di coccodrillo, che mancava alla lunga lista di carni di animali che non abbiamo resistito alla tentazione di provare nella nostra vacanza africana.

Nel parco con l’eco dell’acqua che continua a tuonare, osserviamo il cielo stellato dove appaiono nitidamente la lunga scia della Via Lattea e La Croce del Sud che ormai individuiamo facilmente dopo i suggerimenti di una guida.

GIOVEDI’ 5 luglio –VENERDI’ 6 luglio ( 22° e 23° giorno di viaggio) da Victoria Falls a Johannesburg – Monaco – Venezia Ci svegliamo abbastanza presto, consumiamo una super ricca colazione predisposta in un’ala dell’hotel a fianco della piscina. Ritorniamo al mercato accompagnati dallo stesso poliziotto del pomeriggio precedente; dimenticavo di ricordare che qualsiasi pagamento in genere viene effettuato con dollari americani, con euro o con carta di credito; la moneta locale, il dollaro dello Zimbawe, viene accettato solo dai venditori locali che però preferiscono la moneta occidentale. Si incontrano numerosi poliziotti La povertà si vede nella gente che incontriamo lungo strada: la terra rappresenta il mezzo fondamentale per sopravvivere, ma quando il raccolto va male o è scarso per una molteplicità di fattori, il rischio è la fame.

A metà mattina un driver di Wild Horizons ci porta all’aeroporto di Victoria Falls diretti a Johannesburg. Qui dopo parecchie ore di attesa ci imbarchiamo sul volo per Monaco.

L’indomani da Monaco ripartiamo per Venezia dove arriviamo a mezzogiorno secondo l’orario previsto. Purtroppo recuperiamo i bagagli dopo otto giorni.



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